The rainmaker
Titolo:
The Rainmaker
Autore: My Pride
Fandom: Superman/Batman
Tipologia: One-shot
[ 2245 parole fiumidiparole
]
Personaggi: Bruce
Wayne, Clark Kent
Rating:
Verde/Giallo
Genere: Generale,
Commedia, Maliconico
Avvertimenti: Hurt/Comfort,
Accenni
slash
The season challenge: Autunno
› Ognuno dovrebbe trovare il tempo per sedersi e
guardare la caduta delle foglie.
(Elizabeth Lawrence)
The angst time: 06.
Dolore
Caretaking challenge: 03.
Fraintendimenti
Cocktail di storie:
Mojito › 06. Due
personaggi costretti a condividere un letto
Maritombola:
04. Coperta termica
Agnes Obel Challenge: Who are
you to take over my mind with your eyes on me? ›
Golden
Green, Citizen of Glass
BATMAN
© 1939Bob Kane/DC. All Rights Reserved.
SUPERMAN ©
1933Jerry Siegel&Joe Shuster/DC. All
Rights Reserved.
Who are you to take over my mind
With your eyes on me?
(Agnes Obel - Golden Green; Citizen of Glass)
Gotham era confortevolmente silenziosa,
quella notte. Nonostante fossero ormai ore che si trovava là
fuori, appostato su una delle gargolle del più alto edificio
della città, non era ancora riuscito a scorgere nessun
crimine, nessuna segnalazione di aiuto, nemmeno qualche caso
di
possibile suicidio, come se Gotham, per una volta nella sua vita, si
fosse presa una pausa da se stessa e si fosse goduta la
placidità di quell'umida serata autunnale. Se solo notti
addietro fosse stata così, esattamente come la stava
osservando
in quel momento, molto probabilmente non avrebbe sentito quel peso
opprimergli il petto, riducendo il suo cuore in poltiglia. Per quanto
fossero quasi passati due mesi da quell'avvenimento e fosse riuscito,
anche con un po' di aiuto, a ristabilire il proprio equilibrio mentale,
nulla sarebbe mai riuscito a spazzar via il dolore di un genitore
costretto a seppellire il proprio figlio.
«Sto lavorando», asserì di punto in
bianco e con
voce più nervosa del solito, al che il nuovo arrivato, quasi
fosse letteralmente comparso dal nulla, si librò accanto
alla
gargolla su cui si trovava il pipistrello di Gotham, incrociando le
braccia al petto nel guardare le luci della città che
svettava
sotto di sé.
«Lo vedo», si ritrovò a dire, con le
orecchie
ben attente nel captare qualunque suono e, in senso più
ristretto, il battito dell'uomo su quel piedistallo di pietra. «Credevo
ti fossi preso... almeno un momento», dovette ammettere,
sentendo
distintamente il grugnito che fuoriuscì dalle labbra del suo
interlocutore.
«Ne ho presi anche troppi. Il crimine non va in
vacanza».
«A quanto
pare stanotte sì. Sei quassù da quanto, quasi due
ore? E non è ancora successo niente».
Batman lo scrutò attraverso le lenti della sua maschera.
«Mi stavi spiando?» domandò schietto, e
Superman
sollevò subito entrambe le mani in segno di resa, conoscendo
fin
troppo bene quel tono di voce.
«Diciamo piuttosto che mi preoccupavo per la tua
salute»,
asserì con semplicità inaudita. «Dopotutto...
ognuno di noi dovrebbe riuscire a trovare il tempo per sedersi e
guardare la caduta delle foglie, B».
«S, non
farlo».
«Fare che cosa,
esattamente?»
«Non citare Elizabeth
Lawrence nel patetico tentativo di convincermi a riposare. Non sono
nemmeno mai stato un fan dei suoi film»,
affermò schietto, con lo sguardo ancora fisso sulla
città
sotto di sé e le spalle rigide, quasi si aspettasse da un
momento all'altro che Gotham si risvegliasse dal proprio
torpore. «Cosa
ci fai qui, piuttosto?»
Superman esitò solo per un breve momento, ma fu abbastanza.
«Uno non può semplicemente venire a trovare un
amico?» provò ugualmente, anche se la nuova
occhiata che gli
venne lanciata, e che non dovette nemmeno provare a vedere grazie a
raggi X oltre la maschera, fu fin troppo eloquente da fargli
abbassare le precedenti difese. «Sono
venuto a chiederti un favore».
«Se si tratta ancora di un carico di kryptonite, il radar
della
Torre di Guardia è ancora calibrato sulle tracce del suo
decadimento beta, inoltre avete già i container. Flash
può
benissimo...»
«Si tratta di una questione un po' più personale,
B».
