CAPITOLO
16.
PAURA DI PERDERTI.
Pov
Sana.
Mi
sembrava di fluttuare in un mare profondo e azzurro. Non volevo
aprire gli occhi, non volevo muovermi, non volevo fare nulla, volevo
solo rimanere a crogiolarmi nella mia felicità. Ero
così contenta.
Non avevo mai immaginato che la felicità, l'appagamento,
facessero
quell'effetto.
Non
mi mossi per non svegliare Akito. Sentivo
ancora il suo respiro regolare, potevo percepire il movimento del
suo petto che si alzava e abbassava. Volevo svegliarmi in quel modo
tutte le mattine, preferibilmente evitando la parentesi sul pavimento
del salotto, con l'uomo della mia vita accanto e il cuore che stava
per scoppiarmi. Quando aprii gli occhi, invece, mi ritrovai Akito ad
un centimetro di distanza che mi fissava insistentemente.
"Buon
giorno anche a te!" esordii io, stampandogli un veloce bacio
sulle labbra. Lui non ricambiò e già la cosa mi
preoccupava. Si era
pentito?
"Stai
bene?". Non mi toccava nemmeno per
sbaglio e capii che era perchè voleva il mio permesso.
Ancora, dopo
quello che avevamo fatto, dopo tutto quello che ci eravamo detti,
temeva
ancora che io potessi spaventarmi o, peggio, che quei gesti pieni di
amore potessero riportarmi alla memoria altre mani.
Se
non lo avessi già fatto, lo avrei sposato!
Gli
sorrisi e lui
continuò a guardarmi con fare incerto.
"Sto
bene, Akito.
Smettila di preoccuparti per me.". Il tono della mia voce era
autoritario, ma comunque avevo tentato di essere il più
dolce
possibile: non volevo che si sentisse ferito.
"Bene."
cominciò, baciandomi teneramente. "Perchè voglio
il bis prima
che ci alziamo!".
Scoppiammo
a ridere, ero colpita dalla
sua improvvisa audacia, e lo abbracciai mettendomi a cavalcioni su di
lui.
"Mi
aspettavo un po' più di resistenza da te."
ammiccai. Volevo essere sensuale per lui, volevo che lui mi vedesse
bella e attraente, ed era una sensazione che non avevo mai
sperimentato prima.
Ci
guardammo per qualche secondo, volevo
solamente baciarlo e perdermi in lui, per dimenticare i casini e i
drammi infiniti della mia vita. Mi avvicinai lentamente, continuando
a guardarlo negli occhi, e lui poggiò le labbra sulla mia
fronte.
Amavo quel gesto, amavo quando cercava di infondermi tutto il suo
appoggio, perchè lo rendeva diverso dal solito Akito.
Le
sue
labbra erano calde e umide e mi facevano pensare al nostro primo
bacio ogni volta che le sfioravo. Allora sapevano di limone, erano un
po' aspre, ma realizzai che non ero riuscita a staccarmi, e non per
la sorpresa, come avevo sempre detto. Anche in quel momento erano
state una calamita per me.
"Sana...".
Quando lo
sentii pronunciare il mio nome gli circondai il collo con le braccia
e lui, di tutta risposta, mi afferrò per i fianchi e si mise
sopra
di me imprigionandomi immediatamente contro il materasso. Sentivo il
calore del suo corpo attraverso la biancheria e l'aria cominciava a
diventare pesante e densa.
Lo
baciai furiosamente, le nostre
lingue danzavano insieme e mi sembrava di morire, che il cuore mi
sarebbe scoppiato dentro il petto. Lui non parlava, si limitava a
tenere gli occhi fissi su di m mentre mi accarezzava il collo. Era
lento, lo faceva di proposito a farmi impazzire, ma avrei ricambiato
con la stessa moneta. Volevo che mi marchiasse, che lasciasse i segni
di quel momento, perchè volevo essere sua, stavolta
completamente.
Avvolsi le dita in mezzo ai suoi capelli biondi e li tirai piano, il
suo gemito mi disse che gli piaceva. Stare con Akito era catartico,
mi portava fuori dalla mia dimensione di attrice e mi trasformava
nella semplice ragazza di diciannove anni che ero.
"Ma
come ho fatto per tutta la mia vita?" sussurrò lui, prima di
slacciare il reggiseno, far scivolare le spalline per poi togliermelo
e perderlo tra le lenzuola. Mi imbarazzava sempre essere nuda
davanti a lui e mi sentivo le guance in fiamme, oltre che tutto il
resto.
"Non
devi vergognarti."
Mi
guardò
dritto negli occhi, sciogliendo ogni mio dubbio con il potere del suo
sguardo. Volevo fare l'amore con lui, non potevo più
aspettare e me
ne fregavo della voglia di andarci piano e con i piedi di
pombo.Volevo lui. E niente mi avrebbe impedito di andare fino in
fondo.
Pensarlo
era sicuramente più semplice che dirlo, ma lo
desideravo più di quanto fosse umanamente possibile, non
pensavo
nemmeno che si potesse desiderare qualcuno così tanto.
Lui
non
si fermò, mi baciava con foga e a me mancava il respiro.
La
mattinata passò tranquilla, tra baci e carezze, e per quei
momenti
mi sembrò che la vita avesse smesso di passarmi palle
sbagliate.
Ovviamente,
non sarebbe mai successo.
*
Guardai
fuori dalla finestra e poi tornai in salotto, a crogiolarmi nella mia
infelice condizione di attrice braccata dai giornalisti. Non
accennavano a schiodarsi da fuori casa mia, era un continuo
schiamazzo perchè litigavano per chi mi avrebbe intervistata
per
primo o per chi avrebbe scattato la prima foto.
Io
li
rispettavo, il loro era un lavoro come un altro e il giorno in cui
avessero smesso di occuparsi della mia vita la mia carriera sarebbe
finita, ma c'era un limite a tutto. Loro mi torturavano, non
facevano altro che seguirmi e disturbarmi e io non ce la facevo
più.
Era come vivere con la continua consapevolezza che non ci fosse nulla
di solo mio, perchè loro se ne appropriavano e, il
più delle volte,
lo distruggevano.
"Kurata?".
Ma l'avrebbe smessa mai
di chiamarmi in quel modo?
Lo
vidi arrivare in salotto a piedi
scalzi e a petto nudo. Da sotto l'elastico del pigiama si
intravedevano i boxer. Mi si seccò la gola in un secondo.
"Sono
ancora lì, eh?". Mi voltai a guardarli un'altra volta:
qualcuno lo conoscevo anche.
"Si,
non fanno altro che
gridare! A volte vorrei mandarli al diavolo senza preoccuparmi dei
loro giudizi."
Sospirai,
esasperata da quella situazione.
Akito si avvicinò a me e mi afferrò per i
fianchi, intrecciando le
mani dietro la mia schiena.
"Se
vuoi, esco e li ammazzo di
botte." scherzò. In realtà non era male come
idea.
"Sono
qui solo perchè ho abbandonato il film. Vorrano sapere i
motivi."
Akito
abbassò lo sguardo e mi accarezzò le punte
dei capelli che gli toccavano le mani dietro le mie spalle.
"Pensi
di fare qualche dichiarazione su quello che è successo?"
Gli
occhi di Akito mi supplicavano, ma non sapevo come interpretare
quella domanda. Voleva che lo facessi? Ma così tutti
avrebbero
saputo...
"Non
lo so..." ammisi. "Non credo di
volerlo. I giornalisti non mi lascerebbero più in pace."
Lui
annuì, sapendo che avevo ragione. Mi abbracciò
forte. Ero
spaventata all'idea di programmare un'intera vita con Akito Hayama,
la persona più complicata che avessi mai conosciuto.
Ce
l'avremmo fatta?
Non
volevo divorziare, in realtà non lo avevo mai voluto,
nemmeno quando il nostro matrimonio era una finzione.
Il
telefono di Akito squillò improvvisamente, lui lo prese
dalla tasca
senza smettere di abbracciarmi.
"E'
l'università."
disse aggrottando le sopracciglia.
"Rispondi,
io vado a
preparare il pranzo."
Schiacciò
il pulsante verde e, prima
di rispondere, si voltò a guardarmi con una faccia
disgustata. "Non
tagliarti Sana, ti prego."
Gli
feci una linguaccia e mi
diressi verso la cucina, vedendolo chiudersi in camera da letto per
rispondere alla chiamata.
Pov
Akito.
Risposi
immediatamente dopo essere uscito dal salotto e aver lasciato Sana
alla preparazione del pranzo, sperando di non ritrovarla con la pasta
tra i capelli.
"Pronto?".
Chiusi la porta della camera
da letto, andando a sedermi sul puff che Sana aveva comprato contro
la mia volontà.
"Signor
Akito Hayama?". Era una
donna, con una voce fastidiosamente squillante. "Sono la
signorina Zenjishi, la chiamo dall'università."
"Si,
mi dica.". Erano giorni che non mi presentavo a lezione,
probabilmente voleva chiedermi il motivo, visto che c'era stato un
seminario a cui avrei dovuto partecipare.
"L'ho
chiamata
perchè volevo informarla che lei, insieme ad altri cinque
componenti del corso di Archeologia del Paleolitico di diverse
università, è stato scelto per partecipare ad uno
stage di un mese
ad Osaka in cui avrà la possibilità di lavorare
in un laboratorio
di datazione reperti. Il professor Siroki ci ha pregato di dirle che
è una possibilità da non sottovalutare."
