I
bauli vennero riempiti per la seconda volta, le navi di nuovo
caricate di armi e provviste, gli uomini allertati dell'imminente
partenza. Data la fretta della partenza Arianrhod dovette limitarsi
ad avvisare Morcant tramite un messaggero, perché non ebbe
tempo di
recarsi dal Piccolo Popolo personalmente.
Gerda
raccolse tutti i suoi abiti, la sua spada, la sua armatura, i
gioielli della regina Drott e la bambola Bron, e fece personalmente
il suo bagaglio. Da quando la data della partenza era stata fissata,
Gerda appariva cupa, triste, e Arianrhod cominciò a
domandarsene il
motivo.
Sospettava
che non fosse solo perché si era affezionata a lei e le
dispiaceva
vederla andare via, anche se questo era certamente vero.
La
mattina della partenza giunse accompagnata da una spessa bruma che
avvolse Odense, e che lasciava presagire una giornata calda e serena.
Il vento che avrebbe sospinto le navi attraverso il mare, fino in
Svezia, soffiava vivace.
Arianrhod
si stava vestendo in camera sua, con l'aiuto di Gerda, ma
inorridì
quando la serva le mise sotto il naso una tunica rossa con maniche
ampie e mantello abbinato.
“Non
metterò un vestito, Gerda”, disse decisa.
“E
cosa avete intenzione di indossare?”
“Portami
le mie brache... e una blusa. Mi serviranno anche gli
stivali.”
Gerda
sbiancò, avendo la prima vera reazione da diversi giorni a
quella
parte.
Tuttavia
non ribatté come avrebbe fatto di solito. Arianrhod
notò che si
morse la lingua, trattenendo una replica scandalizzata.
Decise
di spingerla a confidarsi.
“Ho
notato che sembra esserci qualcosa tra te e Östen...”
Seppe
di aver colto nel segno, perché due grandi chiazze rosse
comparvero
sulle guance di Gerda, mentre cercava di negare.
“No...
no, vi sbagliate. Non è così... non
c'è niente tra me e lui, ve
lo assicuro!”
“Peccato”,
disse Arianrhod con noncuranza, “perché avevo
proprio bisogno di
una persona che mi accompagnasse nel mio viaggio, e pensavo che
potessi essere tu. Ma se preferisci rimanere a Odense...”
“No!”
esclamò in fretta Gerda, prima di riuscire a fermarsi.
“Voglio
dire... no, non ci tengo a rimanere qui. Mia madre è morta,
non ho
famiglia e... e voi siete stata così buona e gentile con me.
Vorrei
davvero accompagnarvi come vostra ancella...”
Riprese
fiato dopo quel discorso sconnesso, pronunciato quasi senza prendere
fiato.
“Allora
così sarà”, disse Arianrhod.
“Sono felicissima di averti con
me. Non sei tenuta a dirmi niente, ma sappi che sei puoi rendere
felice Östen,
renderai
felice anche me. Lui è davvero un amico prezioso.”
Gerda
chinò il capo, imbarazzata, e Arianrhod non insistette
oltre. Il suo
sorriso sognante e il suo rossore le avevano già dato
conferma di
ciò che sospettava.
Gerda
tossicchiò, ancora in imbarazzo, ma trovò la
forza di cambiare
argomento.
“Volete
che vi acconci i capelli, ora?” chiese, senza poter
nascondere il
sorriso felice che ancora le incurvava le labbra.
“A
proposito di questo”, rispose Arianrhod, come parlando tra
sé e
sé, “ho deciso di no.”
“Ma
viaggerete scomoda con i capelli sciolti. So che non amate le grandi
acconciature, ma lasciate almeno che vi faccia una treccia...”
“Non
ce ne sarà bisogno”, disse Arianrhod prendendo il
pugnale che
aveva nel fodero. “Tagliali.”
Gerda
rimase a bocca aperta, totalmente inorridita.
“Mia
signora... dite sul serio? I vostri bellissimi capelli! Sarebbe un
delitto tagliarli.”
