Capitolo
VII
– Il Grande Max.
Quando
Max si
sveglia per la seconda volta, stamattina, si sorprende nel constatare
che Ivan è sveglio – e da un bel po', si direbbe
– e che lo sta
guardando. Ma di più, non lo sta solo guardando –
Ivan lo sta
soppesando, e Max ne è così sorpreso che non gli
viene neppure in
mente nulla da dire. Che diamine succede?
«Che
cosa
stavi sognando?»
«Prego?»
Questa
poi, Max
proprio non se l'aspettava, ma di fronte al suo sbigottimento Ivan
non cede minimamente. Ha la fronte corrucciata e stanca, pensierosa,
e a Max non piace vederlo così assorto.
«Che
cosa
stavi sognando?» ripete Ivan con calma.
«Perché
devo
aver sognato?» ribatte Max bruscamente, sollevandosi a sedere
contro
lo schienale del letto, un po' per prendere tempo e un po'
perché, a
dire il vero, lo sguardo attento di Ivan, a così breve
distanza da
lui, lo sta mettendo a disagio. Se c'è qualcosa di Ivan che
proprio
non sopporta – beh, tra le varie cose –
è che sa quando
mente. Bastardo.
Ma
con la
massima calma, e sempre senza distogliere gli occhi da lui, Ivan si
stringe nelle spalle, si stiracchia pigramente sul letto, e risponde:
«Perché non me lo dici tu?»
Sa
tutto,
questo stronzo, o quasi tutto... perché al di là
della sua pelle
sudata e dei suoi occhi stravolti, e forse del tremore che lo ha
scosso mentre dormiva – perché a questo punto Max
non può non
sospettare di essersi agitato parecchio nel sonno – al di
là di
tutto questo, insomma, Ivan non può certo aver indovinato
niente di
più. Nonostante ciò, Max è certo che
Ivan non lo lascerà in pace
finché non avrà ottenuto la sua dannata risposta.
Non che egli
intenda dargli più soddisfazione di quanta se ne meriti,
comunque.
«Ho
sognato il
sole» risponde senza giri di parole, scaricandogli addosso
tutto il
compito di districare da solo il significato del sogno e di
ciò che
questo comporta. Quanto a lui, egli non intende fare proprio niente
per aiutarlo, a maggior ragione dal momento che averglielo detto
così, bruscamente e senza mezzi termini, non ha avuto
proprio niente
che ricordasse anche solo vagamente il sapore vivificante e remissivo
di una confessione. Quanto a questo, Max è sempre stato
così
disilluso da non provare nemmeno un poco di delusione.
E
poi,
quand'anche volesse spiegarsi più chiaramente, che diamine
dovrebbe
dirgli? Che è da quando è accaduto,
inesorabilmente, ch'egli non fa
che sognare quel sogno, e che la cosa più terribile
è proprio
questa: che in quel sogno non c'è niente che possa fargli
tanta
paura? Che dopo aver bramato per anni quel paradiso fatto di terra e
di sole e di vita – di vita! - egli ora non riesce proprio a
liberarsi gli occhi del ricordo angosciante di ciò che per
poco non
è riuscito a creare, e che quel paradiso che ha scatenato
sulla
terra era l'inferno del sole che bruciava, e che forse è per
quell'inferno che Aima sta morendo e sua figlia si ritroverà
orfana?
Ma
quando si
volta a fronteggiare Ivan, in un parossismo di rancore e di sfida e
di chissà che altro, Max non tarda ad accorgersi che nei
suoi occhi
non c'è alcuna traccia di perplessità. Ivan ha
capito tutto, e
subito, anche. Ivan, che ha assistito alla sua grandezza e al
compiersi della sua vittoria, e poi alla sua rovina ch'è
stata
maggiore e più rovinosa dal momento che si è
compiuta al culmine
del suo trionfo, Ivan ha capito all'istante il significato del suo
dolore e del suo tormento, e forse è possibile anche che lo
sapesse
già da molto tempo prima di chiederglielo. Bastardo, di
nuovo.
