La giovane figura viveva ormai da
alcuni mesi con quegli ominidi, anche se i più anziani la
guardavano in tralice
e alcuni giovani capi, invece, la portavano a scoprire i più
reconditi segreti
di quel pianeta.
La divertiva essere portata in
grotte umide, raccogliere campione di piante, che crescevano rigogliose
in zone
con molta acqua e la luce che entrava da fori naturali nelle rocce
desertiche,
conoscere altri gruppi, imparare il loro strano linguaggio, vedere i
loro
graffiti colorati sui muri delle grotte e sentire le loro storie.
I loro nemici naturali erano
degli animali, di diverse dimensioni, carnivori, che vivevano nel
chiuso di
grotte di alcune montagne e che di notte, con temperature
più miti, uscivano a
caccia.
Non erano di grossa taglia, per
cui facevano paura solo agli ominidi, ma non alla ragazza, troppo
grande per
loro.
Ma la ragazza, la prima volta, si
era spaventata e aveva deciso di girare armata, con una di quelle spade
e una
pistola laser.
Il suo girovagare la portava,
alle volte, nelle vicinanze di agglomerati urbani, più o
meno affollati, di cui
alcuni sembravano veri e propri accampamenti intorno ad alcuni
caseggiati in
mattoni.
Gli ominidi spiegarono, a fatica,
alla ragazza che erano le basi delle compagnia che portavano la navi
abbandonate su quel pianeta e gli altri, come li chiamavano loro, erano
gente
arrivata lì per caso, scappata da chissà dove.
La ragazza, una volta, si
intrufolò in un accampamento, con i suoi amici delle prima
ora, e curiosò in
giro.
Incontrò un gruppo di persone
vicino ad un fuoco e con i suoi amici si fermò a parlare con
loro.
Erano di un pianeta di un sistema
solare che era stato distrutto dall’esplosione della loro
stella.
Loro si erano salvati perché
erano in viaggio, ma ora, non avendo un pianeta su cui andare, si erano
fermati
lì, in attesa di decidere sul da farsi.
Erano commercianti, ma le loro
navi necessitavano di essere controllate e revisionate, ma ci volevano
o metalli
preziosi o soldi, e loro ne avevano pochi, vista la fine del loro
pianeta.
E quindi si davano a piccoli
commerci, anche se rendevano poco.
La ragazza gli fece una strana
proposta: visto che erano un gruppo con sei navi cargo, potevano fare
una
grande, dove potevano entrare tutti e andarsene da lì e
darsi al commercio o al
trasporto di cose per conto terzi.
Si fermò da loro fino al mattino,
dormendo in una tenda occupata da sole donne.
Al mattino visitò le navi, poste
in semicerchio intorno all’accampamento, e
consigliò sul da farsi.
Gli uomini e le donne dei vari
equipaggi iniziarono il lavoro di smontaggio e di assemblaggio e gli
omini,
incuriositi, organizzati dalla ragazza, diedero una mano nei lavori.
I piccoli ominidi erano
spaventati dai macchinari e dai rumori del cantiere, per cui solo i
più
temerari, in cambio di cibo, diedero una mano.
Il lavoro fu terminato in una
quindicina di giorni e la nuova nave, costruita intorno ad uno dei
cargo più
grandi, aveva un corpo principale, con la sala comando, le cabine per i
singoli
e la famiglia, la sala pranzo, la zona scuola per i bambini e i vari
sotto
servizi.
Le gondole dei motori erano posti
sul fondo della nave, da cui partivano le zone di stoccaggio delle
merci: erano
state uniti i corpi principali delle altre navi ed era possibile,
usando motori
sub luce, scendere sui pianeti, scambiare le merci e risalire nello
spazio, per
poi collegarsi alle altri navi.
Erano stati riparati una decina
di teletrasporti, ma per il momento funzionamento male e fino a che non
avessero avuti i soldi necessari per la loro riparazione, il sistema
navetta
era il più sicuro.
Durante i lavori la ragazza ebbe
modo di conoscere meglio gli ominidi, di vederli all’opera e
come interagivano
tra loro in caso di necessità verso se stessi e gli altri.
Erano molto socievoli, anche se
alcuni anziani sembravano nascondere qualcosa, come un segreto che non
deve
essere rilevato e veniva trasmesso solo verbalmente.
I resti delle navi non utilizzati
furono accatastati vicino ad una collina di arenaria, che sovrastava
una
grotta, in modo da farne un rifugio per gli ominidi e far sì
che la poca
umidità dell’aria venisse catturata e fatta cadere
nella grotta, sul cui fondo
l’acqua avrebbe creato un laghetto di acqua bevibile.
Quando i mercanti partirono, la
ragazza si fermò per qualche giorno a sistemare
l’interno della navi con gli
ominidi, per creare un rifugio a quegli esseri nel loro girovagare per
il
pianeta.
La ragazza aveva notato che era
un popolo stanziale per necessità, perché spesso
alcune unità si spostavano tra
i vari gruppi, ma non erano riusciti ad evolversi quel tato che gli
serviva per
inventare i contenitori di acqua e la ruota.
La ragazza cercò di capire il
perché interrogando i più anziani, che
però evitarono di rispondere direttamente
alle domande, demandando ad alcuni capi gruppi le risposte, spesso
evasive.
La ragazza non insistesse, ma,
guardando i più anziani, ne notò due che, durante
la riunione, spesso si
scambiavano occhiate di condiscendenza.
Finite le riunioni, se ne andavano
insieme e percorrevano corridoi in cui era difficoltoso passare.