“Non
li ho mai potuti soffrire, Gerda. Era mia madre a volere che li
portassi così lunghi. Io li ho sempre trovati una
scomodità
incredibile. Vado in Svezia per combattere, non per partecipare a un
banchetto. Questi capelli mi saranno solo d'impiccio.”
Gerda
aggrottò la fronte, come cercando di ricordarsi qualcosa.
Poi si
avvicinò ad un baule, e con un'esclamazione di trionfo, ne
tirò
fuori una paio di forbici.
Le
mostrò ad Arianrhod. “Permettetemi di usare
queste. Il risultato
sarà sicuramente migliore.”
Arianrhod
annuì e si accomodò su una sedia. Gerda le si
mise alle spalle e,
con un sospiro rassegnato, cominciò a lavorare di forbici
sulla
chioma della sua signora.
Ciocca
dopo ciocca, la lunga chioma argentea di Arianrhod cadde sul
pavimento. Dopo che fu arrivata a tagliare all'altezza delle scapole,
Gerda si fermò, le forbici a mezz'aria. Le sembrava un
sacrilegio
tagliare ancora.
Ma
Arianrhod la pensava diversamente. “Continua”, la
incitò in tono
secco.
“Siete
sicura?”
“Sì.
Taglia ancora.”
Solo
quando i capelli le arrivarono alle spalle, fu soddisfatta e disse a
Gerda di fermarsi. La serva le porse uno specchio e Arianrhod si
rimirò compiaciuta. Gwenael sarebbe inorridita se l'avesse
vista in
quel momento.
Perdonami
mamma, non ero fatta per fare la moglie. Non sono come tu mi avresti
voluto.
***
Era
l’alba quando le navi della flotta attraccarono nella piccola
baia
di Sölvesborg, nel sud della Svezia. Il viaggio che avevano
intrapreso salpando dalla Danimarca era stato breve e senza
incidenti. Già nel pomeriggio, le spie mandate in
avanscoperta
tornarono con notizie fresche. Una parte dell'esercito, coloro che
avevano abbandonato Ale per unirsi ad Arianrhod, li avrebbe raggiunti
a Svängsta, a pochi giorni di cammino di distanza.
La
piccola insenatura che ospitava le loro navi si apriva sul fiordo era
silenziosa in quel sereno mattino d’estate. L’acqua
del mare
luccicava sotto i raggi del sole, gli stessi che davano una sfumatura
rosata ai picchi innevati delle montagne che si vedevano in
lontananza, sull’altro lato del fiordo. Ma lì,
dove si trovavano
loro, la neve si era già sciolta mostrando la tenera erba
fresca
puntellata qua e là da piccoli fiori. Le poche capanne del
villaggio
di Sölversborg
si
affacciavano direttamente sul fiordo. L'aria era profumata e fresca,
e Arianrhod la aspirò a pieni polmoni, estasiata.
“Benvenuta
a casa, mia regina”, disse il duca Fjölnir,
sorridendo commosso. Quell'impresa che sarebbe sembrata impossibile a
tanti, era a un passo dal suo compimento. Il cerchio si chiudeva:
aveva portato via un'erede al trono ancora bambina, e ora l'aveva
riportata a casa, ormai donna. Se il suo amico Jörundr
avesse potuto vedere quel momento ne sarebbe stato davvero felice.
L'esercito
proseguì la marcia dopo una breve pausa. Il tempismo era di
vitale
importanza.
Si
diressero verso nord, verso Uppsala, mantenendo un ritmo regolare. In
quelle lunghe ore in sella al suo cavallo Arianrhod poté
ammirare da
vicino la sua terra, le immense vallate ricoperte di boschi di
conifere, le cime innevate, i prati verdi alle pendici dei monti.
Gareth e Östen
le raccontarono di Uppsala, del suo castello e del grande tempio
adornato d'oro che ospitava le statue degli dei: Thor, con Odino, suo
padre, alla sua destra e Frigga, sua madre, alla sua sinistra. Ogni
nove anni, durante il mese di febbraio, avveniva un sacrificio
rituale. Si trattava di un rito, della durata di nove giorni, che
coinvolgeva l'intera popolazione svedese. Ogni singolo albero nel
bosco circostante era considerato sacro e depositario di enormi
poteri, e ad essi venivano appesi i nove animali vittime del
sacrificio.
