Vento dell'Ovest - Capitolo 24
- Capitolo Ventiquattresimo -
Vento
di Azione
L’assenza
di Marcello in ogni angolo della villa preoccupò non poco
Beatrice che, dopo aver vagato in lungo e in largo per ben due ore alla sua ricerca, si sedette sotto ai
pini con i gomiti poggiati sul tavolo e il mento tra i palmi aperti:
suo marito sembrava essersi letteralmente volatilizzato.
Fu allora che, nella quiete della prima mattina, la ragazza si sentì ancora
più sola ed in colpa per tutto ciò che gli aveva
detto,
ritrovandosi a riflettere sul fatto che stesse imparando sulla propria pelle quanto la
rabbia e la delusione potessero essere le peggiori consigliere,
rendendola cieca ed insensibile.
Improvvisamente, mentre se ne stava lì, meditando su dove potesse essere il
suo consorte, udì una voce
che la
salutava: «Oh, ciao, Beatrice».
Subito, la giovane alzò appena la testa, distogliendosi dai
suoi
tristi pensieri e scorgendo Gerardo che si avvicinava a lei, sul viso
un’espressione non molto dissimile dalla sua.
«Ciao»
rispose, osservandolo mentre si accomodava anche lui al tavolo e si
guardava intorno con fare rassegnato.
«Stai cercando la Vittoria, per caso?»
gli chiese poi, intuendo che ci fosse qualcosa che non andava. Infatti,
si accorse proprio in quel momento che, nel suo girovagare per la villa
ed il giardino, non
aveva incrociato nemmeno l’amica, nonostante a
quell’ora
fosse solitamente di ritorno dalla sua oretta di bagno di sole.
Prima di replicare, l’altro incrociò le braccia e
vi sprofondò il viso.
«Sì» fece la sua voce, soffocata, benché
fosse abbastanza chiara da svelare la nota d’afflizione che la
impregnava. «Sembra essere sparita nel nulla».
«Come
Marcello»
commentò Beatrice, cupa.
Per qualche minuto rimasero ognuno concentrato sui propri pensieri,
lasciando che si udisse solo il cinguettio degli uccellini, dispersi
tra i rami degli alberi. Poi, senza preavviso, Gerardo
riemerse
dal suo nido di depressione e puntò lo sguardo negli occhi
blu
della sua interlocutrice.
«Avete... litigato anche voi?» si
azzardò a domandare, non senza un certo imbarazzo.
In risposta, quella sospirò, annuendo, e il
giovane decise di non indagare oltre, dimostrando ancora una volta la
sua discrezione. In quel frangente, Beatrice si ritrovò ad
osservarlo attentamente e a pensare che, prima di allora, non aveva mai
avuto l’occasione di restare sola con lui a parlare di
argomenti
molto personali; ciò che la stupì,
però, fu la
sensazione di
sentirsi completamente a suo agio, come se ce ne fossero state molte
altre.
«Tu sapevi di Giacomo?» domandò
tutt’ad un tratto il ragazzo, richiamando la sua attenzione.
«Sì» rispose lei, cominciando
lentamente. «Per questo ho consigliato alla Vittoria di
parlartene».
«Be’, non l’ha fatto»
ribatté istantaneamente
lui, guardandola torvo. «Ho scoperto che cosa era successo
solo quando quello
si è presentato in spiaggia e mi ha sbattuto in faccia
quanto si
sia divertito alle mie spalle» aggiunse, stizzito,
allontanandosi
dal tavolo con tutta la sedia e voltando la testa dall’altra
parte.
Percependo più delusione e dispiacere che rabbia, la giovane
tentennò per qualche istante prima di esprimere la sua opinione: «La
Vittoria ha sbagliato,
l’è
vero, ma
è stato solo perché
l’aveva
paura di
perderti».
«Mi sono sentito preso in giro» ribatté
lui, piuttosto risentito.
In risposta, Beatrice indurì lo sguardo, sentendosi in dovere di prendere le difese della sua amica, non
approvando la scarsa considerazione manifestata da Gerardo verso i
sentimenti di lei.
«L’è
stata molto male, sai? Non le fa
certo piacere essere
importunata dovunque vada» sbottò.
Tuttavia, il ragazzo non mostrò alcun mutamento, perché replicò: «Appunto per
questo avrebbe dovuto parlarmene, non trovi?»
«Potresti anche cercare di
metterti nei
suo’
panni, per una volta!» insorse, allora, la fanciulla,
scoccandogli un’occhiata di disapprovazione.