Se fino a quel momento Batman era apparso piuttosto disinteressato, a
quel punto sollevò del tutto il capo per osservarlo attento
e,
qualche momento dopo, si alzò persino dalla gargolla su cui
era
per prendere il rampino dalla sua cintura quando un guizzo sottostante
catturò la sua attenzione. «Mi occupo di quei
criminali e
sono da te», tagliò semplicemente corto, sparando
la
bat-fune e usandone lo slancio per superare un paio di edifici ed usare
il proprio mantello per planare direttamente addosso a quei criminali.
Per quanto avesse visto milioni e
milioni di volte
il suo amico combattere, per Superman era sempre stato un certo piacere
ritrovarsi ad assistere a quello spettacolo: un nero apostolo della
giustizia che piombava come un'ombra vendicativa sulla feccia che
infestava le strade di Gotham, combattendo con una furia terrificante e
bellissima a tempo stesso. Il modo in cui i suoi muscoli guizzavano al
di sotto della tuta ad ogni pugno ben assestato, il rumore provocato
dalle nocche rivestite in kevlar che si infrangevano contro la mascella
del malcapitato di turno; il distinto suono delle ossa rotte quando,
con una mossa fulminea, afferrava il braccio di chi impugnava il fucile
e lo storceva dietro la schiena, lasciandolo agonizzante e con un
sicuro viaggio all'ospedale prima di essere spedito a Blackgate. Batman
aveva imparato a combattere la violenza con la violenza, senza uccidere
il proprio avversario ma rompendo lui abbastanza arti da fargli
desiderare di esserlo. E, se a molti quei metodi apparivano rudi e
senza senso, c'era chi capiva quanto Gotham fosse spietata. E quanto
essa non risparmiasse nessuno, nemmeno un bambino di dieci anni
cresciuto troppo in fretta.
Superman si era dunque limitato ad
attendere che
completasse il suo lavoro di vigilante, aiutandolo anche a trovare
altri piccoli crimini che la polizia sarebbe riuscita ugualmente a
tenere a bada, prima di tornare con lui alla batcaverna e accennargli
di portare qualche cambio veloce, poiché avrebbe avuto
bisogno
della sua assistenza per un giorno o due. Non era comunque riuscito a
farlo desistere dal portarsi dietro il proprio abito da lavoro
con tanto di cintura multiuso, ma alla fine erano giunti a
destinazione, a miglia e miglia da Gotham o Metropolis, e quando alla
fine Bruce si era reso conto di ciò che aveva fatto, si
preoccupò della pessima idea che aveva avuto. Beh... ormai
era
fatta, no? Aveva ben poco di cui lamentarsi adesso che si trovavano
nella rustica e momentantemante piovigginosa Aspen.
«Era questa la tua questione personale?»
domandò di punto in bianco Bruce, osservando con
una certa attenzione la camera matrimoniale che era stata loro
assegnata. La osservò in ogni minimo dettagli, dal letto al
centro che appariva piuttosto confortevole, con tanto di una bella
coperta termica ripiegata sul piumone, alla finestra alla sua sinistra,
fuori dalla quale si riuscivano a scorgere ancora le piste illuminate
nella notte; c'era anche un frigo bar accanto ad un televisore di 20''
a schermo piatto, e persino una poltrona dinanzi ad esso, con un bel
tappeto che aveva l'aria di essere morbido e caldo. Perché
si
era fatto coinvolgere? Avrebbe potuto rifilare la
cosa a qualcun altro della Lega e quell'idiota kryptoniano non sarebbe
riuscito a fregarlo in quel modo così pessimo, per di
più
prenotando con così poco preavviso che gli avevano rifilato
quella stanza e non si era nemmeno preso la briga di lasciar perdere.
Clark abbozzò un sorrisino
nonostante tutto,
stringendosi nelle spalle prima di mollare la propria valigia accanto
alla finestra. «Se
ti avessi detto la verità mi avresti seguito?»
«No».
«Non mi aspettavo una risposta diversa»,
asserì come
se nulla fosse, per nulla sorpreso, lasciandosi scappare poi una mezza
risata quando si sedette sul bordo del materasso, picchiettandone un
lato. «C'è
un solo letto da condividere e... uhm, sai, ho una bizzarra sensazione
di dejavù».