Sospirai,
sedendomi sul letto. Ci mancava solo quello! Sapevo che, se non avesi
accettato, Siroki avrebbe anche potuto bocciarmi anche se avessi
fatto un esame impeccabile. Ma, se avessi partecipato, Sana e Kaori
sarebbero rimaste da sole per un mese intero, proprio nel momento in
cui il mio rapporto con Sana stava migliorando.
"E
devo
confermare adesso?" chiesi, pensando che avrei voluto pensarci
prima di dare la mia disponibilità.
"No,
ma entro domani,
per favore. Il laboratorio e il museo che vi seguiranno in questo
progetto vogliono avere il numero preciso degli studenti
partecipanti."
Annuii,
un giorno sarebbe stato abbastanza
per decidere e soprattutto per dirlo a Sana.
"Va
bene,
allora domani do la conferma, la ringrazio."
La
segretaria
mi salutò e chiusi la chiamata; buttai il telefono sul
letto, non
sapevo come comportarmi, se accettare o no.
Cazzo.
Era una
possibilità troppo vantaggiosa per lasciarmela sfuggire, ma
non ero
sicuro di voler lasciare Sana per tutto quel tempo. Però lei
l'avrebbe fatto per il film, se non si fosse presentata quella
complicazione che ero ancora indeciso se risolvere con un omicidio o
con una denuncia, quindi perchè avrei dovuto rinunciarci?
"Akito?".
Sana bussò alla porta, aprendola piano. "E' successo
qualcosa?"
Scossi
la testa. "No, mi hanno chiamato
perchè sono stato scelto per uno stage in un laboratorio in
collaborazione con un museo."
"Ma
è una cosa
meravigliosa!". Si gettò su di me, baciandomi e sorridendomi
così tanto che pensai le si sarebbe rotta la mascella.
"Ad
Osaka." puntualizzai. Il suo sguardo cambiò subito. "Per
un mese." terminai, assestandole il colpo di grazia.
"Ah...".
Abbassò gli occhi, fissandomi le labbra. Ma
perchè faceva sempre
così? Avrei perso la lucidità necessaria per
affrontare quel
discorso.
"Bè..."
cominciò, per poi darmi un
leggero bacio. "Mi mancherai tanto."
Non
credevo che
sarebbe stato così facile.
"Non
devo andarci per
forza."
"Si
che devi. Il discorso del seguire le
proprie passioni non vale solo per me."
Mi
sorrise e io mi
rilassai immediatamente, le cinsi la vita con le braccia stringendola
ancora di più a me.
"Grazie."
mi limitai a dire.
Ero
eccitato, sarebbe stata un'esperienza incredibile, avrei
esaminato un sacco di fossili che altrimenti non avrei avuto molte
possibilità di vedere, se non dopo la laurea.
Ma
lasciare
Sana proprio in quel momento mi sembrava la cosa meno giusta da
fare. Decisi comunque di non dargli troppo peso, o avrei passato un
mese pieno di paranoie e dovevo concentrarmi sul mio lavoro
perchè,
se Sana aveva già un futuro e una carriera
dall'età di quattro anni
io, al contrario, avevo capito ciò che mi appassionava
davvero poco
prima di fare domanda all'università. Dovevo costruire la
mia
indipendenza.
Le
sorrisi e le baciai il naso, sapevo quanto lo
piacesse, e poi decidemmo di vestirci per andare a prendere Kaori.
Ma,
quando ci alzammo dal letto, anche a Sana squillò il
telefono.
Quanto
volevo trasferirmi in un'isola deserta!
Pov
Sana.
Guardai
lo schermo del cellulare che lampeggiava sul comodino. Era Rei, ma
non sapevo se rispondere o lasciarlo squillare a vuoto.
Akito
mi passò il telefono, capendo la mia indecisione.
"Rispondi."
mi ordinò.
Pigiai
il tasto verde e, senza neanche lasciarmi il
tempo di parlare, Rei mi urlò di accendere la televisione.
"Perchè,
che succede?". Andai verso la cucina, seguita da Akito.
"Tu
fallo e basta."
Accesi
la tv, come mi aveva chiesto, e
rimasi sbigottita alla vista di Miyazaki che indiceva una conferenza
stampa. Era su tutti i canali.
"La
signora Kurata ha avuto
le sue ragioni per decidere di abbandonare il mio progetto, ma senza
di lei non ci sarà alcun film, quindi annuncio pubblicamente
che
voglio mettere da parte per un po' questa pellicola e attendere che
Sana Kurata torni sui suoi passi, perchè è un
attrice di talento e
muoio dalla voglia di lavorare con lei."
Le
sue parole mi
investirono come un treno, era stato così dolce durante il
nostro
colloquio e mi dispiaceva deluderlo, visto che si era mostrato
così
disponibile nei miei confronti.
"E
adesso viene la parte
migliore." sentii dire a Rei dal telefono. Stava sogghignando.
"Ci
dica, signor Miyazaki, è un caso che Shuzo Goro sia
stato licenziato proprio subito dopo l'abbandono di Sana Kurata?"
Il
sangue mi si gelò nelle vene. L'aveva licenziato.
"Si,
è
un puro caso. Io e il signor Goro abbiamo avuto una piccola
divergenza d'opinione su come gestire il personaggio che avrebbe
interpretato, quindi abbiamo preferito interrompere il nostro
rapporto professionale. Adesso, nell'attesa della decisione, spero
positiva, della signora Kurata, stiamo cercando qualcuno di
più
vicino alle mie esigenze, per così dire. Ma lo ribadisco:
non
vedrete mai questo film senza Sana Kurata, e io sono disposto ad
aspettare tutto il tempo che lei vorrà. Ho tante altre
sceneggiature
già pronte per essere mandate alla casa cinematografica,
attendere
non sarà un problema."
Mi
veniva da piangere. Aveva licenziato Goro per me, anche se aveva
dissimulato la cosa. Ci teneva
davvero che fossi la sua protagonista e la cosa mi faceva
commuovere.
"Hai
sentito? Lui vuole te! Sana dimmi che
posso chiamare per dare la conferma della tua partecipazione!".
La
voce di Rei era lontana, poi mi accorsi che era perchè il
telefono era tra le mani di Akito che, subito, se lo portò
all'orecchio.
"Sagami,
ti richiama.". Chiuse la
telefonata e spense la televisione davanti ai miei occhi.
"Cosa
pensi?" gli chiesi, speranzosa che non mi attaccasse.
Lui
si strizzò gli occhi con le mani e poi mi guardò.
"Penso
che impazzirò nel vederti recitare in quel ruolo, ma il
discorso di
seguire le proprie passioni non vale solo per me.". Ripetè
volutamente le mie parole di poco prima.
Non
credevo di poterlo
amare di più. "Devi accettare, Sana. Ho letto il copione,
è
una storia troppo profonda per finire tra le mani di qualche
attricetta frivola. Sei tu Miya. E poi l'hai sentito il tizio qui...
senza di te non ci sarà nessun film."
Mi
rivolse un
sorriso meraviglioso, cercando di infondermi tutta la fiducia che mi
stava dando e io volevo solamente renderlo fiero di me. L'unico modo
che avevo per farlo era partecipare a quel film e dimostrare a tutti
che Sana Kurata era cresciuta non solo fisicamente ma anche e.
soprattutto, artisticamente ed era pronta a dimostrarlo a tutti
quelli che dicevano il contrario.
*
Ero
stata contattata da una famosa azienda di lingeriè per
essere il
volto della loro nuova campagna, e avevo accettato approfittando
dell'onda delle dichiarazioni di Miyazaki per trovare più
ingaggi
possibili. Erano giorni ormai che le mie giornate erano occupate tra
le foto e preparativi della partenza di Akito che, anche se non lo
davo a vedere, mi preoccupava abbastanza. La sua lontananza mi
sembrava già insopportabile e non riuscivo nemmeno a pensare
come
sarebbe stato non vederlo per un mese intero.
"Mi
raccomando Kurata, vai da Natsumi almeno una volta a settimana e
porta con te Kaori. Assicurati che mio padre mangi, chiamalo ogni
giorno se necessario e non incendiare casa, ti prego."
Akito
continuava a darmi raccomandazioni da più di mezz'ora, e io
continuavo ad ignorarlo. Mi aveva già riempito la testa con
mille
cose che avrei sicuramente dimenticato non appena lui avesse varcato
la soglia e lasciato casa nostra.
Ci
abbracciammo ancora, poi
lui si staccò leggermente e mi stampò un bacio
sulle labbra.
Leggero, delicato, perchè sapevamo che, se avessimo
cominciato a
baciarci per davvero, non saremmo stati in grado di fermarci.
"Adesso
vado." disse senza staccarsi.
"Vai."
Si
avventò su di me con forza, chiudendo la porta alle mie
spalle e baciandomi con foga, insinuandosi nella mia bocca come se
gli fosse mancato l'ossigeno e io fossi stata l'unica in grado di
dargliene un po'. Ricambiai il bacio, stringendomi a lui con tutta la
forza che avevo in corpo tanto da conficcargli le unghie nel
collo.
Mi
accarezzò i capelli e mentre ci baciavamo sospirò
ancora, come se si stesse trattenendo, e io avrei voluto chiudere a
chiave la porta e non lasciarlo mai andare via.
Non
potevo,
quindi provai con tutta me stessa ad allontanarmi. Lui opponeva
resistenza e a me venne da ridere, poi capì che facevo sul
serio.
"Ho
capito, va bene, me ne vado."