«Non
l’è
facile come
pensi, sai? Vorrei proprio vedere se ci fossi stato tu al
su’
posto! Davvero credi che saresti stato così
sicuro?»
A quel punto, la conversazione precipitò in un silenzio teso e i due giovani si scrutarono, immobili, per parecchio
tempo. Perfino gli uccellini smisero di cantare, come se fossero anche loro in attesa di qualcosa.
Quel muto e statico scontro, però, si concluse presto con la
resa di Gerardo, il quale chiuse gli occhi e sospirò,
lasciando trapelare tutta la malinconia che, fino a quel momento, aveva
confinato in fondo al suo cuore.
«No, anzi, penso proprio che sarei stato in
difficoltà» ammise, finalmente, abbassando lo sguardo.
Sorpresa, Beatrice si sentì un po’ in colpa per
essere esplosa in quella maniera, sapendo di aver esagerato.
«Mi spiace, non volevo essere scortese»
si affrettò a dirgli, «ma ho visto quanto la
Vittoria ha sofferto e so che
non c’era
malizia nel tenerti
nascosta
una cosa
simile».
«Hai ragione tu» mormorò a sua volta il
ragazzo, mesto. «La verità è che sono
stato a contemplarla in disparte per così tanto tempo che
non mi sembra vero che adesso stiamo insieme. Inoltre, mi sento
così inferiore a lei che ho sempre paura che qualcuno possa
portarmela via».
Poi, fece una piccola pausa, durante la quale ne approfittò per togliere due
aghi di pino che erano caduti sul tavolo, gettandoli a terra.
«Vorrei chiederle scusa,
ma non so dove sia. Anche se penso che sia con Marcello» aggiunse, più rivolto a se stesso che alla sua
interlocutrice.
«Dici?»
intervenne, però, Beatrice, incuriosita da quel particolare.
«Oh, sì. Quando Vittoria aveva qualche problema
sentimentale, cercava sempre lui ed io lo invidiavo da
morire per questo» spiegò l’altro, con
un’alzata di spalle, tornando a guardarla. «Solo
recentemente, infatti, ho capito
perché
non sceglieva me».
In quel momento, tutta la tristezza per la lontananza del marito
tornò a farsi sentire e la giovane pensò che
Gerardo non era il solo a doversi scusare con qualcuno.
«Secondo te, Marcello
riesce a
perdonare chi
l’ha ferito
nell’orgoglio?» gli chiese,
all’improvviso, serrando nervosamente le mani tra di loro.
«Temo d’esser
stata un
po’ troppo... severa con
lui».
Inaspettatamente, invece di risponderle subito, Gerardo la
fissò per qualche secondo, immobile, prima di
sciogliersi in un tenero sorriso.
«Se lo conosco bene come penso, ti ha
già
perdonata» le rivelò,
dolcemente. «Probabilmente, ora è
in un angolo a leccarsi le ferite, ma tornerà presto da te, ne sono
certo. Anche se non sembra, non riesce a starti lontano troppo a
lungo».
«Oh!» esclamò lei, arrossendo. Per un
po’, rimase zitta, ma poi, avvertendo
l’impellente bisogno di sfogare le sue angosce con qualcuno,
proseguì: «Non l’avrei
dovuto dirgli quelle cose
brutte, ma
mi sono sentita abbandonata e... non sono riuscita a
trattenermi».
Il giovane tentò di rassicurarla, gentile: «Quando
si butta sul lavoro, non c’è per
nessuno.
Tuttavia, si vedeva quanto teneva a risolvere l’intera
faccenda al
meglio solo per farti felice. Devi avere un po’ di
pazienza con lui e vedrai
che, per amor tuo, cambierà».
Abbastanza rinfrancata da tali parole, Beatrice si sforzò di
sorridergli a sua volta, contenta di essersi aperta con lui e di
aver intravisto, grazie alle sue parole, una speranza di poter ricucire il suo rapporto con
Marcello.
***
La dependance di cui aveva parlato il dottor Costa si trovava in un
boschetto di querce, non molto distante dalla villa dei Neri.
Dall’esterno, sembrava una casetta di legno abbastanza
malmessa: quasi tutte le assi delle pareti erano crivellate dalle tarme
e i vetri delle finestre erano opachi e scheggiati; in un angolo, erano
ammucchiate le cassette di plastica nera che sarebbero dovute servire
per la raccolta delle olive.
I due giovani erano rimasti per un po’ nascosti tra gli
alberi, ad osservare il circondario, pronti a rilevare anche
il più piccolo movimento sospetto o rumore proveniente dalla
catapecchia, senza tuttavia riportare alcun risultato.