“Anche
i monarchi vengono incoronati nel tempio di Uppsala”,
concluse
Gareth.
“Credo
di rammentare qualcosa”, disse Arianrhod, tentando di
riportare i
ricordi in superficie. “Qualcosa di quando ero piccola. Un
grande,
magnifico tempio dorato, e una sorta di cerimonia...”
“Ricordi
altro?” chiese Gareth
“Arianrhod
scosse la testa, desolata. “No, mi pare di no. Sono
più delle
immagini senza un filo conduttore. Avrò avuto forse tre o
quattro
anni.”
“Si
tengono altre cerimonie al tempio?” chiese Ragnhild,
interessata.
“Tre
volte l'anno vi si svolge il Blót”,
rispose Östen,
“che significa “rafforzare”. Lo scopo
della cerimonia è
proprio quello di rafforzare il potere degli dei tramite il rituale.
La carne degli animali sacrificati viene bollita, e poi condivisa con
tutti i presenti, che banchettano insieme. Anche le bevande sono
benedette e consacrate dai sacerdoti, i goði,
offrono
la bevanda consacrata a Frigga se è un blót
di primavera o
autunno, e a
Odino, se è un blót
d'estate.”
“Quando
al rito partecipa anche il re, è l'Arcidruido stesso a
officiarlo”,
aggiunse Gareth, “e invece della solita birra, viene
importato
addirittura del vino per l'occasione.”
“Voi
vi avete mai partecipato?”, chiese Hrolf.
“Una
volta, quando ero piccolo”, rispose Östen.
“Lì vidi tuo padre, Arianrhod. E l'Arcidruido
Sveigder.”
“Abbiamo
un rito simile in Danimarca”, disse Hrolf. “Viene
usato per
chiedere fertilità e prosperità per la nostra
terra.”
“Anche
qui. La preghiera che recitiamo è til
árs ok friðar, che
significa “per un anno fausto e pacifico”.
Preghiamo per la
nostra salute, la fertilità della terra, per una vita
serena, e per
la pace e l'armonia fra il popolo e gli dei.”
“E
i cristiani che vivono qui in Svezia? Sono obbligati a partecipare ai
riti?”, chiese Arianrhod.
“Quando
al potere c'era Jörundr
erano liberi di seguire la loro fede, senza temere persecuzioni. Ora,
con Ale, se vogliono essere esentati dalle cerimonie a Uppsala devono
pagare un pesante tributo”, spiegò Östen.
“Anche
tu sarai incoronata lì, Arianrhod”,
esclamò Ragnhild. “Ci
pensi?”
“Dove
è stato incoronato tuo padre”, aggiunse Gareth,
“tuo nonno, e
tutti i tuoi avi prima di te.”
Ma
Arianrhod non stava più ascoltando. Pensava a come avrebbe
cambiato
le cose una volta che fosse stata regina.
***
La
cosa che preoccupava maggiormente Fjölnir
e i suoi comandanti era la necessità di localizzare i
ribelli il
prima possibile, ma senza indicazioni su dove si trovasse il loro
rifugio l'impresa si presentava davvero difficile. Le spie della
Guardia Bianca inviavano regolarmente notizie sui movimenti delle
truppe di Ale, ma ancora non erano riusciti a scoprire niente sui
ribelli e sulla loro ubicazione. Sembrava impossibile stabilire un
contatto con loro.
Fu
quindi con grande stupore di tutti che, il giorno seguente, un uomo
si presentò ai comandanti dell'esercito, dicendo di essere
stato
mandato da Hogne, il capo dei ribelli.
“Lo
abbiamo già controllato, non ha armi addosso”,
disse Walbur
conducendo l'uomo davanti ad Arianrhod.
La
principessa notò che era spaventato, e non poteva
biasimarlo. Il
rischio di essere considerato una spia era concreto. In tempi come
quelli il lusso di potersi fidare senza prove era impensabile.
“Come
ti chiami?”
