Waford
era la città più
grande che Marissa avesse mai visto in vita sua. A dir la
verità,
era l'unica e forse non era nemmeno così grande, ma tale
appariva ai
suoi occhi. Era una città costiera ed affacciava
direttamente sul
grande mare di Azure, che avrebbero dovuto attraversare per
raggiungere Letha.
Varcarono
gli alti cancelli
di pietra lavica della città intorno a mezzogiorno, e
Marissa restò
affascinata dalla luce forte del sole al suo zenit che investiva i
mattoni scuri, rendendoli lucidi e brillanti. Le migliaia di piccoli
cristalli argentati contenuti nella pietra rimandavano tutt'intorno
la luce solare, e abbagliavano la vista con uno spettacolo di
sfavillante bellezza.
“Bello,
non è vero?”
sorrise Siobhan notando lo stupore della sua protetta.
“E'...
è meraviglioso!
Non ho mai visto nulla del genere in tutta la mia vita. Come hanno
potuto creare una tale meraviglia?”
“Questo
tipo di pietra
scura abbonda qui, sulla costa. Il sottosuolo ne è ricolmo e
gli
abitanti ne attingono da centinaia di anni. Sono diventati abilissimi
nel lavorarla: è una pietra morbida all'interno, e quindi
facile da
modellare, ma resistentissima all'esterno. Le mura di Waford non
potrebbero essere più sicure di così. Troverai
che gran parte della
città è costruita con questo materiale. Waford
viene chiamata anche
la città nera.”
Siobhan
mostrò le loro
credenziali di viaggio alla guardia che fece loro segno di fermarsi,
poco prima della seconda porta, quella interna, che permetteva
l'accesso diretto in città.
La
guardia, un uomo di mezza
età, vestito di cuoio borchiato, esaminò i
documenti, poi li
restituì a Siobhan facendo cenno alle guardie sulla torretta
di
aprire i cancelli.
“Potete
passare, milady”,
aggiunse, “ma non credo che questi documenti vi saranno
sufficienti
per imbarcarvi. Venite da fuori, giusto?”
“Proprio
così, e dobbiamo
anche tornarci. Che significa che i documenti non sono sufficienti?
Sono passate solo poche settimane da quando sono sbarcata a Itul e
allora le mie credenziali sono andate più che bene per farmi
sbarcare!”
“Non
so perché le cose
siano cambiate, signora” disse la guardia, “ma
è la regina che
ha dato queste nuove disposizioni.”
Siobhan
sbuffò,
contrariata, ma si trattenne. Non aveva senso prendersela con
qualcuno che aveva cercato di essere gentile. Quel nuovo intoppo non
era certo colpa sua. Cosa passava per la testa alla regina Shandrel?
Marissa
prestò poca
attenzione a quello scambio di battute, troppo presa ad ammirare la
bellezza della città. Ed ebbe ancor più da
riempirsi gli occhi non
appena ebbero varcato la seconda porta e furono catapultati in un
mondo fatto di strade affollate, dall'acciottolato anch'esso nero,
dove il vociare della gente si mescolava al rumore degli zoccoli dei
cavalli sulle pietre, al tonfo delle ruote di legno dei carri e alle
strida dei gabbiani che facevano la spola tra il porto e le
bancarelle del mercato, dove speravano di racimolare qualche lisca o
una testa di pesce.
La
luce era accecante e si
rifletteva sulla distesa azzurra del mare, rendendolo scintillante.
Siobhan,
Marissa e il
servitore proseguirono lungo la strada principale, lasciandosi alle
spalle il mercato e la piazza principale, e dirigendosi verso il
porto.
Siobhan
era pensierosa e
irritata.
“Cosa
facciamo con i
documenti?”, osò infine chiedere Marissa.
“Dovrò
recarmi dal
sindaco, non potrà rifiutarsi di vedermi.
Sistemerò la cosa entro
domani, ma temo che dovremo passare la notte qui.”
“Kyrel!”
disse poco
dopo, chiamando a sé il servitore. “Le nostre
strade si dividono
qui, per il momento. Io andrò dal sindaco, ma non
è opportuno che
veniate anche voi. Tieni questo...”
Il
servitore raccolse tra le
mani il sacchetto pieno di monete che Siobhan gli porgeva.
“Accompagna
Marissa alla
locanda del porto e prendi una camera. Assicurati che rimanga
lì
fino al mio ritorno. Intesi?”