«Non sembra una dimora molto accogliente»
commentò Vittoria, lanciandole uno sguardo compassionevole.
«Secondo me, ammesso che ci sia stato
qualcuno, deve essere andato via il prima possibile».
«Avviciniamoci con cautela, che ne dici? Solo così potremo
scoprire se è davvero abitata» suggerì,
allora, Marcello, lasciando il suo nascondiglio e procedendo verso
quell’ammasso di vecchio legname. «Stai dietro di
me» ordinò poi a Vittoria, afferrandola per un
polso e costringendola a mettersi alle sue spalle.
Si sentiva responsabile nei suoi confronti e
sapeva che, se le fosse successo qualcosa, Gerardo
non glielo avrebbe mai perdonato, anche se, ovviamente, sarebbe
stato lui il primo a sentirsi in colpa.
Avanzarono lentamente, con estrema cautela, attendendo diversi secondi tra un
passo e l’altro, in costante allerta, ma, per fortuna,
non accadde nulla e riuscirono a raggiungere senza intoppi la baracca.
«L’interno è buio ed i vetri sono
sporchi» bisbigliò la ragazza, dopo aver lanciato una rapida occhiata, dondolando sul
posto per cercare di vedere meglio.
Marcello stava per replicare che, forse, non c’era
davvero nessuno, quando si udì un tonfo, seguito da un orrendo, cavernoso grugnito:
«Basta con questi peperoni, Landi! Siamo su
un’isola e non riesci a rimediare dei camarones?»
«Non è così facile pescare dei
gamberetti, sai?» replicò, immediatamente, la voce
di Giacomo.
A quel punto, i due giovani si guardarono e, capendosi senza proferire mezza
parola, si sporsero quel quanto che bastava per avere una panoramica
del piccolo porticato della casetta, senza essere
visti. Fu allora che Marcello ebbe la conferma che, a pochi passi da
lui, c’era l’uomo che più odiava al mondo e che
aveva a lungo sperato di incontrare nuovamente.
«Questo passa il convento, Navarra» lo
rimbrottò il giovane Landi, gettando ai piedi
dell’altro il cestino colmo di vegetali, che si rovesciarono, spargendosi sul terreno spoglio.
Subito dopo, sbucò dalla casetta anche Pablo,
puntando addosso al ragazzo la sua pistola. Quello, però,
rimase impassibile e, anzi, attaccò di nuovo: «Non
ti conviene ordinare al tuo scagnozzo di farmi fuori, Navarra. Sono
l’unico che può aiutarti a lasciare
l’Elba e farti tornare a casa».
«Certo! Lasciare questo sputo di terra per portarmi su
un’altra isla!» berciò l’altro, tirando un calcio ad una cassetta di legno marcito, sfasciandola.
«Ti ho già spiegato» cominciò stancamente il ragazzo «che
l’unico modo per rallentare la polizia è fare
scalo in un altro paese, prima di raggiungere la Spagna. È
una fortuna che ci troviamo a così poca distanza dal suolo
francese».
L’uomo alzò lo sguardo su di lui, ma non replicò, fissandolo per qualche istante.
«Ecco come stanno le cose...» mormorò, allora,
Marcello a Vittoria, mentre anche gli ultimi dettagli trovavano la loro
collocazione all’interno del complesso quadro. Dal canto suo, lei
si limitò a scuotere la testa, concentrata sui malviventi.
Trascorse qualche altro momento di esitazione, poi, alla fine, lo spagnolo fece segno
a Pablo di mettere giù l’arma.
«Questa notte andremo via»
annunciò Giacomo, accomodandosi su una vecchia sedia
sgangherata, posta proprio accanto ad un palo di sostegno del porticato.
«Se così non dovesse essere, non ti
risparmierò» decretò secco Navarra, spronando con
un cenno del capo il suo collaboratore a rientrare in casa.
«La nostra parola non ti basta, forse?» domandò l’altro, provocatorio, assottigliando lo sguardo.
In risposta, lo spagnolo fece schioccare la lingua contro il palato e
misurò a grandi passi lo spazio prospiciente la casetta.
«Mi avevate promesso molto, quando sono venuto qui lo scorso
gennaio» esordì, parlando molto lentamente. «Il mio silenzio sui vostri imbrogli negli
affari dei Tolomei in cambio di una bella quantità
d’olio da rivendere come aceite
verde de Andalucìa1. Peccato che non abbiate
rispettato gli accordi».
«Frode alimentare!» esclamò Marcello,
abbassando subito dopo il tono di voce, allarmato, sperando di non essere stato
sentito dai due. «Cos’altro diavolo hanno in mente?»