Aprii
di
nuovo la porta e lui prese la sua valigia, nel frattempo lanciata da
qualche parte nell'ingresso, e finalmente uscì da casa. Lo
guardai
con gli occhi che mi si stavano riempiendo di lacrime. Mi sentivo
ridicola, in fondo stava andando via per poco più di un
mese, ma
dopo tutto quello che avevamo affrontato stare senza di lui mi
sembrava una tortura.
"Ci
vediamo, Kurata.".
Salì
sul taxi e andò via, lasciandomi solo con quello sguardo.
Sarebbe
stato quello sguardo a darmi la spinta per concentrarmi sul mio
lavoro, perchè se Akito aveva finalmente trovato il suo
punto di
svolta, il mio era rappresentato da quel film e avrei dato tutta me
stessa perchè fosse l'esperienza più stimolante
della mia
carriera.
Pov
Akito.
Dopo
due settimane lontano da Tokyo mi sentivo allo stesso tempo
spensierato e preoccupato. Lo stage al laboratorio mi piaceva ogni
giorno di più, i professori che se ne occupavano avevano
solo belle
parole per me e avevo capito che era proprio quello che volevo fare
nella mia vita. D'altra parte però, la campagna
pubblicitaria che
Sana aveva appena terminato, mi stava creando non pochi problemi.
Osaka era tapezzata dalle sue fotografie in lingerie, tutti potevano
vedere mia moglie mezza nuda, e io non potevo far altro che calare la
testa e tacere, perchè era il suo lavoro e non potevo
interferire.
In realtà, era proprio quello che volevo. Ogni giorno i miei
compagni non facevano altro che fare apprezzamenti su di lei, li
sentivo commentare il suo culo o le sue tette e cercavo di contenermi
più che potevo, ma era difficile. Nessuno di loro sapeva che
io e
Sana eravamo sposati, avevano sentito del suo matrimonio ma,
fondamentalmente, non avevano mai visto una mia immagine da nessuna
parte.
Josuke
e Hiroto entrarono nella mia stanza stringendo
una bottiglia di vino tra le mani. Erano gli unici due che riuscivo a
tollerare.
"Hayama,
ma non ti rompi mai di fare
l'imbronciato? Divertiti con noi ogni tanto!" disse Hiroto,
accomodandosi sulla poltrona che avevo in camera. Josuke invece prese
posto sul letto, accanto a me.
Gli
lanciai un cuscino addosso e
loro scoppiarono a ridere.
"Non
avete di meglio da fare
che rompere i coglioni a me?"
"Bè...
effettivamente
potremmo uscire e divertirci, ma non sia mai che lasciamo il signor
Hayama a deprimersi da solo."
Fulminai
con lo sguardo
Josuke e lui smise subito di parlare.
"Ok,
ok. La smetto.
Ma tu dovresti scioglierti un po', divertiti! E' appena arrivato un
pullman di modelle russe, noi pensiamo di buttarci. Tu che fai, ti
unisci?"
Scossi
la testa, e Hiroto si alzò dalla
poltrona. "Non posso." risposi a denti stretti.
I
ragazzi scoppiarono a ridere, ma io non avevo affatto voglia di
ridere, volevo solo fare le valigie e tornare a casa. Sana mi
mancava, e non riuscivo a pensare ad altro. In più, i
commenti dei
miei compagni mi stavano facendo impazzire.
Me
la scoperei volentieri.
Chissà
che tette.
Una
troietta così... non la farei uscire dalla camera da letto
per giorni.
E
io non potevo dire niente. Non smettevano di parlare nemmeno per un
attimo. Ryozo era il peggiore, non faceva altro che torturarmi
perchè, anche se non capiva il motivo, si era accorto che le
sue
parole facevano scattare la mia rabbia. Il mio telefono
squillò, mi
fiondai a prenderlo dalla scrivania, e vidi che era Sana a chiamare.
Onestamente
ero indeciso se risponderle o meno, non ero
arrabbiato con lei ma mi infastidiva troppo il fatto che il suo
lavoro mi mettesse in difficoltà. Comunque, dopo qualche
squillo di
troppo, pigiai il pulsante verde e portai il telefono all'orecchio.
"Pronto?"
dissi, sperando di riuscire a nascondere il
mio nervosismo.
"Ciao,
straniero! Come sta andando la
serata?"
La
voce squillante di Sana mi colpì dritto al
cuore, lei era tranquilla e serena, mentre io continuavo a crearmi
problemi per qualcosa che dovevo solo imparare ad accettare.
Aprii
la porta della mia stanza e andai nel corridoio, appoggiandomi al
muro. "Abbastanza bene, e la tua?".
Non
mi rispose
subito e, nel frattempo, sentii un tonfo. "Sana, ma cosa stai
combinando?".
Lei
scoppiò a ridere, contagiandomi.
"Scusami, Aki, sono appena tornata a casa e stavo cercando di
togliermi le scarpe."
"E
sei caduta, ovviamente."
finii la frase per lei, sentendo la sua risata piena. Quanto mi
mancava vederla ridere...
Non
pensavo che tre settimane
potessero sembrare così infinite quando ti manca qualcuno
che ami.
"Sei
strano, Hayama. Cosa è successo?".
Ammutolii
all'istante, non riuscivo a dire nulla, perchè non capivo
come
potesse essere possibile che riuscisse a capire il mio stato d'animo
anche a chilometri di distanza.
Comunque
negai. "Nulla,
perchè?".
La
discussione si fece seria, e io sapevo già
che sarebbe finita con un litigio.
"Nulla?
Lo sento da qui
che c'è qualcosa che non va."
"Giuro,
Kurata, non è
successo nulla."
Non
sapevo cosa dirle, perchè in realtà
non era davvero successo nulla, eppure non ero in grado di mettere da
parte i miei pensieri.
"E'
per le foto?". Rimasi in
silenzio, ma lei aveva già capito tutto. "Avevi detto che ci
avresti provato..." sussurrò Sana, e sentivo tutta la sua
delusione.
"No...
Senti Sana, non sono io che scelgo le
persone con cui passare questo periodo, e mi sono ritrovato con gente
che non fa altro che rompermi con dei commenti su di te e il fatto
che la città sia tapezzata di cartelloni con le tue foto,
mezza
nuda, non aiuta di certo la situazione.". Buttai fuori tutto
d'un fiato, senza pesare le parole e me ne pentii immediatamente.
Dovevo smetterla di farla sentire in colpa per il suo lavoro!
"Che
genere di commenti?".
Sbuffai,
tirando indietro la testa
sul muro. "Non ha importanza, Sana. Non voglio litigare o farti
sentire in colpa, voglio solo che questo stage finisca e tornare a
casa." conclusi infine, cercando di essere convincente.
Lei
rimase il silenzio.
"Akito,
che genere di commenti?"
chiese di nuovo. Non potevo nasconderglielo nemmeno volendo,
perchè
avrebbe minato l'inizio del nostro rapporto.
"Commenti
molto pesanti, Sana. Qui tutti sognano di entrare nelle tue mutande,
lo capisci? Per me è estenuante!".
"Cerca
di non
ascoltarli allora!" urlò lei, agitandosi. Non volevo
litigare,
ma lei mi costringeva.
"E
come dovrei fare esattamente?
Tappandomi le orecchie? Devo lavorarci ogni dannato giorno con questi
imbecilli! E anche se ti avevo promesso di provarci, non credo di
esserci riuscito, ok?".
Sana
non disse nulla, la mia
sfuriata doveva averla colpita e soprattutto ferita, perchè
non
capitava spesso che lei restasse senza parole.
Mi
sentivo un
verme, per averla trattata in quel modo quando lei non si meritava
affatto il mio atteggiamento rancoroso.
"No..
Sana,
scusa..." sospirai.
"No,
Akito, hai ragione. Non ci
sei riuscito affatto."
Mi
chiuse il telefono in faccia e
io rimasi lì, appoggiato al muro, aspettando il momento in
cui la
mia vita sarebbe tornata alla normalità.
Pov
Sana.
Ero
esasperata. Stanca. Non riuscivo nemmeno a pensare lucidamente. Akito
era arrabbiato con me, con me che non facevo altro che sacrificarmi
per lui!
Lo
avevo sposato, dannazione!
Mentre
la mia vita
sentimentale andava in pezzi, a Kaori venne la felice idea di
mettersi a piangere, quindi mi fiondai nella sua camera e la presi in
braccio, cercando di calmarla.
Le
diedi il ciuccio e lei sembrò
smettere, quindi andai a sedermi sul divano, mentre la cullavo
dolcemente.
"Cosa
devo fare con tuo zio, piccolina?".
Lei
mi guardò con quegli occhioni ambrati, quasi uguali a
quelli di Akito. Quasi, perchè i suoi erano leggermente
più scuri
mentre quelli dello zio molto più tendenti al color miele.
Sbuffai.
Aspettavo una chiamata da Rei che, ovviamente, non si decideva ad
arrivare. L'azienda che mi aveva ingaggiato per la campagna
pubblicitaria di intimo mi aveva proposto un secondo servizio
fotografico non appena avessero preparato la collezione primaverile,
fra un mese o due, quindi Rei doveva confermarmi o meno la loro
richiesta.
Arrivai
alla conclusione che il mio lavoro sarebbe
stato sempre un problema tra me e Akito, un enorme macigno che
rischiava di caderci addosso e di schiacciare il nostro rapporto. Non
potevo rinunciare ai miei sogni, nemmeno per l'amore che provavo per
lui, e mi sembrava quasi di essere egoista. Ma, cosa c'era di male
nell'avere degli obiettivi? Lui ne aveva tanti, e anch'io dovevo
sentirmi appagata.