“Sì,
signora.”
Marissa
lanciò un'occhiata
preoccupata a Kyrel, ma l'uomo non la guardava più con la
diffidenza
e l'ostilità che Marissa si sarebbe aspettata fino ad un
giorno
prima. Poi, sollevata, rammentò che la sera prima Siobhan
aveva
cancellato dalla sua mente il ricordo delle sue origini.
Seguì
Kyrel senza
protestare, mentre Siobhan si allontanava nella direzione opposta.
Il
porto era ancora più
frenetico dei quartieri commerciali. Decine di navi erano ancorate, e
i marinai e gli uomini di fatica erano intenti a scaricare merci
provenienti da tutta Itul. Pur dall'alto dei loro cavalli, Marissa e
Kyrel dovettero scansarsi più di una volta per non sbattere
contro
qualcuno e qualcosa.
La
locanda dove erano
diretti recava l'insegna “Il lupo di mare”, ed era
affollata di
avventori: marinai che si rifocillavano di cibo e birra, soprattutto,
ma anche mercanti e cittadini comuni. La camera che l'oste diede loro
era pulita e si trovava al primo piano dell'edificio, con vista sul
porto. Marissa rimase a lungo affacciata alla finestra la strada
sottostante e il traffico di navi, che andavano e venivano. C'era un
bel clima a Waford: salmastro e umido, ma piacevolmente caldo.
Immersa
nelle sue
contemplazioni, fu con la coda dell'occhio che la ragazza
notò
qualcuno nascosto all'angolo della strada, che guardava in direzione
della sua finestra. Portava il cappuccio calato sul viso e non si
riusciva a intravederne i lineamenti.
Marissa
ebbe un tuffo al
cuore. Possibile che quell'individuo stesse proprio tenendo d'occhio
lei? Guardò rapidamente a destra e a sinistra della strada,
ma
quando focalizzò di nuovo la sua attenzione sull'angolo di
strada
fra la taverna e il vicolo, l'uomo era scomparso. Marissa si
sfregò
gli occhi: forse aveva lavorato troppo di fantasia. Che sciocca che
era! Probabilmente si trattava di un passante qualsiasi che stava
innocentemente aspettando qualcuno. E lei che aveva pensato... con
un'alzata di spalle Marissa si allontanò dalla finestra.
Siobhan
tornò qualche ora
dopo, e lei e Marissa si sedettero a tavola per la cena. Siobhan era
di umore tempestoso e non disse una parola mentre attendevano il loro
cibo. Solo quando l'oste mise loro davanti due ciotole di zuppa di
crostacei fumante, Marissa trovò il coraggio di chiedere
alla donna
come si fosse svolto l'incontro con il sindaco.
“Si
è profuso in scuse
più false del suo parrucchino untuoso, ma ha spiegato che un
recente
decreto della regina ha stabilito che tutti i viaggiatori in arrivo e
in partenza da Itul debbano essere sottoposti a una rigorosa e
attenta selezione.”
“E
perché?”
“Pare
ci siano stati degli
avvistamenti sospetti”, rispose Siobhan sorbendo una
cucchiaiata di
zuppa e accompagnandola con un pezzo di pane mezzo raffermo. “Solo
voci,
niente di più. Probabilmente qualche marinaio ubriaco o
qualche
massaia troppo credulona.”
“Cosa
hanno visto?”
insistette Marissa, colta da uno strano presentimento.
“Dei
Basorham, dicono...
ma non devi prendere sul serio tutto quello che senti,
Marissa”,
aggiunse Siobhan notando che la ragazzina era impallidita.
“E'...
è possibile?”
“Tutto
è possibile. Ma io
lo ritengo improbabile. Credo che dovremmo prendere con le pinze
qualsiasi tipo di 'voce'.”
“Avete
ottenuto i
documenti necessari alla nostra partenza?”
Improvvisamente
Marissa fu
colta da un nuovo timore: quello di non riuscire mai a lasciare Itul,
di essere condannata a veder partire Siobhan senza di lei e di essere
costretta a tornare al monastero per trascorrerci il resto dei suoi
giorni.
“Per
me non ci sono stati
problemi: non possono negare il visto a una delegata dell'Alleanza.
Ma per te è stato più difficile. Per quanto ne
sanno sei nata a
Itul, appartieni a questa terra. In più sei orfana e senza
credenziali.”