«È
per Aima,
vero?»
Certo
che è
per Aima, per questa donna senza volto che per lui non consta d'altro
che di un nome, e forse appena dell'indistinta identità che
a questo
nome egli è riuscito ad associare. È per Aima,
perché per la prima
volta da quando tutto questo è cominciato, nella prospettiva
concreta della morte di una madre, Max ha finalmente saggiato con
mano, senza possibilità d'appello, i frutti del suo ideale e
della
sua vittoria. Ma come dirgli che il ricordo del suo errore lo ha
perseguitato ogni giorno da quando lo ha compiuto, certo, ma che solo
da quando ha saputo di Aima si è fatto insopportabile?
«Max.»
C'è
un'inaspettata tenerezza nella voce di Ivan.
«Perché non me l'hai
detto prima?»
«Per
ottenere
cosa?» Per gravarlo forse di tutta la
responsabilità morale della
propria colpevolezza? Questa sì che è proprio una
bella idea.
Se
questo è il
livello delle argomentazioni di Ivan, la loro conversazione non
può
che essere inutile. Scostando decisamente le coperte, Max si alza dal
letto e prende a cercare con rabbia qualcosa nella stanza. Non che
stia davvero cercando qualcosa di specifico, ma è
confortante poter
fare finta di avere qualche ottimo motivo per aggirarsi per la camera
come un cane rabbioso.
«Perché
se tu
me l'avessi chiesto, io ti avrei detto che né Aima
né Hyra erano a
Hoenn quando tu hai risvegliato ArcheoGroudon» lo interrompe
Ivan
bruscamente.
Il
tempo ha
come un piccolo singulto nell'aria della stanza.
«Che
cosa?»
esclama Max voltandosi.
Ancora
seduto
sul letto, appoggiato alla testiera contro un cuscino rovesciato,
Ivan ha l'aria di qualcuno che sia appena riuscito a farsi finalmente
ascoltare dopo aver tanto urlato invano.
«Dio,
Maxie!
Mi credi proprio così stupido? Pensi davvero che sapendo
quello che
stavi per fare avrei veramente lasciato mia figlia in
pericolo?»
Di
fronte
all'ineccepibile logica del suo ragionamento Max apre la bocca, poi
ci ripensa e la richiude. Si sente la testa un po' troppo vuota e
spiazzata, dopo esser stato colto così, alla sprovvista, e
preferisce evitare di dire qualche sproposito, per il momento.
«Beh,
non l'ho
fatto, Max. Non appena ho sentito parlare delle Cascate Meteora e ho
intuito che dovevi essere a un punto di svolta, le ho imbarcate tutte
e due sul primo aereo per Sinnoh. Aima ha una zia a Giardinfiorito e
ogni tanto vanno a trovarla, perciò la bambina non si
è spaventata
troppo.»
C'è
qualcosa
di splendido e meraviglioso in tutto questo, cui Max non pensava
neppure di poter ancora credere. Torna a sedere sul bordo del letto,
molto lentamente, e guarda Ivan con attenzione. Non è che
non gli
creda – lo sa bene che Ivan non gli mentirebbe mai
– ma in
qualche modo mantenere il contatto con la franchezza schietta e
diretta del suo volto lo aiuta a essere certo che quella è
la
verità. Che non ha ucciso la madre della figlia del suo
compagno.
«Aima
non era
qui» ripete.
«No.»
«E
non c'era
neppure Hyra.» È per questo, dunque, che Hyra non
ha avuto la
benché minima reazione quando lui le ha parlato del grande
sole
rosso: non se lo ricordava perché non lo aveva mai
visto.
«No»
conferma
Ivan sorridendo. Aggrotta un sopracciglio. «Ah, e prima che
tu me lo
chieda, sono state via per tutta l'estate. Ho aspettato che la
situazione si stabilizzasse prima di farle tornare, perciò
non hanno
mai corso alcun pericolo. Beh, a parte per la meteora,
ovviamente.»