Tuttavia, non ebbe modo di dire altro alla sua compagna, giacché
il Landi si alzò in piedi e, piantandosi davanti allo
spagnolo con le mani in tasca ed un’espressione strafottente sul
volto, non tardò a dire la sua.
«Sai bene che abbiamo fatto di tutto affinché quell’uomo morisse la
settimana prossima, perché così avremmo avuto il tempo di organizzarci
meglio» scandì. «Non è certo colpa nostra se ora abbiamo quel mastino di Guardalupi alle
calcagna!»
«Una settimana in più non avrebbe comunque risolto il
problema, le aceitunas
non sono ancora mature» ribatté Navarra, accarezzandosi la barba e guardando minaccioso il suo interlocutore.
«Avrei lasciato delle istruzioni dettagliate a Fiammetta su
come far arrivare le olive a Cordova» spiegò l’altro, scuotendo la testa con noncuranza. «Una volta
convinti i braccianti che le piante erano infette,
sarebbe stato un gioco da ragazzi farle raccogliere da gente fidata e
appropriarsene».
A quel punto, Conrado estrasse da una tasca dei pantaloni un pacchetto
di sigarette, mettendosene una tra le labbra. Poi, prese un accendino
di latta e ne fece scattare il coperchio a poca distanza dal volto di
Giacomo. La fiammella gli divampò davanti, ma quello non si
mosse, anche se il suo volto tradiva la preoccupazione che lo tormentava dentro.
«Da quel che so, tu
esposa
non è dalla tua parte» commentò malignamente
Navarra, accendendosi la sigaretta e sbuffando in faccia
all’altro il fumo.
«Pur di non far morire il suo dottorino, avrebbe fatto
qualunque cosa» replicò il ragazzo, tossendo e agitando una mano per dissipare velocemente la coltre grigiastra.
Allontanandosi di poco, lo spagnolo tirò qualche altra boccata,
tenendo una mano in tasca mentre osservava con un ghigno ironico Landi, prima di replicare.
«Ho fatto bene a venire di persona ad accertarmi delle
condizioni della tenuta dei Tolomei, ma non a fidarmi di voi» sentenziò, irritato.
«Be’, in fondo, il piano non era male»
si giustificò il ragazzo. «Ti avrebbe aiutato anche a vendicarti di Tornatore, che ti
ha soffiato la contessina».
Nel
sentirsi tirare in ballo, Marcello si appiattì ancor di
più contro la parete della casetta e sbatté le palpebre,
scambiandosi subito dopo uno sguardo stupito con Vittoria, piuttosto
agitata. Uno schianto, però, attirò nuovamente la loro
attenzione: con un violento calcio, lo spagnolo aveva distrutto
un’altra cassetta.
«Quel maldito!» latrò, digrignando i denti come una belva pronta a fare a pezzi la sua preda.
«Se non fosse stato per lui, avrei avuto tutto questo e la bella Beatriz!»
Giacomo, però, non dovette essere d’accordo,
poiché non perse tempo nell’esprimere il suo parere su un argomento di cui si sentiva
molto esperto.
«Non capisco davvero come faccia a piacerti quel pallido
spaventapasseri dai capelli rossi» commentò, inconsapevole
che Marcello, fremente di rabbia, fosse in ascolto. «Mio padre mi ha
obbligato a far finta di farle la corte per portare zizzania tra lei e
suo marito, ma, a dirla tutta... io preferisco di gran lunga la sua
amica» aggiunse, infine, negli occhi un luccichio sinistro.
«Mi è arrivata la voce che anche Victoria
Farnese è qui» affermò, allora, Navarra, piuttosto
annoiato, scagliando il mozzicone nel fitto della boscaglia. «La
conosco. La sua bellezza è
all’altezza della sua fama, ma è
una di quelle mujeres che hanno più tetas che
cervello».
«Sì, è davvero ben fornita» confermò
l’altro, sogghignando e gesticolando volgarmente per alludere
alle forme della ragazza. «Comunque, intelligente o meno non importa, visto che me la devo solo spupazzare
un po’ prima di andarmene».
Indignata da quel disgustoso scambio di battute, Vittoria saltò
su e si sarebbe fatta scoprire, se l’amico non l’avesse prontamente
afferrata per un polso e costretta a tornare al suo posto.
«Lasciami!» soffiò, divincolandosi come una gatta
imprigionata. «Devo andare a cavare gli occhi a quei due
porci!»
