“Dannazione,
è stata tutta colpa mia!” gridò Gareth,
furioso con se stesso.
“Ci
ha ingannati tutti, figlio mio. Non essere duro con te stesso.
Credevamo di aver mandato con lei una forza sufficiente a
proteggerla, ma non è stato così. Sono io il capo
della Guardia
Bianca: se c'è qualcuno che ha fallito, quello sono
io”, disse
Fjölnir
mettendo una mano
sulla spalla del figlio.
“Siamo
tutti colpevoli”, tagliò corto Vanlande, lo
sguardo duro e
l'espressione addolorata. Walbur era stato un amico per lui, prima
ancora che un compagno di sventure, e la notizia della sua morte lo
aveva colpito più di tutti. “Ora dobbiamo decidere
cosa fare per
trovarla.”
“Cosa
vi fa credere che Ale non la uccida prima che noi riusciamo soltanto
a capire dove si trovi?” chiese Hrolf.
Il
gelo calò sull'assemblea riunita. Ragnhild si
avvicinò al suo
principe e gli prese la mano.
“Dobbiamo
trovarla in fretta”, gli disse. Era la prima volta che
trovava il
coraggio di parlare di fronte a tanti uomini.
“Ale
si trova molto probabilmente molto più a nord. A Uppsala o
nei suoi
dintorni. Non può essere ancora arrivato qui e quindi
Arianrhod non
è ancora nelle sue mani. Forse abbiamo una piccola
speranza”,
intervenne Östen.
Gli
avevano medicato e bendato il braccio ferito, e ora doveva portarlo
appeso al collo.
“Bene”,
concesse Fjölnir
con un
sospiro. Cercò una delle mappe nella pila di pergamene
arrotolate e
trovò quella gli serviva. La srotolò sul tavolo e
cominciò a
posizionare segnalini.
“Cosa
avete in mente?” chiese Vanlande.
“Non
ci sono molti posti adatti nei dintorni dove possono aver portato la
regina in attesa dell'arrivo di Ale... se questo è
ciò che hanno in
mente.”
“Dovremmo
attaccare in forze, padre?” chiese Domaldr.
“Dobbiamo
trovarla prima di poter pensare a un piano d'attacco. I tuoi uomini
possono esserci utili Morcant. Loro conoscono bene i
boschi...”
“Siamo
al servizio di aman madhad. Faremo
tutto ciò che è necessario per salvarla, ma il
mio popolo non usa
cavalcature come fa il vostro”, disse Morcant.
“Verrete
a piedi?”
“Sappiamo
essere molto più veloci dei vostri fanti, anche se le nostre
gambe
sono più corte delle vostre.”
“E
se Ale avesse dato ordine di ucciderla immediatamente?”
intervenne
Vanlande.
Tutte
le teste si voltarono contemporaneamente verso di lui.
“No...”
mormorò Gareth, scuotendo la testa.
“NO!”
Si
fermò un momento a fissare i presenti, il respiro ansante.
Poi uscì
dalla tenda, scostandone bruscamente i lembi.
Östen
gli corse dietro raggiungendolo mentre già stava sellando il
proprio
cavallo. Cercò di afferrarlo per un braccio, ma Gareth si
sottrasse
sgarbatamente.
“Si
può sapere cosa stai facendo?” gli chiese Östen.
“Sto
andando a cercarla.”
“Da
solo? Sei impazzito?”
“Chiunque
voglia unirsi a me è il benvenuto, ma non
attenderò un minuto di
più. Se necessario batterò questa regione palmo a
palmo.”
Östen
tacque alcuni istanti, prima di chiedere: “Sei arrabbiato con
me,
non è vero?”
“Perché
dovrei?”
“Io
ti avevo detto di pensare a lei e lasciarmi dov'ero. Ti avevo detto
che la mia vita non vale quanto la sua. Sei tu che non hai voluto
ascoltarmi!”
Gareth
si voltò finalmente a guardare l'amico. La sua espressione
di rabbia
si addolcì.
“Non...
non sono arrabbiato con te. È stata una mia decisione, e
comunque
non la rimpiango. Ma lei... lo sai... io, non...”
Gareth
prese un respiro profondo, cercando di calmarsi.
Östen
gli mise una mano sul braccio. “Lo so. Verrò con
te.”
“Non
puoi essermi d'aiuto con quel braccio...”
“Posso
cavalcare, e anche se non posso combattere, se la tengono in qualche
luogo sicuro servirà più l'astuzia che la forza
per tirarla fuori
di lì.”
“Va
bene”, acconsentì infine Gareth. “Östen,
se dovesse succedere qualcosa a lei o a mio figlio, io non potrei
continuare a vivere con questo rimorso...”
Qualcuno
si schiarì la voce alle loro spalle, facendoli sussultare.
