Snowman pt.2 html
Snowy Night—Second
Era tornato. Len era di nuovo in
quel piazzale dopo aver litigato nuovamente con la madre
perché quel
giorno era tornato a casa prima, verso l’ora di pranzo,
saltando
tutte le lezioni del pomeriggio.
Il ragazzino aveva detto
all’insegnate di non sentirsi bene e che aveva bisogno di
tornare a
casa; era stato trattenuto per un paio d’ore in infermeria,
evitando in tutti i modi che l’infermiera della scuola lo
toccasse
e verificasse che stesse realmente bene: quasi si era barricato
dietro alla tendina che separava il letto dalla scrivania della donna
per evitare che questa gli si avvicinasse e gli parlasse.
Len non aveva mai smesso di pensare
alla notte precedente e continuava a chiedersi se quel
Fukase
fosse reale, ma non poteva credere nella sua esistenza: insomma, quel
ragazzino aveva un occhio che pareva fatto di plastica! Oppure non
voleva crederci perché, davvero, tutto quello che era
successo, le
sue movenze, persino il suo modo di parlare esulava da qualsiasi cosa
umana. Nessuno avrebbe mai potuto credere a Len, se
questo
avesse deciso di raccontare a qualcuno di quello strano incontro.
Un ragazzo dalla pelle quasi bianca
e i capelli rossi, con in testa un secchiello da mare e un rastrello
di plastica a fargli da mano destra non poteva essere reale. Poteva
essere l’invenzione di uno scrittore, di un mangaka o di
chiunque
altro avesse una fervida immaginazione, ma Len sapeva di non avere
chissà quale spiccata vena artistica da poter creare un
personaggio
particolare come Fukase. Eppure, quello stesso Fukase pareva
conoscere Len molto più di quanto lui avesse fatto intendere
dopo
quella sua figuraccia, in cui il suo sedere era rimasto per quasi
troppo tempo nella neve fresca.
Il giovane si era seduto di nuovo su
quella panchina da cui tutta quell’assurdità era
partita, mentre
attorno a sé mamme e bambini giocavano attorno a quel
pupazzo che
lui stesso aveva costruito la notte prima. Nessuno pareva volersi
avvicinare, nessuno lo aveva toccato o aveva rivendicato quel
secchiello divenuto di stoffa la notte precedente, per poi continuare
ad essere di plastica di fronte agli occhi dei comuni
mortali.
Len doveva in qualche modo sentirsi
speciale per quello che gli era stato concesso e non capiva come
potesse essere possibile quello: il suo pupazzo lo
fissava
alla luce di quel Sole calante di dicembre, sul volto tondo e bianco
quella fila di sassolini a disegnare un sorrisetto quasi malizioso.
Di fronte a quel volto che lui aveva creato, non riusciva a capire da
dove fossero usciti fuori quei particolari del vero
volto di
Fukase: lo aveva notato, nonostante fosse terrorizzato da
quell’occhio rosso, che fosse un ragazzo carino,
dall’aria
piacevole. Certo, era inquietante, ma aveva trovato quei lineamenti
belli, quasi affascinanti e magnetici. E tutte quelle piccole
caratteristiche che lui aveva messo sul volto del pupazzo erano
rimaste sul viso di Fukase: quei pezzetti di nastro adesivo che Len
aveva messo sulla neve erano rimasti sul suo viso, un’altra
forte
nota di colore su quel volto bianchissimo.
«Se avessi avuto due bottoni neri,
magari a questo punto non sarebbe stato così tanto
inquietante…»
disse in uno sbuffo di condensa, con la strana consapevolezza di star
iniziando a credere per davvero nell’esistenza di Fukase. Len
si
era ritrovato a pensare a lui tutto il giorno, chiedendosi cosa
avesse fatto per tutto il tempo, se quella sua immobilità
fosse
dovuta alla presenza di altre persone che non
fossero Len o
se, molto semplicemente, se ne fosse stato immobile così
come
sarebbe dovuto essere normale per un pupazzo di neve.
