[2°]
I ghirigori dei fiori sul muro iniziavano dalla parte bassa delle
pareti e si arrampicavano fino al soffitto, confluivano tutti in un
unico punto, in cui era dipinto il fiore più grande e dove
pendeva l'enorme lampadario. Sembrava quasi la lotta delle piante per
la luce. Abbassai gli occhi e tornai a fissarmi le mani, cambiando
posizione sulla scomoda poltroncina. Mi trovavo nello studio del mio
dottore, gli avevo raccontato quanto accaduto durante il giorno. La
parte razionale di me era appena tornata in cima ed avevo cercato di
soffocare le brutte sensazioni. Mi ero praticamente convinta di aver
avuto un banale malore. Nonostante questo, mentre aspettavo che il
medico elaborasse il mio racconto e mi rispondesse, non avevo potuto
fare a meno di concentrarmi sui disegni che adornavano le pareti.
Quando ero nervosa avevo il vizio di focalizzarmi sempre su qualcosa di
piccolo ed insignificante. Mi aiutava a credere che la portata dei miei
problemi non fosse poi così grande. Mi ripetevo sempre che
se riuscivo a pensare a qualcosa di piccolo nei momenti di caos, allora
significava che quel caos non era mai così grande da
abbattermi.
-Senti-, la voce
improvvisa del dottore mi riscosse, - sei sicura di non aver fatto
nulla di particolare negli ultimi giorni? Di anomalo?-
-No, gliel'ho detto.
Sono stata a casa, il massimo del mio movimento sono state normali cose
che faccio ogni giorno...-
-Niente alcolici?-
-No-
-Judith, io non vorrei
chiedertelo, ma hai mai fatto uso di stupefacenti?-
-Cosa?! Assolutamente
no! Secondo lei se avessi preso delle sostanze sarei venuta da un
dottore?!-
Ottimo, avevo buttato
un'ora di attesa per farmi visitare da un tizio che mi dicesse che gli
sembravo una drogata.
-Avere visioni non
è una cosa normale, non senza una causa. Non hai assunto
farmaci, non hai bevuto, non hai fatto uso di sostanze allucinogene,
l'unica cosa a cui posso ricondurre tutto questo è la
carenza di sonno della quale mi hai parlato ma l'unica cosa che ti
posso consigliare è di dormire, appunto. Non me la sento di
prescriverti dei sonniferi, potrei consigliarti delle gocce naturali
che possano aiutarti a conciliare il sonno e rilassarti. Per la
debolezza ti indico degli integratori e per sicurezza dovresti comunque
fare delle analisi. Se dovessi continuare a vedere cose irreali ed a
credere di avere delle visioni ti faremo fare una tac, che ne dici?-
-Senta, lasci stare.
Arrivederci-
Una volta fuori dallo
studio tirai un gigantesco sospiro di sollievo. A quanto pare avevo
avuto una pessima idea, ma non potevo certo dire ad Aiden che il
dottore mi credeva una specie di pazza, così quando salii in
macchina gli dissi che mi aveva detto di comprare degli integratori e
lui non si insospettì minimamente.
-Sai cosa facciamo
adesso?-
-Cosa?-
-Visto che devo ancora
rivedere Alex, ce ne andiamo in spiaggia, così lui ci
raggiunge lì, che ne dici?-
Alex. Fino a qualche
anno prima, non aveva fatto altro che odiarlo ad intervalli regolari di
tempo, poi, complice la crescita forse, chissà come avevano
iniziato a fare amicizia ed avevano tirato fuori il rapporto
più bello che avessi mai visto. Forse lo idealizzavo un po',
dal momento che io avevo avuto ben pochi amici degni di tale nome.
Essendo sempre stata appiccicata a mio fratello, mi ero convinta che
nonostante tutto avrei avuto lui e raramente ho rincorso le mie
amicizie, anche quando ero nel torto. L'unico con cui avevo instaurato
un rapporto duraturo era appunto Alex, ma semplicemente
perché me lo ritrovavo in casa da anni.
-In spiaggia in tre?-
-E allora? Preferisci
stare a casa? Dobbiamo festeggiare il mio ritorno!-
-Immagino che i
festeggiamenti saranno molto “sobri”...-
Gli tirai un piccolo
pugno sul braccio e risi, decidendo di rilassarmi. Osservai la strada
scorrere finché non presi sonno; quando Aiden mi
scrollò per dirmi che eravamo arrivati, sorrisi rendendomi
conto di non aver sognato. Corsi immediatamente verso l'enorme distesa
blu che avevamo di fronte e mi sentii in pace almeno per un po',
sdraiata alla meno peggio su uno degli asciugamani che avevamo con noi.
