C’era
qualcosa di incredibilmente soddisfacente nel lavarsi via il vomito
dalle scarpe.
Il
modo in cui l’acqua della pompa ripuliva tutto in un attimo
faceva sentire Marshall una persona migliore,
sebbene
non potesse salvare anche i pantaloni.
«
Scusa, fratello » mormorò il tristissimo Luke
accanto a lui, mentre entrambi attendevano l’arrivo
dell’ultimo autobus.
La
cameriera aveva dato loro un sacchetto di plastica per le emergenze ed
una bottiglietta di acqua tonica, con quel maledetto sorriso da santa
che mandava in bestia il moro. Lo faceva apposta a tormentarlo,
l’unico che non si accorgeva di nulla era l’ignara
vittima di un metro e ottantacinque seduta lì vicino, che
rigirava la bottiglia tra le mani come fosse un diamante inestimabile.
« La terrò come ricordo del nostro primo incontro.
Magari potrei farne un vaso per i fiori! ».
«
Quelli che hai ricoperto di vomito? ». La sua espressione la
diceva lunga sul senso di colpa che provava, al contrario di Marshall.
Amanda Newport sbucò dal nulla proprio quando i fari
dell’autobus illuminarono la strada, arricciando il naso nel
sentire la puzza di alcool stantio sui due. « Fate proprio
schifo » commentò, le mani affondate nella
borsetta alla ricerca di una spazzola. Sembrava appena tornata da un
rave party, con il mascara che colava dagli angoli degli occhi, il
rossetto sbavato e i capelli che da mossi e vaporosi si erano ridotti
ad una zazzera indefinita.
Prese
posto un sedile avanti a loro ed iniziò la fase di restauro,
guardando Marshall attraverso lo specchietto che reggeva.
«
Era a te che piaceva la bionda insulsa? »
«
No. »
«
Sì! » lo corresse Luke, dandogli di gomito.
«
Vi interesserà sapere che stava limonando con un tipo tutto
in ghingheri. »
C’erano
volte in cui Marshall contemplava l'idea di far sparire il suo cadavere
sul fondo di qualche canale di scolo, altre in cui una pedata nel
sedere poteva soddisfarlo. Bene, quella era la volta da canale di scolo.
Il
gigante strinse la bottiglietta fino ad accartocciarla, forse senza
rendersene conto, e lui gliela sfilò di mano prima che
spargesse acqua tonica ovunque.
«
Sicura che fosse lei? »
La
rossa chiuse lo specchietto con un secco
click
e annuì, per poi passare al fard.
«
Boh, credo. Le luci in macchina si sono spente quasi subito. »
Aveva
dato a Luke informazioni sufficienti per tormentarsi da lì
fino al mese successivo, e il verdognolo della sua carnagione
sfumò verso un bordeaux scuro quando prese a pugni il palo
dell’autobus. Difficile dire se fosse frustrato o deluso. Il
viaggio proseguì in assoluto silenzio, tranne quando Amanda
telefonò ad un tipo conosciuto la sera stessa per invitarlo
a fare un giro al Ponderosa,
un parco noto per le fughe amorose degli adolescenti.
«
Potevo chiederle il numero » disse Luke
all’improvviso, strappando uno sbuffo esausto
all’amico.
«
Ormai mi conosce. Se la aspetto fuori da scuola... »
«
Ti snobberà, come ha sempre fatto. »
«
Non puoi saperlo. Hai visto com’è stata gentile
questa sera. »
«
Ovvio, deve tenersi buoni i clienti. » Luke gettò
bottiglia e sacchetto sul sedile e andò a parlare con
l’autista, improvvisando un malore perchè lo
facesse scendere venti minuti prima dell’effettiva fermata.
Beh,
ormai si era liberato di tutto l’alcool che aveva in corpo -
o almeno sperava - non correva rischi e sapeva la strada di casa.
L’unico rimpianto di Marshall fu quello di non averlo seguito
a ruota, perchè Amanda aveva appena spruzzato sul collo una
quantità illegale di profumo alla vaniglia.
Affondò il naso nel colletto della felpa per non dare di
stomaco, e la ragazza sghignazzò. « Preferivi l’eau
de vomitou?
Senza offesa, perdente, ma le tipe che frequenti tu ne usano di
peggiori. »
«
Ma che ne sai » ringhiò, contando con ansia
crescente le fermate che lo separavano da casa. Lei si voltò
nella sua direzione con un sorriso furbesco sulle labbra lucide di
glitter. « Le voci girano. Myriam usa quello da nove sterline
del supermercato. Oh, e giusto perchè tu lo sappia, i bagni
non sono insonorizzati ».
