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Autore: Afaneia    31/01/2017    2 recensioni
In seguito agli eventi narrati nell'Episodio Delta di Pokémon Rubino Omega, Max ha deciso di sciogliere il Team Magma e di ritirarsi a vita privata, recidendo volontariamente ogni rapporto con tutti coloro che hanno fatto parte del suo piano per servirsi di Groudon. Persino un uomo della sua genialità non è più sicuro di sapere come reinventarsi, dopo aver scoperto di aver inseguito una chimera per quasi tutta la sua vita.
Forse Ivan non ha scelto esattamente il momento più adatto per rivelargli di avere una figlia.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Ivan, Max (Team Magma), Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
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Capitolo VII – Il Grande Max.


Quando Max si sveglia per la seconda volta, stamattina, si sorprende nel constatare che Ivan è sveglio – e da un bel po', si direbbe – e che lo sta guardando. Ma di più, non lo sta solo guardando – Ivan lo sta soppesando, e Max ne è così sorpreso che non gli viene neppure in mente nulla da dire. Che diamine succede?

«Che cosa stavi sognando?»

«Prego?»

Questa poi, Max proprio non se l'aspettava, ma di fronte al suo sbigottimento Ivan non cede minimamente. Ha la fronte corrucciata e stanca, pensierosa, e a Max non piace vederlo così assorto.

«Che cosa stavi sognando?» ripete Ivan con calma.

«Perché devo aver sognato?» ribatte Max bruscamente, sollevandosi a sedere contro lo schienale del letto, un po' per prendere tempo e un po' perché, a dire il vero, lo sguardo attento di Ivan, a così breve distanza da lui, lo sta mettendo a disagio. Se c'è qualcosa di Ivan che proprio non sopporta – beh, tra le varie cose – è che sa quando mente. Bastardo.

Ma con la massima calma, e sempre senza distogliere gli occhi da lui, Ivan si stringe nelle spalle, si stiracchia pigramente sul letto, e risponde: «Perché non me lo dici tu?»

Sa tutto, questo stronzo, o quasi tutto... perché al di là della sua pelle sudata e dei suoi occhi stravolti, e forse del tremore che lo ha scosso mentre dormiva – perché a questo punto Max non può non sospettare di essersi agitato parecchio nel sonno – al di là di tutto questo, insomma, Ivan non può certo aver indovinato niente di più. Nonostante ciò, Max è certo che Ivan non lo lascerà in pace finché non avrà ottenuto la sua dannata risposta. Non che egli intenda dargli più soddisfazione di quanta se ne meriti, comunque.

«Ho sognato il sole» risponde senza giri di parole, scaricandogli addosso tutto il compito di districare da solo il significato del sogno e di ciò che questo comporta. Quanto a lui, egli non intende fare proprio niente per aiutarlo, a maggior ragione dal momento che averglielo detto così, bruscamente e senza mezzi termini, non ha avuto proprio niente che ricordasse anche solo vagamente il sapore vivificante e remissivo di una confessione. Quanto a questo, Max è sempre stato così disilluso da non provare nemmeno un poco di delusione.

E poi, quand'anche volesse spiegarsi più chiaramente, che diamine dovrebbe dirgli? Che è da quando è accaduto, inesorabilmente, ch'egli non fa che sognare quel sogno, e che la cosa più terribile è proprio questa: che in quel sogno non c'è niente che possa fargli tanta paura? Che dopo aver bramato per anni quel paradiso fatto di terra e di sole e di vita – di vita! - egli ora non riesce proprio a liberarsi gli occhi del ricordo angosciante di ciò che per poco non è riuscito a creare, e che quel paradiso che ha scatenato sulla terra era l'inferno del sole che bruciava, e che forse è per quell'inferno che Aima sta morendo e sua figlia si ritroverà orfana?

Ma quando si volta a fronteggiare Ivan, in un parossismo di rancore e di sfida e di chissà che altro, Max non tarda ad accorgersi che nei suoi occhi non c'è alcuna traccia di perplessità. Ivan ha capito tutto, e subito, anche. Ivan, che ha assistito alla sua grandezza e al compiersi della sua vittoria, e poi alla sua rovina ch'è stata maggiore e più rovinosa dal momento che si è compiuta al culmine del suo trionfo, Ivan ha capito all'istante il significato del suo dolore e del suo tormento, e forse è possibile anche che lo sapesse già da molto tempo prima di chiederglielo. Bastardo, di nuovo.

«È per Aima, vero?»