Perchè
non lo capiva? Cos'era che lo
rendeva così insicuro?
Forse
pensava che non lo amassi
abbastanza. Ma io lo amavo, e tanto, e non sopportavo che lui
pensasse il contrario. Non
era stato forse a causa del troppo amore che avevo deciso di sposarlo
e di fare da madre a sua nipote e, non era per lo stesso motivo, che
non avevo pensato neanche per un attimo a chiedergli di rinunciare a
questa opportunità ad Osaka, nonostante sapessi che sarei
restata sola a gestire una bambina di pochi
mesi? Quando si ama la felicità della persona che ti sta
vicino ha
la priorità, possibile che Akito non capiva che il mio
lavoro era
parte di me e che avevo voglia di dimostrare che i ruoli che mi
venivano assegnati esulavano dal mio aspetto fisico, perchè
dietro
c'erano stati sacrifici, rinunce
e tanto studio.
Kaori
si era quasi addormentata, le sfiorai la guancia paffuta e sentii la
sua pelle liscia contro le mie dita.
"Oh,
tesoro... cosa
posso fare? Devo andare da lui?".
Quando
le feci quella
domanda, anche se stava dormendo, Kaori emise un suono che la mia
mente interpretò come un si.
Non
dovevo perdere tempo.
*
Ci
avevo impiegato letteralmente una vita ad arrivare ad Osaka, avevo
dovuto lasciare Kaori a casa di mia madre e poi recuperare il
necessario per passare almeno tre giorni fuori casa.
Mi
sentivo
nervosa in modo quasi imbarazzante, non sapevo se ad Akito avrebbe
fatto piacere vedermi o se si sarebbe arrabbiato perchè non
lo avevo
avvertito.
Rei
mi aveva fatto milioni di storie perchè voleva
accompagnarmi, ma in macchina ci avrei impigegato il doppio del tempo
e in più avrei dovuto sentire le sue ramanzine indesiderate.
Arrivata alla stazione di Tocho Mae, cercai l'uscita più
vicina e
provai a trovare un taxi, che si accostò davanti a me pochi
minuti
dopo.
"Mido-Suji,
blocco 15, per favore."
Il
taxista mi sorrise e avviò il tassametro.
Non era tardi, le settedi
sera passate, e l'indirizzo dell'hotel di Akito era abbastanza
distante dalla stazione. Quello mi diede il tempo di riflettere un
po' sul da farsi, su come presentarmi davanti a lui e come spiegargli
il motivo della mia visita.
La
città di sera era stupenda, ci
ero stata tante volte ma sempre per lavoro quindi non mi ero mai
soffermata a guardare la sua bellezza.
Quando
arrivammo a
destinazione pagai la corsa e salutai il tassista,
ritrovandomi davanti l'imponente edificio. Ero terrorizzata, ma
dovevo farmi coraggio, perchè dovevo assolutamente salvare
il nostro
matrimonio.
Entrai
in albergo e andai verso la reception,
mentre una signora seduta su una poltroncina mi fissava, come se si
stesse chiedendo se ero veramente io o se mi stava scambiando per
qualcun'altra.
"Buona
sera signorina." dissi alla
ragazza annoiata che, non appena mi vide, sfoderò il suo
miglior
sorriso.
"Ma...
ma tu sei...?" urlò, battendo le
mani come una ragazzina.
"Ti
prego, ti prego! Non urlare,
non voglio che qualche giornalista arrivi qui a rovinarmi la
serata.".
Kiki,
così diceva il suo cartellino, si zittì
immediatamente ma continuò a sorridermi. "Certo, tutto
quello
che vuoi! Cosa posso fare per te? Posso darti del tu, vero?"
Era
dolce, quindi ricambiai il sorriso e parlai a bassa voce, cercando di
non farmi sentire dal gruppo di ragazzi che stavano nella hall e che
continuavano a fissarmi.
Forse
erano quelli i compagni di
Akito.
"Quei
ragazzi sono i partecipanti al progetto di
archeologia?".
Lei
annuì, guardandoli, poi aggrottò le
sopracciglia. "Si, ma credo ne manchi uno: un biondino davvero
niente male." sussurrò Kiki. Mi venne istintavamente da
ridere.
"Hai
bisogno di qualcos'altro?" mi chiese Kiki,
mentre io fissavo quei ragazzi che a poco a poco si andavano
avvicinando.
"No,
va bene così per adesso..." dissi
allontanandomi per sedermi al bar adiacente alla reception.
Mentre
sorseggiavo il mio drink vidi il gruppo di ragazzi avvicinarsi al
bar, ordinare e poi sedersi intorno ad un tavolo. Li osservai per un
po' e notai che oltre ad Akito mancava qualche altro componente del
gruppo. Mi feci coraggio e decisi di avvicinarmi con finta
noncuranza. Gli passai vicino, studiando ogni mio movimento, ordinai
un altro analcolico e mi sedetti allo sgabello, accavallando le
gambe, lasciate un po' scoperte dal vestito. Alcuni di loro mi
guardarono in modo lascivo e quando mi riconobbero gli apprezzamenti
pesanti si sprecarono, credendo di non essere sentiti. Adesso capivo
Akito, doveva assere difficile per lui controllare la rabbia e fare
l'indifferente, sentendo quei commenti piccanti
su di me. Uno di loro si avvicinò a me e mi disse che lui ed
i suoi
amici avrebbero avuto piacere se avessi accettato di sedermi con
loro. Era incredibile l'effetto che la notorietà avesse
sulle
persone, portandole a distorcere la realtà: per loro ero una
ragazza
da copertina, un oggetto delle loro più intime fantasie, non
mi
avrebbero mai visto come Sana Kurata, una semplice ragazza, ma solo
come l'immagine di un cartellone pubblicitario o di uno spot.
Cominciarono a riempirmi di domande e io gli raccontai che quel
viaggio fuori porta non era previsto, ma avevo deciso di rimandare
vari impegni lavorativi per fare una sorpresa a mio marito,
perché
erano, ormai, tre settimane che eravamo lontani. Uno di loro si fece
coraggio e mi domandò cosa ci avesse spinti a sposarci
così
giovani. Uno dei ragazzzi che non aveva smesso di farmi i raggi x da
quando ero arrivata, non perse occasione per fare una battuta
offensiva, affermando che era più che evidente il motivo per
cui mio
marito avesse voluto sposarmi, accompagnando queste affermazioni, con
gesti molto eloquenti. Lo fulminai con lo sguardo e gli dissi che era
questo il motivo per cui si sarebbe dovuto accontentare di una
semplice immagine, mentre mio marito avrebbe avuto la versione in
carne ed ossa. Mentre gli altri ragazzi si scusavano per il
comportamento inopportuno del loro amico, sentii il rumore delle
porte dell'ascensore che si aprivano e, da quelle uscì un
Akito con
la faccia imbronciata e annoiata. Quando i nostri occhi si
incrociarono il cuore cominciò a martellarmi nel petto e,
immediatamente, mi alzai per corrergli incontro. Mi strinse forte, mi
sollevò da terra e mi baciò. Quando si accorse
che il mio vestito,
nella foga del momento, si era alzato, mi mise a terra e riprendemmo
coscienza che non eravamo soli, diversi occhi ci fissavano. Akito mi
presentò e decidemmo di restare a cenare con loro,
nonostante
cercasse ogni scusa per potermi sfiorare, per realizzare che ero
lì,
finalmente, in carne e ossa. A fine serata l'atmosfera era ormai
rilassata e, quando Akito mi strinse la mano, capii che era arrivato
il momento di ritirarci in camera, finalmente.
In
ascensore,
quando ci ritrovammo da soli, mi voltai di colpo, incrociando i suoi
occhi dopo ben tre settimane di tortura. Gli gettai le braccia al
collo, baciandolo con foga.
Mi
aggrappai a lui con tutta la
forza che avevo, e me ne fregavo se la gonna mi lasciava praticamente
quasi nuda, me ne fregavo che i giornalisti avrebbero assediato
l'albergo entro un'ora al massimo, volevo solo stringermi ad Akito
senza preoccuparmi dei miei o dei suoi problemi. Eravamo solo io e
Akito, il resto del mondo non mi importava.
"Ma
che cosa
ci fai qui?" mi chiese lui, scostandosi leggermente tanto da
potermi guardare negli occhi.
"Sono
venuta per un certo
biondino di cui la receptionist è segretamente innamorata."
bisbigliai, a pochi centimetri dalla sua bocca.
Pochi
minuti
dopo eravamo in camera sua. A giudicare da come mi aveva accolta
doveva essere felice di vedermi, ma forse era solo l'euforia del
momento e mi avrebbe scagliato addosso tutta la sua ira non appena
avesse realizzato che ero lì per farmi perdonare.
Perdonare
cosa, poi? Non lo sapevo.
Si
avvicinò mentre io mi distendevo
sul suo letto, piccolissimo rispetto a quello di casa nostra, e mi
stiracchiavo cercando di sciogliere i nodi alla schiena dovuti al
viaggio stancante.
Me
lo ritrovai improvvisamente addosso,
troneggiava su di me in tutta la sua bellezza, e io mi sentivo
così
spaventata da ciò che avrebbe potuto dire. Non eravamo
ancora in
grado di definire a pieno la nostra storia, insomma ci amavamo, ma
non eravamo di certo bravi ad essere marito e moglie.
Non
ancora, almeno.