Alex arrivò poco dopo e non fu difficile notarlo visto che
era vestito di tutto punto, aveva tagliato l'ammasso di ricci biondi
che ora sembrava quasi ordinato, indossava dei jeans scuri, una camicia
ed una cravatta, il che non solo era assurdo per lui, era soprattutto
assurdo perché eravamo al mare. Il suo aspetto poteva
significare solo una cosa: che aveva finalmente trovato un lavoro
decente. Il ragazzo salutò mio fratello con un interminabile
abbraccio e poi guardò me regalandomi uno dei suoi tanti
sorrisi a trentadue denti.
Considerati i piani di
mio fratello, non fu strano ritrovarmi un paio d'ore dopo a cercare di
farlo smettere di bere. Io ed Alex eravamo allegri, mentre Aiden mi
stava facendo impazzire, aveva avuto la geniale idea di ubriacarsi
senza alcun motivo, ed era da circa un'ora che ripeteva una serie
infinita di assurdità sulla sua vita da Americano,
così quando gli levai il rum di mano e finalmente si
accasciò sull'asciugamano, scoppiammo a ridere sollevati.
-Facciamo due passi?-
Sorrisi e guardai per
l'ennesima volta la sua cravatta. A quanto pare Alex con il lavoro se
l'era cavata, con il nodo un po' meno. Ci avviammo insieme lungo la
riva del mare e mi sentii barcollare leggermente. Non avrei dovuto bere
neanch'io.
-Allora, vuoi
spiegarmi perché sei sparita nell'ultima settimana?-
Sollevai un
sopracciglio interrogativa.
-Cosa? Non sono
sparita affatto-
-Ah no? Ne sei sicura?-
-Beh...-
Forse lo avevo
leggermente evitato perché mi stavo preparando a
riaccogliere Andrea. In effetti, ero stata così in
fibrillazione nell'attesa che mi vergognavo di parlarne con lui, che mi
aveva invece sopportata quando ero relativamente depressa.
-Allora ti dico io
cosa hai fatto, Jud. Quando ti sei resa conto che mancavano pochi
giorni all'arrivo di Andrea hai iniziato con i tuoi film mentali ad
immaginare come saresti stata felice. Quindi ti sei suggestionata, e
hai iniziato ad essere impaziente e petulante, gli facevi telefonate
ogni due ore, al colmo della gioia. Mia cara ragazzina lunatica. Mi
sbaglio?-
Lo guardai fingendomi
accigliata e poi scoppiammo a ridere entrambi. Ovviamente non potevo
aspettarmi che non lo capisse.
-Non sei felice di
esserti risparmiato le mie lagne di contentezza?-
-Eccome se lo sono! Ho
avuto una settimana di pace interiore, grazie!-
Lo spinsi divertita
mentre proseguivamo a camminare, finché non raggiungemmo un
piccolo gruppo di scogli bassi e così finimmo per sederci
lì sopra.
-E' bello essere
libero dall'onere di proteggerti e controllarti-
-Quando mai ti ho
permesso di fare l'una o l'altra cosa?!-
Gli occhi di Alex si
addolcirono e mi strinse a se, dandomi un colpetto in testa.
-Io lo faccio sempre e
sempre lo farò, inetta-
Mentre ricambiavo la
sua stretta, iniziai a sentire il mio cuore nelle orecchie. La cosa
strana era che non mi sentivo poi così emozionata, gesti
come quello erano all'ordine del giorno per me ed il ragazzo, quindi
non aveva senso che il mio cuore battesse così forte da
farmi pulsare le tempie. La consapevolezza arrivò troppo
tardi. Stavo avendo un altro dei miei attacchi, non era il battito del
mio cuore che stavo sentendo, ma il solito rumore pressante, stavolta
ben peggiore dei precedenti. Sentii il familiare tremore e mi
sembrò che il mondo avesse preso a girare. Il suono stava
aumentando di intensità e persi l'equilibrio perfino da
seduta, sporgendomi in avanti. Non feci in tempo a riprenderlo,
perché scivolai dallo scoglio e finii dritta nell'acqua
senza neanche rendermene conto, toccando il fondo con i piedi poco
dopo. Subito mi feci prendere dal panico, agitando le braccia in
maniera convulsa per tenermi a galla nonostante toccassi perfettamente.