Certo che è per Aima, per questa donna senza volto che per lui non consta d'altro che di un nome, e forse appena dell'indistinta identità che a questo nome egli è riuscito ad associare. È per Aima, perché per la prima volta da quando tutto questo è cominciato, nella prospettiva concreta della morte di una madre, Max ha finalmente saggiato con mano, senza possibilità d'appello, i frutti del suo ideale e della sua vittoria. Ma come dirgli che il ricordo del suo errore lo ha perseguitato ogni giorno da quando lo ha compiuto, certo, ma che solo da quando ha saputo di Aima si è fatto insopportabile?

«Max.» C'è un'inaspettata tenerezza nella voce di Ivan. «Perché non me l'hai detto prima?»

«Per ottenere cosa?» Per gravarlo forse di tutta la responsabilità morale della propria colpevolezza? Questa sì che è proprio una bella idea.

Se questo è il livello delle argomentazioni di Ivan, la loro conversazione non può che essere inutile. Scostando decisamente le coperte, Max si alza dal letto e prende a cercare con rabbia qualcosa nella stanza. Non che stia davvero cercando qualcosa di specifico, ma è confortante poter fare finta di avere qualche ottimo motivo per aggirarsi per la camera come un cane rabbioso.

«Perché se tu me l'avessi chiesto, io ti avrei detto che né Aima né Hyra erano a Hoenn quando tu hai risvegliato ArcheoGroudon» lo interrompe Ivan bruscamente.

Il tempo ha come un piccolo singulto nell'aria della stanza.

«Che cosa?» esclama Max voltandosi.

Ancora seduto sul letto, appoggiato alla testiera contro un cuscino rovesciato, Ivan ha l'aria di qualcuno che sia appena riuscito a farsi finalmente ascoltare dopo aver tanto urlato invano.

«Dio, Maxie! Mi credi proprio così stupido? Pensi davvero che sapendo quello che stavi per fare avrei veramente lasciato mia figlia in pericolo?»

Di fronte all'ineccepibile logica del suo ragionamento Max apre la bocca, poi ci ripensa e la richiude. Si sente la testa un po' troppo vuota e spiazzata, dopo esser stato colto così, alla sprovvista, e preferisce evitare di dire qualche sproposito, per il momento.

«Beh, non l'ho fatto, Max. Non appena ho sentito parlare delle Cascate Meteora e ho intuito che dovevi essere a un punto di svolta, le ho imbarcate tutte e due sul primo aereo per Sinnoh. Aima ha una zia a Giardinfiorito e ogni tanto vanno a trovarla, perciò la bambina non si è spaventata troppo.»

C'è qualcosa di splendido e meraviglioso in tutto questo, cui Max non pensava neppure di poter ancora credere. Torna a sedere sul bordo del letto, molto lentamente, e guarda Ivan con attenzione. Non è che non gli creda – lo sa bene che Ivan non gli mentirebbe mai – ma in qualche modo mantenere il contatto con la franchezza schietta e diretta del suo volto lo aiuta a essere certo che quella è la verità. Che non ha ucciso la madre della figlia del suo compagno.

«Aima non era qui» ripete.

«No.»

«E non c'era neppure Hyra.» È per questo, dunque, che Hyra non ha avuto la benché minima reazione quando lui le ha parlato del grande sole rosso: non se lo ricordava perché non lo aveva mai visto.

«No» conferma Ivan sorridendo. Aggrotta un sopracciglio. «Ah, e prima che tu me lo chieda, sono state via per tutta l'estate. Ho aspettato che la situazione si stabilizzasse prima di farle tornare, perciò non hanno mai corso alcun pericolo. Beh, a parte per la meteora, ovviamente.»

Aima non era a Hoenn nelle ore di terrore in cui Groudon la devastava. All'improvviso, Max ha la sensazione di tornare a respirare per la prima volta veramente da quando è iniziato tutto, è una grande boccata d'aria fresca non più torrida che gli riempie i polmoni e lo rianima... ma proprio quando non vorrebbe altro che abbandonarsi definitivamente a quest'aria e a questo sollievo, e crogiolarsi per un solo istante nella consapevolezza di non esser stato lui a far ammalare Aima, all'improvviso proprio quel profondo respiro salvifico pare bloccarglisi in gola. Dov'è finito quel sollievo? Perché, ora che è tutto finito, Max non si sente definitivamente leggero e redento da ogni peccato che abbia commesso in quei giorni?