Aima
non era a
Hoenn nelle ore di terrore in cui Groudon la devastava.
All'improvviso, Max ha la sensazione di tornare a respirare per la
prima volta veramente da quando è iniziato tutto,
è una grande
boccata d'aria fresca non più torrida che gli riempie i
polmoni e lo
rianima... ma proprio quando non vorrebbe altro che abbandonarsi
definitivamente a quest'aria e a questo sollievo, e crogiolarsi per
un solo istante nella consapevolezza di non esser stato lui a far
ammalare Aima, all'improvviso proprio quel profondo respiro salvifico
pare bloccarglisi in gola. Dov'è finito quel sollievo?
Perché, ora
che è tutto finito, Max non si sente definitivamente leggero
e
redento da ogni peccato che abbia commesso in quei giorni?
Ma
la verità,
che Max arriva a cogliere giusto un attimo dopo il primo intuito,
è
che il responsabile della malattia di Aima non è stato lui,
ma
avrebbe potuto esserlo. Che la rassicurazione che
Ivan si è
tanto prodigato a dargli è parziale e incompleta proprio per
questo
fatto: che non lo rende meno colpevole per ciò che ha
effettivamente
compiuto. Il suo errore è ancora lì, alle sue
spalle, immenso e
immutabile, e il fatto che Aima in questo preciso momento non stia
morendo per colpa sua non lo redime nel modo più assoluto.
Quella
che per lui sarebbe stata una catastrofe è stata solo
sfiorata,
d'accordo, ma può veramente sentirsi sollevato?
«Ehi,
Max.»
La voce di Ivan, così calda e rassicurante anche quando,
come ora,
egli è perplesso. «Che cos'hai?»
Per
una volta,
di fronte alla legittima confusione del suo uomo, Max gli
farà il
piacere di non credere che sia troppo stupido per la
complessità dei
dubbi che lo attanagliano, ma ciò nonostante, non se la
sente ancora
di parlargliene. Per il momento, ha bisogno di pensarci un po' da
solo.
«Niente,
Ivan.
Sono solo... sollevato.»
La
cosa straordinaria quando si parla di Ivan è che, per quanto
Max non
gli abbia detto poi niente di che – perché,
davvero, non è che
sia poi una grande reazione, rispondere sono
sollevato
quando il tuo compagno t'informa che non hai ucciso la madre di sua
figlia – la sua reazione è smisuratamente,
sproporzionatamente
felice. Forse, tutto sommato, un po' stupido lo è comunque
–
perché per quale motivo quest'uomo s'intestardisca tanto a
investire
su di lui la sua felicità, purtroppo, è qualcosa
che esulerà per
sempre dalla sua comprensione – ma Max non gliene
farà una colpa,
per il momento. Gli occhi di Ivan hanno saputo vedere proprio
là
dove egli era cieco, e Max non potrebbe essergli più grato
di così
per aver dubitato di lui e aver cercato di fermarlo, e per aver
limitato i suoi danni, che è forse la cosa migliore che
chiunque
potesse fare per lui.
Ma
tutti questi
pensieri e questa gratitudine, pronunciati a voce alta, non
suonerebbero poi tanto bene, e magari chissà, forse Ivan lo
accuserebbe persino di essersi rammollito un po'. Perciò,
afferrando
una felpa da una sedia, tanto per dare un senso all'aver girovagato
per la stanza per tutti i minuti precedenti, Max gliela getta sul
letto senza tanti complimenti e gli fa cenno di vestirsi.
«Dai,
su...
preparati. Facciamo in tempo ad andare a fare colazione fuori, prima
che tu parta.»
Era
da così
tanto tempo che non portava Mightyena sulla spiaggia. Chissà
perché,
poi.