Len tornò a fissare quella versione
inanimata di Fukase e notò che parte della neve che
componeva il
corpo era stata spostata, da una parte sciolta, dal Sole e dai
bambini che giocavano con la neve. Un pensiero strano gli
attraversò
la mente e si chiese se magari quegli abiti stracciati fossero dovuti
alla sua poca dimestichezza con la scultura, magari perché
non aveva
prestato tutta quell’attenzione per far sì che il
suo corpo fosse
ben levigato e liscio. Insomma, se il suo viso e la sua mano avevano
quelle due caratteristiche tanto peculiari, la sua supposizione
poteva anche essere vera.
Len si alzò e andò verso il
pupazzo, cercando di trovare della neve che non presentasse tracce di
sporco a causa di tutti i bambini che erano venuti a giocare: se
davvero quel problema con i suoi abiti fosse stato provocato dalla
sua poca cura, allora tanto valeva cercare di sistemare il pasticcio
fatto la notte prima.
«E se cambiassi quel maledetto
occhio rosso? E quella mano?» si chiese, il labbro inferiore
stretto
tra i denti in un’espressione perplessa. Ma poteva davvero
farlo?
Insomma, finché si trattava di sistemare quelli che potevano
essere
i suoi abiti non sembravano esserci problemi, ma toccare il suo volto
e modificarlo a suo piacimento! Len sentì un brivido
percorrerlo
dalle dita dei piedi fino alla punta dei capelli biondi, come se si
sentisse di nuovo osservato da quel ragazzo di neve. Scosse la testa
per togliersi di torno quella brutta sensazione, poi allungò
una
mano verso il piccolo rastrello rosso. Parve normale, di comunissima
plastica, ma quando fece per tirarla via, ebbe come
l’impressione
che questa si muovesse e cercasse di allontanarsi dalla sua presa.
Il gesto fu così concreto che Len
credette per davvero a quello che era successo la notte prima, ma la
sua parte più razionale non voleva ancora darla vinta a
quell’assurdità partorita dalla sua mente sul
punto di un
tracollo.
«Ok, non vuoi che ti tocchi! Ho
capito l’antifona!» disse Len alzando le braccia,
rassegnandosi
agli strani giochetti a cui lo stava sottoponendo la sua mente,
perciò tornò al suo posto e continuò a
rimanere con lo sguardo
fisso su quel pupazzo, posizionato proprio sotto ai raggi del Sole.
Rispetto alla notte precedente, quel
giorno pareva anche fare leggermente più caldo, la neve che
c’era
per terra non era poi molta, ma poi un’altra domanda sorse
spontanea nella sua mente: cosa ne sarebbe stato di Fukase se avesse
smesso di nevicare? Nel suo paesino era normale che nevicasse, ma
questa non durava mai più di una settimana perché
finiva per
sciogliersi in poco tempo, tra sbalzi di temperatura non da poco e i
soliti spazzaneve. Quindi cosa sarebbe successo a quel dono
dell’Inverno, come si era chiamato Fukase
stesso, se la neve
si fosse sciolta tutta? Per quello che poteva saperne Len, poteva
solo aspettare di nuovo che quel pupazzo si animasse e gli parlasse
di nuovo. O meglio, sarebbe rimasto seduto ad aspettare che Fukase si
ripresentasse, in modo da capire se quello che era successo potesse
essere per davvero reale. Se poi non fosse successo nulla, Len
avrebbe potuto finalmente metterci una pietra sopra e dare una
spiegazione più logica a quello che aveva provato,
catalogando tutto
sotto la voce “allucinazione”.
Eppure c’era qualcosa di
affascinante in quella storia, perché era certo di essere
tornato a
casa quasi alle tre di notte, non aveva sognato di aver confidato a
quel ragazzo tante di quelle cose che nessuno nemmeno sospettava, era
certo di avere i vestiti bagnati impregnati di acqua e ghiaccio. In
più era tornato a casa senza la sua sciarpa, quella era
ancora là
al collo di Fukase.