«Ferma!» la riprese il biondo, cercando di bloccarla senza
farle male. «Sei impazzita, per caso?! Vuoi farti uccidere?»
«Mi stanno insultando!»
«Lo so, ho sentito» bisbigliò lui, guardandola negli
occhi con decisione. «E ti assicuro che pagheranno per
ogni parola di troppo che hanno usato verso di te o Beatrice, ma ora,
ti prego, calmati».
Dopo qualche secondo di esitazione, finalmente, lei smise di agitarsi,
pur continuando a tremare per la frustrazione ed il ribrezzo.
«In questo momento non possiamo farci scoprire, ma non la
passeranno liscia, te lo prometto» le disse ancora lui, con dolcezza,
accarezzandole una guancia. Poi, tornò a concentrarsi sui due
malviventi che, a pochi passi da loro, ridevano sguaiatamente delle loro sconce osservazioni e,
nauseato, mormorò: «Dovremmo informare immediatamente il
commissario Guardalupi...»
«Posso andarci io!» esclamò all’improvviso una voce, facendoli sobbalzare entrambi.
«Leonardo!» fece Marcello, convinto di essere prossimo ad avere un infarto. «Che cosa ci fai qui?!»
«Ti ho visto uscire dalla casa del dottor Costa e ti ho
seguito» spiegò innocentemente il ragazzino, che non
poteva immaginare di aver inconsapevolmente attentato alla vita dei due
giovani.
«Così, lui è Leonardo...» commentò Vittoria con un filo di voce, ancora piuttosto provata.
«Sì, sì, le presentazioni a dopo»
tagliò corto il biondo, riprendendo fiato appoggiato
con la schiena alla catapecchia, attento a non far scricchiolare le
vecchie assi di legno. «Comunque è una buona idea»
se ne uscì dopo alcuni secondi.
«Quale?» chiese l’amica, lasciandosi cadere a terra,
esausta, come se lo spavento preso fosse stato il colpo di grazia.
«Leonardo andrà alla villa ad avvisare Beatrice e
Gerardo, mentre tu andrai dal commissario» espose Marcello, con
sicurezza, guardando prima l’una e poi l’altro.
«E tu?» domandò lei, confusa.
«Io resterò qui» asserì lui. «Per
quanto ne sappiamo, questi individui potrebbero lasciare presto il loro
nascondiglio e non possiamo assolutamente perderli di vista».
«È una follia!» protestò la ragazza,
recalcitrante, scuotendo la testa con vigore. «Come puoi
pretendere che ti lasci da solo? E se ti dovesse succedere
qualcosa?»
«Tranquilla, non mi succerà niente».
«È arrivato Highlander2!» replicò Vittoria, ironica, accompagnando le parole con una
smorfia di disappunto. «Davvero credi di essere invincibile? E se
dovessero
spararti?»
«Prima andrai da Guardalupi, prima ridurrai le
possibilità che mi spediscano al Creatore» ribatté,
allora, il ragazzo, scoccandole un’occhiata risoluta.
Nel frattempo, Leonardo, in silenzio, aveva spostato lo sguardo
alternativamente fra i due, seguendo interessato tutto il
discorso, e proprio in quel momento si decise ad intervenire.
«Anche io voglio mandare in prigione quei brutti ceffi!» fece, contento.
«Molto
bene, allora ti affido Vittoria, assicurati che raggiunga Marciana
Marina, d’accordo?» gli disse Marcello, scompigliandogli i capelli.
Il ragazzetto, allora, lo prese in parola e diede la mano alla giovane ancora riluttante,
invitandola ad alzarsi, anche se lei non sembrava troppo convinta.
«Marcello... stai attento» lo supplicò, infatti, guardandolo con malinconia e apprensione.
In risposta, quello incurvò appena le labbra, sapendo bene di non avere altra scelta.
«Adesso andate, non c’è tempo da perdere!» li
incoraggiò lui, restando a guardarli mentre entrambi si
allontanavano alla chetichella, accompagnati da un sottile venticello
che sembrava spronarli a correre più veloci.
***
Molinari archiviò l’ennesima deposizione inutile, stropicciandosi gli occhi stanchi.
Aveva accettato di buon grado di aiutare Guardalupi a
sciogliere i numerosi enigmi alla base di quella contorta indagine,
tuttavia le numerose falle nella ricostruzione degli eventi
stavano rendendo vano ogni suo tentativo di tirare le fila del discorso.
Dopo un lungo sospiro, lanciò un’occhiata angustiata al suo fedele block-notes e
all’ordinata grafia con cui aveva preso qualche appunto,
grattandosi una guancia con fare perplesso.