"Quindi...
ti sei fatta quattro ore di
treno solo per venire a trovarmi?". Si sporse verso di me e mi
diede un bacio a fior di labbra. Io annuii, sorridendo mentre le
nostre bocche si sfioravano.
"Mi
mancavi." sussurrai
tra un bacio e l'altro. "Pensi che i tuoi compagni la
smetteranno di darti fastidio adesso?".
Akito
sbuffò,
poggiandosi su un fianco accanto a me. "Spero di si. O dovrò
ucciderli, visto che adesso non sei più una semplice
fotografia da
osservare."
Gli
sorrisi, avvicinandomi a lui.
"Esattamente, quanto
ti sono mancata?"
Con
un gesto repentino mi afferrò e mi
portò su di lui, colmando la distanza che ci separava
baciandomi.
Volevo
che quella notte fosse speciale, finalmente la notte che
avevamo aspettato per anni, mentre il nostro rapporto cresceva e si
evolveva senza che noi ci accorgessimo dell'amore che ci aveva sempre
tenuto legati. Eravamo dei bambini, inesperti e ingenui, che avevano
affrontato sin troppe tragedie nella loro vita per rendersi conto di
quanto l'altro fosse importante.
Lo
amavo così tanto... ma
dovevo essere sincera con lui.
"Mi
hanno ingaggiato per un
altro servizio fotografico mentre eri via." Il suo sguardo
cambiò, ma non sembrava arrabbiato, semplicemente mi
ascoltava
attentamente. "Sarà per la collezione primaverile."
terminai.
Akito
annuì, accarezzandomi piano i capelli e
spostandoli dietro le orecchie. "Va bene così, Sana. Avevi
ragione tu."
Rimasi
ferma per un secondo sentendo quelle
parole. Mi stava dando ragione? Ma si sentiva bene?
"Sei
sempre stata comprensiva con me. Mi hai aiutato con Kaori, quando non
eri tenuta a farlo. Mi hai sposato. Non voglio rischiare di perderti
per una sciocchezza come questa. Non siamo più i ragazzini
di un
tempo, adesso siamo adulti, dobbiamo smetterla di scappare."
Lo
ascoltai attentamente, analizzando ogni singola parola, e una lacrima
mi scese involontariamente.
Lo
abbracciai così forte che
credetti di averlo soffocato, ma volevo solamente essere sua. Sua per
davvero.
"Facciamo
l'amore." dissi tutto d'un fiato,
senza accorgermi davvero delle parole che avevo appena pronunciato.
"Ma..
Sana...". Lo zittii immediatamente.
Era
il momento giusto. Lui era la persona giusta. L'unica persona che
volevo al mio fianco, che volevo ricordare per sempre.
"Ti
prego." sussurrai infine.
Akito
sembrava indeciso su cosa
fare, se darmi ascolto o aspettare ancora un po', perchè
probabilmente credeva lo dicessi solamente per la felicità
che
provavo in quel momento.
Decisi
di prendere l'iniziativa,
mettendomi a cavalcioni su di lui. "Ti prego." ripetei,
baciandolo.
Akito
sembrò convincersi, e prese ad accarezzarmi
lentamente sui fianchi, dove la maglia si alzava leggermente. Annuii,
in risposta alla sua domanda taciuta, e lui mi sfilò la
maglia dalla
testa. Io smisi di baciarlo il tempo necessario per fare lo stesso,
ritrovandomi davanti quel corpo che per così tanto tempo
avevo avuto
davanti senza vederlo per davvero.
"Non
voglio che sia
stasera." disse con un gemito. La delusione si impadronì di
me,
avevo fatto tutto quel viaggio per stare con lui, e mi
respingeva?
"Voglio
che sia tutto perfetto. Voglio andare
prima a cena, vederti indossare un bel vestito...". Si
avvicinò
per baciarmi, e io gli sorrisi, cercando di accettare il suo
discorso. "Voglio avere l'onore di togliertelo e di passare
tutta la notte con te."
Gli
saltai addosso e lo abbracciai,
stringendolo a me più forte che potevo. Era l'unica cosa
vera e
pulita che avevo sempre avuto e volevo anch'io che fosse tutto
perfetto, quindi annuii.
"Va
bene, Akito..."
sussurrai tra le sue braccia.
"Adesso
dormiamo, sarai
stanca.".
Si
preoccupava per me in ogni modo possibile e
io mi chiedevo se avessi mai potuto trovare qualcuno che tenesse a
me in quel modo, che si interessasse alle piccolezze. Lo guardai
adorante, lui si accorse dell'insistenza del mio sguardo e si
voltò,
sfoderando un'espressione interrogativa.
"Che
c'è?".
Sorrisi,
scuotendo la testa. "Ti amo. Tutto
qua." ammisi infine.
Akito
sorrise, sdraiandosi accanto a
me e abbracciandomi. "Buonanotte Kurata."
Ci
addormentammo in quella posizione, cullati dalla consapevolezza che
la sera successiva ci saremmo appartenuti per davvero.
Pov
Akito.
Guardavo
il petto di Sana alzarsi e abbassarsi ritmicamente, mentre lei era
ancora nel mondo dei sogni e io mi ero svegliato ore prima. Mi
capitava spesso di guardarla dormire, e ogni volta mi stupiva sempre
di più.
Fece
un gemito, spostandosi e tirando le lenzuola per
coprirsi meglio. La bocca rossa era leggermente aperta, e il labbro
inferiore era gonfio e lucido per via dei baci che ci eravamo
scambiati per tutta la notte.
Fuori
c'era un po' di trambusto,
ma inizialmente pensai che fosse dovuto all'arrivo di un nuovo gruppo
di turisti. Quando mi alzai e andai alla finestra mi accorsi che i
turisti non c'entravano niente e che l'ingresso dell'albergo era
assediato dai giornalisti.
"Non
ci credo..." dissi
tra me e me, portandomi una mano tra i capelli, confuso dalla
situazione e dalla ricerca di un modo per risolvere quel problema.
Era un casino.
Mentre
camminavo avanti e indietro davanti al
letto in cui Sana ancora dormiva beatamente, bussarono alla porta.
Andai ad aprire e mi ritrovai davanti Josuke, ancora mezzo
addormentato ma con la rabbia dipinta in volto.
"Fuori
è
pieno di giornalisti, Hayama.".
"Zitto."
lo
bloccai, indicando Sana a letto. "Sta ancora dormendo, usciamo."
In
corridoio mi spiegò che era tutta opera di Ryozo, aveva
chiamato i giornalisti e se n'era pure vantato, il bastardo.
"Non
so nemmeno se qualcuno lo ha aiutato, so solo che dopo aver fatto una
telefonata quegli avvoltoi si sono presentati qui sotto." disse
con un'espressione corruciata in volto. Annuii, consapevole che
bastava un niente per attirare l'attenzione della stampa, soprattutto
quando si parlava di Sana.
"Lo
sapevo che quel bastardo
avrebbe fatto di tutto per mettermi i bastoni tra le ruote."
Sbuffai.
"Fammi un favore: vai a parlare col direttore,
digli che ho bisogno di un'uscita d'emergenza sicura e di una
macchina a quell'uscita. Fra poco scendo io e organizzo
tutto."
Josuke
annuì e corse verso l'ascensore,
lasciandomi solo a organizzare i miei pensieri. Rientrai in camera e,
non appena aprii la porta, trovai Sana già vestita e con la
borsa
pronta tra le mani.
"Già
sveglia?"
"Ho
sentito voci e confusione, ho aperto la finestra e, come per magia,
l'incubo della mia vita si è materializzato di nuovo." disse
sorridendo, ma con una punta di fastidio nella voce.
"Mi
vesto e ce ne andiamo."
Corsi
in bagno, presi le prime cose
che trovai nei cassetti e, dopo aver preso un po' di soldi dalla
cassaforte dell'albergo io e Sana uscimmo dalla camera.
Il
direttore ci riservò un'uscita di sicurezza che usammo per
aggirare
i giornalisti, e in pochi minuti ci ritrovammo in macchina.
"Dove
andiamo?" chiese Sana sorridendo, eccitata dalla giornata che
avremmo passato insieme.
"E'
una sorpresa." risposi,
ricambiando il sorriso.
Avevo
in mente qualcosa che Sana non
avrebbe dimenticato tanto presto.
*
Sana
continuava a chiedermi dove la stessi portando, mentre camminava
bendata, guidata solo dalle mie mani.
"Fai
le sorprese in
grande stile tu, eh?". Camminava inciampando ogni tanto, quindi
facevo ben attenzione a dove le facevo mettere i piedi, per evitare
di vederla rovinare a terra. Era molto elegante, anche se i suoi
capelli erano tutti arruffati, ma in ogni caso non riusciva a
nascondere la sua bellezza. Non avrebbe potuto nemmeno se ci avesse
provato.
"Vieni
avanti. Ancora. Ancora." continuai a
guidarla fino a che non ci ritrovammo davanti al cancelletto
d'entrata.
Avevo
preparato tutto. Negli ultimi mesi ci ero
venuto spesso, per sistemare le pareti, ridipingere e arredare tutta
la casa. Ne avevo parlato con mio padre dopo l'arrivo di Kaori a
casa, e lui mi aveva aiutato a non far capire nulla a Sana.
"Akito,
ora basta." disse fermandosi davanti alla porta di casa. "Dimmi
dove siamo.".
La
trascinai più avanti e poi aprii la
porta. "Siamo in un posto molto speciale." risposi io,
entrando e accendendo la luce.
Sana
continuava a muoversi in
modo scordinato, mi venne da sorridere nel guardarla. Era nervosa e
si vedeva.