-Jud??!-
Alex si
allungò verso di me e mi sollevò, apparentemente
senza sforzo, tirandomi fuori dall’acqua e riportandomi sulla
superficie sporca dello scoglio.
-Ma che ti prende?
Come diavolo hai fatto a scivolare?!-
Non so se fosse stato
per merito dell'acqua ma sentii un forte senso di freschezza, come se
avessi appena preso una boccata d'aria rigenerante, tutte le orribili
sensazioni che avevo provato nell’ultimo minuto svanirono in
un battito di ciglia. Tutte tranne il rumore che sentivo ancora nelle
orecchie, sebbene affievolito. Aveva nuovamente perso
d’intensità e si era ridotto ad un leggero
sottofondo. Lasciai che il ragazzo mi trascinasse in spiaggia e che mi
avvolgesse con un asciugamano. Aiden si accorse di noi solo quando mi
sedetti accanto a lui facendolo svegliare di soprassalto, rimase
sbigottito almeno quanto il suo amico di vedermi improvvisamente
fradicia, non osavo immaginare di che colore fosse la mia faccia. Se
fosse successa di nuovo una cosa del genere sarei impazzita.
Fortunatamente, quando Alex gli spiegò che ero praticamente
finita in acqua dopo uno sbandamento, mio fratello si rese conto che
non era proprio il caso di rimanere, evitò di farmi domande,
per una volta, dicendo semplicemente ad Alex di guidare la nostra auto
fino a casa, dato che lui era ancora mezzo ubriaco. Ormai eravamo di
fronte alla porta dell'appartamento quando lo vidi. Stavo infilando la
chiave nella serratura e mi ero voltata per essere sicura che Aiden,
barcollante, fosse dietro di me. Il mio sguardo cadde alle sue spalle,
verso una figura vestita di nero che perdeva evidentemente sangue da un
braccio e camminava chinata in avanti. Scansai immediatamente mio
fratello e mi mossi per andare ad aiutare quella persona, ma quando
arrivai nel punto in cui l'avevo vista muoversi, mi sentii come se mi
fossi improvvisamente riscossa dall’ennesima allucinazione.
Non trovai nulla. Neanche una goccia di sangue al suolo, niente. Stavo
davvero diventando pazza? Ero arrivata ad immaginare persone che in
realtà non esistevano? Assurdo. L'unica cosa che desideravo
fare in quel momento era infilarmi il pigiama e buttarmi nel letto,
quindi fu esattamente ciò che feci senza, ovviamente,
riuscire a prendere sonno. Considerate questo: come vi sentireste e,
soprattutto, cosa fareste, se aveste nella testa un battito costante
simile a quello di un cuore, a seguito di una visione totalmente priva
di senso? Ok, qualcuno non considererebbe minimamente la cosa ed
accetterebbe il fatto di poter avere una semplice allucinazione.
Qualcuno si sarebbe fatto curare seriamente. Per quanto mi riguardava,
avrei voluto pensarla così, ma qualcosa sembrava
impedirmelo. Così, rimuginando, iniziò la paura.
Paura per tutte le ore successive. Per tutta la notte. Con l'acuto
suono nella testa. Quel “tum, tum, tum” mi stava
distruggendo ed ero così spaventata che anche volendo non
sarei riuscita a pensare razionalmente a cosa potesse essere, ed al
perché mi stesse accadendo. Non mi mossi dalla mia stanza e
rimasi ben sveglia e tremante nel letto, poi l'alba mi portò
conforto e crollai sul cuscino, finalmente senza nessun rumore di fondo.