Ma la verità, che Max arriva a cogliere giusto un attimo dopo il primo intuito, è che il responsabile della malattia di Aima non è stato lui, ma avrebbe potuto esserlo. Che la rassicurazione che Ivan si è tanto prodigato a dargli è parziale e incompleta proprio per questo fatto: che non lo rende meno colpevole per ciò che ha effettivamente compiuto. Il suo errore è ancora lì, alle sue spalle, immenso e immutabile, e il fatto che Aima in questo preciso momento non stia morendo per colpa sua non lo redime nel modo più assoluto. Quella che per lui sarebbe stata una catastrofe è stata solo sfiorata, d'accordo, ma può veramente sentirsi sollevato?

«Ehi, Max.» La voce di Ivan, così calda e rassicurante anche quando, come ora, egli è perplesso. «Che cos'hai?»

Per una volta, di fronte alla legittima confusione del suo uomo, Max gli farà il piacere di non credere che sia troppo stupido per la complessità dei dubbi che lo attanagliano, ma ciò nonostante, non se la sente ancora di parlargliene. Per il momento, ha bisogno di pensarci un po' da solo.

«Niente, Ivan. Sono solo... sollevato.»

La cosa straordinaria quando si parla di Ivan è che, per quanto Max non gli abbia detto poi niente di che – perché, davvero, non è che sia poi una grande reazione, rispondere sono sollevato quando il tuo compagno t'informa che non hai ucciso la madre di sua figlia – la sua reazione è smisuratamente, sproporzionatamente felice. Forse, tutto sommato, un po' stupido lo è comunque – perché per quale motivo quest'uomo s'intestardisca tanto a investire su di lui la sua felicità, purtroppo, è qualcosa che esulerà per sempre dalla sua comprensione – ma Max non gliene farà una colpa, per il momento. Gli occhi di Ivan hanno saputo vedere proprio là dove egli era cieco, e Max non potrebbe essergli più grato di così per aver dubitato di lui e aver cercato di fermarlo, e per aver limitato i suoi danni, che è forse la cosa migliore che chiunque potesse fare per lui.

Ma tutti questi pensieri e questa gratitudine, pronunciati a voce alta, non suonerebbero poi tanto bene, e magari chissà, forse Ivan lo accuserebbe persino di essersi rammollito un po'. Perciò, afferrando una felpa da una sedia, tanto per dare un senso all'aver girovagato per la stanza per tutti i minuti precedenti, Max gliela getta sul letto senza tanti complimenti e gli fa cenno di vestirsi.

«Dai, su... preparati. Facciamo in tempo ad andare a fare colazione fuori, prima che tu parta.»


Era da così tanto tempo che non portava Mightyena sulla spiaggia. Chissà perché, poi.

Stamattina, quando ha proposto a Ivan di andare a fare colazione da qualche parte, non gli sembrava poi di aver fatto la proposta del secolo, a maggior ragione dal momento che l'ha detto non tanto per un vero e proprio desiderio di uscire di casa (cosa che non ha mai realmente avuto, negli ultimi mesi), quanto piuttosto per poter prospettare una valida scusa per essersi alzato così presto e aver vagato per la stanza in preda a chissà quali pensieri. Ma la reazione compiaciuta e soddisfatta di Ivan gli è parsa, per la seconda volta in quella mattinata, un tantino spropositata, e solo dopo qualche momento Max ci ha ripensato e si è accorto che, effettivamente, quella doveva essere la prima volta da quando abitano insieme che era lui a proporre spontaneamente di uscire a fare qualcosa che avrebbero potuto tranquillamente fare a casa.

Subito dopo colazione, quando Ivan ha inforcato la bicicletta e si è avviato per raggiungere gli altri del vecchio Team, improvvisamente Max si è ritrovato fuori di casa, da solo, senza aver fatto niente per cercare di evitarlo, e soprattutto, cosa ancor più sorprendente, senza provare alcun desiderio di tornarci. Ci ha riflettuto un po', poi ha deciso di lasciar perdere e di rinunciare, per una volta, a voler capire sempre tutto, e si è avviato a passo lento verso la spiaggia.

Non che sia stata una buona idea. Max non è mai stato un vero e proprio amante del mare neppure nel pieno sole estivo, e oggi, nella fattispecie, fa un freddo dannato. L'aria è umida e salmastra, già profumata della pioggia che il cielo preannuncia, e un vento forte che rigonfia le onde gli fustiga il viso in grande sferzate violente che lo graffiano di sabbia. Ma di questo vento roboante, e del ruggito vorace delle immani onde che si accavallano e urlano come a volerlo assordare, e persino di questa sabbia che gli graffia e gli brucia il viso, Max si sente stranamente grato, e chiudendo gli occhi e reclinando il capo all'indietro egli si bea ciencamente di questo fragore e di questo profumo.

Per quale motivo voleva distruggere tutto questo?