«So perché sono qui…
È perché
quel coso mi impedisce di pensare alla mamma, alle bugie che le dico
per non farla arrabbiare. Però tanto lei lo capisce subito
se
mento…»
E di nuovo, Len ripensò a quello
che gli aveva detto il pupazzo, mentre le sue mani premevano sulle
sue guance. Lui sapeva che tipo di persona fosse Len, che tipo di
studente era e che cosa stesse passando. Glielo aveva fatto intendere
con quello sguardo quasi agghiacciante.
«Ha detto di essere in grado di
scacciare le tenebre che mi affliggono… Lui la fa facile, ma
come
può conoscermi così a fondo?»
ripeté per l’ennesima volta.
Quella domanda continuava a ronzargli in testa, infastidendolo come
fosse una zanzara d’estate. Eppure gli aveva creduto, gli
aveva
raccontato davvero tanto, ma solo in quel momento, dopo essere
tornato, si era reso conto del fatto che quella sua confessione era
composta da tutti i suoi pensieri mentre lo costruiva. Se davvero
Fukase aveva sentito quelle sensazioni, il momento della sua
creazione avrebbe dovuto rappresentare un qualche tipo di legame
inscindibile tra i due.
Len si passò una mano tra i
capelli, arruffando quella chioma già di per sé
indomabile,
chiedendosi da dove avesse tirato fuori un discorso tanto assurdo su
un legame di quel tipo. Il destino non esisteva, era quello che si
era sempre detto, e credeva che ogni cosa accadesse in base alle
decisioni fatte nella vita: Fukase non era stato una decisione, era
stato un modo per ammazzare il tempo e se davvero il destino fosse
esistito sul serio, allora aveva deciso di tirargli uno strano tiro
mancino.
Tornò a fissare quel pupazzo e gli
fece una linguaccia, sperando che questo, magari, rispondesse e si
facesse vedere, ma ovviamente tutto ciò non sarebbe successo
di
fronte alle persone normali, che dall’Inverno
non avevano
ottenuto nessun tipo di dono. Avrebbe voluto chiamarlo e intimargli
di farsi vedere ma, dopotutto, lui era già là,
sotto gli occhi
delle persone comuni.
Un bambino corse velocemente accanto
al pupazzo, un’altra lo rincorreva con una palla di neve in
mano,
per poi colpire la testa di Fukase; Len ebbe una brutta sensazione e
strizzò gli occhi per vedere i danni fatti: il sorriso di
sassolini
aveva finito per piegarsi di lato, dando a quel pupazzo
un’espressione interrogativa. Len cercò di
trattenere una risata,
quella faccia non s'addiceva al ragazzo che aveva conosciuto la sera
prima, tanto che decise di lasciarlo in quelle condizioni per vedere
poi come si sarebbe trasformato il suo volto. Non lo avrebbe di certo
cambiato lui, ma se qualcun altro lo faceva al posto suo, il ragazzo
poteva stare tranquillo.
Attese per ore, senza che nulla
accadesse. Si era mosso giusto un paio di volte per sistemare il
corpo del suo pupazzo e per riscaldare il suo; ogni tanto se ne
andava fino al bar dall’altra parte della strada e si
prendeva
qualcosa di caldo da bere, senza mai distogliere lo sguardo dal
pupazzo in mezzo alla piazzetta.
Quel locale era il posto preferito
da Len e dai suoi amici, ci avevano passato spesso interi pomeriggi a
chiacchierare e a scherzare: avevano addirittura fatto amicizia con i
proprietari, ma da quando sua madre si era ammalata, Len aveva
iniziato a non sopportare più nemmeno quel luogo.
Non aveva tempo per nessuno, nemmeno
per quei due ragazzi che conosceva da anni e a cui voleva un bene
dell’anima, ma aveva davvero troppe cose a cui pensare. Non
solo la
madre era cambiata, ma i suoi amici avevano detto che anche lo stesso
Len non era più quello di una volta: se prima il giovane era
un
ragazzo pieno di vita e dalla grande forza di volontà, da
qualche
tempo appariva come una persona fredda, apatica e scorbutica. Il suo
peggioramento era dovuto a quel morbo, il comportamento della madre
si era riflesso nelle sue azioni e nel suo carattere, che aveva
assorbito tutta quell’energia negativa che lo faceva sentire
una
persona orrenda. Si portò nuovamente la tazza alle labbra e
fissò
Fukase dalla vetrina del bar, mentre i bambini ancora gli correvano
attorno.