***
I sogni mi
tormentavano da giorni. Ogni volta che andavo a dormire ero costretta a
svegliarmi poco dopo aver preso sonno a causa di alcuni incubi,
immagini sconnesse in cui vedevo apparire ombre e luce, immagini che
come ho già detto non riuscivo mai a dimenticare. Comunque
era diventato insostenibile trascorrere la notte a svegliarmi
terrorizzata, quindi iniziai davvero a prendere delle gocce prima di
andare a letto, ed avevo perfino chiesto ad Aiden di dormire in camera
con me un paio di volte. Mi era sembrato di sognare, più di
una volta, mentre mi sentivo totalmente sveglia, ed il battito costante
che avevo udito inizialmente non si era più presentato con
forza. Era come se fosse sempre presente ma si facesse udire solo ad
intervalli; i miei incubi erano iniziati prima che iniziassi ad udirlo,
ma da quel momento non avevano fatto che peggiorare e naturalmente la
cosa mi inquietava. Sognavo spesso una porta e la mia
impossibilità totale di aprirla, sognavo di trovarmi in
alcune stanze senza uscita, di soffocare, di venire strangolata. Un
sogno mi angosciò più degli altri. Mi trovavo
sulla sabbia, completamente vestita, ed improvvisamente intorno a me
centinaia di persone si sollevavano da terra, come se fossero state
dormienti sotto i granelli gialli. Queste persone avevano il viso nero,
come se gli avessero gettato in faccia della vernice. All'improvviso,
tutte aprivano gli occhi ed io rimanevo allibita dal fatto che fossero
vuoti, trasparenti. Poi l'oscurità mi avvolgeva ed iniziavo
a gridare. Capite perché per me la notte fosse diventata una
nemica? Il sonno anziché portarmi sollievo mi tradiva. Per
questo motivo, come sempre negli ultimi giorni, giravo per i corridoi
della sede universitaria con un enorme thermos di caffè in
mano. Raggiunsi il davanzale della finestra più vicina e mi
ci appoggiai per versarmi un bicchiere di quella magica bevanda, mi
assicuravo di berne un po’ prima di ogni lezione, ma qualcosa
rovinò il mio momento di estasi. Un paio di mani comparvero
intorno al marmo del davanzale e non ebbi neanche il tempo di
spostarmi. Un ragazzo si arrampicò dalla finestra come se
fosse stato una scimmia ed entrò nell'edificio con un salto,
facendomi praticamente volare il bicchiere per terra. Non appena si
girò verso di me e mi guardò mi accorsi che era
familiare. Era il tipo malmenato che avevo visto medicarsi nel bagno.
Rendendosi conto che mi aveva praticamente travolta, si
piegò a raccogliere il bicchierino di metallo del thermos e
me lo porse con uno strano cipiglio sul volto.
-Sei narcolettica?-
-Come scusa?-
-Sai, quella gente che
si addormenta di punto in bianco nel bel mezzo della giornata...-
-Non hai mai visto
qualcuno bere del caffè senza avere strane malattie?-
chiesi, con un tono fin troppo innervosito.
-La
quantità di caffeina che ingerisci è
impressionante, ti vedono sempre tutti aggirarti con quel thermos,
inizi ad inquietarmi.-
Prima di rispondergli
non potei non soffermarmi sul suo viso improvvisamente più
vicino. Gran parte delle ferite che gli avevo visto in faccia erano
sparite senza lasciare traccia. Aveva dei lineamenti duri ma in
armonia, gli zigomi alti erano ancora leggermente violacei.
-Tu ti arrampichi
dalla finestra come se non ci fosse nulla di strano, vai in giro come
il reduce di una rissa da bar, ed io ti inquieto, scusa tanto?!-
-Almeno io riesco a
dormire, signorina Grevi...-
Il mio volto perse
totalmente colore. Com'era possibile che conoscesse il mio cognome?
-Come fai a sapere che
non dormo?! Perché sai come mi chiamo?!-
-Non stavamo parlando
del fatto che ti imbottisci di caffè? Mi pare ovvio che tu
non dorma, no?-
Senza permettermi di
ribattere il ragazzo si voltò e svanì dietro il
corridoio più vicino. D'accordo, potevo accettare il fatto
che avesse intuito la mia insonnia, ma il nome? Come faceva a conoscere
il mio nome? Frequentavamo la stessa facoltà a quanto pare,
magari lo aveva sentito in giro? Mi sembrava comunque piuttosto strano,
visto che non ero esattamente una persona socievole e parlavo a
malapena con un paio di persone del mio corso. Mi promisi che la
prossima volta lo avrei trattenuto per farmi dare delle spiegazioni
decenti. Forse avevo bisogno di qualcosa che mi distraesse dai miei
incubi e svenimenti, quello sembrava essere proprio il modo migliore di
non pensarci. Presi in mano il cellulare per controllare l'orario e mi
accorsi che avevo cinque chiamate perse. Proprio in quel momento
ricominciò a suonare e lessi un numero sconosciuto prima di
rispondere.
