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RICERCA D I CONTATTI
Grindewald, il giorno
dopo
La festa di fine mese si era conclusa per il meglio.
La conferenza si era rivelata un successo, imprimendo vivacità, ulteriori
maggior interesse e partecipazione ai festeggiamenti da parte della cittadinanza
che ora era consapevole della novità piovuta sul loro sonnacchioso nucleo
urbano. Nella sua educata discrezione, il bel comandante alieno Al Heron aveva
ovviamente scatenato la curiosità degli abitanti i quali avrebbero volentieri
venduto i propri familiari, o parte di essi, per sapere di più su di lui ma che
dovettero ben presto accontentarsi di apprendere notizie vaghe da Annamaria e
dallo staff medico precipitatosi a riformare il cordone protettivo attorno a
lui, per lasciarlo riposare e ultimare le cure per la sua ripresa fisica
definitiva, nonché compiere ennesimi tentativi di rimettere in sesto almeno
qualche altro componente scassato del suo equipaggio.
Pur ricevendo impressione positiva, Stefano non aveva potuto fare a meno di
notare lo sguardo intenso che l'uomo aveva di tanto in tanto riservato alla sua
dolce consorte ed ora osservava Annamaria, apparentemente con altri occhi. Ma
Annamaria non aveva fatto una piega e fissava il marito con sguardo scanzonato.
"Stefano Aloisi, - lo apostrofò quella sera, soli nella loro camera da letto -
che fai, mi fai il geloso?".
Stefano si schiarì la voce cercando nel contempo di darsi un contegno
distaccato.
"Ammetterai che non gli sei antipatica" osservò.
"E chi lo nega? - riconobbe lei, senza scomporsi - Ma ti assicuro che non si va
oltre la simpatia. - Annamaria smise di parlare, si avvicinò al marito e gli
accarezzò le braccia regalandogli uno sguardo accorato - Il cuore e la mente di
quell'uomo sono per la donna che è ancora in coma sotto la tenda ad ossigeno e
che noi stiamo cercando di salvare. Per lui, io sono colei che forse la salverà.
Deve salvarla!"
"La salverete?" chiese Stefano, stavolta, parlando seriamente.
"Non morirà. - rispose Annamaria, triste - Ma non sappiamo ancora se si alzerà e
tornerà a camminare". Stefano chiuse gli occhi, sinceramente costernato per la
notizia, quindi si avvicinò ad Annamaria e la baciò senza altri indugi. Il resto
della sera e della notte furono spesi dai due nella conferma che il cuore di
Annamaria Di Gennaro era, e sarebbe stato sempre solo per Stefano Aloisi.
La mattina dopo
La mattina dopo, al suo arrivo in ospedale, un'infermiera corse verso di lei
annunciandole che Heron era entrato nella stanza della donna ricoverata ancora
al reparto terapia intensiva. Corsa sul posto, Annamaria trovò l'uomo sbirciare
la paziente attraverso la sottile breccia aperta da lui scostando i lembi della
tenda che la chiudeva nell'ambiente iperbarico. Al suo ingresso, Heron chiuse la
tenda e si voltò verso Annamaria. Lo sguardo dell'uomo provocò nella donna un
autentico moto di compassione. Gli occhi blu erano lucidi di lacrime. Avrebbe
voluto farli vedere a suo marito, ma Heron si ricompose velocemente e si mosse
verso di lei, avvicinandosi e stringendole le braccia.
"Guarirà, comandante. - le venne spontaneo rincuorarlo - Ce la faremo".
"Non c'è rimasto niente della nostra astronave, vero?" chiese Heron,
sorprendendola della domanda.
"Purtroppo no. - rispose Annamaria, avvilita, confermando la richiesta dell'uomo
- Almeno così mi è stato riferito".
Heron assunse un'espressione pensierosa e concentrata.
"Devo trovare un modo per recuperare un contatto con il mio pianeta. - annunciò
poi, con aria vagamente persa - Cosa posso usare? Cos'avete qui sul vostro?".
Annamaria si sentì completamente spiazzata. Se nel suo campo medico era
considerata, e lei stessa si considerava qualcuno, in astronomia si reputava una
nullità totale. Tuttavia, nel suo disordinato archivio della memoria, ripescò il
ricordo di aver incontrato, nel corso dei suoi studi, la notizia dell'esistenza
di telescopi da qualche parte sulla Terra. Al momento non era sicura che fosse
la soluzione ideale, ma ritenne giusto di doverlo menzionare al povero disperato
Heron che invece, a quell'informazione, si riaccese come una torcia a cui
avessero appena cambiato le batterie.