Len non vedeva l’ora che la piazza
si liberasse, che l’intero paesino andasse a dormire,
perché era
davvero troppo curioso di sapere cosa sarebbe successo, un
po’ per
semplice divertimento, un po’ per curiosità, un
po’ per quel
senso di benessere che gli aveva fatto provare il pupazzo.
«Ma dovrei essere a casa a fare i
compiti… Dovrei cercare di aiutare la
mamma…»
E di nuovo Len venne investito da
quel senso di inutilità che lo aveva accompagnato per tutti
quei
mesi, per poi venir soppresso dal suo senso di apatia tanto pesante
da lasciarlo senza forze. Era stufo della situazione, era stanco di
doversi mettere da parte e dover guardare la madre stare male senza
che lui potesse muovere un dito.
E se Fukase, o qualsiasi cosa lui
fosse, poteva aiutarlo a rendere la sua vita un pochino più
sopportabile, allora avrebbe aspettato, anche a costo di rimanere
sotto la neve per tutta la notte.
*****
Alla fine, anche Fukase si
ripresentò. Len aveva notato il cambiamento nel suo corpo, i
suoi
vestiti avevano un aspetto decisamente migliore, anche se leggermente
più sporco. Si notava la neve appena appena macchiata, non
era più
candido come la notte precedente ma in questo modo riuscì a
dare
conferma alla sua piccola tesi, secondo il quale qualsiasi cosa fosse
accaduta al pupazzo questa si ripercuoteva su Fukase.
Il giovane di neve camminava in
tondo per la piazza, con un atteggiamento molto meno giocoso rispetto
a quando Len lo aveva conosciuto, ma sul viso continuava a mantenere
quello stesso sorriso, senza mai smettere di guardare il suo
creatore. Camminava con il bastone da passeggio in bilico sulle mani,
quella rossa di plastica a tamburellare sulla superficie in legno,
mentre sul volto si alternava quello strano cipiglio a metà
tra il
divertito e il perplesso.
«Che hai?» chiese Len, che lo
seguiva a pochi passi di distanza mentre questo girava attorno alla
sua postazione da uomo di neve. Il ragazzino non sapeva se essere
divertito dalla faccia di Fukase, da una parte ne era intimorito, ma
di paura non ne aveva mai avuta. Il pupazzo inclinò la testa
di lato
e fece un balzo, allontanandosi da Len per poi atterrare sulla
panchina preferita del ragazzo.
«Non ti è venuto in mente di
sistemarmi la faccia?»
«Eh?»
«Mi hai sistemato i vestiti! Potevi
anche darmi un’aggiustata, dopo che quella ragazzina mi ha
tirato
una palla di neve in faccia! Mi sento tutto
scombussolato…»
«Ma tu hai allontanato la mano,
volevo mettertene una normale! Quella mi mette
ansia…»
«Ma a me piace! Non ti azzardare a
togliermi il mio occhietto rosso! E la mia mano!» disse,
tirando
fuori il labbro inferiore e assumendo un’espressione a
metà tra il
sarcastico e l’imbronciato.
Len piegò la testa di lato e fissò
intensamente quel volto bianco e rosso, sbirciando cosa potesse
combinare quel ragazzo sotto al suo cappello a cilindro. Fukase
teneva lo sguardo leggermente abbassato, un sorrisetto strano a
incresparli le labbra: Len non riusciva infatti a vedere il suo
volto, perciò corse nella sua direzione. Il ragazzino era
incuriosito dall’improvvisa calma di quel giovane che si era
intromesso nella sua vita come una bufera di neve, senza nessun
preavviso.
E quando Len fu abbastanza vicino,
il movimento repentino di Fukase quasi lo vece finire con le gambe
all’aria, poi il suo bastone iniziò a picchiettare
sulla chioma
bionda del ragazzino.
«Che diavolo ti prende? Mi hai
fatto venire un colpo!»