Stamattina,
quando ha proposto a Ivan di andare a fare colazione da qualche
parte, non gli sembrava poi di aver fatto la proposta del secolo, a
maggior ragione dal momento che l'ha detto non tanto per un vero e
proprio desiderio di uscire di casa (cosa che non ha mai realmente
avuto, negli ultimi mesi), quanto piuttosto per poter prospettare una
valida scusa per essersi alzato così presto e aver vagato
per la
stanza in preda a chissà quali pensieri. Ma la reazione
compiaciuta
e soddisfatta di Ivan gli è parsa, per la seconda volta in
quella
mattinata, un tantino spropositata, e solo dopo qualche momento Max
ci ha ripensato e si è accorto che, effettivamente, quella
doveva
essere la prima volta da quando abitano insieme che era lui a
proporre spontaneamente di uscire a fare qualcosa che avrebbero
potuto tranquillamente fare a casa.
Subito
dopo
colazione, quando Ivan ha inforcato la bicicletta e si è
avviato per
raggiungere gli altri del vecchio Team, improvvisamente Max si
è
ritrovato fuori di casa, da solo, senza aver fatto niente per cercare
di evitarlo, e soprattutto, cosa ancor più sorprendente,
senza
provare alcun desiderio di tornarci. Ci ha riflettuto un po', poi ha
deciso di lasciar perdere e di rinunciare, per una volta, a voler
capire sempre tutto, e si è avviato a passo lento verso la
spiaggia.
Non
che sia
stata una buona idea. Max non è mai stato un vero e proprio
amante
del mare neppure nel pieno sole estivo, e oggi, nella fattispecie, fa
un freddo dannato. L'aria è umida e salmastra,
già profumata della
pioggia che il cielo preannuncia, e un vento forte che rigonfia le
onde gli fustiga il viso in grande sferzate violente che lo graffiano
di sabbia. Ma di questo vento roboante, e del ruggito vorace delle
immani onde che si accavallano e urlano come a volerlo assordare, e
persino di questa sabbia che gli graffia e gli brucia il viso, Max si
sente stranamente grato, e chiudendo gli occhi e reclinando il capo
all'indietro egli si bea ciencamente di questo fragore e di questo
profumo.
Per
quale
motivo voleva distruggere tutto questo?
Per
dare al mondo meno acqua e più vita, vorrebbe
rispondere dentro di lui il Grande Max, il folle Max che scagliandosi
contro la natura voleva risvegliare la forza immane e incontrollabile
di Groudon. Ma quell'uomo, che pure non è affatto morto
dentro di
lui – e perché dovrebbe? Ci vorrebbe proprio un
bel coraggio,
dall'alto del senno di poi, a rinnegare quell''uomo tanto geniale
quanto ottuso che ha operato per tanti anni indefesso, infaticabile,
senza mai neppure una volta concedere a se stesso o ad altri il lusso
di mettere in dubbio i suoi piani, e Max non è tanto
ipocrita da
rinnegare così, al punto di disconoscerlo, il se stesso di
allora –
quell'uomo ha oggi quantomeno la decenza di tacere eloquentemente,
dopo aver imparato la lezione.
Mentre
osserva
con la coda dell'occhio il suo Mightyena correre sulla spiaggia
sollevando una miriade di spruzzi, vergognosamente felice, Max guarda
dentro di sé e si risponde che tutto ciò che ha
sempre voluto, sin
dai suoi anni universitari, era salvare l'umanità. E tutto
il suo
sbaglio è stato voler puntare troppo in alto, e troppo in
fretta, e
voler salvare tutti e tutti insieme, e... e poi, beh, sappiamo tutti
com'è andata.
Il
problema è che quest'umanità ch'egli ama con
tutte le sue forze
vorrebbe salvarla ancora, Max, e che tutta la sua angoscia e la sua
frustrazione scaturiscono proprio da lì. E di
quest'umanità così
variegata e indistinta ed egualmente amata, seppur dall'alto della
sua vana illusione di superiorità, egli ora disperatamente
vorrebbe
salvare qualcuno che è un po' meno di un volto e un po'
più di un
nome, ed è Aima. Perché se non è stato
lui a ucciderla – e di
questo il suo cuore non fa che urlare grazie,
grazie, grazie!