«C’è qualcosa che non va, commissario?»
domandò il collega più giovane, smettendo di applicare le
graffette ai numerosi fascicoletti che aveva davanti.
«Si tratta di un caso molto strano» commentò
l’altro, versandosi un bicchiere di succo alla pesca, per poi
cominciare a sorseggiarlo poco alla volta, passando ad un’altra
deposizione. «Sembra, infatti, che non ci siano dubbi su chi
siano i colpevoli, ma che, al tempo stesso, non vi siano le prove sufficienti per
richiedere un mandato d’arresto».
Guardalupi confermò, annuendo brevemente.
«Sì, è proprio così».
«Quando hai detto che sarà pronto il referto
dell’autopsia, Giorgio?» gli chiese, allora, Molinari,
tracciando una linea divisoria perfettamente orizzontale sul foglio
delle annotazioni.
«Ho parlato stamane con il medico legale e mi ha assicurato che
farà di tutto per farmelo avere al massimo entro domani»
gli rispose quello, con tono di voce sicuro.
«Però, secondo il dottor Costa, i due Landi stanno
progettando una fuga che, per quanto ne sappiamo, potrebbero attuare
prima della prossima alba» gli fece notare l’altro,
tornando ad immergersi nelle sue letture. Era quasi convinto che, anche
quella volta, avrebbe fatto un buco nell’acqua, quando lesse il
nome del sottoscrivente del documento.
In quel momento, come un lampo rischiaratore nella notte, ebbe
un’illuminazione e si tuffò immediatamente sul faldone che
raccoglieva tutti i documenti sul caso, cercandone un altro. Quando
lo ebbe trovato, si diede mentalmente dello sciocco per non averci
fatto caso prima e per non aver prestato maggiore attenzione ad un
dettaglio tanto rilevante: evidentemente, il suo cervello stava
protestando per essere costretto a lavorare
anche in vacanza.
«Che rapporti hanno il signor Tornatore e la signorina Tolomei
con questa vicenda?» domandò, di punto in bianco, al suo
collega, desideroso di avere un sunto di informazioni prima di procedere con i
suoi ragionamenti.
«Lei è la proprietaria della tenuta dove ha avuto origine
il focolaio epidemico. Lui, oltre ad essere suo marito, era presente al
momento del decesso di Ivano Berti» snocciolò sinteticamente Guardalupi, accigliato. «Perché me lo
chiede?»
«Sono mie vecchie conoscenze» fece l’uomo,
accarezzandosi il mento, vagamente sorpreso nel ritrovare lì i due giovani. «Qualche mese fa la
ragazza è stata rapita da un noto trafficante d’armi, un
certo Conrado de Navarra».
«Sì, ne ho sentito parlare» affermò, allora,
l’altro poliziotto, con una rapida scrollata di spalle. «Se
non sbaglio, è ricercato in tutta Europa».
«Già» mormorò Molinari, soprappensiero. «È una coincidenza molto... buffa».
«Una volta, lei mi ha detto che non esistono le
coincidenze» replicò subito il giovane commissario,
inclinando la testa da un lato e puntandogli addosso la
penna che aveva in mano.
«Sì, è vero» fece l’altro, sinceramente
meravigliato da quell’osservazione. «Ricordi ancora quel
corso
d’addestramento ad Olbia con l’ispettore Jackson?»
«Certamente. Le sono molto riconoscente per i suoi
insegnamenti» disse Guardalupi, sorridendo appena e senza la
più piccola traccia di ruffianeria nella voce. «Mi sono stati molto ut...»
Tuttavia,
non riuscì a terminare la frase, perché Baccari irruppe come una furia
nel piccolo ufficio, travolgendo maldestramente il vaso della begonia
che era accanto alla porta che si rovesciò, spargendo la terra sul pavimento.
«Scusi l’interruzione, commissario, ma è arrivata una ragazza che dice di
avere informazioni importanti per le nostre indagini sul caso della
rogna!» esclamò, concitato.
Lì
per lì, Guardalupi lo fissò stralunato, ma presto superò il
disorientamento ed incalzò il suo sottoposto a fornire ulteriori
dettagli.
«Che cosa ha detto di preciso?»
«I due Landi stanno per lasciare l’isola» rispose quello, pronto.
«Maledizione, vanno fermati immediatamente!» ruggì
Molinari, scagliando con violenza la matita contro il blocco.
L’ispettore li guardò entrambi ed esitò, prima di proseguire: «Commissario, non è
tutto... A quanto pare, con loro ci
sono altre due persone pronte a salpare dall’Elba».