Bruce lo fulminò immediatamente con lo sguardo, afferrando
alla
svelta un cambio dalla valigia. «Non dirlo a me»,
asserì ben poco concorde mentre si avviava verso il bagno. E
ci
si chiuse dentro per una buona mezz'ora, godendosi non solo il calore
che scioglieva muscoli indolenziti dal freddo, ma anche quel breve
momento di calma che si era creato sotto lo scrosciare dell'acqua dal
getto della doccia, fino a decidersi a lasciare il bagno all'altro e a
controllare la situazione a Gotham nell'attesa. Alfred gli aveva
però comunicato che tutto taceva e che avrebbe potuto quindi
tranquillizzarsi per quelle poche ore che lo separavano dall'alba e
che, se avessero avuto bisogno, avrebbe potuto pur sempre dirottare la
chiamata a Dick, che si trovava momentaneamente da quelle parti per
sbrigare ben altri affari. In parole povere, tutti sembravano dirgli di
riposarsi nonostante lui preferisse starsene fra le strade e sfogare la
sua frustrazione.
A quei pensieri scosse il capo, vedendo
Clark
tornare proprio in quel momento e decidendosi infine a prender posto,
seppur ancora vagamente indispettito, prima di allungare una mano verso
l'abat-jour per spegnere la luce. «Buonanotte»,
tagliò quindi corto, sistemandosi sotto il
piumone e afferrando anche quella coperta termica, visto il freddo che,
nonostante la stanza fosse riscaldata, si sentiva là dentro.
E
cercò quindi di prendere sonno come concessogli, alzando
solo
una palpebra quando avvertì un movimento al suo fianco e il
corpo dell'altro, confortevole ma ugualmente strano, si
assestò contro di lui. «Spero
vivamente per
te che quello che mi preme contro non sia ciò che penso,
Clark», si ritrovò a dire, e Clark si
lasciò
scappare un piccolo colpetto di tosse come a voler camuffare
chissà quale replica.
«Mhn, sì, scusa», si ritrovò
a dire con fare
un po' imbarazzato, grattandosi dietro al collo pur senza allontanarsi.
Quella vicinanza era piacevole, dopotutto. «Fa'
un po' troppo freddo persino per me. Ti da fastidio se resto
così?» ebbe comunque l'ardire di chiedere,
provando a far
leva sul fattore scientifico che due
corpi si scaldavano meglio e bla bla bla,
ma un po' si sentì ugualmente un idiota. Che diavolo gli era
saltato in mente? Però, nonostante tutto, Bruce scosse il
capo
anche se ci mise una manciata di secondi di troppo, così
trasse
interiormente un sospiro di sollievo, sistemandosi meglio contro di lui
e godendosi anche il calore emanato dal corpo dell'altro.
Doveva ammettere che dormire così vicino a Bruce,
diversamente
da quanto accaduto la prima volta, era piuttosto piacevole e riusciva
persino a rilassarlo, ma era probabilmente il solo a vederla
così, visto il battito irregolare che, per quanto cercasse
di
non farlo, sentiva da parte del cuore dell'altro. Eppure... eppure, se
ascoltava molto più attentamente, si rendeva conto che non
era
un battito dettato dalla situazione un po' troppo fraintendibile che
era venuta a crearsi, ma quello di chi, ormai da chissà
quante
notti, non riusciva a riposare con la calma che avrebbe voluto
così tanto avere. Appariva quasi... triste. E non aveva
bisogno
di essere a propria volta un
detective per
capire, nel silenzio delle ombre di quella camera d'albergo, a che cosa
l'uomo stesse pensando in quel preciso istante. La stessa cosa che non
aveva fatto altro che pensare per giorni, settimane, mesi. E a cui
stava pensando anche quando l'aveva visto assorto su quell'edificio di
Gotham.
«Non è stata colpa tua, Bruce», gli
sussurrò
contro la pelle, sentendolo irrigidirsi ancora di più
qualche
momento dopo. Per attimi che parvero interminabili, fra loro
aleggiò solo e unicamente la consapevolezza che l'altro sapesse,
finché Bruce, con un lungo fremito e un suono strozzato
simile
ad un sibilo nel fondo della gola, lo allontanò di scatto da
sé per mettersi a sedere e fissarlo, abituato a scrutare nel
buio.
«Non farlo,
Clark».
«Lasciami finire», lo frenò
immediatamente,
soprattutto nel sentire il tono a dir poco nervoso con cui l'amico
aveva pronunciato quelle pochissime parole. Lo capiva? Oh, eccome se lo
capiva. Ma, come si era reso conto che si stava auto-distruggendo,
avrebbe anche dovuto accettare cosa fosse successo. «Potrà
non essere lo
stesso, ma anch'io mi sentii impotente quando pa' morì... e
per
settimane, se non mesi, mi presi la colpa di quanto successo,
nonostante anche essere lì con lui non avrebbe cambiato
minimamente le cose». Si issò a sedere a propria
volta e
gli poggiò una mano su una spalla,
fissandolo attentamente negli occhi e costringendolo anche un po' a non
distogliere la propria attenzione, visto il modo in cui Bruce cercava
in tutti i modi di non incontrare il suo sguardo. Per quanto fosse
umano e non sarebbe comunque stato in grado di vedere la sua
espressione, Bruce sapeva fin troppo bene che lui sarebbe riuscito a
farlo senza problemi. «Non
puoi portare questo peso tutto da solo».