Per dare al mondo meno acqua e più vita, vorrebbe rispondere dentro di lui il Grande Max, il folle Max che scagliandosi contro la natura voleva risvegliare la forza immane e incontrollabile di Groudon. Ma quell'uomo, che pure non è affatto morto dentro di lui – e perché dovrebbe? Ci vorrebbe proprio un bel coraggio, dall'alto del senno di poi, a rinnegare quell''uomo tanto geniale quanto ottuso che ha operato per tanti anni indefesso, infaticabile, senza mai neppure una volta concedere a se stesso o ad altri il lusso di mettere in dubbio i suoi piani, e Max non è tanto ipocrita da rinnegare così, al punto di disconoscerlo, il se stesso di allora – quell'uomo ha oggi quantomeno la decenza di tacere eloquentemente, dopo aver imparato la lezione.

Mentre osserva con la coda dell'occhio il suo Mightyena correre sulla spiaggia sollevando una miriade di spruzzi, vergognosamente felice, Max guarda dentro di sé e si risponde che tutto ciò che ha sempre voluto, sin dai suoi anni universitari, era salvare l'umanità. E tutto il suo sbaglio è stato voler puntare troppo in alto, e troppo in fretta, e voler salvare tutti e tutti insieme, e... e poi, beh, sappiamo tutti com'è andata.

Il problema è che quest'umanità ch'egli ama con tutte le sue forze vorrebbe salvarla ancora, Max, e che tutta la sua angoscia e la sua frustrazione scaturiscono proprio da lì. E di quest'umanità così variegata e indistinta ed egualmente amata, seppur dall'alto della sua vana illusione di superiorità, egli ora disperatamente vorrebbe salvare qualcuno che è un po' meno di un volto e un po' più di un nome, ed è Aima. Perché se non è stato lui a ucciderla – e di questo il suo cuore non fa che urlare grazie, grazie, grazie! - quella donna che ora sta morendo a pochi chilometri di distanza non è davvero la prova di ciò che avrebbe potuto essere, se altri non l'avessero fermato, e di quell'umanità che egli, pur cercando di salvare, stava per condannare?

Ma al punto a cui si è giunti, esiste ancora una qualche forza al mondo in grado di salvare Aima?


Quando Ivan torna a casa, per la prima volta da quando abitano insieme, non trova la cena pronta, e questa è una novità. Non ne è risentito, ovviamente (beh, il suo stomaco lo è, ma Ivan ha almeno la buona grazia di non farglielo notare), ma di certo è sorpreso. Max percepisce la sua confusione nell'aria, esplicita a sufficienza perché non ci sia bisogno di dichiararla a parole, e sarebbe disposto a dissiparla se solo non fosse troppo impegnato ad aggiornare le sue conoscenze in oncologia e dermatologia, che sono decisamente un po' stantie, dato che risalgono ai tempi della sua seconda laurea.

Il tavolo della cucina è stato promosso di grado, nel corso del pomeriggio, e attualmente sta svolgendo il ruolo di scrivania, dato che nell'appartamento di Ivan non c'era niente di assimilabile a uno studio quando ci si è trasferito. Ivan si ferma alle sue spalle e rimane in silenzio così, per un po', a cercare di capire che cosa stia facendo e per quale diamine di motivo non ci sia niente da mangiare in casa.

«Sono tornato» prova dopo un po', forse coltivando l'insolita convinzione che un'ottantina di chili di muscoli possano passare inosservati quando entrano in una stanza.

«Già, ciao» risponde Max, senza per questo alzare lo sguardo dal suo manuale.

C'è qualche attimo di silenzio, che Ivan impiega a decretare il fallimento della sua strategia di sottolineare l'ovvio per ottenere la sua attenzione, quindi torna alla carica.«Che cosa stai facendo?»

Sollevando finalmente lo sguardo per gettare un'occhiata d'insieme alla distesa di libri che ha davanti, Max ha la viva sensazione di sentire le loro pagine animarsi ed esclamare a gran voce: giochiamo a canasta! «Studio.»

«Oh.» La voce di Ivan esprime una certa contentezza che non si premura di nascondere, ma è certo che non vuole fargli pesare troppo il suo radicale cambiamento di abitudini. «Ottimo. Senti... tu non hai fame?»

«Certo. Potresti ordinare un paio di pizze, che ne dici? Io ne avrò ancora per un po'.»

«Un paio di pizze?»

Di fronte al suo genuino, spontaneo stupore, Max stabilisce infine di potersi distrarre per qualche secondo dai suoi manuali per voltarsi a guardarlo.

