ReggaeFamily
Beach
under the Sun
[John]
«Quindi
questa storia del concerto al Dodger Stadium è vera?»
domandò Shavo, lanciandomi un'occhiata dubbiosa.
«Ma
certo che lo è!» confermai.
«Ma
perché lo hanno chiesto a Rick e non a David?» indagò
ancora con le sopracciglia aggrottate.
Ero
preoccupato per lui: non aveva toccato cibo, nonostante avesse
ordinato soltanto una porzione ridotta di riso in bianco. Il viaggio
doveva avergli fatto davvero male; speravo soltanto che il giorno
dopo sarebbe riuscito a mangiare, altrimenti le cose potevano
aggravarsi.
«Chi
è David?» borbottò Daron con la faccia quasi
immersa nel suo piatto ricoperto di cibo in quantità
industriale.
«Il
nostro manager, magari?» sbottai.
«Ah,
perché, si chiama David?» ghignò Daron, poi mi
mostrò il dito medio.
«Piantatela!»
ci ammonì il bassista.
Sospirai.
«Non lo so perché lo hanno chiesto a Rick, ma prima che
Rick potesse dircelo, ha dovuto parlare con Beno. Non preoccuparti,
non è una cazzata. È una cosa seria.»
Shavo
annuì e spostò il piatto alla sua sinistra, per poi
poggiarsi con i gomiti sul tavolo. «Okay, ricevuto. Oddio...»
biascicò.
«Che
c'è?» mi allarmai.
«Ho
un'ansia...»
«Cristo,
quanto melodramma! Ehi socio, lo vuoi quel riso o no?» strepitò
Daron.
Sgranai
gli occhi: il chitarrista aveva svuotato in men che non si dica il
suo piatto e sembrava avere ancora fame. Osservai inorridito Shavo
che gli passava il suo piatto e scuoteva la testa.
«Ottima
scelta» esclamò Daron. «Il cibo non si spreca!»
«Sei
una spazzatura ambulante, cazzo» brontolai, per poi finire di
mangiare la mia insalata di pollo e patate. Avevo deciso che, per
quella sera, non avrei sperimentato dei piatti tipici giamaicani.
Avrei avuto tutto il tempo del mondo per farlo.
«Cosa
facciamo dopo cena?» farfugliò Daron, sputacchiando
chicchi di riso già masticati e spargendoli su tutto il
tavolo.
«Che
schifo! Non parlare mentre mastichi, ma sei proprio un...» mi
inalberai, notando che Shavo impallidiva e si prendeva la testa tra
le mani.
«Ma
avete sempre qualcosa da ridire, voi due? Meno male che non saremo in
camera insieme» sbuffò il chitarrista, pulendosi
maldestramente la bocca con il tovagliolo rosso che aveva alla destra
del piatto.
«Sei
disdicevole, proprio come le tue fottute infradito» lo accusò
Shavo. «Comunque, io voglio soltanto dormire. Non ho nessuna
voglia di fare niente, non ne ho proprio la forza. Quindi passo. Se
volete uscire, fatelo senza di me» annunciò, poi
sbadigliò discretamente, coprendosi la bocca con una mano.
«Oh
merda! Sono venuto in vacanza con due pensionati, che palle!»
si lamentò il chitarrista, scolandosi l'ultimo sorso di birra
che ancora stava dentro il suo bicchiere.
«Ti
prego, non esibirti in qualcosa di schifoso, per favore»
sottolineai in preda alla disperazione, guardandomi intorno e
sperando che non ruttasse come un animale.
A
quel punto notai che la nuova amica di Shavo entrava nella sala e
raggiungeva con passo lento e strascicato una coppia che già
sedeva a un tavolo poco distante dal nostro. L'uomo aveva dei tratti
che lo accomunavano alla ragazza, doveva trattarsi di suo padre,
mentre la donna era piuttosto giovane e dubitavo fortemente che si
trattasse di sua madre.
«C'è
la tua amichetta, Shavarsh» lo punzecchiò Daron,
sollevando un po' troppo la voce.
«Ascolta,
chitarrista rompicoglioni, sai che facciamo?» lo apostrofai,
decidendo di lasciare Shavo in pace per un po'. «Andiamo a fare
due passi. Voglio esplorare un po' i dintorni, e tu hai un senso
dell'orientamento migliore del mio.»
«Cosa?
Non ci penso proprio, detective Bosch» si ribellò lui,
scuotendo il capo con forza. «Io mi sa che vado a esplorare la
terrazza. O vado a cercare una sauna, una piscina... ho bisogno di
relax, visto che nessuno di voi vuole andare a divertirsi da qualche
parte. Per oggi vi perdono, ma domani non avrete scampo. Chiaro?»