“Erling,
mia regina. Mi manda Hogne, vi sta cercando.”
“Perché
non è venuto di persona?” lo sfidò
Vanlande. Era ovviamente una
provocazione: tutti i presenti conoscevano la risposta, perfino
Domaldr.
“Non
osa esporsi così tanto, non ancora. La nostra sopravvivenza
dipende
dal mantenere segreta l'ubicazione del nostro rifugio. Solo questo ci
ha permesso di sopravvivere fino ad oggi.”
“Cosa
propone il tuo capo?”, chiese il duca Fjolnir.
“Un
incontro, in un posto sicuro. Vi condurrò io.”
Arianrhod
guardò i suoi comandanti. “Non possiamo spostare
tutto l'esercito,
non nel bosco... dovremo selezionare un piccolo gruppo.
Andrò io,
Gareth, Östen,
Walbur, e una
scorta. Tutti gli altri resteranno con il grosso dell'esercito.
“Credete
sia prudente?” interloquì Fjölnir.
“Non
abbiamo altra scelta.”
“Forse
sarebbe meglio se tu restassi qui”, disse Gareth.
“No.”
Tutte
le teste si voltarono verso Erling, che aveva espresso
quell'obiezione.
“Il
mio capo vuole incontrare la regina” spiegò,
“prima di concedere
la sua alleanza.”
Arianrhod
riportò lo sguardo sul viso dubbioso di Gareth.
“Non abbiamo altra
scelta.”
Arianrhod
montò sul suo cavallo, tra i saluti di Ragnhild e le
raccomandazioni
di Gerda, che rimasero con il resto dell'esercito. Hrolf si
offrì di
accompagnarla, ma Arianrhod gli chiese di occuparsi della situazione
lì, e notò l'espressione di sollievo sul viso di
Ragnhild quando lo
disse. La sua amica odiava essere separata da Hrolf, proprio come lei
odiava essere separata da Gareth.
Il
piccolo drappello di soldati si inoltrò nel bosco, seguendo
Erling
in testa al corteo, in quel mite pomeriggio. Gareth cavalcava
accanto a Östen,
gli davano
le spalle Arianrhod e Walbur, che parlavano tra di loro.
Il
silenzio del bosco che li circondava gli sembrava opprimente, tetro.
Come il triste presagio di qualcosa di spiacevole.
“Ehi,
cos'hai?” gli chiese Östen
strappandolo alle sue riflessioni. “Sei più cupo
di un temporale.”
“Scusami,
è che ho una strana sensazione. Non mi convince
quell'Erling...”
“Ne
sei sicuro?”
“No,
è questo il guaio”, sospirò Gareth,
alzando le spalle. “E' solo
una sensazione.”
Tutto
sembrava tranquillo intorno a loro, niente più del
cinguettio degli
uccelli, dello scalpiccio degli zoccoli dei cavalli e del vociare
sommesso dei soldati che parlavano tra loro.
Eppure
Gareth sentiva che qualcosa non andava. Gettò un'occhiata
all'uomo
che li guidava, il sedicente membro dei ribelli. E con sua grande
sorpresa, proprio in quell'attimo l'uomo guardò alla sua
sinistra,
verso il folto degli alberi. Il tutto si svolse nell'arco di pochi
secondi, ma per Gareth il tempo sembrò contrarsi a
dismisura. Guardò
anche lui nelle stessa direzione e vide ciò che Erling aveva
visto.
Vide coloro a cui stava dando un segnale. Gareth capì ogni
cosa;
comprese che aveva avuto ragione a diffidare e che erano caduti
dritti in una trappola. Ma era troppo tardi per fare qualsiasi cosa.
Un'orda
di uomini a cavallo uscì allo scoperto lanciando grida
selvagge. Non
erano molti, ma abbastanza da restare nascosti nell'ombra in attesa
del momento propizio; abbastanza da avere la meglio sul loro
drappello.
Prima
che chiunque potesse avere una qualsiasi reazione, si schiantarono
contro il fianco della loro colonna, mandando nella polvere uomini e
cavalli.