Fukase ridacchiò e saltò
giù
dalla panchina, per poi mettersi davanti a Len e spingerlo per terra,
nella neve, con entrambe le mani che poi rimasero per aria. Aveva
ancora quell’espressione strana in volto, poi questo si
contrasse
in un sorriso a trentadue denti mentre fissava il suo creatore di
nuovo col sedere surgelato. Parve improvvisamente tornare quello
della sera precedente, infatti iniziò a girare attorno a Len
roteando il suo bastone, poi si chinò dietro al ragazzo e
poggiò le
mani sulle sue spalle.
Len non capiva dove volesse andare a
parare, non aveva detto poi molto quando aveva preso di nuovo vita da
quel pupazzo; eppure non ebbe il tempo di pensarci che qualche fiocco
iniziò a cadere di nuovo dal cielo, ma in un modo che Len
non aveva
mai visto. Attorno a sé il suo paesino già
dormiva, pareva essere
tutto immobile, tanto che nemmeno il vento soffiava più, ma
sulle
strade non vi era neve: sembrava che questa non arrivasse nemmeno
sulle vie, ma si concentrasse solo su quella piazzetta circolare,
solo per quelle due anime ancora sveglie in quella notte
d’inverno.
Len rimase incantato da quella vista, era come se fosse stato messo
dentro una di quelle palle con la neve finta, in una specie di bolla
di pace in cui c’erano solo lui e Fukase.
«È opera tua? Puoi anche far
nevicare?»
Fukase rise e avvicinò il volto a
quello di Len, soffiando sul suo orecchio un fiato gelido dai suoi
polmoni di ghiaccio; la vicinanza fu quasi imbarazzante, il ragazzo
non aveva mai avuto nessuno così vicino, tanto che le sue
guance si
tinsero di un rosso peperone, che però svanì
appena sentì la presa
della mano di plastica farsi leggermente più stretta.
«Io posso fare un sacco di cose,
mio caro!» disse il pupazzo, per poi mostrare i denti bianchi
come
la sua neve. Quella fu l’ultima cosa che
Len vide, perché
si ritrovò poi sommerso da un morbido cumulo di cristalli
bianchi.
Fukase rise di nuovo e si allontanò,
lasciando Len sdraiato a terra senza capirne il motivo; non ci volle
molto che il ragazzino si rimise in piedi, scrollandosi il gelo di
dosso nonostante qualche fiocco si fosse insinuato nel colletto del
suo maglione.
«Questo significa guerra!»
urlò
Len, senza pensare al fatto che la sua voce tanto gioiosa potesse
svegliare l’intero vicinato: non gli importava di farsi
sentire,
nessuno aveva importanza in quel momento, doveva solo farla pagare a
Fukase per quel suo gesto e, per quanto ne sapeva, fu davvero come
trovarsi in uno di quei souvenir con la neve finta.
Len si chinò a prendere una
manciata di quel morbido cumulo in cui era stato gettato, ma non ebbe
nemmeno il tempo di formare una pallina che venne colpito in faccia
dal suo pupazzo. Fukase continuava a ridere con quella sua risata
cristallina, rilassante, poi nella sua mano si formò
un’altra
sferetta candida, delle stesse dimensioni di una pallina da tennis;
continuava a farla saltare nel palmo rosso, continuando a
sbeffeggiarsi di Len con quel suo viso tanto particolare. La sfera
saltava e roteava come avrebbe fatto un pallone da basket, tra le
dita di Fukase pareva avere tutta un’altra fisica, come se
anche le
leggi della gravità e della scienza non potessero nulla
contro quel
dono dell’Inverno.
Il ragazzino cercò quindi di
evitare l’ennesimo proiettile bianco, ma Len non aveva
possibilità
di vincere contro Fukase. Per quanto corresse per la piazza, per
quanto cercasse di evitare i suoi colpi, sapeva di non poter vincere
una battaglia a palle di neve con un pupazzo venuto fuori da
chissà
dove, composto per il 99% da cristalli di ghiaccio: lui aveva dalla
sua parte il potere dell’Inverno, del suo
padrone magico che
lo aveva portato alla vita, quindi era ovvio che, qualsiasi gioco
comprendesse un loro elemento, Len non aveva
possibilità di
vittoria.