Girandosi
di scatto, i due cavalieri si trovarono di fronte il duca Fjölnir,
i piedi ben piantati sul terreno e le mani sui fianchi.
“Padre,
io...”, cominciò a dire Gareth, pallido in viso.
Il
duca lo fulminò con lo sguardo. “Ne parleremo
più tardi”, disse
secco. “Ora ci sono cose più urgenti a cui
pensare.”
“Aspetta”,
lo trattenne Gareth, “posso spiegarti!”
“Non
ora, Gareth. Rimandiamo questa discussione ad un altro momento, o
temo che non avrò la lucidità per salvare la
nostra regina.
Proteggerla era anche il tuo compito, ma a quanto ho potuto capire,
tu hai fatto molto di più...”
Gareth
deglutì. Non poteva ribattere alle parole di suo padre,
né offrire
una valida giustificazione. La vergogna e il senso di colpa erano
troppo forti.
“Come
volete, padre. Verrete con noi?”
“Ci
divideremo. Tu, Domaldr e
Morcant
andrete a nord ovest. Io, Vanlande e Hrolf nella direzione opposta. La
troveremo più in fretta in questo modo. Avrete a
disposizione una
decina di uomini, e noi altrettanti. Sarà più
semplice non dare
nell'occhio e ci muoveremo più velocemente.”
“Duca,
e io?” chiese Östen.
“Tu
sarai il responsabile dell'accampamento fino al nostro ritorno. Non
ci saresti utile con il braccio in quelle condizioni.”
***
Arianrhod
guardava con livore la figura familiare che le stava davanti. Se
aveva creduto di provare odio in passato, si era sbagliata. Quello
non era niente. Aveva creduto di odiare gli assassini dei suoi
genitori, ma ora scopriva che l'odio era un sentimento molto
più
profondo e intenso di quanto avesse pensato.
“Tu!”
gridò, mettendosi in piedi. “Ci sei tu dietro
tutto questo?”
“Non
dirmi che non te lo aspettavi” la prese in giro Owainn,
avvicinandosi a lei. “Non dirmi che in quella testolina vuota
nemmeno per un secondo ti è balenato il
sospetto...”
“Io
mi fidavo di te.”
Owainn
scoppiò a ridere, e Arianrhod sentì gli occhi
riempirsi di lacrime.
Avrebbe voluto tapparsi le orecchie per non dover sentire quella
risata.
“Ti
fidavi di me? Accidenti, Ale ti ha davvero sopravvalutata! Se penso a
quanta pena si è dato per trovarti e ucciderti...”
“Come
hai potuto fare questo? Mio padre ti ha sempre trattato come un
figlio, Ciaran era il tuo migliore amico... come hai potuto lasciare
che li massacrassero?”
“Ammetto
che non sarei voluto arrivare a tanto”, rispose Owainn
alzando le
spalle. “Ma non mi hanno lasciato altra scelta.”
“Di
cosa stai parlando?”
“Tuo
padre non voleva concedermi la tua mano. Ci teneva separati, dovevo
fare qualcosa.”
“Come
hai scoperto la mia identità?”
“Ho
origliato per caso una conversazione tra i tuoi genitori. Tuo padre
aveva rifiutato la mia proposta di sposarti per l'ennesima volta, e
quando l'ho sentito discutere con tua madre sono rimasto nei paraggi
per ascoltare. Volevo capire perché non mi volessero come
genero,
capisci? Doveva esserci un motivo. Certo, non mi sarei aspettato
niente del genere, era una cosa più grossa di quanto avrei
mai
pensato. Troppo grossa per tenerla solo per me...”
“Non
l'hai fatto per me. Credi di prendermi in giro? Lo hai fatto solo per
il denaro!”
“In
parte”, ammise Owainn. “Ale mi ha offerto una
posizione e una
ricca ricompensa. Ma l'accordo era che tu facessi parte del
bottino.”
Allungò
una mano verso di lei e le sfiorò una ciocca di capelli.
“Non
toccarmi!” ringhiò Arianrhod, scostandosi
bruscamente.
“E'
un peccato che tu abbia tagliato quella meravigliosa chioma. Questo
taglio non ti dona. Ma credo che mi accontenterò.”
“Sei
pazzo se credi che Ale manterrà i termini
dell'accordo!” gli buttò
addosso Arianrhod con disprezzo. “Lui mi vuole morta. Lo
vuole
sopra ogni cosa. Non mi risparmierà solo per soddisfare la
tua...
lussuria.”
“Lussuria?
Credi che sia questo?” Owainn divenne improvvisamente serio.
“Non
capisci che io ti amo. Ho fatto tutto questo per poter stare con te e
darti quello che meriti. Ora possiedo terre e un titolo: posso
offrirti tutto ciò di cui hai bisogno. Non avrei mai potuto
farlo se
fossi rimasto un semplice bracciante.”