Diamine,
peggio che avere una spia constantemente attaccata al posteriore, e il
nome Myriam non gli ricordava niente.
In
generale le ragazze profumavano sempre, non faceva differenza il sapore
che sentiva in bocca quando baciava loro il collo, ma la vaniglia non
riusciva ad affrontarla. Un po’ come non poteva affrontare
Amanda all’una di notte, con la birra che vorticava nello
stomaco tipo centrifuga e un gran fastidio alle tempie.
Riuscì a sfuggire alle sue indagini poco dopo, schizzando
via dal mezzo prima che lo placcasse con altri discorsi a vuoto.
Mentre
si chiudeva il penoso teatrino fuori dal pub, Joel consumava la
sigaretta da dentro l’auto parcheggiata.
Aveva
reclinato entrambi i sedili sul retro, e la radio mandava una canzone
degli Oasis che lui odiava, ma piacevano ad Evangeline, quindi
alzò il volume a mo’ di richiamo. Accolse
l’arrivo della bionda con un sorriso sinceramente sollevato.
«
Hai fatto tardi » disse, soffiando fuori il fumo dal
finestrino abbassato, « altri problemi con gli ubriachi?
».
La
ragazza annuì, con le mani appiccicate alle bocchette
dell’aria in cerca di calore e la testa a seguire il ritmo di
Wonderwall.
Joel accese la macchina e l’aria tiepida uscì con
uno sbuffo, portando con sé il profumo fresco
dell’arbre magique e quello tipico delle auto nuove, pelle e
plastica insieme. L’aveva acquistata di recente, subito dopo
la promozione sul lavoro, e somigliava a quei suburban americani su cui
le donne dicevano di sentirsi più sicure. Non gli aveva mai
chiesto se la scelta dei vetri oscurati fosse stata casuale o ben
mirata, viste le volte in cui consumavano qualche minuto insieme
lì dentro su sua richiesta. Evangeline continuò a
canticchiare finché frugava nel borsone con il cambio di
vestiti, estraendo una bottiglietta d’acqua in cui aveva
spinto una fetta di limone per esorcizzare la pessima Coca-Cola sgasata
che offriva il pub. « Hai bevuto. Non dovresti guidare.
»
Joel
fece spallucce. « Meno di quello che pensi. E poi non volevo
partire subito. »
La
mano dell’uomo le avvolse completamente il ginocchio, e solo
allora Evangeline notò i sedili sdraiati dietro di loro,
già pronti ad accoglierli.
«
Vuoi... adesso? »
«
Adesso. »
Il
mozzicone di sigaretta scivolò fuori dal finestrino, un
piccolo bagliore che si spense a contatto con lo sterrato, e Joel aveva
ancora un rivolo di fumo in bocca quando la baciò. Sapeva di
nicotina e birra, ciò che si sarebbe aspettata da un
qualsiasi esemplare di sesso maschile della sua età, con la
barba che le pungeva gli angoli della bocca e la stessa mano
incriminata a vagare più su, sulla coscia, sul bottone dei
jeans, sulla pelle bollente che trovò infilandosi sotto al
pullover.
Il
freno a mano li divideva come un muro invisibile, ma molto, molto
fastidioso, ed entrambi sgusciarono sul giaciglio posteriore, la luce
che da fioca si spegneva del tutto, gettandoli nel buio intimo e
segreto del suv.
Forse
era stato l’alcool a mettere fretta a Joel. Forse
quell’unico giorno di astinenza l’aveva rovinato al
punto da saltare la maggior parte dei preliminari. Evangeline
poté riprendere fiato solo quando l’uomo si
concentrò sulla cintura dei suoi pantaloni, che
calò insieme ai boxer in un gesto spazientito prima di
dedicarsi agli slip di lei.
Faceva
freddo. I vestiti diminuivano, il calore febbrile del momento era
illusorio. Bruciava, ma non scaldava.
Evangeline
trattenne un gemito nel sentire due dita scivolare nella sua
intimità, esperte, bramose, impazienti.
«
Evie » sussurrò l’amante, la voce
arrocchita dal desiderio. Ora era in bilico su di lei, solo un gomito a
sostenerlo, mentre l’altro braccio teneva i fianchi della
ragazza sollevati contro il membro eretto.
Avrebbe
voluto dirgli di fermarsi, di lasciar perdere, di riportarla a casa e
magari scambiare qualche parola lungo il tragitto. Non agognava a quei
momenti con la stessa foga, i versi che soffocava contro la sua spalla
nuda nascondevano una sofferenza che sul momento si mescolava ad ansiti
di piacere, di comune accordo con le spinte invasive e crescenti.