La ragazza, dopo ogni riunione,
li seguiva, cercando di capire, quando li perdeva, dove andavano.
Le riunioni si era svolte anche
durante la costruzione della nave per i mercanti e i due, forse per
colpa dei
lavori, avevano più volte cambiato percorso, scendendo nella
viscere del
pianeta.
La ragazza decise di usare mezzi
più tecnologici, inviando alcuni droni, a forma di sfera,
che seguivano
silenziosamente i due o andavano in avanscoperta da soli, seguendo un
programma
di ricerca inventato dai planetologici dell’accademia delle
scienza del
Presidente.
La mappatura del “giretto” dei
due anziani portavano ad una grotta, di una certa dimensione, sita
sotto una
catena montagnosa non molto lontana dalla nave in cui si era nascosta.
Una notte, mentre i piccoli
esseri dormivano tranquillamente, anche con l’aiuto di una
buona dose di
sonnifero messa nell’acqua degli ominidi, per evitare di
essere seguita, come
sempre capitava quando andava in perlustrazione, si infilò
nelle grotte e, con
la mappa elettronica e una torcia, si infilò negli anfratti
e nelle grotte,
fino ad arrivare alla grotta, sotto almeno cinquecento metri dalla
sabbia sopra
la sua testa.
Era fresca, anzi fredda: dovette
coprirsi di più, usando una coperta che si era portata per
emergenza.
La grotta era sì grande, ma non
enorme come indicavano i rilievi.
Ebbe un dubbio: uno dei suoi
droni non era tornato, ma il rilievo che aveva inviato, collegandosi
via
wireless con gli altri, dava indicazioni che aveva percorso anche un
cunicolo,
che andava verso il basso.
La ragazza si incamminò nel
cunicolo, ma un movimento alle sue spalle la fermò.
Estrasse la spada e l’accese.
Il ronzio emesso dalla spade e la
luce laser spaventò l’ombra, che scappò
rumorosamente.
La ragazza pensò ad un animale e
proseguì il cammino.
La discesa durò alcuni minuti: la
ragazza avanzò con la spada nella destra e la luce nella
sinistra, illuminando
il suo cammino fino a quando arrivò in una grotta enorme.
Era una cupola alta centinaia di
metri e, anche se fuori, all’aperto, era notte, risultava
illuminata a giorno.
Vi entrò scrutando le pareti e,
in fondo, vide un enorme buco, da cui due enormi occhi verdi, con
pupille
ovali, la stavano scrutando.
I due ominidi anziani, che gli
erano scappati più volte, erano lì che la
osservavano, davanti al buco e a
quegli strani occhi.
“Non è possibile!” Si disse la
ragazza.
Portò avanti la spada, pronta ad
utilizzarla contro quell’oscuro nemico.
I due ominidi si gettarono contro
di lei, urlando inferociti.
Erano piccoli e vecchi, ma molto
tenaci.
Tennero per un po’ in scacco la
ragazza contro il muro, ma all’improvviso altri ominidi,
più giovani, entrarono
da altri cunicoli e bloccarono i due anziani, trascinandoli via.
Uno dei suoi salvatori gli spiegò
chi c’era in quella grotta.
I due occhi fuoriuscirono dal
buio, mostrando una enorme testa con un corno sopra il naso e altri due
sopra
la testa.
Una corona ossea difendeva il
collo, corto, che teneva la testa attaccata ad un corpo tozzo, con
gambe alte e
i piedi piatti ed una coda corta.
Un enorme tubo, tipo cordone
ombelicale, partiva dal ventre della bestia ed entrava nella grotta.
La bestia urlava come un’ossessa,
ma uno strano rumore fuori uscì dalla grotta.
L’animale tossicchiò e smise di
sbraitare.
Guardò preoccupato dietro di sé e
dalla caverna uscì del fumo nero.
L’animale si preoccupò ancora di
più e guardò il fumo nero.
All’improvviso uno scoppio più
forte fece tremare la grotta e la luce si spense.
Una fiammata rossa scaturì verso
la cupola, investendo l’animale, che urlò come un
ossesso e poi si mise a
parlare.
«Maledetta! Io morirò, ma
qualcuno mi sostituirà! Non servirà a nulla tutta
questa tua fatica!»
L’ultima esplosione distrusse
tutti i macchinari e l’animale, crollando a terra,
esalò l’ultimo respiro.
I due anziani, liberatisi degli
altri, corsero verso l’animale esamine.
All’improvviso il fuoco divampò,
bruciando la bestia.
I due anziani si gettarono nel
fuoco per salvarlo, ma morirono nell’incendio.
Il fuoco durò giorni e il fumo
invase gran parte delle grotte e dei cunicoli.
Gli ominidi si misero in salvo nascondendosi
nelle astronavi.
Il fumo fu visibile per buona
parte del pianeta e anche dallo spazio.
Una nave di passaggio lo vide e
lo segnalò all’accademia delle scienze, che
inoltrò la comunicazioni e parecchi
altri ministeri, commissioni, sottocommissioni e vari altri
dipartimenti.
Ma il fatto che questi strani
incendi sottoterra avvenivano in vari pianeti, in sistemi solari
lontani anni a
anni luce, con il continuo urlo degli animali sulle navi della Regina,
incominciò a preoccupare il Tenente.
I servizi segreti ebbero il loro
bel da fare per capirci qualcosa, fino a quando Kouilo e la sua
delegazione non
arrivarono in visita dal Presidente.
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