«Fai
come ti pare, nanerottolo, basta che sparisci dalla circolazione»
borbottò Shavo, sbadigliando di nuovo.
«Okay,
allora andiamo. Shavo, ti accompagno in camera, non vorrei che ti
perdessi tra i corridoi... mi sembri molto confuso e stravolto...»
decisi, alzandomi e afferrando il mio amico per un braccio.
«Forse
è meglio, altrimenti lo troviamo morto in riva al mare,
divorato da uno squalo...» scherzò il chitarrista,
balzando in piedi a sua volta. «Bene, ci si vede domani, e guai
a voi se mi svegliate prima di mezzogiorno!» concluse, per poi
rivolgerci un cenno di saluto con la mano destra e avviarsi a grandi
passi fuori dal ristorante.
Io
e Shavo lo imitammo poco dopo, camminando lentamente. Mi adoperai per
sostenerlo, notando che la stanchezza si era definitivamente
impadronita di lui. Dopo essere usciti dal ristorante, ci ritrovammo
in un piccolo corridoio che, una volta percorso, ci riportò
nella hall.
Notai
il receptionist che ci aveva accolto avviarsi verso l'uscita,
salutando in maniera cortese un certo signor Skye, che doveva essere
il proprietario dell'albergo o qualcosa del genere.
«Signori,
buonasera» ci salutò quest'ultimo, indirizzandoci un
sorriso educato mentre passavamo di fronte al bancone della
reception.
«Salve»
risposi io.
«Sera...»
biascicò Shavo senza sollevare il capo. Mi sembrava di
camminare con uno zombie.
«Siete
voi a essere arrivati questo pomeriggio da Los Angeles?»
domandò ancora l'uomo, e a quel punto mi fermai.
«Sì,
siamo noi.» Annuii, sperando che smettesse di parlarci e ci
lasciasse andare. «Lei è il direttore dello Skye Sun
Hotel?» chiesi, tanto per essere un minimo educato.
«Il
vice» annunciò, poi ci raggiunse e mi porse la mano.
«Samuel Skye, piacere di conoscerla.»
«John
Dolmayan, piacere mio. Mi scuso per il mio amico Shavo Odadjian, è
molto stanco e il viaggio è stato traumatico per lui. Non ha
neanche cenato... mi scusi, lo accompagno in camera, ha bisogno di
riposo» blaterai, riprendendo a muovermi verso l'ascensore. Non
avevo nessuna voglia di intrattenermi con quel tipo, non era proprio
il momento adatto.
«Ma
certo, si figuri. Buonanotte e buona permanenza nel nostro albergo!»
esclamò infine in tono allegro, per poi tornare dietro il
bancone.
Una
volta in ascensore, ripensai all'uomo sulla quarantina che avevo
appena incontrato. C'era qualcosa che non andava in lui, ma
attualmente non ero in grado di capire cosa.
«Hai
visto quei capelli?» bofonchiò Shavo con la schiena
appoggiata contro il vetro panoramico. «Erano palesemente tinti
di biondo!» esclamò poi.
«Cazzo,
hai ragione!» A quel punto scoppiai a ridere. «Ridicolo.»
«Già...
e non so neanche come ho fatto ad accorgermene...» farfugliò
il mio amico, sbadigliando per l'ennesima volta.
Sospirai
e lo spinsi fuori dall'ascensore.
Per
evitare di ripassare per la hall e incontrare nuovamente Samuel Skye,
decisi di cercare una scorciatoia o un'uscita secondaria. Erano
soltanto le dieci di sera e non avevo niente da fare: non avevo
particolarmente sonno perché avevo dormito in aereo, però
non avevo voglia di stare con Daron a ubriacarmi nel bar sulla
terrazza o a stare a mollo in una piscina.
Non
mi restava che fare un giro e capire cosa si poteva fare di bello al
di fuori dell'albergo. Scoprii, dopo essere uscito dall'ascensore al
pianterreno, che c'era una porta di sicurezza che si affacciava verso
l'esterno. La spinsi e mi ritrovai sul lato destro dell'edificio
dipinto di bordeaux in cui alloggiavo con i miei amici. Un
marciapiede di cemento seguiva il perimetro della palazzina, mentre
un'altra passerella conduceva verso la spiaggia.
Seguii
il sentiero e a un certo punto mi trovai di fronte un cartello con su
scritto Beach under the Sun.
Era un nome singolare per
una spiaggia.