Marissa trattenne il respiro, già pronta ad
abbandonarsi alla disperazione.
“Ma
alla fine la mia
influenza ha giocato il ruolo decisivo. Probabilmente non saresti mai
potuta partire se non fossi stata con me. Ho mostrato loro il
documento firmato dalla priora Adeliz e la richiesta dell'Accademia,
e il sindaco non ha potuto fare altro che firmarmi il lasciapassare.
Non possono rischiare un incidente diplomatico”, concluse
Siobhan,
prendendo un sorso dal suo boccale di birra scura.
Marissa,
alla quale veniva
quasi da ridere per il sollievo, la imitò, sorseggiando la
sua
bevanda a base di Caeruleum, un frutto dolce dalle
sfumature
azzurre che cresceva in cespugli fra le dune delle spiagge. Data la
sua giovane età, non le era ancora permesso bere birra.
Si
sentiva leggera e felice:
Siobhan non l'avrebbe riportata indietro, l'Accademia la voleva
davvero, presto avrebbe attraversato il mare per lasciarsi alle
spalle il suo passato. In quel momento aveva del tutto dimenticato
l'incidente di quel pomeriggio.
Era
da poco passata la
mezzanotte quando Marissa si trovò intrappolata in un'altra
fitta
ragnatela di incubi. Dapprima sognò un'accecante esplosione
di luce
bianca, tanto forte che sembrava quasi accecarla. Nient'altro: solo
una porta che si apriva e poi quella forte esplosione che inondava di
bianco il suo intero campo visivo.
Poi
le immagini cambiarono e
Marissa fu trasportata in luoghi che non aveva mai visto: laghi,
montagne, fiumi, foreste... quasi sempre viste dall'alto, come in una
panoramica. Era come se riuscisse a vedere con gli occhi di qualcun
altro.
All'improvviso,
inaspettato
e inquietante, udì un richiamo. Non si trattava di una voce,
o di
parole suadenti, ma di un richiamo mentale.
Era
talmente forte che
l'attirava a sé come una calamita. Marissa sentì
gocce di sudore
imperlarle la fronte mentre cercava di resistere a quel richiamo,
sempre più potente, tanto che pareva tirarla a sé
con corde e
catene.
Senza
neanche rendersene
conto scostò le coperte e scese dal letto. Era presente, ma
era come
se il suo corpo non le rispondesse più. Dall'altra parte
della
stanza Siobhan dormiva e non si accorse di nulla. Marissa avrebbe
voluto chiamarla, chiederle aiuto per opporsi alla forza che la
trascinava con sé, ma la sua bocca non le obbediva
più, così come
il resto del suo corpo.
Ancora
scalza scese
dabbasso, nella sala da pranzo semi deserta. Nessuno le
badò. Spinse
la porta della locanda e i suoi piedi la condussero fuori in strada.
I ciottoli neri erano freddi a contatto con i suoi piedi.
Svoltò
l'angolo ritrovandosi nel vicolo adiacente alla locanda.
Davanti
a lei c'era un uomo
incappucciato, fermo in mezzo al vicolo. Marissa non riusciva a
vederlo in viso, ma per qualche strana ragione non aveva paura di
lui. Quel richiamo era dolce, rassicurante. Ma non proveniva
dall'uomo, bensì da una strana luce che egli teneva in mano
e che
l'attirava a sé.
Vieni,
sembrava
dirle, vieni
da me. Non aver paura, io e te ci conosciamo fin dal giorno in cui
sei nata.
Un
passo dopo l'altro
Marissa cominciò ad avvicinarsi alla figura incappucciata.
L'espressione sul viso dello sconosciuto si tramutò in un
ghigno di
trionfo. Era già sul punto di cantare vittoria e di
agguantare
Marissa, quando qualcosa proveniente dall'alto gli piombò
addosso
con un verso stridulo. L'uomo imprecò e cercò di
proteggersi
portando le mani al volto. L'essere che lo aveva attaccato non gli
concedeva tregua, colpendolo con graffi e morsi.
L'aria
umida era satura
degli stridii della strana creatura e delle imprecazioni sibilanti
dello sconosciuto.
Proprio
in quel momento
arrivò Siobhan tutta trafelata, strinse Marissa ancora
incosciente a
sé, e cominciò a trascinarla via.