“Tu
sei pazzo!”
“Sono
pazzo di te, mia adorata.”
“No,
tu sei pazzo e basta! Tutto ciò che hai ottenuto, i tuoi
titoli, le
tue terre, sono macchiati del sangue della mia famiglia. Credi che
potrei mai provare qualcosa per te? Sei solo un vigliacco e mi fai
ribrezzo”, gli disse guardandolo negli occhi, senza
indietreggiare.
Owainn
fu su di lei in pochi attimi e le strinse il mento in una morsa
ferrea. Arianrhod rimase immobile. Poteva vedere le narici di lui
fremere di rabbia repressa, il guizzo di follia che gli accendeva lo
sguardo.
“Sei
fortunata, se solo lo volessi potrei spezzarti il collo con due dita.
Ma non ho ancora deciso di rinunciare con te.”
Finalmente
la lasciò andare, allontanandosi da lei. Ma Arianrhod non
mosse un
muscolo.
“Bene”,
continuò Owainn, alzando le mani.
“Vorrà dire che resterai ancora
un po' in questa stanza a riflettere su cosa preferisci: diventare
mia moglie e una rispettabile suddita di Ale, o affidarti alla sua
pietà sperando che ti conceda la morte veloce che ha
concesso ai
tuoi genitori. A te la scelta.”
Poi
se ne andò, chiudendosi la porta alle spalle.
“Se
pensi che mi lascerà in vita per esaudire un tuo desiderio,
sei più
stupido di quanto pensassi!” urlò Arianrhod
battendo con forza i
pugni contro la porta chiusa. Ma Owainn non raccolse la provocazione,
e lei rimase sola in quella stanza vuota. Si toccò la
mascella
dolorante, su cui già cominciava a comparire un livido
scuro.
Arianrhod
ispezionò con cura la sua cella nella speranza di trovare
qualcosa
di utile alla fuga, ma senza risultati. Si sentiva profondamente
frustrata: le avevano portato via la Spada del Drago e anche il
pugnale di pietra del Piccolo Popolo. Non c'era speranza che potesse
servirsi di un'arma per risolvere la situazione. Allora
cercò di
capire qualcosa sul luogo in cui la tenevano prigioniera. L'unica
finestra che affacciava all'esterno era la feritoia che aveva
già
avuto modo di notare, ma si trovava troppo in alto rispetto a lei.
Con un discreto sforzo riuscì a spostare il letto fin sotto
la
finestra e, salendoci sopra, riuscì a sbirciare attraverso
la
feritoia. Scoprì che la costruzione dove la tenevano era una
casupola ad un solo piano. Non era certo una fortezza, e questa era
una buona notizia. Evidentemente non avevano trovato di meglio nelle
vicinanze. Inoltre Arianrhod sospettava che quello fosse solo un
accomodamento temporaneo: presto l'avrebbero portata a nord, verso
Uppsala. Sempre che non l'avessero uccisa prima.
Tuttavia
a impedirle qualsiasi tentativo di fuga c'era sempre una porta
sbarrata e quattro muri di solida pietra.
Arianrhod
sospirò: non poteva fare altro per il momento, se non
cercare di
riposare e di mantenersi in forze. Il sole era ormai tramontato del
tutto e lei si sdraiò sulla sua brandina, nella speranza di
riuscire
a dormire.
La
mattina seguente, dopo una nottata di sonno agitato, una donna
entrò
nella stanza portandole qualcosa da mangiare. Come si era sforzata di
dormire, Arianrhod si sforzò di mangiare. Il formaggio era
praticamente insapore, il pane duro e la birra annacquata, ma lei
ingollò tutto senza protestare.
Quando
la donna rientrò per portare via il vassoio vuota, Arianrhod
l'afferrò per la manica.
“Cosa
volete da me?” chiese lei, sospettosa.
Arianrhod
quasi non ricordava la sua madrelingua: un po' a gesti e un po'
utilizzando i vocaboli che conosceva, chiese alla donna se poteva
lasciarle il cucchiaio di legno che portava alla cintura. In cambio
le avrebbe dato la spilla d'oro che usava per chiudere il mantello.
Era
uno scambio vantaggioso, e la donna fu quasi tentata di accettare. Ma
poi scosse la testa e cercò di divincolarsi dalla presa
della
principessa, che ancora le stringeva il braccio. Evidentemente aveva
troppa paura di quello che avrebbero potuto farle,
se
lo avessero scoperto.
Arianrhod
avrebbe voluto gridare di frustrazione quando la vide affrettarsi a
chiudersi la porta alle spalle. Si gettò a sedere sul letto,
la
testa fra le mani. Uno ringhio rabbioso le uscì dalla gola,
mentre
afferrava e stringeva il bordo del letto con tutte le sue forze.