"Telescopi?" ripeté il comandante in un sussurro.
"Telescopi" confermò Annamaria, felice di vederlo cambiar colore di pelle al
viso.
"Certo! - mormorò Heron, effettivamente risollevato - Telescopi. Va benissimo.
Li abbiamo anche noi su Ariel. Servono a sondare l'universo. Con quelli abbiamo
trovato la Terra. Dove sono?".
In quel preciso momento, Annamaria non lo ricordava con esattezza, ma gli
promise di trovarli prima possibile e chiamò subito Stefano per girargli la
richiesta.
Nel suo ufficio, Stefano provò a cercarli sul computer e fortunatamente li
trovò.
Forse non facevano parte del pacchetto di cose appartenenti al passato del
pianeta, da cancellare, o già cancellate.
"Non si trovano qui, - tenne a puntualizzare Annamaria dopo aver avuto da
Stefano la risposta desiderata - ma in un altro continente, però...."
"Si possono raggiungere con un veicolo aereo" finì Heron, ora con il morale
decisamente più alto.
Al contrario, Annamaria entrò nel panico. Heron aveva già difficoltà di
respirazione a 2300 metri di altitudine, figurarsi a decine di migliaia. Era
vero che lui viaggiava nello spazio, ma in altre condizioni e glielo fece
presente. Da parte sua, Heron volle subito tranquillizzarla garantendole che si
sarebbe portato dietro la maschera ad ossigeno vista accanto al letto.
Tutto risolto. Ora andava solo trovato chi lo avrebbe accompagnato fino a
destinazione.
E qui, la sera, quando tornò a casa, Annamaria ebbe la seconda sconvolgente
sorpresa: sarebbe stato Stefano stesso a portarlo alla meta. Perché Stefano
sapeva pilotare un aereo e si offrì di buon grado a fargli da "autista".
Nel frattempo........
Area 51
"Stando a ciò che avete visto e detto, in parole povere, sulla Terra non sono
spariti tutti" asserì Forrest a fine rapporto dei due piloti appena tornati dal
volo perlustrativo.
"Esatto, signore. - confermò Hardings, sembrando fiero della scoperta e di
esserne stato l'autore assieme al collega Edwards - Non siamo rimasti in molti,
ma qualcuno ancora c'è. Solo che....".
"Quel che è rimasto della popolazione terrestre si è riunito in vasti
agglomerati urbani, sparsi per il mondo e non comunicanti fra loro. - continuò
Arnold Weaver, il giovane occhialuto - L'ultimo particolare è davvero strano.
C'è da chiedersi perché fra le popolazioni non ci sia desiderio di sapere che
altrove, sul pianeta ci sono altri esseri umani, a parte un eventuale piano di
separazione volontaria voluta da qualcuno collocato nelle alte sfere
dell'amministrazione di una di queste città stato".
"Dove pensa che sia, Weaver?" chiese Forrest.
"Non saprei. - rispose Weaver sinceramente perplesso - Per quel che ne so, può
essere dovunque. Se davvero c'è".
"Qui, in America?" domandò ancora Forrest.
Weaver aprì le braccia.
"Dovunque. - rispose serafico - Anche in un posto dove potremmo non immaginare
che siano".
Arnold Weaver, 38 anni, alto, slanciato, aria giovanile da eterno studente
universitario, vantava in effetti due lauree: psicologia comportamentale e
sociologia, ma anche lui, in quel momento, tracciando con un dito passato sul
vetro di un grosso schermo incastonato in un vasto ripiano, un grande cerchio
ideale sulla zona dell' Europa mediterranea, manifestava dubbi sulla singolare
situazione che era venuta a crearsi sul globo terrestre,
"Se non fosse così?" insistette Forrest.
"Allora dobbiamo pensare che gli eventi accaduti in passato sono stati così
sconvolgenti da togliere agli abitanti la voglia e la curiosità di sapere
dell'esistenza degli altri e di comunicare la propria, nonché di cercare
semplicemente contatti" rispose Weaver.
"Che diavolo può essere successo?" sbottò Forrest al quale questo mistero dava
quasi fastidio fisico.