Le
ripresi la mano, avvicinandola alla porta.
"C'è
un gradino qui.". Lei alzò subito il piede e per poco non
cadeva, quindi l'afferrai e i nostri corpi scivolarono l'uno
sull'altro. Le posai un leggero bacio sulle labbra, lei mi sorrise e
il fatto che non potessi guardarla negli occhi era confortante,
almeno non avrebbe potuto vedere la tensione che sentivo addosso in
quel momento.
"Vieni,
andiamo." le sussurrai a un
millimetro dalla bocca, poi le presi la mano e la trascinai per tutta
la casa, fermandomi in salotto. L'avevo preparato in ogni dettaglio,
ogni mobile, ogni quadro, ogni singolo oggetto che c'era in quella
casa era stato scelto con cura e pensando sempre e solo a lei.
"Sbaglio
o sento il rumore del mare?" squittì Sana,
eccitata perchè adorava andare in spiaggia, ed era proprio
per quel
motivo che quando mio padre mi aveva detto della casa a Sandanbeki,
mi ero subito prodigato per rimetterla in sesto.
Ormai
la mia
vita era un susseguirsi di scelte fatte in funzione di Sana.
La
feci mettere davanti alla finestra, lasciandola lì per un
paio di
minuti mentre mi guardavo attorno per controllare che tutto fosse
perfetto. Poi tornai dietro di lei e, lentamente, le tolsi la benda.
Pov
Sana.
Lo
spettacolo che mi si mostrò davanti era mozzafiato. Il mare
si
scontrava piano con la sabbia, il rumore delle onde era ipnotico, e
io pensai di essere in paradiso.
Akito
era dietro di me, mi
cingeva la vita tenendo ancora tra le mani la benda, sentivo il suo
respiro alle mie spalle, che mi sfiorava il collo. Il mio corpo
sembrava recepire anche il minimo movimento del suo, e mi stupii di
non averlo mai notato prima. Le mie terminazioni nervose lo
cercavano, lo sentivano, lo percepivano più di qualsiasi
altra cosa.
"E'
stupendo.." sussurrai voltandomi verso di lui e
incrociando i suoi occhi ambrati. La luce del sole colpiva le sue
iridi e creava sfumature che andavano dal nocciola al dorato, un
meraviglioso gioco di colori che rimasi incantata a guardare.
"Sapevo
che ti sarebbe piaciuto." si limitò a dire
lui, stringendomi ancora di più a lui. Avrei voluto che quel
momento
non finisse mai, che potessimo dimenticare le nostre vite e i nostri
problemi per rimanere in quella casa per sempre.
Mi
avvicinai a
lui, baciandolo prima lentamente e poi con tutta la passione che
avevo in corpo. La sua bocca si posò leggera sulla mia, la
sua
lingua tracciò piano i contorni delle mie labbra fino a
farle
schiudere come se volesse convincermi. Avrei mai potuto resistergli,
in ogni caso?
Mi
sembrava impossibile.
Ogni
istante che
passavo con Akito era una secchiata d'acqua gelida, sapevo di amarlo
con tutta me stessa ma non sapevo quanto quell'amore potesse
distruggermi.
Le
sue mani scesero sui miei fianchi, facendomi
venire la pelle d'oca in ogni parte del corpo. Gli gettai le braccia
al collo e lascia che la me più intima prendesse il
sopravvento:
volevo essere sua e lo volevo in quel momento.
Ma
Akito non era
della stessa opinione, e lo sapevo, voleva che fosse tutto perfetto,
per me, perchè mi amava. E io non volevo togliergli quella
soddisfazione.
Mi
staccai lentamente, sorridendogli mentre gli
passavo la mano tra i capelli già arruffati. Ricordai che
voleva
cenare insieme, passare una bella serata, e io volevo solo avere la
possibilità di stare con lui più tempo possibile,
prima di tornare
alle nostre vite.
"Allora...
questa cena?" dissi
quasi senza fiato. Akito accennò un sorriso e si
staccò velocemente
da me, andando verso il corridoio. Non mi aveva ancora mostrato la
casa quindi non sapevo dove stesse andando.
Quando
tornò aveva indosso un grembiule da cuoco e sembrava davvero
convinto di
mettersi ai fornelli.
Non
aveva avuto il tempo di andare prima
alla casa e cominciare a preparare, ma cercai di sgomberare la mente
per essere totalmente concentrata su di lui e sulla nostra serata.
Mi
accompagnò in camera, al centro c'era un enorme letto
matrimoniale. L'arredamento era molto rustico, l'avevo notato anche
in soggiorno, e mi piaceva tutto di quella casa. Forse
perchè era un
po' il nostro rifugio.
"Questa
è la camera da letto. Puoi
posare tutto qui e raggiungermi in cucina quando sarà tutto
pronto."
Mi
voltai per rivolgergli uno sguardo di
sconcerto.
"Stai
scherzando, spero." dissi mentre mi
liberavo della borsa e della giacca. "Non lascerò che la
nostra
cena sia nelle tue mani."
Akito
sbuffò e si diresse verso
la cucina, sapendo perfettamente che lo avrei seguito di lì
a poco.
Mi
accomodai sul letto per un attimo, cercando di mettere a
posto i pensieri che affollavano la mia mente. Poggiai una mano sul
mio petto, ascoltando i battiti del mio cuore che minacciava di
strappare la pelle e uscire fuori.
Tutto
sarebbe cambiato, io
sarei cambiata. Però volevo cambiare, ero pronta. Volevo
appartenere
a qualcuno, e quel qualcuno era Akito e sarebbe stato sempre e solo
lui, di questo ne ero certa. Decisi di cambiarmi, non ero abbastanza
comoda con i jeans quindi presi un vestito in jersey dalla borsa e lo
indossai, togliendomi le scarpe e rimanendo a piedi nudi.
Andai
verso la porta e la aprii, trovandomi in corridoio. Feci un respiro
profondo e mi incamminai verso la cucina, riconoscendola dalla luce
accesa, mentre il cuore mi sobbalzava nel petto per farmi capire
che, finalmente, ero felice.
*
Quando
Akito mi vide i suoi occhi si illuminarono, mi fissò da
testa a
piedi e poi mi indicò la scodella piena di pezzetti di polpo
che
aveva tra le mani. L'avevo visto sorridere di più nelle
ultime due
ore che in tutta la nostra vita e il fatto che fosse a causa mia mi
faceva sentire meravigliosamente bene. Quando riuscii a distogliere
lo sguardo dal suo, notai che si era cambiato anche lui, indossando
un paio di jeans strappati e una maglia bianca a maniche corte e che
aveva lasciato i capelli ribelli, proprio come piacevano a me. Gli
sorrisi e lui mi disse di avvicinarmi se volevamo mangiare in
tempo.
"Takoyaki,
eh?." commentai vedendo tutti gli
ingredienti. Aveva pensato ad ogni dettaglio, ma ancora non mi aveva
spiegato come avesse fatto ad affittare quella casa in così
poco
tempo.
Quando
si sporse per prendere la farina e le nostre
braccia si sfiorarono, glielo chiesi.
"No,
in realtà è
dei miei nonni. Sono... sono venuto ogni settimana per controllare i
lavori di ristrutturazione."
Ricordai
immediatamente che,
ogni week-end, Akito mi lasciava a casa per qualche ora con la scusa
di andare da Tsuyoshi.
"E
tu hai fatto tutto questo, per
me?" gli chiesi, senza neanche accorgermi quanto potesse suonare
patetica quella domanda. Akito non rispose, si limitò ad
annuire e a
continuare a mescolare la farina con il brodo e l'acqua.
"Accendi
la piastra." mi ordinò, e io feci come mi aveva detto.
Preparammo
la cena in poco tempo, ridendo come due imbecilli
per ogni pezzo di polpo che ci cadeva dalle mani per il troppo olio,
o per la farina che mi era finita, ovviamente, sul naso.
Sorrisi
pensando che quel ragazzo avrebbe fatto di tutto per me e che non
avrei mai potuto ripagarlo per tutto l'amore che mi donava ogni
giorno.
La
serata passò velocemente, ridemmo tanto, così
tanto che non immaginavo fosse possibile, e più stavo con
lui più
mi rendevo conto che tutte le riserve di cui mi ero fatta scudo negli
anni erano state solo una scusa, che non avevo mai voluto vedere i
miei sentimenti perchè ero terrorizzata da loro, proprio
come ero
terrorizzata in quel momento da ciò che sarebbe successo. Le
conseguenze emotive sarebbero state devastanti se qualcosa fosse
andato storto.
Ma
cosa poteva andare storto quando l'amore che
provavamo l'uno per l'altro era più forte di qualsiasi cosa?
Scacciai
ogni pensiero, mi alzai dalla sedia e andai verso di
lui, aggirando il tavolo. Sentii la temperatura e l'atmosfera
cambiare, diventare più densa, e le mie guance andare in
fiamme.
"Anche
io ho una sorpresa per te." dissi tutto d'un
fiato, cercando di non far trasparire il nervosismo nella voce.
Akito
mi rivolse uno sguardo interrogativo, ma capendo che non era
più il
momento di scherzare, poggiò il tovagliolo lentamente sul
tavolo,
senza staccare gli occhi dai miei. "Abbiamo discusso tanto per
la campagna pubblicitaria, per le foto in tutta la città e
per la
lingeriè che, in realtà, non abbiamo riflettuto
abbastanza sul
punto cruciale."