La
figura alata lasciò
andare l'uomo, ma prima che Siobhan potesse lanciare un incantesimo,
lo sconosciuto la precedette e con poche parole sussurrate scomparve
nel nulla, e con sé la luce abbagliante.
In
quello stesso momento
Marissa si riebbe di colpo.
“Cosa
è successo?” le
gridò Siobhan scuotendola per le spalle.
“Perché sei uscita di
notte?”
“Io..
non lo so Siobhan,
devi credermi! Sognavo questa luce intensa e poi è come se
questa mi
avesse lanciato un richiamo. La luce era la stessa che quell'uomo
teneva in mano. Ti giuro, non sapevo quello che facevo... mi
dispiace!”
Marissa
scoppiò a piangere
e Siobhan tentò di rassicurarla mentre la riportava alla
taverna.
Quando
la ragazza si fu
calmata abbastanza, le raccontò tutto quello che le era
successo,
fin dal momento in cui il suo sonno agitato era cominciato.
Siobhan
rimase in silenzio
anche dopo che lei ebbe terminato il suo racconto.
Marissa
si costrinse a porre
un'unica domanda.
“Siobhan...?”
“Dimmi.”
“Cos'era
quell'essere che
mi ha salvato?”
Siobhan
sospirò prima di
rispondere. “Non lo so, era troppo buio. Non sono riuscita a
capirlo.”
***
Prima di
giungere nel territorio
delle Zarall, Dorelynn dovette affrontare un viaggio di diversi
giorni a cavallo. Era partita con altre quattro ragazze di Conne, e
presto si era sentita in colpa perché era l'unica a
possedere un
cavallo e due servi incaricati di accompagnarla e proteggerla. Con
sua madre Dorelynn aveva protestato dicendo che non era necessario,
che avrebbe preferito affrontare il viaggio da sola. Dopotutto la
presenza stessa delle Zarall al confine tra i due regni rendeva quel
percorso praticamente privo di pericoli. Ma la caparbia Catlin, per
niente entusiasta della partenza della sua unica figlia per una vita
così selvaggia, l'aveva avuta vinta almeno su quello.
Dorelynn
non ci aveva pensato più di qualche minuto prima di decidere
di
cedere la sua cavalcatura a turno alle altre ragazze, che avevano
così
tutte alternato la marcia a piedi a quella a cavallo, ringraziandola
a profusione. Tutte tranne una di loro, la figlia di un pescatore di
nome Galinthia. L'aveva ringraziata a mezza bocca, per poi squadrarla
da capo a piedi con aria scettica. Dorelynn aveva la netta sensazione
di non starle simpatica, e se ne chiese il motivo più di una
volta
nel corso del viaggio. Con le altre ragazze divise non solo la
cavalcatura, ma anche le provviste di cui sua madre l'aveva caricata,
consistenti in fragranti pagnotte di grano duro, pasticci di carne e
anguilla e frutta. Durante le notti umide nella foresta furono
apprezzate le coperte di lana che Dorelynn aveva con sé, che
scaldavano molto più delle coperte di panno possedute dalle
altre
ragazze.
Quando
giunsero alla Foresta di
Smeraldo tutte le ragazze consideravano una fortuna aver affrontato
il viaggio con Dorelynn, perché senza di lei non avevano
dubbi che
sarebbe stato molto più impervio. O almeno così
Dorelynn aveva
creduto.
Poco dopo
che ebbe salutato i servi
che l'avevano accompagnata e affidato loro il cavallo, la ragazza fu
avvicinata da Galinthia che la guardò con
severità.
Dorelynn
spalancò gli occhi di
fronte all'espressione dura della figlia del pescatore.
“Potrai
anche esserti comprata le
altre con lo sfoggio della tua ricchezza”, le disse
incrociando le
braccia sul petto, “ma non hai incantato me e di certo non
incanterai le Zarall. Ricordati che qui tu sei uguale a tutte le
altre, e se credi di sentirti superiore per i tuoi begli
abiti”, e
dicendo questo diede un colpetto sprezzante alla tunica
ricamata di Dorelynn, “, i tuoi cavalli, e tutto quello che
possiedi... bé, sei nel posto sbagliato.”
Detto
questo le voltò le spalle e
se ne andò.