Non
provava nulla. L’apice del piacere pareva distante come un
sogno.
Dalla
radio Noel Gallagher cantava di strade perdute e luci accecanti, di
un’unica persona che poteva salvarlo.
Le
ultime parole si persero in un’imprecazione a denti stretti
mentre Joel usciva da lei, liberandosi sul ventre piatto e su buona
parte del pullover. « Oh, merda... scusa »
farfugliò senza fiato, baciandola con trasporto nella
speranza che quell’unico gesto bastasse a scagionarlo.
Evangeline
scosse appena il capo, poiché davvero non le importava.
Voleva
togliere in fretta tutti i vestiti impregnati di fumo ed umore,
indossare qualcosa che sapesse solo di lei, entrare in una casa dove
regnava sovrana, dove il cuscino aveva il profumo del suo shampoo e
nient’altro.
Voleva
stare da sola.
Si
ripulì con un fazzoletto mentre il suv attraversava le
strade deserte, una mano a tamponare il maglione e l’altra
intrecciata a quella di Joel, sul cambio. A lui gli Oasis non
piacevano, eppure cantava ugualmente quando era di buonumore. Non si
era accorto dello sguardo spento della ragazza, della fatica con cui
gli sorrideva.
Era
accecato da un amore stupido, infantile, e non gli importava.
Di
quella fatidica cosa importante di cui voleva parlare non se ne fece
menzione, quando Evangeline si aspettava che il loro incontro vertesse
unicamente su quello, anziché su del sesso frettoloso.
Meglio così, non era in vena di dichiarazioni o scene
drammatiche dopo la mezzanotte.
Evangeline
gli chiese di lasciarla in una traversa di Fentonville Street per
evitare pettegolezzi da parte dei vicini, sebbene fossero per la
maggior parte giovani e menefreghisti. Le serviva un pretesto per
uscire da quella macchina e sgranchirsi le gambe. Prese le cinquanta
sterline che Joel le allungò, accartocciandole nella tasca
posteriore dei jeans, e posò un bacio frettoloso sulla
guancia dell’uomo.
«
Sei una benedizione, sul serio » mormorò tra i
suoi capelli spettinati, sfuggiti alla presa dell’elastico, e
lei concentrò le ultime energie rimaste per sorridere di
nuovo. Una volta rimasta sola sul marciapiede riprese a respirare
veramente, a pieni polmoni, nonostante l’aria puzzasse di
fogna e terra umida.
Ci
avrebbe dato un taglio molto presto, giusto il tempo di racimolare
altri soldi extra e terminare gli studi, poi sarebbe stata libera.
Richiuse il cappotto per nascondere la macchia rappresa,
caricò il borsone su una spalla e prese a camminare piano
verso casa, con la sgradevole sensazione di bagnato tra le gambe che
non se ne andava.
Prima
di lasciarla, Joel si era assicurato che non vi fossero brutti ceffi
nei paraggi, ma non poteva mettersi ad ispezionare ogni angolo di
Sheffield. Gli era sfuggito un vicoletto adibito a deposito di rifiuti,
proprio dietro al negozio di frutta e verdura, dove qualcuno rigettava
i resti di una cena finita in tragedia. Niente di nuovo, i ragazzi
della zona facevano spesso pub
crawl*
e non si aspettavano di tornare a casa sulle loro gambe, con le
interiora al posto giusto, ma l’imprecazione che
seguì le sembrò stranamente familiare.
Evangeline
si tenne a debita distanza, usando la torcia del cellulare per far luce
sul povero disgraziato che al momento era impegnato a prendere a
testate il muro. Si sentiva un po’ come quelle protagoniste
dei film horror - era anche bionda -
che
sapeva dove risiedeva il pericolo e avanzava comunque per il bene
dell’intera trama.
Doveva
decidere se fosse un caso da ambulanza o da polizia, o se battere in
ritirata e fingere di non aver visto nulla.
Era
già pronta a fare dietro front quando il ragazzone si
voltò verso di lei, gli occhi stretti per la luce diretta, e
riconobbe i ricci fitti del tipo del pub. Era una persecuzione, insomma.
«
Tutto bene? » chiese, intuendo la risposta.
L’ubriaco elaborò la situazione in dieci
espressioni diverse, fino a culminare con una faccia da miracolato a
cui era apparsa la Madonna in persona.
«
Io... sì, bene. Benissimo. »
Se
quello era il suo benissimo
non poteva immaginare in che stato si riducesse quando stava male.