"Per ora non ne ho idea. - rispose Weaver, con contenuta desolazione - Il guaio
è, - proseguì - stando sempre al rapporto dei nostri amici, - e nel dirlo,
indicò i due piloti - che i mezzi di comunicazione sono fuori uso e nessuno ha
pensato a ripristinarli, elemento questo che avvalora ulteriormente l'ipotesi di
una volontà a non comunicare".
"Bel mistero!"borbottò Forrest, contrariato, avvicinandosi poi, di colpo ad uno
dei prigionieri il quale arretrò, lievemente intimorito dall'espressione severa
del viso e degli occhi dell'uomo.
"Oltre a scaricare le vostre schifezze qui sul nostro pianeta, - lo apostrofò,
duro - quale altro motivo vi ha portato qui? E ti conviene dirlo subito se non
vuoi assaggiare i nostri sistemi di persuasione a parlare. Sono piuttosto
pesanti e convincenti". I soldati puntarono le loro armi cariche a tutta la
superficie della testa dell'individuo, che non mosse un dito.
"Nessuno, si...signore" balbettò.
"Sicuro? - incalzò Forrest - Parla" lo minacciò poi.
"Lo giuro. - si affrettò ad assicurare il poveretto - Abbiamo visto il vostro
pianeta deserto. Che motivo avremmo avuto di attaccare, muovere guerra, occupare
o conquistare un pianeta deserto e disabitato?".
"E' questo che avete visto? - chiese Forrest ridimensionando il tono minaccioso
- Non avete visto anima viva sul nostro pianeta?".
"I nostri strumenti non hanno registrato tracce biologiche. - rispose l'alieno
più tranquillizzato nel vedere Forrest meno nervoso - Non quando hanno
individuato il vostro mondo".
"Quanto tempo fa è successo? - chiese Forrest, a questo punto quasi più
incuriosito che seccato - Ricordi?".
L'alieno guardò verso il soffitto come se da esso volesse trarre ispirazione per
ricordare.
"Una decina di anni fa. - rispose poi ricordando senza trarre ulteriori
ispirazioni dal soffitto - Forse".
"Da dieci anni andate avanti e indietro dal vostro pianeta a qui per scaricare
la vostra immondizia?".
"S....s....si, signore. - rispose l'alieno tornando a balbettare - Abbiamo
occupato i satelliti. Non avevamo più spazio e non sapevamo più dove
depositarla".
"E avete trovato la Terra" seguitò Forrest recuperando l'aggressività in seguito
alla sua risposta.
"L'hanno trovata i nostri strumenti. - rispose l'uomo - Gliel' ho detto.
Sembrava deserto e disabitato".
"Signori... - richiamò l'attenzione un altro dei prigionieri appartenente al
gruppo dei malavitosi - se volete, pensiamo noi a sgombrare e ripulire tutto....
- fece una pausa studiata, ridacchiando sarcasticamente - Il servizio però...."
non riuscì a finire la frase. Forrest gli si avvicinò fulmineo e gli assestò un
violento manrovescio su una guancia facendo compiere alla testa un giro di 90
gradi. L'uomo protestò vivacemente per il colpo.
"Ne approfitteremo subito, stronzo! - digrignò poi Forrest ponendo il volto a
pochissimi centimetri dalla faccia dell'alieno e inchiodandolo con sguardo
freddo - Ma non tireremo fuori un centesimo. Servizio ripulitura completamente
gratis, hai capito, testa di cavolo?".
"Guarda che non siamo stati noi a sporcare! - ribatté l'alieno malvivente -
Anzi! Noi abbiamo cercato di impedire a loro di sbarcare qui".
"Certo! - strillò il Betano - A suon di mazzette! Se vuoi portare fin qui la
spazzatura, basta versarci cinquantamila dollari universali!".
"Facevamo del bene!" cercò di giustificarsi il malvivente.
"Basta! - urlò Forrest, infuriato. - Sgombrerete tutto completamente gratis".
"Ma dove portiamo quella roba? - si lamentò il Betano angustiato - Noi non
abbiamo più posto".
"Non ho detto che dobbiate portarla in un altro posto" replicò Forrest cambiando
atteggiamento e piegandolo verso un tono soddisfatto, pensando che già da tempo
aveva trovato un valido impiego per tutto il materiale raccolto intorno all'Area
51.
I prigionieri si scambiarono occhiate perplesse e preoccupate.
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