Gareth
udì le grida di coloro che erano rimasti schiacciati sotto
il
proprio cavallo, le grida di coloro che venivano finiti con le lame,
e sentì l'improvviso, familiare e pungente odore del sangue.
Con
la spada in pugno si preparò a difendersi:
affondò la lama nello
stomaco del primo uomo che cercò di disarcionarlo e,
miracolosamente, riuscì a rimanere in sella.
Quando
ritirò la lama lorda di sangue, notò che Östen
non era stato altrettanto fortunato. Era caduto a terra ed era stato
ferito al braccio; era costretto a impugnare la spada con la sinistra
e cercava valorosamente di parare i colpi che il suo avversario gli
indirizzava con un'ascia.
Gareth
saltò a terra e menò un fendente diretto alla
schiena del
guerriero, che cadde a terra con un urlo lacerante. Il suo sangue
zampillò macchiando il volto e la casacca di Gareth.
“Stai
bene?” quasi gridò ad Östen
per superare il clamore della battaglia.
Östen
annuì, tenendosi stretto il braccio con la mano.
“Non è grave. Ti
devo la vita, amico mio. Vai da Arianrhod adesso!”
Gareth
esitò. “Non posso lasciarti qui
così...”
“Vai,
ho detto! La sua vita è più importante della
mia.”
Per
quanto avrebbe voluto correre da lei, Gareth non avrebbe mai lasciato
l'amico a morire. Schivando un altro attacco, e colpendo a sua volta
l'avversario alla gola, recuperò il suo cavallo afferrandolo
per le
briglie. Aiutò Östen
a salire e poi montò a sua volta. Spronò il
cavallo in avanti,
travolgendo due guerrieri nemici che finirono schiacciati sotto gli
zoccoli. Le loro grida di dolore e il rumore delle ossa rotte
arrivarono ovattate alle orecchie di Gareth.
Frenò
il cavallo solo quando raggiunse la testa della colonna. Solo allora
si accorse che i nemici si stavano ritirando, e se ne chiese il
motivo.
Gli
fu chiaro quando vide Walbur a terra, sporco di fango e sangue
rappreso. Gareth si chinò su di lui e constatò
con sollievo che il
sangue non apparteneva al comandante. Cercò di aiutarlo ad
alzarsi,
ma Walbur ricadde all'indietro con un gemito di dolore.
Östen,
che era riuscito a scendere dal cavallo utilizzando l'unico braccio
sano, si accovacciò accanto all'amico e, con uno sguardo
significativo, sollevò la cotta di maglia del comandante.
Gareth
imprecò quando vide lo squarcio che gli attraversava il
ventre. Era
profondo, e i due cavalieri si resero subito conto che era molto
grave.
“L'hanno
presa”, mormorò Walbur, con un filo di voce.
Gareth
sentì il sudore ghiacciarglisi addosso a quelle parole. Östen
era sbiancato, e non solo per il sangue che aveva perso.
“Dove
l'hanno portata?”
“Non
lo so, si sono allontanati in quella direzione. Quell'uomo non era
ciò che diceva di essere.”
Gareth
strinse i pugni dalla rabbia. “Ci hanno ingannati! E noi
abbiamo
fatto il loro gioco!”
Östen
cercò di tamponare la ferita di Walbur con le mani, ma il
sangue
continuava a sgorgare copioso.
“Ho
fallito il compito al quale avevo votato la mia vita”, disse
il
moribondo in un sussurro. “Credo che stasera sarò
accolto
nell'Helheim.”*
Un
amaro sorriso gli si dipinse sul volto, sempre più terreo.
Infine
Gareth sentì la testa dell'uomo, che teneva sollevata,
accasciarsi
inerme sul suo braccio.
“Sei
morto da eroe, cercando di difendere la tua sovrana”, disse Östen,
chiudendo gli occhi del morto con la mano sinistra. “Sono
sicuro
che stasera sarai accolto da Bragi, nel Valhalla.”**
***
Arianrhod
riprese coscienza lentamente. Un dolore sordo gli pulsava nelle
tempie. Si sfiorò la testa con un dito e lo ritrasse subito
con una
smorfia di dolore.