Akito
annuì, rimanendo seduto e con lo
sguardo in alto per raggiungere i miei occhi. Mi sentivo in imbarazzo
e profondamente vulnerabile, ma dovevo reagire e superare le mie
paure.
Portai
le mani verso l'incavo delle spalle, toccando le
spalline del vestito. Le abbassai velocemente, per non dare al mio
cervello il tempo di sintetizzare la pazzia che stavo facendo. Quando
il silenzio invase la stanza già silenziosa, gli occhi di
Akito
cambiarono immediatamente e, quando feci cadere il vestito ai miei
piedi, in una pozzanghera di stoffa, smise di respirare.
"E
quale sarebbe il punto cruciale, Sana?" chiese quando riprese
finalmente a gonfiare il petto d'ossigeno.
"Che
il mondo
intero può solo guardarmi su un cartellone pubblicitario o
su una
rivista indossare questa biancheria, mentre tu..." esitai, non
sapendo come dirglielo.
"Io?"
mi incalzò, alzandosi
finalmente dalla sedia.
"Tu
puoi avere tutto.". Presi
la sua mano e la poggiai sulla mia spalla nuda. Chiusi gli occhi nel
sentire il suo tocco leggero sulla pelle e sospirai non appena la sua
mano raggiunse la curva del mio seno.
Quando
aprii gli occhi e
incrociai lo sguardo di Akito, tutto il desiderio, tutta l'attesa,
tutto l'amore che provavo per lui salì a galla ricoprendo
ogni
cellula del mio corpo. Gli circondai la vita con le gambe e con le
braccia il suo collo, lo baciai come se la mia vita dipendesse da
quello e lui fece lo stesso. Il contatto della mia pelle con i suoi
vestiti mi diede i brividi e, quando sentii tutto quello che c'era
sulla tavola cadere rovinosamente a terra, aprii gli occhi
all'improvviso. Mi ritrovai sdraiata sul tavolo con Akito che
troneggiava su di me, mentre cercavo di togliergli la camicia. Lui mi
aiutò a sbarazzarmi della barriera di stoffa che ci
separava.
Le
nostre mani viaggiavano le une sul corpo dell'altro, mi sembrava di
essere in paradiso, ma mi sbagliavo. Il paradiso arrivò
quando Akito
mise le braccia sotto le mie ginocchia e, senza smettere di baciarmi,
mi portò in camera da letto, chiudendo la porta alle sue
spalle.
Mi
adagiò a letto e, prima di tornare sopra di me, si tolse i
pantaloni
rimanendo in boxer davanti ai miei occhi. Di solito si dice che il
corpo nudo di un uomo non sarà mai bello quanto quello di
una donna.
In quel momento pensai che chi aveva detto quell'assurdità
non aveva
mai visto il corpo di Akito. Era perfetto. Le spalle larghe e la vita
stretta rendevano la sua figura armoniosa e indiscutibilmente
bellissima.
Akito
si accorse che lo stavo fissando, ma non
disse nulla. Si avvicinò lentamente, io cercai di non fare
movimenti
bruschi, ma dentro di me il desiderio di toccarlo si fece sempre
più
pressante, più insistente, costringendomi a mordermi il
labbro per
evitare di fare mosse avventate. Non volevo in alcun modo rovinare le
cose.
Lo
sguardo di Akito mi rese impossibile respirare, mi
resi conto di stare trattentendo il fiato solo quando le nostre
bocche si toccarono e fui costretta ad aprirla per accogliere la sua
lingua, che spingeva sempre di più dentro di me togliendomi
ogni
possibilità di scelta. Ero sua, lo ero sempre stata e in
quel
momento lo ero ancora di più.
La
sua figura mi sovrastava totalmente e presi ad accarezzarlo piano su
tutta la schiena, mentre
lui si chinava su di me, lasciandomi una scia di leggeri baci
partendo dalla bocca fino all'ombellico. Faceva su e giù,
mentre io
continuavo a passare le dita su tutta la superficie che riuscivo a
percorrere con esse. Mi sentivo una dea, adorata e venerata dal
meraviglioso uomo che era sopra di me, che sarebbe stato pronto a
dare la sua vita per la mia.
"Vorrei
avere mille bocche
per poter baciare ogni millimetro della tua pelle." sussurrò
Akito. Lo guardai dritto negli occhi, non immaginavo nemmeno che
potesse dire parole così belle, eppure lo fece e io non
riuscii ad
emettere un suono, mi limitai a colmare la distanza tra di noi, che
mi sembrava infinita.
Le
mani di Akito viaggiarono dai miei
capelli, in cui si infilarono per qualche secondo, stringendomi i
lati della testa, costringendomi a reggere ancora il suo sguardo,
fino ad arrivare alla mia schiena, sfiorando il gancetto del
reggiseno. La lingeriè che avevo indossato era abbastanza
semplice,
nera e di pizzo, mi calzava alla perfezione ed era elegante e sexy al
punto giusto.
Il
rumore dei due gancetti che venivano staccati
fu l'unica cosa che si sentii in camera da letto, misti ai nostri
respiri ansimanti e ai nostri cuori che battevano all'unisono. Quando
mi liberai del reggiseno, la mano di Akito prese a sfiorarmi
lentamente, senza urgenza, mentre la mia mente si sgomberava di ogni
pensiero, per concentrarmi solo sulla sensazione delle sue dita che
giocavano, stringevano, sfioravano i miei capezzoli. Avrei voluto
dire qualcosa, buttare fuori tutto il desiderio che provavo dentro
attraverso le parole, ma non riuscivo nemmeno ad emettere un suono
che potesse almeno avvicinarsi ad una parola di senso compiuto.
Le
mie mani erano libere, andavano su e giù per la schiena e
per il
petto di Akito, finchè non mi fermai, sentendo il
rigonfiamento
dentro i suoi boxer. Non avevo mai riflettuto veramente su come fosse
l'intimità prima del momento in cui l'avevo provata con
Akito.
Cominciai lentamente a dimenticare come fosse la vita prima di lui e,
in quel momento, capii che non era vita quella che non contemplava il
biondino che mi aveva sconvolto l'esistenza.
Con
un'improvvisa
scarica di coraggio abbassai lentamente i boxer di Akito che,
accorgendosene, accennò un sorriso e mi aiutò a
toglierli del
tutto. Poi fu il mio turno e ci ritrovammo entrambi totalmente nudi.
Mi
sembrava che la nostra pelle stesse andando a fuoco, e non
riuscii a trattenermi dall'emettere qualche gemito.
Feci
scorrere la mano ancora più giù, sfiorando prima
pelle del suo
bacino e poi stringendo la sua erezione nella mia mano. Mi sentivo
potente, in grado di poterlo rendere pazzo, furioso, eccitato e
felice grazie a quel potere.
Cominciai
a toccarlo piano, mentre
lo baciavo, reclamando tutto di lui, anche le cose che odiavo.
Aumentai il ritmo quando sentii che i suoi gemiti diventavano sempre
più forti. Quel suono era come un promemoria di quanto fosse
stupendo e intimo l'appartenersi.
Mi
allontanai per un secondo
per riprendere fiato, ritrovandomi a guardare Akito. Mi resi conto
che, probabilmente, non l'avevo mai visto davvero: i suoi occhi
luccicavano in un modo che non avevo mai visto prima, il mio riflesso
si perdeva tra quelle iridi ambrate così come io avrei
voluto
perdermi in lui.
Le
mani di Akito tornarono sul mio seno,
continuando a torturarmi senza pietà, mentre io cercavo di
concentrarmi per non mettermi a urlare. Era difficile con lui che mi
toccava in quel modo.
Si
spostò più in basso, allontanandosi
per un secondo da me per poi concentrarsi solamente sui miei
capezzoli, come se fossero due oggetti da adorare. Cominciò
a
mordere, poi a succhiare, poi a soffiare e io pensai che mi sarei
sgretolata in quell'istante se non l'avesse smessa immediatamente.
Come se mi avesse letto nel pensiero prese a scendere, lasciando un
sentiero di saliva lungo tutta la mia pancia, per poi risalire e
scendere ancora fermandosi sempre più giù, solo
per il gusto di
farmi impazzire.
Quando
scese del tutto, e mi ritrovai con la
sua testa in mezzo alle mie gambe, persi totalmente il controllo. Non
volevo che lo facesse, ma quando la sua lingua mi sfiorò
lentamente
pensai di stare per svenire. Strinsi i lati del lenzuolo con una
mano, cercando di aggrapparmi da qualche parte per non cadere dal
precipizio verso cui Akito mi stava spingendo. Con l'altra, invece,
tiravo i capelli di Akito, che sembrava non accorgersene affatto.
Quando avevo già un piede nel vuoto, Akito si
allontanò da me e mi
sentii improvvisamente furiosa, ma realizzai immediatamente che stava
cercando di preparare la strada per ciò che sarebbe successo
di lì
a poco e in quel contatto sentii un amore immenso sgorgarmi da
dentro.
"Aki..."
sussurrai tra i gemiti, mentre anche
lui sembrava sull'orlo del precipizio grazie a me.
La
mia mente
tornò ad essere invasa da domande, ma non parlai
perchè non ne
sarei stata capace nemmeno volendo.
Akito
se ne accorse. Non volevo sembrare
una bambina ai suoi occhi
non volevo che pensasse che non lo desiderassi
tanto quanto lui. Anche se era sbagliato, anche se stavo urlando con
tutta me stessa alla mia testa di smetterla di avere paura, mi
ritrovai a provare terrore.