-Chi è?-
-Allora te lo ricordi
che hai un telefono!-
-Alex?-
-Sì! Ho
cambiato numero, non ti avevo avvisata? Dove sei?-
-No. Sono
all'università, perché?-
-Ti va se pranziamo
insieme? Non puoi andartene di lì?-
-Ma salterei la
lezione...-
-E allora? Dai, non
puoi fare questo piccolissimo sforzo? Mi sto annoiando!-
-Tu e mio fratello
soffrite di una rara forma di egocentrismo…-
-Ci vediamo al solito
posto?-
Dal momento che volevo
distrarmi, alla fine accettai la sua proposta. Incontrai Alex poco
dopo, trovandolo stranamente impaziente e con in mano
un’enorme scatola piena di pizza, che a quanto pare stavamo
per divorare nel nostro parco preferito. Pensai che, in un modo o
nell'altro, una persona allegra come Alex poteva essere un ottimo scudo
a tutta la mia negatività. Non aveva il mio stesso vizio di
rimuginare, faceva sempre la prima cosa che gli passava per la testa,
compreso organizzare un picnic improvvisato.
Eravamo sdraiati
sull'erba da poco tempo ed avevo quasi iniziato a rilassarmi, eppure mi
sentivo strana. Non saprei spiegare bene perché, ma avevo
l’impressione di dimenticare delle cose mentre parlavo con il
ragazzo. Scordavo le domande che mi faceva, mi sentivo distratta, cosa
per la quale diedi la colpa al sonno, almeno finché non mi
resi conto che mi erano sfuggiti interi pezzi di conversazione. Sentivo
un assurdo disorientamento e mi ritrovavo a sbattere più
volte le palpebre ed a scuotere il capo come se mi fossi appena
svegliata da una catalessi.
-Senti, se non volevi
venire bastava che me lo dicessi chiaro e tondo...-
A quanto pare ero
stata più silenziosa del dovuto, o forse avevo detto
qualcosa di sbagliato al ragazzo. Il punto era che non ricordavo
assolutamente nulla!
-Ma che stai dicendo?-
-Mi sento abbastanza
idiota a parlarti e farti domande se poi tu resti zitta, che ne dici?!-
Quantomeno mi aveva
appena fatto capire che non avevo detto nulla di compromettente, ero
solo rimasta muta.
-Scusa, mi sento la
testa ovattata, è come se fossi fuori dal mondo. Lo so che
è strano da dire, ma sono notti che non chiudo occhio e ho
gli incubi, e sento sempre questo disorientamento nel cervello che mi
impedisce di comportarmi da persona normale-
Sinceramente non so
perché decisi di aprirmi proprio con la persona che in quel
momento mi era più vicina. Ho sempre pensato che, quando si
dice che è più semplice parlare dei propri
problemi con chi non si conosce, sia vero. Quando ne parli ad un
familiare, o ad un amico, sai per certo che farà dei
commenti. Che si preoccuperà, o che cercherà di
aiutarti. Certe volte invece hai solo bisogno di dire a qualcuno che
stai male e poi andartene, non vuoi assolutamente essere aiutata. Vuoi
aprirti, ma non condividere. Eppure, lo dissi ad Alex.
-E' per questo che
bevi tutto questo caffè? Jud guarda che non puoi continuare
a non dormire ad oltranza solo per colpa degli incubi. Hai provato con
qualche infuso? Un sonnifero?-
-Francamente non mi
pare il caso di usare sonniferi-
-A me non pare il caso
di non dormire invece. Sembrava davvero che tu non fossi qui, mi
sembrava di parlare con un manichino. Quindi se non hai sentito una
parola di quello che ti ho detto prima, allora c'è davvero
qualcosa che non va...-
-Mi stai dicendo che
non sono normale? Perché credo di averlo già
capito da sola-
Avevo appena usato un
tono stizzito senza motivo. Alex mi guardò comprensivo,
anziché arrabbiarsi della mia risposta, e poggiò
il capo sul telo che avevamo steso sotto di noi.
-Perché non
provi a dormire?-
-Adesso?-
-Eh già.
Non hai sonno? Prova a farti almeno un sonnellino, io me ne
starò qui buono a vegliare su di te come un tipico bravo
ragazzo-
Non riuscii a non
guardarlo almeno un po' scettica. L'idea di dormire non mi dispiaceva,
eppure mi sentivo in imbarazzo. Iniziai a tormentarmi mentre fissavo un
punto indefinito del terreno sotto di me. Volevo solo alzarmi ed
andarmene via, nascondere a chiunque il mio problema.