Ma nonostante ciò continuò a
correre, a cercare di avvicinarsi a Fukase per riuscire a prendere
meglio la mira, fissando quei due pezzetti di nastro adesivo rosso
come fossero il suo bersaglio. Proprio sul naso, in mezzo agli occhi.
Avrebbe tanto voluto riuscire a spiaccicargli una palla di neve su
quel visto troppo sprezzante, avrebbe voluto fare quello che aveva
fatto la bambina quello stesso pomeriggio, giusto per togliersi dalla
testa quello sfizio. Fino a quel momento, Len non si era mai sentito
tanto vivo, non aveva mai provato un simile calore, perché
aveva
come l’impressione che Fukase riuscisse a toccarlo in modo
più
profondo, riuscendo a raggiungere aspetti del suo carattere che
nessuno dei suoi amici riusciva a conoscere. Non era in grado di dare
un nome a quella vitalità che lo aveva investito, non
riusciva a
credere a quanto Fukase riuscisse ad attirare la sua attenzione,
tanto che aveva smesso di pensare agli avvenimenti della sua vita per
lasciare che la sua mente si concentrasse solo su quella battaglia a
palle di neve.
«Pensi davvero di riuscire a
battermi?» lo provocò ancora Fukase, che
portò poi la mano di
plastica al cilindro, per toglierselo quindi con le stesse movenze di
un prestigiatore. Per un istante, Len credette che il pupazzo potesse
anche far apparire un coniglio di neve dal cappello, ma non era
sicuro di questa sua seconda tesi, perché, dopotutto, non
aveva
aggiunto nulla di strano al suo pupazzo perché potesse fare
qualcosa
del genere. Tanto valeva rimanere in allerta e cercare di capire le
azioni di un tipo tanto strano come Fukase.
«Che fai?»
Len si immobilizzò, incuriosito dal
gesto del suo fantoccio. Lo vide sorridere e ammiccare nella sua
direzione, il bastone da passeggio tenuto a mezz’asta a
picchiettare sul cappello. Si mise ad osservare attentamente quei
gesti da mago, in seguito Len si mosse di qualche passo, sempre
riluttante dopo l’ultimo spavento che Fukase gli aveva fatto
prendere.
«Cosa staresti facendo? Guarda che
questa volta non mi farò fregare!»
Fukase ignorò tranquillamente le
parole di Len, poi balzò di nuovo di fronte a lui. I suoi
piedi
atterrarono di nuovo nella neve con la stessa grazia di un fiocco,
poi, con la pesantezza di un masso, Fukase calcò sulla testa
di Len
il suo cappello a cilindro, spingendo talmente forte da infilare
quasi tutta la testa del ragazzo nel secchiello di stoffa. Il pupazzo
riprese a ridere e continuò a spingere, divertito
dall’ennesimo
scherzo fatto ai danni del suo creatore, che cercava disperatamente
di togliersi quel coso dalla testa.
Len non riusciva a vedere, sentiva
solo il fiato freddo di Fukase davanti al naso, la sua risata e il
movimento convulso delle sue mani per costringerlo a rimanere con la
testa incastrata: il ragazzino iniziò ad inveire contro il
pupazzo,
ma non sembrava veramente arrabbiato, nemmeno infastidito,
perché
dopotutto si stava divertendo.
«Allora, hai detto una bugia a tua
madre! E tu non mi racconti niente?»
«Eh?»
La testa di Len riuscì finalmente a
liberarsi del cappello, gli occhi si posarono sul viso candido di
Fukase per poi guardarlo di traverso. Che senso aveva rovinare un
tale divertimento con quella domanda? Len accennò una faccia
contrariata, resa comica dalla neve che aveva sul naso, per poi
ritrovarsi a fissare direttamente quegli occhi.
Non lo aveva ancora guardato
attentamente negli occhi, lo turbavano ancora, ma in quel momento non
ci fece caso. Voleva divertirsi, Fukase aveva reso tutto
così bello
e spensierato che Len si era sentito leggero, quasi potesse essere un
fiocco di neve lui stesso. Ma poi il pupazzo aveva rovinato tutto.