«Perché no, Ivan? Non è il genere di cose che piace a voi uomini grandi e grossi, pizza e birra sul divano davanti alla televisione? Sono quasi sicuro che ci sia una partita di qualche sport, stasera.»

C'è qualcosa nella sua voce che deve togliere a Ivan ogni velleità di protesta, per quanti dubbi Max possa scorgergli negli occhi: semplicemente, dopo qualche momento, Ivan si limita a scuotere il capo, un po' confuso ma senza la minima traccia di disappunto, ad afferrare il cordless dal tavolo e il menù della pizzeria d'asporto dal frigorifero, e a uscire dalla stanza.

Per la successiva ora e mezza, la serata trascorre senza intoppi, proprio come Max aveva previsto: lo squillo del campanello e un breve suono di voci basse che si scambiano, e poi, da qualche parte nel loro soggiorno, il brusio indistinto dei canali televisivi che vengono cambiati in modo rapido e inquieto.

Chino sul tavolo con gli occhi che si arrossano e cominciano a bruciare, Max continua a studiare e a cercare nei libri un modo per salvare Aima. Si sente un po' tornar giovane, questa sera – il ragazzo geniale e insicuro dei suoi primi esami, il genio studioso e solitario che s'isolava giorno e notte nell'eremo della sua stanza... ma è diverso, ovviamente. Oggi c'è Ivan, in questa casa, con lui. La consapevolezza della sua presenza è confortante, per nulla fastidiosa, e Max si sorprende di non esserne in alcuna misura distratto. È bello sapere di non essere solo. Chissà come sarebbe stato avere Ivan come coinquilino, ai tempi dell'Università.

Quando Ivan rientra in cucina sono quasi le dieci, e Max si sente la testa piena di concetti confusi e sovraffollati che lotttano per farsi spazio nel suo cervello. Qualche minuto di pausa, dopotutto, può concederselo: socchiudendo il libro che sta leggendo, si appoggia allo schenale della sedia e alza lo sguardo sul suo compagno.

Ivan è in piedi accanto a lui, in silenzio, e sta percorrendo con lo sguardo la catasta di libri e riviste che sovrastano il tavolo. Non sta facendo nient'altro, ma Max sa che ha capito per quale motivo, di punto in bianco, egli si è procurato tutta la possibile bibliografia in merito ai tumori della pelle, e non c'è bisogno di dire niente.

Si schiarisce un po' la voce. «Allora... non c'era niente di interessante in televisione?»

«Che cosa?» Ivan sembra faticare un momento a distogliersi dalla sua contemplazione e a concentrarsi su di lui. Sta pensando ad Aima. «Ah... no. Sai com'è. Sono un po' stanco.»

Sì, è stanco, certo, ma nei suoi occhi assorti e pensierosi Max legge anche qualcos'altro. Ivan è sollevato. Sente che è cambiato qualcosa, per la prima volta da quando stanno insieme, anche se non sa ancora bene di che cosa si tratti, e forse non riesce ancora a crederci.

«Se sei stanco, puoi andare a dormire» lo incoraggia. «Io ti raggiungo tra un po'. Non importa che mi aspetti in piedi.»

Al suo invito non giunge alcuna risposta ma, del resto, non c'è fretta. Max continua a sentire la sua calda presenza rassicurante al suo fianco, silenziosa e piacevolmente confortante, mentre si china in avanti e torna ad appuntare sul libro gli occhi brucianti.

E poi, dopo un minuto, finalmente, il fragore di una sedia trascinata sul pavimento, e Ivan si siede accanto a lui.

«Ti tengo un po' compagnia.»

A questo non c'è nulla da ribattere. Ivan si appoggia a lui con tutto il suo peso, reclinando il capo sulla sua spalla, e sorridendo tra sé Max solleva pensierosamente la mano ad accarezzargli la nuca, con un certo gesto meccanico e pensieroso e non privo di affetto.

Per tutto il tempo che segue, Max continua a studiare malgrado la stanchezza, mentre il cuore di Ivan batte forte forte contro la sua spalla, pulsando attraverso la pelle tutta la sua gratitudine.







Buongiorno a tutti!

Spero che questo aggiornamento sia stato un po' più corposo del precedente: penso che finalmente si sia arrivati a un vero e proprio punto di svolta nella storia, anche se non posso anticipare nulla sui prossimi capitoli.

Come al solito, un grazie infinito a cristal_93 per la sua recensione al precedente capitolo, mi ha fatto davvero molto piacere!

Non posso inoltre che ringraziare di cuore chiunque anche solo per essere arrivato sin qui con la lettura.

Detto questo, un caro saluto a tutti, e alla prossima!

Afaneia





   
 
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