-Di cosa ti vergogni?-
-Come?-
-Sei nervosa, ti si
legge in faccia. Ho detto qualcosa di male? Non vuoi dormire?-
-Non hai detto nulla
di male, è solo che odio aver bisogno di aiuto-
-Ma dai Jud, io non ti
sto aiutando affatto. Se potessi aiutarti troverei una soluzione per il
tuo star male, invece ti sto solo dicendo di riposarti un po'. Avanti,
giuro che tra massimo un'ora ti sveglio-
E così alla
fine gli diedi retta. Quanto strano poteva essere alla fin fine? Non
dovevo sentirmi giudicata da Alex. Chiusi gli occhi e mi sdraiai il
più comodamente possibile, sentendo immediatamente l'arrivo
della sonnolenza.
Aprii
gli occhi nel vuoto. Il mio sguardo cadeva su una distesa desertica
immensa, color terra di Siena, senza neanche una casa o un edificio. Il
cielo sopra di me era di un intenso color blu petrolio, con un leggero
velo d'arancio ad indicare che era da poco passato il tramonto. Stavo
sognando ovviamente, ma per la prima volta mi sembrava così
reale. Come se fossi cosciente nel sogno. Continuando a guardare
l'orizzonte, mi resi conto del fatto che stavo osservando tutto da una
postazione alta e, finalmente, mi guardai i piedi. Ero su un'enorme
roccia, di un colore più scuro rispetto a quello del
deserto. Come accidenti ero finita lì sopra?! Mi vennero le
vertigini appena mi sporsi verso il basso, mi trovavo a
chissà quanti metri dal suolo.
“Fantastico”,
pensò la me stessa del sogno, sarcasticamente. Un altro
stramaledettissimo incubo. Sentii un risolino sommesso provenire dalle
mie spalle e mi voltai di scatto, scorgendo una figura con le mani sui
fianchi che mi guardava con un sorriso ironico. Quel sorriso era
più che riconoscibile per me, sembrava quello del ragazzo
con cui mi ero scontrata all'università, eppure aveva un
aspetto diverso da quello che ricordavo. Il suo viso era ombrato, quasi
come se gli avessero tirato in faccia della fuliggine. Indossava abiti
completamente neri e l'unica cosa che mi confermò, oltre al
ghigno, che fosse proprio lui, furono i suoi occhi grigi che spiccavano
in mezzo a tutta quell'oscurità che gli aleggiava intorno.
Evidentemente il mio subconscio aveva già elaborato quella
persona in maniera negativa, altrimenti perché me lo sarei
ritrovato in uno dei miei incubi?
-Subconscio?
Un po' sorpassato, non pensi?-
Com'era
possibile che avesse sentito tutto quello che avevo pensato? Volevo
svegliarmi. Non avevo la pazienza di sopportare un incubo in maniera
così cosciente, con un pazzo scriteriato che mi leggeva
nella mente.
-Vuoi
svegliarti? Ti ho portata in Australia, Ayers Rock, hai presente? Sai
quando rivedrai un panorama del genere?-
Ayers
Rock, ma certo. Quella mattina, mentre stavo andando a lezione, avevo
notato un manifesto riguardante l’Australia sulle pareti del
corridoio, aveva come sfondo proprio quella enorme distesa sabbiosa. La
mia mente stava elaborando anche quello, a quanto pare.
-Va
bene, continua pure a credere al tuo subconscio, ammettiamo che tu stia
sognando. Allora io cosa dovrei essere? Una specie di misterioso
ragazzo di cui ti sei invaghita? Sei rimasta stupita dall'episodio del
caffè e dalla mia fantastica ironia?-
-Certo
che no-
-E
allora cosa sono?-
-Una
rielaborazione mentale della pura irritazione-
Il
ragazzo chiuse la bocca, facendosi morire in bocca le parole che stava
per dirmi, per poi scoppiare in una fragorosa risata.
-Ottima
risposta! In effetti potrei diventare la tua nemesi...-
Perché
non riuscivo a svegliarmi? Era proprio necessario continuare quel sogno
privo di senso?! Di solito quando avevo un minimo di coscienza onirica
e desideravo di svegliarmi, ci riuscivo.
