Capitolo
diciannove
Tentativo
«È
stato tutto inutile!» ringhiò Vidar,
mentre camminava
furiosamente da un lato all'altro della stanza, azione che stava
ripetendo da ormai più di un'ora.
«Se
non la smetti di muoverti mi verrà il mal di
testa» lo riprese
Silye, seduta sul tavolo con le gambe incrociate e intenta a
tamponarsi la ferita con un panno bagnato. Quando ritenne di averla
ripulita da tutto il sangue, prese delle fasce e avvolse il polso con
quelle. «Troverai un altro modo per individuarlo, ma
considerami
fuori dalla tua missione di salvataggio.»
Vidar
si fermò di colpo, voltandosi verso di lei con sguardo duro.
«Mi
accontento anche solo di qualche moneta per l'aiuto che ti ho dato.
Pensa che ti sto facendo un grande favore: avrei potuto chiederti
tutto l'oro che so bene che tu possiedi, ma mi sono limitata a
qualche spicciolo. Non ti sembra un accordo più che
ragionevole?»
«Assolutamente
no» ribatté lui. «Voglio dire: io sto
facendo di tutto per scovare
un essere che potrebbe distruggere l'intera Midgardr e tu pensi solo
ai soldi?»
«Non
prenderla male, ma io questa serpe devo ancora vederla in carne ed
ossa. Solo allora crederò davvero nella sua esistenza e
nella
minaccia che costituisce per gli esseri umani. Ora l'unica cosa che
mi importa è andare a caccia e domani mattina guadagnare
qualche
soldo.»
«Ma
sentiti: guadagnare. Come se te li meritassi i
soldi che rubi»
affermò Vidar. Silye sapeva che era frustrato per il
fallimento
nella ricerca di Nidhöggr, ma le sue parole le diedero
comunque
fastidio, soprattutto dopo il discorso che avevano fatto nel bosco di
Hoddmímir, di ritorno dal villaggio di Vél.
«Va
bene: ascolta» disse la ragazza, scendendo dal tavolo e
muovendo il
braccio per constatare quanto le facesse ancora male.
«Abbiamo
provato di tutto per trovare questa fantomatica serpe; io ho
provato di tutto. Devi arrenderti all'evidenza: non capiremo mai dove
si trovi o se esista davvero. E direi che mi sono più che
meritata
una ricompensa per tutto quello che ho fatto per te.»
Lo
sguardo del ragazzo era fisso sul pavimento e non faceva altro che
aprire e chiudere le mani a pugno. «No.»
«No?»
Silye strabuzzò gli occhi.
«Proprio
così. Non me ne andrò e non ti lascerò
stare fin quando non mi
darai un maledetto indizio» ribatté, riprendendo a
camminare in
circolo lungo la stanza. «Devi solo potenziare le tue
abilità ed
esercitarti.»
«Ne
ho abbastanza» affermò Silye. «Non ne
voglio più sapere di tutta
questa storia. Voglio solo che tu te ne vada, con o senza i
soldi.»
«Non
capisci perché ti sto chiedendo tutto questo?»
insistette il dio,
fermandosi e guardandola negli occhi. Silye lesse nel suo volto una
disperazione che raramente gli aveva visto. «Ormai sei la mia
ultima
possibilità. Davanti ad un essere del genere nemmeno un dio
può
fare nulla. Mio padre è morto proprio a causa di una di
queste
creature ed era la divinità più potente di
Asgard. Cosa pensi che
io possa riuscire a fare da solo contro Nidhöggr, la
più grande
minaccia che questo mondo abbia mai affrontato?»
«Non
ne ho idea» sussurrò Silye. «È
proprio questo il problema: tu vuoi che io ti dia tutte le risposte,
che ti aiuti, ma io non so come farlo. Non sono ancora pronta ad
affrontare questa nuova realtà in cui mi hai catapultata.»
«Sì
che lo sei» Vidar le si avvicinò, prendendole con
delicatezza
entrambi i polsi fasciati. «E ne ho la prova proprio davanti
ai miei
occhi.»
Silye
abbassò gli occhi per evitare il suo sguardo. Nonostante
quello che
aveva passato, più volte i fatti le avevano dimostrato di
essere
ancora inadeguata a prendere il posto delle innumerevoli stirpi di
völve che
l'avevano preceduta.
«Ti
prego» disse Vidar, la voce diventata un leggero sussurro.
Silye non
l'aveva mai sentito dirle una cosa del genere e le sue parole la
sorpresero. «Ti prego, tenta
ancora.»