«Aveva solo dieci anni, maledizione. Dieci anni. E io
l'ho lasciato morire come lasciai morire Jason».
«Non sei stato tu, Bruce, non prenderti colpe che dovrebbero
avere Joker o Talia. Posso benissimo capire come...»
Bruce lo fermò con un gesto secco della mano, issando
nuovamente
barriere sulla difensiva nell'abbandonare persino quel letto per andare
alla finestra. Era ugualmente riuscito a vedere che l'espressione sul
suo viso era stravolta, oltre al dolore che sembrava provare.
«Non potrai mai
capire. È
morto fra le mie braccia, Clark».
Clark aprì la bocca per
ribattere, lasciando
però che quel silenzio che si era venuto a creare fra di
loro si
estendesse come una nota vibrante in quella stanza, portavoce di parole
non dette e di attimi che non avevano bisogno di essere spiegati.
Poiché Clark sapeva che adesso aveva davanti solo un uomo,
non
più il pipistrello di Gotham, l'incubo di cui tutti i
criminali
sussurravano concitati e che molti di loro credevano esser stato
sputato dall'inferno stesso. Era soltanto un uomo a cui
mancava il
sangue del suo sangue. E fu a quello stesso straziante pensiero che si
alzò, avvicinandosi per poggiare una mano su una spalla di
Bruce
che, nel frattempo, si era perso a guardare fisso la pioggia che
picchiettava contro i vetri, creando rivoletti che, sulla sua immagine
riflessa, rassomigliavano tristemente a delle lacrime che non si
sarebbe lasciato scappare mai dinanzi a lui.
«...volevo
solo veder crescere
mio figlio»,
mormorò infine con voce stanca, crollando su se stesso dopo
mesi
e mesi in cui aveva cercato di tenere duro e di lasciare che fosse solo
e unicamente la rabbia a spingerlo ad andare avanti, con l'anima in
pezzi e il cuore arrancante. Perché,
sì, anche Batman aveva bisogno di conforto, a volte. E
Bruce Wayne, uomo e padre in lutto, in quel momento non era da meno.
_Note inconcludenti dell'autrice
Prima
di cominciare, due spiegazioni veloci: la frase di Clark «Ho una bizzarra sensazione di
dejavù, Bruce»
è un richiamo all'albo Superman/Batman Annual #1, dove,
durante
una crociera, Bruce e Clark sono costretti non solo a condividere la
cabina, ma persino il letto. Da qui la sensazione che prova Clark in
quel momento ;)
Tra parentesi, di solito quei due si chiamano solo S o B - Bruce a
volte lo chiama addirittura Blue, quindi figurarsi - dunque non
è
un errore ma un voluto richiamo al loro modo di parlare. Inoltre il
titolo è a propria volta un richiamo ad uno dei primi
spettacoli
teatrali a cui prese parte Elizabeth
Lawrence, citata sempre nello scambio di battute tra Bruce e Clark.
Diciamo che volevo dare un'idea di come quei due si stuzzichino di
continuo e a volte sembrino molto "gaiosi"
- chi ha letto gli albi della serie Superman/Batman pubblicati dal 2003
fino a non molti anni fa sa di che cosa sto parlando -, quindi ecco
com'è nato anche il cliché di vederli di nuovo a letto insieme
con
fraintendimenti, soprattutto tenendo conto che questa
storia si svolge tempo dopo la morte di Damian, quando Clark stesso gli
chiede se ha bisogno di parlarne prima che Bruce si impunti con il
volerlo riportare a tutti i costi in vita. Motivo per cui, nonostante
avessi pensato di rendere la storia giocosa e allegra, alla fine ci si
è ritrovati con questa cosa mezza angst.
Una spiegazione veloce anche per i versi della canzone all'inizio,
scelta grazie alla Agnes
Obel Challenge
indetta da Tide-EFP. Siccome Bruce odia chi pretende di capire che cosa
sta pensando, mi sembrava che fossero a dir poco perfette per uno come
lui, se comparato ad un uomo come Clark che può
letteralmente
vedere attraverso le cose e, qualche volta, anche attraverso cuore e
mente di Bruce a causa dei suoi comportamenti. E il modo in cui Bruce
si comporta da quando è morto Damian è chiaro
come il
sole.
Commenti
e critiche, comunque sia, son sempre accetti
A presto! ♥
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