La
luna, un piccolo spicchio seminascosto da qualche nuvola passeggera,
illuminava appena la superficie del mare, la quale sembrava nera come
pece. Qualche lampione dalla luce tenue era disseminato lungo il
sentiero, ma una volta superata la passerella di legno su cui erano
sistemati, mi ritrovai immerso quasi del tutto nell'oscurità
della notte. Sul lato sinistro della piccola lingua di sabbia si
ergeva la scogliera, e in alto
intravedevo il profilo della palazzina bordeaux. Soltanto due
finestre erano illuminate, per il resto la struttura appariva buia e
quasi sinistra.
Mi avvicinai alla riva, dal
momento che l'acqua era calma e pareva quasi immobile, come se si
trattasse di un quadro posto lì per essere ammirato dai
turisti. Mi sedetti in riva, decidendo che mi sarei rilassato un po'.
Quell'atmosfera mi incuteva una calma incredibile, non avrei mai
immaginato che ciò sarebbe potuto accadere così presto.
Si trattava solo di un po' di sabbia, qualche alga sparsa qua e là
e una distesa infinita d'acqua salata che non accennava a dar segni
di vita. Eppure era tutto così bello, rilassante...
Avvertii un movimento alla
mia sinistra e mi voltai di scatto, leggermente allarmato. Notai una
figura scendere agilmente dalla scogliera e dirigersi verso la
passerella di legno, con passo spedito e qualcosa tra le mani.
Poi si fermò di botto
e parve accorgersi della mia presenza. Si voltò nella mia
direzione e notai che si trattava della nuova amica di Shavo.
«Cosa diamine fai
qui?» mi domandò, avvicinandosi di qualche passo.
«Ho fatto una
passeggiata. Non si può?» replicai con calma,
rimettendomi in piedi e scuotendomi via la sabbia dai jeans.
«Di
notte?» mi apostrofò. Camminò ancora verso di me,
poi mi superò e lasciò cadere qualcosa sulla sabbia
umida. Infine si inginocchiò sulla riva e
immerse le mani nell'acqua, sciacquandole e sfregandole tra loro.
Abbassai lo sguardo e notai
che aveva portato con sé un'enorme ciotola in plastica, che
dentro doveva aver ospitato del cibo.
«Hai rubato la cena
per caso?» scherzai, inclinando la testa di lato.
«No, erano degli
avanzi per i gatti» spiegò.
«Gatti?»
«Bado a dei gatti
randagi quando vengo qui. Altrimenti se ne occupa Dayanara, cioè...
il receptionist.»
«Ah, bello.»
«Direi» borbottò
lei, poi si allungò per afferrare la ciotola e la immerse in
acqua.
Rimasi in silenzio, non
sapevo esattamente cosa dire. Non ero un granché come
interlocutore, specialmente quando avevo a che fare con una persona
estranea.
«Non sei loquace come
Shavarsh, eh?» buttò lì la ragazza.
«Io? Eh, no... mi
dispiace» farfugliai.
«Ognuno ha il suo
carattere» disse con una scrollata di spalle. «Com'è
che ti chiami?» mi chiese poi.
«John. E tu?»
«Leah. Ah, tu sei
quello con il nome normale, okay.»
Aggrottai le sopracciglia.
«Come?»
«Niente, sono solo
cazzate.»
«Okay.»
Leah
si rimise in piedi e scrollò con forza la ciotola per
liberarla dall'acqua in eccesso, poi si voltò e mi sorrise in
maniera un po' incerta. «Okay, John... la, ehm, conversazione
è stata molto interessante. Ora vado a buttarmi a letto, ci si
vede in giro.»
Annuii e tentai di
sorriderle a mia volta. «Certo, sicuro.»
Fece per andarsene, poi ci
ripensò e si bloccò. «Come sta Shav? Si è
ripreso?» indagò.
«Insomma. Non ha
cenato e ho dovuto accompagnarlo in camera e metterlo a letto. Avevo
paura che si perdesse per l'hotel o che cadesse addormentato in
ascensore...»
Leah scosse il capo.
«Poveretto. Be', domani starà meglio. Salutalo da parte
mia e fagli tanti auguri di pronta guarigione» concluse, e
nella sua voce notai una nota di preoccupazione.
«Senz'altro»
assentii.
«Allora ciao.»
«Ciao.»
Detto questo, tornai a
sedermi sulla spiaggia e riflettei. Quella ragazza era un po' strana,
però avevo come l'impressione che tra lei e Shavo potesse
nascere qualcosa. Forse era esagerato da dire, ma era come se tra
quei due si fosse creato fin da subito un feeling particolare.
Chissà come sarebbe
andata a finire.
Dal canto mio, mi trovavo
bene in quel luogo, anche se dovevo ammettere che mi mancavano già
i miei amati strumenti musicali.
Sarei sopravvissuto senza?
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