La
ragazza cercò di ignorare il tono supplichevole e triste di
Vidar e
la pressione delle sue dita sui bracci. Aveva la vaga impressione che
il suo tocco le stesse diminuendo il dolore alle ferite e che stesse
avendo un effetto curativo e benefico su di lei, ma il suo era solo
un pensiero sciocco. Eppure, quando incontrò di sfuggita i
suoi
occhi e vide tutto il suo sconforto, non poté fare a meno di
dirgli:
«Sì. Tenterò.»
Silye
si strinse più forte il mantello addosso e tirò
gli orli delle
maniche per arrivare a coprire le intere mani, sebbene, così
facendo, rischiasse di strappare il tessuto. La mattina era sorta da
poco e le fronde degli alberi sempreverdi erano mossi da un vento
più
forte e capriccioso del solito. La ragazza racimolò un
mucchietto di
ghiaccio e, sollevatolo da terra, lo ripose in una piccola bacinella
in legno. Quando ritenne che ne avesse presa abbastanza, si
alzò e
rientrò nella casa. Vidar stranamente stava ancora dormendo;
lei era
sempre stata una persona mattiniera, ma anche lui, nelle poche notti
che avevano trascorso condividendo la stessa baracca, si svegliava
poco dopo di lei. Silye posò la bacinella con un tonfo
accanto al
camino in cui era acceso il fuoco per far sciogliere il ghiaccio e
potersi lavare il viso. Il rumore svegliò Vidar, che si
alzò di
soprassalto.
«Fatto
sogni d'oro?» domandò Silye, senza guardarlo.
«Tutt'altro»
disse il ragazzo con la voce ancora impastata e roca. Silye si
voltò
per vederlo con la punta dell'occhio: si stava stiracchiando e la
maglietta chiara si era leggermente sollevata, mostrando un piccolo
pezzo di pelle. La ragazza si girò nuovamente di scatto,
cercando di
sopprimere la vampata di calore che l'aveva assalita, certamente non
provocata dal fuoco. «Come mai?»
Lui
non le rispose. Silye dovette ammettere di essersi aspettata una
reazione del genere; nonostante le avesse dato la
possibilità di
vedere tra i suoi ricordi, Vidar evitava sempre di parlare di
quell'argomento e di cosa lo stesse tormentando. Durante la notte, la
ragazza si era accorta che spesso lui si rigirava senza riuscire a
trovare sonno e a notte fonda si rivestiva e rimaneva fuori dalla
casa per ore, rifacendosi vivo solo all'alba. Nelle rare sere in cui
si addormentava, veniva perseguitato da incubi a cui non accennava
mai durante la giornata, sebbene sapesse benissimo che Silye ne era a
conoscenza.
«Vuoi
il mio aiuto nell'allenamento di oggi?» disse poi Vidar.
Silye
si prese qualche attimo a pensare a quello che avrebbe fatto quel
giorno e all'esercizio sulle arti delle völve
che la aspettava; un tempo la sua giornata tipo era totalmente
differente. Le parti di essa erano un continuo alternarsi di ruberie,
compere ai villaggi, viaggi tra questi e il bosco di Hoddmímir
e caccie. «No, non ne ho bisogno.»
«Chissà
perché, mi aspettavo questa risposta.» Vidar si
alzò e andò verso
il tavolo, dove stavano poggiati i residui di pane della cena della
sera precedente. Ne prese un pezzo e se lo portò alla bocca
per
mangiarlo. «D'accordo, allora fallo fuori, perché
io ho proprio
bisogno di lavarmi.»
«Già,
si sente» affermò la ragazza,
enfatizzando l'ultimo
concetto.
«Come
se tu non puzzassi» ribatté Vidar, prendendo il
libro dal tavolo e
lanciadoglielo. Silye fortunatamente lo prese al volo, ma gli rivolse
un'espressione contrariata. Era un oggetto molto fragile e non
potevano permettere che si rovinasse.
«Rilassati»
disse il dio, dandole le spalle e afferrando un panno per il bagno.
«Non te l'avrei tirato se non fossi stato sicuro che tu
l'avresti
preso.»
Silye
rimase un secondo a cercare di interpretare la sua affermazione, ma,
infine, vi rinunciò e con uno sbuffo si infilò il
mantello e uscì
di casa.
Angolo dell'autrice:
Buonasera,
miei carissimi lettori! Devo avvertirvi che dopo questo ci saranno
alcuni capitoli abbastanza corti (mi scuso in partenza),
perché di passaggio e preludio della prima vera avventura di
Silye e Vidar. Rappresentano un po' la quiete prima della tempesta e
delle fatiche dei nostri protagonisti, ma ciò non significa
che per questo saranno meno importanti. ;)
Come
sempre, un enorme grazie a chi continua a leggere e seguire la storia!
Sophja99
|