«E chi sarebbero?» domandò il superiore, sempre
più meravigliato.
«Ecco,
all’inizio mi è sembrato strano che fossero proprio loro, perciò ho
fatto un paio di telefonate e...» cominciò il ragazzo, per poi fermarsi
bruscamente e deglutire un paio di volte.
«Baccari, non abbiamo tempo da
perdere!» gli abbaiò addosso Molinari, spazientito dalla
lentezza della giovane recluta. «Dicci di chi si tratta!»
Scosso dal rimprovero, l’altro sobbalzò e si affrettò a dire tutto quello che sapeva.
«Sono due individui su cui pende un mandato di
cattura internazionale: Pablo Cabrera e... Conrado de Navarra».
Nell’udire
quei nomi, entrambi i commissari spalancarono gli occhi e si
scambiarono un’occhiata incredula, per poi tornare a rivolgersi al loro
sottoposto.
«Baccari, portaci subito la ragazza!» ordinarono all’unisono, perentori.
***
L’afa di mezzogiorno
aveva reso incandescente la fatiscente casetta di legno, facendola sembrare molto
simile ad una grossa fornace accesa, pertanto, dopo aver cercato di resistere, Marcello dovette arrendersi e cedere,
accovacciandosi accanto alle cassette impilate davanti a lui, con la speranza di
essere ben nascosto.
Da quanto erano andati via Vittoria e Leonardo
non era successo niente di rilevante: Navarra aveva continuato a
studiare quella che sembrava una cartina, seduto vicino a Pablo che
intaccava pigramente alcuni rami con un coltello a serramanico. Di
tanto in tanto, si erano detti qualche parola nella loro lingua
che, però, il giovane, vista la lontananza e la sua scarsa conoscenza
dello spagnolo, non aveva ben compreso.
Intanto, Giacomo era tornato
un paio di volte alla villa per prendere bottiglie d’acqua fresca
e
cestini di frutta da servire agli accalorati ospiti e, magari, anche
con l’intento di farsi vedere da Fiammetta e rendere così
la sua assenza meno sospetta.
Tuttavia, proprio quando il biondo, considerata
la situazione di indolenza generale, stava pensando di allontanarsi a
sua volta e raggiungere l’amica al commissariato, giunse Pierpaolo,
agitando una mano.
«Ottime notizie! Ho parlato con Ettore e mi ha
confermato che è tutto pronto!» comunicò agli altri, gaio. «Ci aspetta
a mezzanotte, al solito posto. Dopodiché, salperemo per Bastia».
Non
avendo mai sentito prima parlare di quell’Ettore, Marcello ipotizzò che
si trattasse del famoso pescatore menzionato da Vittoria, quindi
abbandonò il proposito di andarsene e, incuriosito, rimase in ascolto.
«Muy bien»
commentò, soddisfatto, Navarra, ripiegando la cartina e gettandola alla
rinfusa sul rozzo tavolino. «Una volta a Cordova potrò smettere di
nascondermi e mi vendicherò prima della espía e poi... di lui!»
«Sul
serio vuoi metterti contro... quello?» fece Giacomo, impallidendo. «Non
ti basta che ti abbia messo la polizia di mezzo mondo alle calcagna? Non
hai visto che non si ferma davanti a nessuno?»
«Lo fermerò io» decretò lo spagnolo, spavaldo, gonfiando il petto.
«Secondo me, hai sbagliato ad inimicartelo. Non è stata una mossa molto furba cercare di imbrogliare uno come lui» insistette il ragazzo, rabbrividendo.
Nonostante
Marcello sospettasse da tempo che Giacomo non fosse un cuor di leone,
le sue reazioni di terrore lo lasciarono parecchio
perplesso, soprattutto perché non riusciva a capire perché non
chiamassero per nome l’uomo di cui stavano parlando. Certamente,
doveva essere un tipo piuttosto pericoloso ed influente, se era
riuscito a far diventare Navarra un ricercato internazionale.
«Ha
fatto uccidere Felipe per essere sicuro che non parlasse!» latrò,
allora, l’omone, facendo tremare la terra intorno a lui e richiamando
l’attenzione del giovane. «Sarà la prima cosa che gli farò pagare!»
Fomentato
da quelle rivelazioni sulla verità sulla morte del suo
scagnozzo, Marcello drizzò la schiena e, nel farlo, urtò
inavvertitamente una cassetta, facendola cadere con un tonfo su
un’altra posta più in basso. Trasalendo, trattenne il fiato per qualche
secondo, convinto che quei delinquenti gli sarebbero stati addosso in
un batter d’occhio, ma così non fu.