«Come pensi che possa aiutarti, se
non mi dici niente? -Fukase inclinò la testa di lato, la
lingua a
spuntare tra quelle labbra candide per prendersi gioco di Len- Su,
su! Sputa il rospo! Prima il dovere, poi il piacere!»
Fukase si allontanò di nuovo, per
poi rimettersi in testa il suo cappello a cilindro. Len lo
osservò
spostarsi con le solite movenze talmente leggiadre da non sembrare
reali, chiedendosi cosa gli fosse preso.
«Quanto tempo credi che possa
avere? Quanto credi che possa durare un miracolo?»
«Miracolo? Ti sei appena chiamato
“Miracolo”?» chiese
Len, ridendo sotto ai baffi.
«Non era quello che intendevo, ma
sì! Io sono un Miracolo, su questo non
ci sono dubbi! -disse,
fin troppo spavaldo per i gusti di Len- Ma rispondi alla mia
domanda.»
«Non molto?»
«Non rispondermi con un’altra
domanda! Ma sì, i miracoli durano poco; ti conviene
sfruttare il tuo
finché dura!»
Il tono di Fukase non sembrava
ammonitore, Len era certo che prima o poi si sarebbero dovuti
salutare, ma non si aspettava che lui gli dicesse certe cose senza
peli sulla lingua. Il pupazzo gli aveva fatto quel quesito con il
sorriso sulle labbra, non si era mai scomposto, ma prima che Len
potesse di nuovo controbattere, Fukase saltò via.
«In che modo dovrei sfruttare
questo?»
Fukase atterrò sulla panchina e si
sedette, gli occhi puntati sulla figura di Len. Il pupazzo dondolava
le gambe pallide ed esposte alle intemperie, i gomiti poggiati sulle
ginocchia e il volto sui palmi; sul viso, Len vide
quell’espressione
strafottente che da una parte lo irritava, dall’altra lo
divertiva.
«Cosa hai fatto oggi?» chiese
Fukase, d’un tratto e senza mezzi giri di parole.
«Eh?»
«Cosa hai fatto oggi?»
«S-Sono stato ad aspettare che
tornassi! Mi hai visto, sei stato tutto il tempo di fronte a
me!»
replicò Len, leggermente stizzito. Non gli piaceva la piega
che
aveva preso la situazione, aveva solo intenzione di divertirsi e
l’idea di doversi mettere lì a parlare non gli
andava a genio.
Aveva già detto abbastanza la prima sera, non aveva
intenzione di
rinunciare ad un tale svago: nemmeno con i suoi migliori amici
riusciva a sentirsi così, libero e senza pensieri.
«BIIIP! Risposta sbagliata! Saresti
dovuto andare a casa dalla tua mamma!»
«Ma ti ho già detto tutti i miei
problemi, ero più interessato a te! Volevo vedere se non mi
fossi
immaginato tutto!»
«BIIIP! Di nuovo risposta
sbagliata! Devi interessarti a tua madre!»
Len digrignò i denti e sentì la
rabbia montargli su per la testa. Era stufo di dover continuare a
pensare a tutte quelle cose che lo mettevano di cattivo umore, gli
piaceva l’idea di essere lì a notte fonda con una
creatura magica
e non aveva intenzione di sprecare il suo tempo in quel modo. Ma
nonostante la sua rabbia fosse ben visibile sul suo volto, Fukase non
accennava a cambiare espressione, attendendo ancora che il giovane
gli desse la risposta che si aspettava.
«Perché credi che io sia qui? Sono
tuo amico, questo sì, ma quale credi sia il motivo per cui
sono
apparso e per cui l’Inverno ti ha concesso
un tale
Miracolo?»
«Dimmelo tu! Se continuo a
sbagliare risposta, allora dimmi tu perché sei qui! Io
proprio non
lo so, ma so solo che voglio passare qualche ora con te. Con te sto
bene e non voglio passare il tempo a deprimermi!»
sciorinò Len ,
ormai al limite dell’esasperazione.