-Non
ti sveglierai solo perché lo desideri. Questo sogno
è mio, signorina Grevi, quindi ti conviene approfittarne,
sei molto fortunata-
Forse
era meglio ignorarlo e aspettare di svegliarmi, così mi
sedetti a gambe incrociate dandogli le spalle ed iniziai a fissare la
landa desolata che si estendeva sotto di noi. L'unica cosa su cui quel
ragazzo aveva avuto ragione, era il paesaggio suggestivo, e quasi mi
dispiaceva non apprezzarlo, ma chiusi comunque gli occhi iniziando a
ripetermi di svegliarmi. Mentre mi rassegnavo al fatto che non ci fosse
verso di uscire da quel sogno, sentii uno strano calore sul viso.
Quando sollevai le palpebre mi ritrovai di fronte un enorme cerchio di
luce bianca che si estendeva verso il cielo. Era quella luce a
scaldarmi il viso, luce che portò il mio intero corpo in
allerta. Sobbalzai quando il ragazzo dagli occhi grigi si fece accanto
a me ed iniziò a guardare il cielo con degli occhi che non
promettevano nulla di buono.
-Che
cos'è?- chiesi, vivamente curiosa.
-E'
ora di svegliarsi Judith-
Percepii il calore del
sole sul volto nonostante non avessi ancora riaperto gli occhi e, prima
che potessi percepire qualsiasi altra cosa, sentii pian piano un suono
farsi sempre più forte nella mia testa. Il battito aveva
finito la sua pausa ed era tornato a tormentarmi, guarda caso proprio
dopo un altro sogno che mi sembrava più una visione. Solo
quando mi girai sul fianco notai che qualcosa mi tratteneva
all’altezza della schiena, precisamente il braccio di Alex,
il quale mi stava non solo stringendo ma soprattutto fissando
preoccupato; non sapevo se avevo parlato mentre sognavo, se
semplicemente mi ero agitata, o se era allarmato dal mio respiro
affannoso e dall’improvviso tremore che mi scuoteva. Affondai
il viso sul suo petto e mi ritrovai a sperare che mi abbracciasse senza
fare domande in attesa che tutto il resto scomparisse.
Il destino volle che
il mio orecchio destro finisse proprio sul punto del suo torace dove
potevo sentire battere il suo cuore. Il sangue mi si raggelò
quando sentii che quel battito era identico a quello che pulsava nella
mia testa. In quel momento non sapevo che doveva essere un presagio.
Non mi rendevo conto che potesse essere qualcosa di più che
la mia semplice immaginazione. Nonostante pregassi di starmi
sbagliando, i due suoni si fusero in uno solo. Pensai che fosse solo
una suggestione data dall’agitazione e cercai di riprendere
sonno. Quanto mi sbagliavo. Nonostante avessi chiuso gli occhi sentivo
ancora pulsare, le tempie iniziavano a farmi sinceramente male. Non
capivo cosa stesse accadendo, era questo che mi succedeva ogni volta
che ero stata male negli ultimi giorni? La mia mente si era, non so
come, messa in sintonia con il cuore di qualcuno?
Il mio istinto di
difesa continuava a farmi sbagliare, a farmi credere che fosse tutto
frutto di un’allucinazione. Mi sentii scindere in due parti.
Una gridava che sapevo cosa mi stesse succedendo, che non era normale
sentire il cuore di qualcuno. L'altra continuava a placarmi ed a
ripetermi che non stava succedendo nulla, che avevo avuto qualche
mancamento a causa dello stress e confondevo i miei incubi con la
realtà. Fu questa parte a prendere il sopravvento. A farmi
regolarizzare il respiro, a farmi calmare. Forse, se non avessi avuto
quel rifiuto, se avessi ammesso che tutto stava davvero succedendo,
sarei impazzita, perciò fui grata di avere ancora
così tanto autocontrollo, seppur discutibile, dentro di me.
-Qualcosa non va?-
-Non lo so…
no. Mi fa solo male la testa-
Alex mi
sollevò il viso, passandomi una mano sotto al mento e
facendola scorrere fino alla fronte. Era davvero il suo cuore che
sentivo? Le tempie... era come se mi ci avessero appena conficcato due
lame, ed il dolore dalla testa sembrava propagarsi fino al collo.
-Se non mi dici
cos'hai davvero non posso aiutarti…-, disse il ragazzo poco
dopo.