Anzi, Navarra e Giacomo sembrarono non essersi accorti nemmeno del rumore, continuando a discutere come se nulla fosse.
«L’importante è che non parlerai di noi, quando ti troverai faccia a faccia con lui»
intervenne, ad un certo punto, Pierpaolo, alzando la voce. «Ti stiamo
aiutando, ma non vogliamo avere altri problemi, visto che è solo
questione di tempo prima che la polizia scopra il nostro gioco con gli
ulivi».
«Avete davvero poca spina dorsale» li canzonò lo
spagnolo, mostrando loro un sorriso beffardo. «Ma non temete, amigos, perché sarò io a vincere e allora li ucciderò come bastardi!»
A
quel punto, i due Landi si scambiarono un’occhiata nervosa, arretrando
di qualche passo e mettendosi a parlottare tra di loro, mentre Navarra
tornava ad occuparsi della sua cartina. All’improvviso, però, Marcello si rese
conto che Pablo non era più seduto alla sedia, rimasta vuota in mezzo ad un mucchio informe di
trucioli e schegge.
Fu in quello stesso momento che il ragazzo avvertì la spiacevole
sensazione di avere qualcosa di freddo e metallico puntato tra le
scapole.
«Muoviti o grida e sei muerto»
gli intimò una voce bassa e gutturale, mentre qualcuno che lo
agguantava malamente per una spalla e lo costringeva violentemente
prima a mettersi in piedi e poi a voltarsi verso di lui.
«Conrado sarà muy felice de rivederti» continuò, facendo schioccare le labbra e atteggiandole a un sorriso sardonico.
Non
appena Navarra vide spuntare Marcello da dietro la catapecchia, si
concesse per qualche istante di assumere un’espressione alquanto
sorpresa, mutandola poi in un autentico ghigno
di compiacimento.
Giacomo e Pierpaolo, invece, strabuzzarono gli occhi e,
consapevoli che ormai le loro trame erano state definitivamente
svelate, si guardarono, preoccupati.
«Ho trovato questo ficcanaso
che si godeva lo spettacolo!» annunciò Pablo con la sua pronuncia
sibilante, spingendo senza riguardi l’ostaggio davanti al suo
acerrimo nemico.
«Bene, bene, guarda chi si vede» fece quello,
contraendo la bocca in una smorfia terribile. «In effetti, non è strano
trovarti qui, visto che ti sei appropriato indebitamente della mia donna e di tutto quello che mi spettava».
Il
giovane aprì la bocca per rispondergli che Beatrice non era affatto sua
e che non lo sarebbe stata nemmeno se l’avesse ucciso, quando vide
l’altro estrarre la pistola dalla fondina attaccata alla cintura e
puntargliela contro.
«Tornatore, hai già detto le tue ultime preghiere?»
***
Per la revisione di questo
capitolo, ringrazio Lady
Viviana per la sua gentile collaborazione; come sempre la
grafica del titolo è opera mia.
Grazie anche alla mia Anto che legge sempre con interesse tutte le anteprime.
***
[N.d.A]
1. aceite verde de Andalucìa: si tratta dell’olio verde
di Andalusia, specialità molto rinomata e provvista di
certificazione DOP (Denominazione di Origine Protetta), pertanto, per
essere tale, deve essere prodotto in questa regione a partire da olive locali;
2. Highlander:
riferimento al film cult del 1986 “Highlander - L’ultimo
immortale” e al protagonista Conner MacLeod
(interpretato da Christopher Lambert), facente parte degli immortali,
una stirpe di guerrieri destinata a rimanere sempre giovane.
L’unico modo per ucciderli era la decapitazione con la spada.
***
Salve a tutti!
Non odiatemi, io amo i finali cliffhanger
e credo che riservarlo al penultimo capitolo (ne manca uno solo, poi ci
sarà l’epilogo) sia un accorgimento utile per lasciare un
po’ con il fiato sospeso - come se non vi avessi lasciato
abbastanza in sospeso, trascinando la pubblicazione di questa storia per ben cinque anni.
Come sempre, ringrazio chi legge, anche in silenzio, chi mi ha fatto
sapere la sua sul precedente capitolo, chi ha messo la storia tra le
preferite/ricordate/seguite.
Per leggere in anteprima un estratto del work in progress, mi trovate, al solito, sulla mia pagina
facebook. Il prossimo aggiornamento dovrebbe arrivare tra fine Aprile/inizio Maggio, quindi abbiate fiducia.
Saluti e a presto!
Halley
S.C.
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