Fukase inspirò, alzandosi dalla
panchina e muovendosi verso Len. Non aveva smesso di sorridere, era
come se quelle parole lo avessero lusingato e gli avessero dato nuova
energia, tanto che gli ultimi passi furono compiuti quasi galoppando.
Allungò la mano rossa verso Len e gli pizzicò di
nuovo la guancia,
per poi strattonarla a mo’ di nonna. Il sorriso che si
formò sulle
labbra di Fukase era chiaro, si stava apprestando a prendersi di
nuovo gioco di lui, ma ciò che fece il pupazzo
lasciò Len
interdetto.
«Sono reale, questo ormai è un
dato! Però sono qui per aiutarti a capire che quello che fai
non è
giusto, sia nei confronti di tua madre, dei tuoi amici e sia nei
tuoi… Io posso farti divertire, posso aiutarti a rimetterti
in
sesto, ma sei tu quello che deve fare il grosso del lavoro!»
La mano di Fukase si allontanò dal
volto di Len, poi il pupazzo si voltò facendo roteare il suo
bastone
da passeggio. Riprese infatti a camminare come aveva fatto quando era
tornato ad essere il Fukase animato; dava le spalle
a Len e
fischiettava, la neve che ancora cadeva solo sulle loro teste, come
fosse stato l’ennesimo dono dell’Inverno.
Len si guardò attorno e la sua
mente corse alla madre e ai suoi amici, chiedendosi come avrebbero
reagito loro alla vista di Fukase: per un attimo, avrebbe voluto
condividere quel Miracolo con loro, far vedere
loro la
meraviglia che poteva accadere a notte fonda e condividere con loro
quella gioia che Fukase riusciva a dargli. Ma non avrebbe potuto
farlo, almeno non con quel suo atteggiamento tanto pessimistico e
scorbutico che li aveva allontanati. Si era comportato male, con
tutti, e Fukase aveva fatto chiarezza su quell’aspetto che
lui non
riusciva a vedere. Len era certo che il suo atteggiamento fosse
lecito: la madre non era stata buona con lui, perciò il suo
modo di
fare si era riflesso in quel tipo di risposta nei
confronti di
quella donna malata, ma era sbagliato.
«Allora, abbiamo capito? Len,
sei davvero un testone!»
Len sentì il suo nome per la prima
volta da quel giovane di neve che lo aveva sempre chiamato testone,
capoccione o tonto. Quel suono fu
incredibilmente dolce,
non si aspettava che il suo nome potesse farlo trasalire in quel
modo, ma Fukase davvero era in grado di scombussolarlo dalla testa ai
piedi. Il ragazzino prese un respiro più profondo del solito
e
annuì, consapevole che qualcosa andava fatto, che non poteva
continuare ad agire in quel modo così egoistico.
Non era colpa di nessuno se le cose
avevano preso quella piega, ma era lo stesso Len il responsabile per
aver peggiorato la situazione a tutti con il suo comportamento e
finalmente lo aveva capito. Tutto grazie a quel dono dell’Inverno
che prendeva il nome di Fukase.
Angolo
di Zenya ^^
E
Zenya torna di nuovo, prima che il semestre la divori e non si faccia
più vedere! E voi vi chiederete quando posterò
l’ultimo capitolo,
ma nemmeno io lo so >.< Ebbene sì, siamo a
metà della storia
tra Len e Fukase, perciò il prossimo capitolo
sarà l’epilogo (mi
piacciono le three shots ^^). Come al solito ringrazio chiunque abbia
letto/ricordato/visto di sfuggita/recensito questa storia e spero che
il finale possa essere di vostro gradimento, anche se mi sento
rallentata dalla mole spropositata di storie sui VanaN’Ice
che mi
stanno venendo in mente! Vi ricordo che sono sempre aperta alle
critiche e a qualsiasi cosa vi venga in mente, quindi non esitate a
dire la vostra :3 Ci vediamo alla prossima o quando mi
deciderò a
finire quella KaitoxGakupo a cui sto lavorando in contemporanea a
questa ^^
Un
saluto,
Zenya
:*
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