- quella donna che ora sta morendo a pochi chilometri di distanza non
è davvero la prova di ciò che avrebbe
potuto essere,
se altri non l'avessero fermato, e di quell'umanità che
egli, pur
cercando di salvare, stava per condannare?
Ma
al punto a
cui si è giunti, esiste ancora una qualche forza al mondo in
grado
di salvare Aima?
Quando
Ivan
torna a casa, per la prima volta da quando abitano insieme, non trova
la cena pronta, e questa è una novità. Non ne
è risentito,
ovviamente (beh, il suo stomaco lo è, ma Ivan ha almeno la
buona
grazia di non farglielo notare), ma di certo è sorpreso. Max
percepisce la sua confusione nell'aria, esplicita a sufficienza
perché non ci sia bisogno di dichiararla a parole, e sarebbe
disposto a dissiparla se solo non fosse troppo impegnato ad
aggiornare le sue conoscenze in oncologia e dermatologia, che sono
decisamente un po' stantie, dato che risalgono ai tempi della sua
seconda laurea.
Il
tavolo della
cucina è stato promosso di grado, nel corso del pomeriggio,
e
attualmente sta svolgendo il ruolo di scrivania, dato che
nell'appartamento di Ivan non c'era niente di assimilabile a uno
studio quando ci si è trasferito. Ivan si ferma alle sue
spalle e
rimane in silenzio così, per un po', a cercare di capire che
cosa
stia facendo e per quale diamine di motivo non ci sia niente da
mangiare in casa.
«Sono
tornato»
prova dopo un po', forse coltivando l'insolita convinzione che
un'ottantina di chili di muscoli possano passare inosservati quando
entrano in una stanza.
«Già,
ciao»
risponde Max, senza per questo alzare lo sguardo dal suo manuale.
C'è
qualche
attimo di silenzio, che Ivan impiega a decretare il fallimento della
sua strategia di sottolineare l'ovvio per ottenere la sua attenzione,
quindi torna alla carica.«Che cosa stai facendo?»
Sollevando
finalmente lo sguardo per gettare un'occhiata d'insieme alla distesa
di libri che ha davanti, Max ha la viva sensazione di sentire le loro
pagine animarsi ed esclamare a gran voce: giochiamo
a canasta! «Studio.»
«Oh.»
La voce
di Ivan esprime una certa contentezza che non si premura di
nascondere, ma è certo che non vuole fargli pesare troppo il
suo
radicale cambiamento di abitudini. «Ottimo. Senti... tu non
hai
fame?»
«Certo.
Potresti ordinare un paio di pizze, che ne dici? Io ne avrò
ancora
per un po'.»
«Un
paio di
pizze?»
Di
fronte al
suo genuino, spontaneo stupore, Max stabilisce infine di potersi
distrarre per qualche secondo dai suoi manuali per voltarsi a
guardarlo.
«Perché
no,
Ivan? Non è il genere di cose che piace a voi uomini grandi
e
grossi, pizza e birra sul divano davanti alla televisione? Sono quasi
sicuro che ci sia una partita di qualche sport, stasera.»
C'è
qualcosa
nella sua voce che deve togliere a Ivan ogni velleità di
protesta,
per quanti dubbi Max possa scorgergli negli occhi: semplicemente,
dopo qualche momento, Ivan si limita a scuotere il capo, un po'
confuso ma senza la minima traccia di disappunto, ad afferrare il
cordless dal tavolo e il menù della pizzeria d'asporto dal
frigorifero, e a uscire dalla stanza.
Per
la
successiva ora e mezza, la serata trascorre senza intoppi, proprio
come Max aveva previsto: lo squillo del campanello e un breve suono
di voci basse che si scambiano, e poi, da qualche parte nel loro
soggiorno, il brusio indistinto dei canali televisivi che vengono
cambiati in modo rapido e inquieto.