-Te l’ho
detto, ho mal…-
-Finiscila. Hai sempre
avuto mal di testa, ma di certo non hai mai tremato così,
come se stessi per avere un attacco di panico. Sembri sul punto di
piangere, e non capisco perché tu non mi stia dicendo quale
sia il problema! Ho fatto qualcosa di male?-
-No,
davvero… è la testa, è come se me la
stessero martellando dall'interno. È da quando è
tornato Aiden che non sto bene, ti giuro che non so cosa mi stia
succedendo ma non ha nulla a che fare con te-
-Mmm...-
Alex si
passò una mano tra le ciocche bionde e fece un profondo
sospiro, in evidente difficoltà su come prendere la
situazione.
-Forse ti sta facendo
allergia il tatuaggio che ti sei fatta? Perché non me
l’hai detto, tra l’altro?!- Sollevai un
sopracciglio perplessa e lo guardai in attesa di una spiegazione che
non arrivò.
-Tatuaggio? Quale
tatuaggio?- chiesi, interdetta.
-Sarà anche
coperto dai capelli ma si vede, se volevi farne uno nascosto avresti
dovuto scegliere un altro punto…- rispose Alex e, detto
ciò, mentre procedeva a passarmi una mano sul collo,
iniziò a ridere. Il suo indice si soffermò sul
punto in cui, a quanto pare, avevo un presunto tatuaggio, sotto
all’orecchio destro, verso la nuca; sembrerei pazza se vi
dicessi che a quel punto iniziavo ad aver voglia di ridere
anch’io? Istericamente, ovvio.
Scansai la mano del
ragazzo e feci per mettermi seduta, prendendo poi il cellulare ed
aprendo la fotocamera interna per usarla come specchio. Quando
finalmente riuscii ad inquadrare il tratto di pelle che Alex aveva
toccato, notai che c'era una strana macchia rossa fin troppo definita.
Che fosse il segno che stavo davvero manifestando una qualche malattia?
Sperai che fosse davvero una reazione allergica, magari qualcosa mi
aveva punta nei giorni precedenti, tuttavia non potevo negare a me
stessa che quella macchia fosse particolarmente simile ad un simbolo;
il ragazzo accanto a me l’aveva scambiata per un tatuaggio
perché, di fatto, sembrava uno strano segno a forma di cuore
rovesciato che mi ricordava vagamente il simbolo di picche. Allungai la
mano per toccarlo e non sentii nulla di particolare, non sembrava in
rilievo, ma sottopelle. Se ciò non fosse stato abbastanza
inquietante di per sé, immaginate la mia faccia quando,
togliendo la mano, notai che la presunta macchia era improvvisamente
scomparsa.
-Dovresti andare da un
dermatologo. Comunque, perché te lo sei fatto?-
Mantenere un respiro
regolare quando ti stanno facendo domande e non hai la più
pallida idea di cosa stia succedendo, è un’arte
rara.
-No, non è
niente, tranquillo, devo essermi graffiata… mentre lo
grattavo, sì. Non significa nulla…-, risposi in
fretta ed iniziai ad alzarmi, -senti, forse è meglio che
vada, devo provare a seguire almeno mezza lezione-
Benché
l’espressione di Alex non sembrasse neanche vagamente
convinta delle mie parole, si limitò a fare un altro dei
suoi sorrisetti.
-Immagino che la mia
compagnia non sia più interessante di quella dei tuoi
professori, accidenti, che affronto, il mio povero ego, mi sento
male…-
Con un improbabile
talento recitativo, scoppiai a ridere e diedi una spinta al ragazzo,
fingendomi divertita e salutandolo poco dopo. Mi dispiaceva reagire in
quel modo, ma ero troppo nervosa per parlare civilmente con qualcuno,
perfino con lui, così non appena gli voltai le spalle e mi
allontanai, tirai un sospiro di sollievo. Avevo due
possibilità davanti a me: tornare a casa, disperarmi e
sfogarmi con Aiden, sperare che trovasse una soluzione e che non si
spaventasse troppo; oppure ignorare il panico appellandomi alla nuova
ma ben accetta Judith capace di autocontrollo, distrarmi e poi tornare
a casa una volta calma. Puntai verso il mio tanto amato borgo e mi
augurai che rifugiarmi in quello, di mondo dei sogni, fosse la scelta
giusta.
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