Ricordò
di essere stata colpita alla testa, aveva perso conoscenza e ora
sentiva dolore ovunque. Era seduta sul pavimento in pietra di una
stanza in penombra. L'unico arredamento era un vecchio letto tarlato,
un catino con un po' d'acqua e un pitale.
Cercò
di mettersi in piedi, ma ricadde seduta con un gemito. Cosa diavolo
le avevano fatto? L'avevano messa fuori gioco con una botta in testa,
ma forse la cavalcata forsennata con la quale l'avevano portata in
quel posto l'aveva lasciata contusa.
Con
uno sforzo riuscì a mettersi a sedere sul letto e,
allungando le
mani fino ad immergerle nel catino, cercò di lavarsi via la
terra,
il fango e il sangue dalle mani e dal viso.
Per
tutto il tempo si diede della stupida per essersi lasciata aggirare
in quel modo. E si torturava non sapendo se Gareth e Östen
stessero bene. Si consolò pensando che almeno Ragnhild e
Gerda erano
rimaste al sicuro con l'esercito.
Aveva
una forte nausea, ma non seppe dire se fosse dovuta al colpo in testa
che aveva ricevuto o fosse una conseguenza della gravidanza.
Il
sole stava quasi per tramontare: Arianrhod se ne accorse dai raggi
rossastri che penetravano dalla feritoia della stanza.
Sentì
dei passi nel corridoio, e il rumore del chiavistello che girava. La
porta cigolò sui cardini quando venne aperta.
Quando
vide l'uomo che era entrato nella stanza, Arianrhod trattenne un
grido.
Conosceva
molto bene quell'uomo. Lo aveva conosciuto fin da quando erano
entrambi due bambini, al villaggio.
“Buonasera,
mia adorata”, disse Owainn con un ghigno.
*Helheim
è il livello più basso dell'oltretomba norreno,
una landa desolata,
battuta dal vento e dalle piogge. È popolato dalle ombre
delle
persone macchiatesi di colpe gravi, come omicidi e tradimenti, ma
anche di coloro che sono morti senza gloria, da codardi.
**Il
Valhalla è il terzo livello dell'oltretomba, dopo l'Helheim
e
l'intermedio Nilflheimer. E' uno dei palazzi di Asgard e residenza
degli eroi morti gloriosamente in battaglia. Bragi è il dio,
braccio
destro di Odino, che accoglie le anime in questo regno.
Nota
dell'autrice: Ciao
a tutti!
Per
questo capitolo volevo innanzitutto dare un paio di cenni. Prima di
tutto sul Tempio di Uppsala: si tratta di un tempio realmente
esistito che si trovava appunto a Gamla Uppsala (ovvero Uppsala
vecchia), la capitale e centro del potere della dinastia degli
Yngling, tant'è che le
più antiche fonti scandinave come la
Yngling saga
e la Gutasaga
si riferiscono ai sovrani di Svezia come "Re a Uppsala". I
riti che ho descritto avevano davvero luogo in questo pregevole
tempio, dalle decorazioni d'oro e adornato con statue dei principali
dei norreni. È altresì storicamente vero che i re
svedesi venivano
incoronati qui e che vi avevano luogo i riti da me descritti.
Purtroppo il tempio fu distrutto nel XI secolo per mano dei cristiani
che erano ormai divenuti detentori la religione principale del paese.
Diverse fonti parlano del tempio di Uppsala, ma le più
importanti
sono le "Gesta
Danorum"
di Saxo Grammaticus, uno storico tedesco del XI secolo, e le "Gesta
Hammaburgensis Ecclesiae Pontificum"
di Adamo di Brema, uno storico e teologo tedesco vissuto sempre
nell'XI secolo.
Poi
ovviamente sulla rivelazione del capitolo: l'identità del
traditore.
Alcuni di voi lo avevano già intuito! :) Nel prossimo
capitolo
spiegherò un po' più in dettaglio i motivi di
questo figlio di
ballerina di Owainn.
Grazie
a tutti voi che leggete e recensite! You are my strenght! ^.^
Baci
Eilan
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