Ma
si bloccò quando le sue dita tastarono qualcosa di
interessante. Si
sdraiò supina sul pavimento e scivolò con il
corpo per metà sotto
il letto.
C'era
effettivamente qualcosa di interessante: una grossa scheggia di legno
si stava staccando da quel vecchio letto rotto. Arianrhod la rimosse
con attenzione. Non era lontanamente un'arma, ma forse sarebbe
riuscita a ricavarne qualcosa di utile.
***
Gareth
era felice che Morcant fosse con lui; un po' meno felice che anche
Domaldr fosse della partita, ma aveva tutta l'intenzione di dare
fiducia al fratello, purché lavorassero tutti insieme per
trovare
Arianrhod il prima possibile.
Morcant
stava seguendo le tracce del contingente di soldati che aveva preso
con sé la principessa, e Gareth aveva dovuto riconoscere che
si era
rivelato molto abile. Nessun occhio appartenente alla “gente
alta”
- come loro chiamavano la sua razza – sarebbe stato in grado
di
individuare determinate tracce, e anche per quelle più
evidenti
avrebbe impiegato molto più tempo.
Si
stavano dirigendo in una direzione diversa da quella che il duca
aveva ordinato loro di seguire, ma Gareth aveva deciso che preferiva
fidarsi dell'intuito di Morcant. Domaldr aveva provato a protestare,
ma Gareth l'aveva zittito tanto bruscamente che il fratello non aveva
più osato aprire bocca.
Fortunatamente
era riuscito a convincere Morcant a salire con lui a cavallo, anche
se lui si era inizialmente rivelato molto diffidente.
“La
mia gente non sfrutta altre creature viventi per farsi portare. La
dea ci ha dato gambe funzionanti ed è con quelle che
dobbiamo
spostarci”, aveva dichiarato.
Aveva
ceduto solo quando aveva notato lo sguardo disperato di Gareth.
“Lo
faccio solo per la nostra sorella di sangue. Anch'io sono impaziente
di ritrovarla.”
Avevano
cavalcato per un pezzo in silenzio, finché Morcant, che
cavalcava
dietro Gareth, gli rivolse inaspettatamente la parola.
“Non
è morta.”
“Come?”
chiese Gareth.
“So
che il tuo cuore se lo sta chiedendo. Lo sento tormentarsi in
continuazione. Aman madhad non
è morta.”
“E
tu come fai a saperlo?”
“Perché
io ascolto il mio cuore. Se lo facessi anche tu, lo sapresti.”
“Deve
essere in una di quelle stanze”, commentò Domaldr,
indicando la
casupola che avevano appena raggiunto grazie alla pista seguita da
Morcant. “Ma come facciamo a sapere quale?”
Acquattato
dietro a dei cespugli, Gareth rifletté.
“Ci
sono solo quattro guardie all'ingresso della casa”, disse,
“non
vedo il resto del contingente, che comunque non era numeroso.”
“Ce
ne saranno altre dentro”, obiettò Domaldr.
“Forse
una ventina, fra esterno e interno.”
“Avremmo
dovuto far avvicinare di più i soldati.”
“No”,
intervenne Morcant. “Questa non è una battaglia.
Avremmo solo
attirato inutilmente l'attenzione. Dobbiamo essere rapidi e
silenziosi.”
“Farò
appostare i soldati a poca distanza, così che possano
intervenire
quando ci inseguiranno. Ma è meglio far credere di essere in
pochi:
sfrutteremo l'effetto sorpresa”, disse Gareth.
“Perché
non assaltiamo in forze e basta?” insistette Domaldr.
“Per
gli dei, non capisci che non si tratta di uno scontro in campo
aperto? Cosa gli impedirebbe di uccidere Arianrhod nel tempo che noi
impiegheremmo a entrare in un luogo chiuso con una massa di soldati?
Piuttosto che lasciare che venga liberata le taglierebbero la gola.
Non possiamo rischiare. Una volta che sarà al sicuro con
noi,
potremo anche attaccare e annientarli come vuoi tu, ma sinceramente
non ne vedo l'utilità.”
“Parli
con saggezza, giovane uomo”, disse Morcant soddisfatto.
Domaldr
tacque, sconfitto ancora una volta nella guerra delle parole.
Angolo
autrice: Ciao
a tutti! Ecco il nuovo capitoletto, su cui non ho molto da dire se
non che ne sono abbastanza soddisfatta. Spero che anche a voi
piaccia! Il duca ha scoperto tutto e, come era prevedibile, non ne
è
troppo felice. Riuscirà a capire le ragioni Gareth? Grazie a
tutti
coloro che leggono/seguono/recensiscono, siete fantastici come
sempre.
Alla
prossima
Eilan
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