Chino
sul
tavolo con gli occhi che si arrossano e cominciano a bruciare, Max
continua a studiare e a cercare nei libri un modo per salvare Aima.
Si sente un po' tornar giovane, questa sera – il ragazzo
geniale e
insicuro dei suoi primi esami, il genio studioso e solitario che
s'isolava giorno e notte nell'eremo della sua stanza... ma è
diverso, ovviamente. Oggi c'è Ivan, in questa casa, con lui.
La
consapevolezza della sua presenza è confortante, per nulla
fastidiosa, e Max si sorprende di non esserne in alcuna misura
distratto. È bello sapere di non essere solo.
Chissà come sarebbe
stato avere Ivan come coinquilino, ai tempi dell'Università.
Quando
Ivan
rientra in cucina sono quasi le dieci, e Max si sente la testa piena
di concetti confusi e sovraffollati che lotttano per farsi spazio nel
suo cervello. Qualche minuto di pausa, dopotutto, può
concederselo:
socchiudendo il libro che sta leggendo, si appoggia allo schenale
della sedia e alza lo sguardo sul suo compagno.
Ivan
è in
piedi accanto a lui, in silenzio, e sta percorrendo con lo sguardo la
catasta di libri e riviste che sovrastano il tavolo. Non sta facendo
nient'altro, ma Max sa che ha capito per quale motivo, di punto in
bianco, egli si è procurato tutta la possibile bibliografia
in
merito ai tumori della pelle, e non c'è bisogno di dire
niente.
Si
schiarisce
un po' la voce. «Allora... non c'era niente di interessante
in
televisione?»
«Che
cosa?»
Ivan sembra faticare un momento a distogliersi dalla sua
contemplazione e a concentrarsi su di lui. Sta pensando ad Aima.
«Ah... no. Sai com'è. Sono un po'
stanco.»
Sì, è
stanco, certo, ma nei suoi occhi assorti e pensierosi Max legge anche
qualcos'altro. Ivan è sollevato. Sente che è
cambiato qualcosa, per
la prima volta da quando stanno insieme, anche se non sa ancora bene
di che cosa si tratti, e forse non riesce ancora a crederci.
«Se
sei
stanco, puoi andare a dormire» lo incoraggia. «Io
ti raggiungo tra
un po'. Non importa che mi aspetti in piedi.»
Al
suo invito
non giunge alcuna risposta ma, del resto, non c'è fretta.
Max
continua a sentire la sua calda presenza rassicurante al suo fianco,
silenziosa e piacevolmente confortante, mentre si china in avanti e
torna ad appuntare sul libro gli occhi brucianti.
E
poi, dopo un
minuto, finalmente, il fragore di una sedia trascinata sul pavimento,
e Ivan si siede accanto a lui.
«Ti
tengo un
po' compagnia.»
A
questo non
c'è nulla da ribattere. Ivan si appoggia a lui con tutto il
suo
peso, reclinando il capo sulla sua spalla, e sorridendo tra
sé Max
solleva pensierosamente la mano ad accarezzargli la nuca, con un
certo gesto meccanico e pensieroso e non privo di affetto.
Per
tutto il
tempo che segue, Max continua a studiare malgrado la stanchezza,
mentre il cuore di Ivan batte forte forte contro la sua spalla,
pulsando attraverso la pelle tutta la sua gratitudine.
Buongiorno
a
tutti!
Spero
che questo
aggiornamento sia stato un po' più corposo del precedente:
penso che
finalmente si sia arrivati a un vero e proprio punto di svolta nella
storia, anche se non posso anticipare nulla sui prossimi capitoli.
Come
al solito,
un grazie infinito a cristal_93 per la sua recensione al precedente
capitolo, mi ha fatto davvero molto piacere!
Non
posso
inoltre che ringraziare di cuore chiunque anche solo per essere
arrivato sin qui con la lettura.
Detto
questo, un
caro saluto a tutti, e alla prossima!
Afaneia
|