«
Vuoi che chiami qualcuno? »
«
No no, ora mi passa! » si affrettò a dire,
raddrizzando la schiena e sguasciando fuori dalle ombre del vicolo.
Beh,
era oggettivamente un disastro. Ebbe giusto la decenza di non
avvicinarsi troppo.
Sbronza
storica a parte, sembrava raggiante come un bimbo la notte di Natale,
comunque.
«
Stavo venendo a cercarti. Volevo chiederti... oh no, non guardarmi
così! Non sono uno stalker! »
Difficile
credergli sulla parola. Evangeline aveva la chiamata pronta sul numero
della polizia.
Il
ragazzo sibilò una parolaccia rivolta a chissà
chi, intento a stropicciarsi il viso, e più che uno stalker
ricordava un serial killer psicotico indeciso sulla prossima mossa.
«
Ti volevo chiedere se stavi con qualcuno, sempre per quel mio
amico...»
Era
sbronzo, era giovane, ed era un pessimo bugiardo. L’amico in
questione l’aveva trattata da stupida per tutta la sera, non
aveva letto chissà quali sentimenti tra le righe.
La
bionda sospirò, mani sui fianchi e borsone a pochi
centimetri da terra, dissentendo.
«
No. Al momento non vorrei impegnarmi con nessuno. »
Pessimo
bugiardo e pessimo attore. Gli si leggeva lo sconforto a chilometri di
distanza.
Niente
a che vedere con i sorrisi falsi di Evangeline, che erano roba da oscar.
«
Posso... vorrei almeno sapere come ti chiami. Per il mio amico.
»
«
Evangeline » replicò in un respiro, «
Evie va bene. So che è difficile da pronunciare. »
«
Io sono Luke. Vado al
Wetherby
» Le porse la mano di getto, per poi ritrarla immediatamente
e pulirla sulla maglietta. Non che facesse questa gran differenza, ma
apprezzava il tentativo.
Era
proprio vero che il Wetherby
sfornava casi umani, ne aveva una prova vivente davanti, sebbene Luke
paresse inoffensivo e quasi dolce nella sua insicurezza. Qualcosa le
diceva che non avrebbe allungato le mani, soddisfatto di conoscere il
suo nome ed averle parlato per una manciata di minuti.
«
Luke, meglio se torni a casa. Io devo andare. »
L’altro
annuì, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni
macchiati dalla cosce in giù, il viso stravolto.
Somigliava
in tutto e per tutto ad un gigante delle favole, alto, robusto, con un
accenno di pancia e gli occhi tondi e lucidi come biglie. Non portava i
ricci alla maniera di Joel, curati e rasati sulla nuca, sempre sotto
controllo, bensì liberi di andare dove volevano, dei
serpenti dotati di vita propria che con l’umidità
gli grondavano sulla fronte.
Era
il ritratto dell’innocenza.
Impiegò
troppo tempo a rispondere al saluto che lei gli rivolse, perso fra
chissà quali pensieri finché Evangeline tornava
sulla strada principale e gettava occhiate nervose alle spalle. Non la
stava seguendo, bene. Un punto per l’educazione. Preferiva
che non si sapesse in che squallido appartamento abitava. La scuola
stessa recapitava ancora la posta al collegio dell’Ellsworth,
e la segretaria si premurava di tenerle il materiale da parte.
Come
le diceva spesso sua madre, era stata una scelta stupida: le camere del
collegio erano singole, con bagni privati e cabine armadio, un giardino
dotato di piscina per il periodo estivo, un terrazzo su cui si tenevano
le feste più lussuose che degli adolescenti potessero
meritare, il tutto a due passi dall’istituto.
La
sua vita sarebbe stata diversa, lì dentro.
Non
avrebbe incontrato Joel, né lavorato nel pub per pagarsi
l’affitto, ma questa era la vita che aveva scelto per lei
Nessuno poteva metterci becco, e stava bene così.
*Pub crawl: passare da un pub
all'altro fino a trascinarsi in giro sbronzi.
{
Author's Note }
Mi mancava tutto di questa
fanfiction. Vorrei uccidermi per averla lasciata in un angolo a fare la
polvere.
Ho alzato il rating da
arancione a rosso per una scelta nata così sul momento,
anche se non ci sarà nulla di eccessivamente volgare o
esplicito alla "50 Sfumature".
(Spero di non scadere
nell'orrido com'è successo a quella serie, in
realtà).
Grazie a chi si è
preso il disturbo di leggerla comunque. Siete da premio oscar.
Un sentito ed immenso grazie ad
herflowers
che ha sempre la pazienza di recensire , e a RobertaTienee
che ha aggiunto la storia tra i seguiti.
A
presto, many hugs !
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