Inizialmente pensai che fosse normale, che ogni donna in quel
momento provasse gli stessi miei dubbi, ma poi la realtà di
ciò che
provavo mi colpì in pieno.
Non c'era
l'ansia per quello che stava per succedere con Akito,
nè
del
dolore, né
di
perdere la verginità e poi pentirmene. Ero paralizzata dalla
paura
di perdere
lui.
Akito era tutto per me, rappresentava praticamente ogni passo
importante della mia vita, compresa la scoperta di una me che non
avevo mai conosciuto, e se lo avessi perso mi sarei distrutta con un
alito di vento. Akito mi prese la testa tra le mani e mi
obbligò a
guardarlo, ancora, come se non volesse che io scappassi, nemmeno con
la mente.
"Non..."
sussurrò, ma io lo zittii.
"Non
ho paura di te. O di questo." puntualizzai, mentre Akito
ansimava. "Ho solo paura di perderti." dissi sull'orlo
delle lacrime.
"Io
sono qui, sono tuo e lo sarò sempre.
Non ho mai amato nessuno, se non te. Non ho mai voluto nessuno, se
non te. Vorrei solo che tu potessi vederti con i miei occhi. Vedresti
la più stupenda e la più meravigliosa donna che
esista. Non potrei
essere di nessun altro se non della ragazzina con i codini che mi ha
catturato alle elementari, ero tuo già allora. Ti amo da
sempre..."
Mi
resi conto solo quando smise di parlare che ero scoppiata in
lacrime, che avevo affondato le unghia nella sua pelle. Sentii la
necessità di aggrapparmi a lui come mai prima di allora, e
di non
lasciare andare quel sentimento che mi stava scoppiando nel petto.
Quando,
lentamente, si fece strada dentro di me non riuscii a
dire nulla, o a muovermi, perchè mi sentii piena, d'amore e
di
felicità, perchè lui era tutto per me e anche se
stavo provando
dolore in quel momento non m'importava.
Avevamo
represso per
anni i nostri sentimenti che sentirli tutti in quell'istante mi
sembrò così destabilizzante che non riuscii a
controllarmi e presi
a spingere i fianchi verso di lui. Il bruciore cominciò
piano ad
affievolirsi, e il desiderio invece cresceva sempre più
velocemente
mentre Akito si spingeva sempre più in fondo dentro di me.
I
suoi occhi ambrati catturarono i miei, e rimenemmo fermi per un
secondo guardandoci.
"Ti
amo." sussurrai piano, in un
alito di parole che sentivo nel mio cuore come mai avevo sentito
nient'altro. Sentivo Akito. Lo sentivo dappertutto. Nella pancia, nel
petto, nelle braccia, nelle mani, negli occhi. Lo sentivo in ogni
istante e volevo sentirlo per il resto della mia vita.
Akito
mi
baciò il naso mentre con la mano mi accarezzava adagio, con
tenerezza e allo stesso tempo con una passione che non avevo mai
sperimentato addosso.
Era
perfetto.
Ci
muovevamo insieme,
io tenevo gli occhi chiusi perchè anche se avessi voluto
aprirli non
ci sarei riuscita. Sentii il mondo sbriciolarsi sotto di me, mentre
Akito spingeva dentro e fuori, mentre i nostri respiri catturavano il
silenzio della camera da letto.
"Ti
amo." ripetè con
lentezza Akito.
Non
sapevo a cosa quell'amore mi avrebbe portato. Alla distruzione. Al
pentimento. Alla felicità.
Non
ero sicura di niente, nemmeno di me stessa. Ma di una cosa ero
sicura: avrei amato Akito per ogni giorno della mia vita, anche se
quello avesse significato strapparmi il cuore dal petto.
Quando
mi resi conto che stavo per lasciarmi andare totalmente, quando mi
accorsi che non ce la facevo più, il primo impulso fu quello
di
allontanarmi, perchè non sopportavo quella sensazione che mi
dava
dolore e infinito piacere allo stesso tempo. Mentre i nostri respiri
si univano l'uno all'altro, sentii il mio e il suo piacere venire a
galla, ogni muscolo del mio corpo smise di appartenermi.
Diventò di
Akito.
Io
divenni una parte di Akito e Akito divenne,
finalmente, una parte di me.
Pov
Akito.
Mi
appoggiai allo stipite della porta a braccia conserte, la guardai
dormire per circa un'ora. Non mosse un muscolo, i capelli le
ricadevano leggeri sul cuscino e, nonostante avessimo sudato, non ne
portava la minima traccia addosso. Nella stanza c'era un odore acre,
odore di sudore e d'amore, l'amore che io e Sana avevamo taciuto per
troppo tempo.
Non ero in grado di definire esattamente
la
sensazione che avevo provato quando ero entrato dentro di lei, quando
catturai finalmente l'attimo perfetto della mia vita. Era quello.
Non
ho paura di te. O di questo. Ho solo paura di perderti.
Le
parole di Sana mi rimbombavano nella testa. Come poteva temere di
perdermi se l'unica cosa che desideravo era passare il resto della
mia vita con lei?
Eppure
conoscevo la sensazione che provava,
la conoscevo fin troppo bene. L'avevo provata per anni, sentendomi
sempre meno, sempre non abbastanza, per lei e per la sua vita.
Mi
ero sempre chiesto perchè Sana avesse scelto me, tra mille,
perchè
da bambini avesse avuto l'impulso di salvarmi dal mio baratro per poi
rispedirmici ogni volta che qualcosa tra noi andava storta. Mi ero
sempre fatto un sacco di domande, domande a cui prima di quella notte
non avevo mai trovato risposte.
Quando
mi ero ritrovato lì,
senza difese, senza barriere, senza alcuna aspettativa, le trovai
tutte.
Io
e Sana eravamo due parti di puzzle che combaciavano
perfettamente, con i nostri difetti, con le nostre parti da smussare
e da modificare, ma comunque compatibili.
"Che
fai lì?".
La
voce di Sana si propagò per tutta la stanza, fuori era
ancora buio pesto, ma la flebile luce della luna illuminava un po' la
sua figura. Aveva i capelli scompigliati, le labbra gonfie, era piena
di segni sul corpo eppure era sempre stupenda.
"Ti
guardo."
Lei
sorrise, alzandosi dal letto preoccupandosi
di avvolgersi nel lenzuolo, come se non avessi già visto
ciò che
era importante.
"Vieni
a letto Aki..." sussurrò con
fare sensuale.
"E'
una proposta indecente?" chiesi
ammiccando anch'io. Non sentivo nulla in quel momento se non l'amore
immenso che provavo per lei.
"Può
darsi..."
Si
voltò e lasciò scivolare il lenzuolo alle sue
spalle, prima di
sdraiarsi a letto con gli occhi fissi su di me. Aspettava.
Aspettava
me.
Voleva
me.
Arrancai
a fatica verso il letto, verso la
donna che amavo, in preda alle mille sensazioni diverse che lei mi
provocava.
Quando
mi ritrovai sopra di lei, mi tenni in
equilibrio con i gomiti, cercando di non schiacciarla con il mio
peso.
"Ma..
ti senti bene?" le chiesi, perchè
pensavo che fosse ancora indolenzita.
"Non
potrei stare
meglio." rispose, tappandomi la bocca con la sua.
Quando,
dopo pochi minuti, fui di nuovo dentro di lei mi resi conto che avevo
aspettato quel momento per tutta la vita ma che, prima, non lo avevo
assaporato come avrei dovuto. Ero preoccupato, preoccupato per lei e
per il dolore che avrebbe potuto sentire. In quel momento,
però,
anche se sapevo bene che il dolore non era stato spazzato via, sapevo
che Sana era mia, che non poteva essere di nessun altro e che solo io
avrei avuto quel ruolo nella sua vita. Sempre.
Cominciai
a
muovermi prima piano e poi con un'energia sempre più
frenetica.
Guardai Sana, teneva gli occhi chiusi e si mordeva il labbro
superiore cercando di controllarsi, ma evidentemente non ci
riuscì
perchè poco dopo cominciò a mugolare.
Se
la prima volta era
stata meravigliosa, quella mi sembrò catartica. Io e Sana
eravamo
uniti in un legame che nessuno avrebbe potuto eguagliare e che
nemmeno se avessimo deciso di farlo saremmo riusciti a distruggere.
Ogni
più piccola particella di Sana era in sintonia con ognuna
delle mie.
Mi
ero sentito sbagliato moltissime volte nella mia
vita. Sbagliato per la mia famiglia. Sbagliato per i miei amici.
Sbagliato per la società. Sbagliato per lei.
Ma,
in
quell'istante, mentre io e Sana ci muovevamo all'unisono e
respiravamo insieme, capii che ero sempre stato io il mio unico
limite, perchè Sana era lì, mi amava esattamente
come la amavo io
e non c'erano parole per descrivere il senso di completezza che
sentii quando, finalmente, ci buttammo insieme nel tunnel di piacere
che ci stava aspettando.
Eravamo
la ragazza S e il ragazzo A.
Avremmo
mai potuto rinunciare a tutto quell'amore?
Perdonatemi per questa mia assenza prolungata, causa studio e
università. ma non mi sono dimenticata di chi mi segue
assiduamente e di chi mi manda i messaggu privati chiedendomi di
continuare. Grazie, veramente.
Il prossimo capitolo è solamente da correggere, quindi non
dovrete attendere molto, intanto spero che questo vi sia piaciuto e che
vi siate goduti il momento speciale di Sana e Akito.
Grazie davvero e vi voglio bene!
Akura.
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