Dorelynn
si morse le labbra per
evitare di rispondere a tono. Aveva decisamente cominciato con il
piede sbagliato e se non voleva peggiorare la situazione doveva
trattenere una replica aspra. Aveva sbagliato a presentarsi come la
figlia del ricco mercante, cosa si aspettava di suscitare se non
invidia e fastidio? Le altre ragazze la giudicavano sicuramente una
boriosa, un'altezzosa, pronta a sbattere loro in faccia le sue
ricchezze. E forse solo Galinthia, tra tutte, aveva avuto il coraggio
di dirle in faccia ciò che pensava.
Ebbene,
solo perché era iniziata
con il piede sbagliato non significava che dovesse anche continuare
così. Ora che aveva rimandato a casa tutti i suoi lussi,
poteva far
loro capire che non era affatto una spocchiosa viziata.
Con
questa nuova risolutezza si
incamminò dietro le altre. Una Zarall dai capelli corvini
legati in
una lunga treccia le aspettava con le mani sui fianchi.
“Benvenute”,
esordì quando le
furono tutte di fronte. “Voi dovete essere le nuove reclute.
Bene,
ora siete parte della nostra grande famiglia. Trascorrerete con noi i
vostri anni di addestramento, e se alla fine deciderete di voler
tornare alle vostre case, sappiate che nessuno vi
costringerà a
restare. Ma fino a quel momento, saremo noi la vostra famiglia. Il
mio nome è Regina e mi occuperò di voi. Venite,
vi mostro il nostro
accampamento.”
Regina
parve a Dorelynn quasi una
figura materna: dolce, gentile, rassicurante... si sarebbe aspettata
una donna dura, avvezza più alle battaglie che alla vita
sociale.
Invece l'unico segno che rivelava la natura di guerriera della Zarall
era il suo abbigliamento interamente in pelle, la cintura dalla quale
pendeva un coltello e gli stivali alti fino al ginocchio.
Regina
camminava con passo sicuro,
ma stando attenta a che nessuna delle allieve rimanesse indietro. Le
guidò fino alla radura dove erano piantata centinaia di
tende di
tela incatramata che costituivano il campo principale delle
guerriere.
Già
a colpo d'occhio Dorelynn fu
in grado di individuare diverse Zarall intente nelle esercitazioni e
nelle attività quotidiane. Come videro le cinque nuove
arrivate
però, tutte lasciarono ciò che stavano facendo
per dar loro il
benvenuto.
Dorelynn
si sentì scoppiare di
gratitudine per l'affetto che le guerriere dimostravano loro. Era
usanza che, ogniqualvolta arrivassero nuove ragazze, tutte le Zarall
mangiassero insieme intorno al fuoco, nel centro dell'accampamento, e
che le nuove arrivate potessero così parlare di loro alle
nuove
sorelle.
Tutte e
quattro le altre ragazze
raccontarono la propria storia: Valery, Brianna, Jolie e anche
Galinthia. Dorelynn temette il momento in cui le toccò
parlare di se
stessa, perché aveva realizzato che era l'unica ragazza di
ceto
sociale elevato ad essersi unita alle Zarall quell'anno. Tutte loro
erano figlie di famiglie modeste, e Dorelynn si vergognò
delle
proprie origini agiate, mentre controvoglia ne parlava.
Sentiva
su di sé lo sguardo di
tutte quante, e non sapeva se fossero sguardi amichevoli o ostili.
Finalmente
giunse l'ora di
ritirarsi. Regina accompagnò le nuove ragazze alla tenda
dove
avrebbero dormito e le informò che il loro addestramento
sarebbe
cominciato l'indomani.
Dorelynn
ne fu in qualche maniera
grata. Il giorno seguente sarebbe stato un giorno nuovo,
rifletté
mentre pian piano cedeva al sonno. E avrebbe avuto tutte le occasioni
di farsi apprezzare per ciò che era, a dispetto delle sue
origini.
Nota
dell'autrice: Ciao
a tutti!
Finalmente aggiorno dopo una vita di assenza, e chiedo scusa per
l'attesa. Spero che il capitolo vi piaccia. L'essere alato che ha
salvato Marissa avrà un ruolo importante nelle future
vicende, e
credo che già nel prossimo capitolo sarà svelata
la sua natura un
po' “particolare” ^^.
Ringrazio
tutti voi che leggete, ma soprattutto The3rdLaw che, con la sua
ultima recensione, mi ha spronata a scrivere questo capitolo.
Alla
prossima
Eilan
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