Si
svegliò che ancora era buio e fuori nevicava
incessantemente. L'alba
era ancora lontana e sarebbe stata presumibilmente una giornata di
gennaio freddissima e scura, con poca luce.
Ross
si stiracchiò, attento a non svegliare Demelza. Quella
mattina
doveva recarsi alla miniera prestissimo, era una giornata importante
e i suoi uomini più fidati probabilmente lo stavano
già aspettando
sul posto.
Avevano
scoperto un nuovo filone di rame nelle parti più profonde
della
Wheal Grace e per raggiungerlo dovevano far saltare con la dinamite
un pezzo di parete al terzo livello di profondità. Non era
la prima
volta che facevano qualcosa del genere ma mai così in basso.
Il
pericolo di crolli o incidenti era dietro l'angolo ma il gioco valeva
la candela. Quel filone, unito allo stagno, avrebbe aumentato gli
introiti della Wheal Grace e con essi, gli stipendi dei suoi
minatori.
Si
voltò verso Demelza, dandole un leggero bacio sulla fronte.
La sera
prima avevano discusso, sua moglie non era per niente contenta del
fatto che lui andasse di persona a seguire i lavori, era in ansia e
lo riteneva un irresponsabile a mettersi sempre in prima fila davanti
al pericolo. Ma lui l'aveva baciata, le aveva garantito che si
sarebbe svolto tutto nella massima sicurezza e aveva affermato che si
sarebbe divertito come un pazzo. Aveva un po' bleffato, lo sapeva, in
realtà era ben cosciente che sua moglie aveva ragione e che
avrebbe
dovuto fare più attenzione, ma da sempre era stato attratto
dalle
emozioni forti, dall'accarezzare il pericolo, dall'essere accanto ai
suoi uomini che lavoravano per lui. Questo non sarebbe mai cambiato,
avrebbe sempre fatto parte del suo essere e in fondo lo sapeva,
Demelza lo amava anche per questo. Certo, ora era un marito e un
padre, doveva ponderare i pericoli molto più di un tempo
quando era
solo, ma non sarebbe mai diventato una persona tranquilla e
sonnecchiosa e sicuramente sua moglie non lo avrebbe nemmeno
desiderato o preteso.
Attento
a non fare rumore, le rimboccò le coperte, si
alzò, si diede una
lavata al catino e si vestì. La stanza era avvolta dalla
semi
oscurità ed era illuminata solo dal bagliore del camino che
scoppiettava allegramente.
"Stai
già uscendo?".
Preso
alla sprovvista dalla voce di sua moglie, sussultò. "Scusa,
non
volevo svegliarti".
Demelza,
assonnata, si mise a sedere sul materasso, stringendosi nella
coperta. "Ho il sonno leggero stanotte. Sono in ansia".
"Per
cosa?".
Sua
moglie gli lanciò un'occhiataccia che finse di ignorare.
"Resta
a casa, Ross. Ho un brutto presentimento, lascia perdere la vena di
rame. Esistono i picconi, potrete raggiungerla anche così".
"Ci
metteremmo anni".
"Ma
ci arrivereste VIVI".
Ross
sorrise, si avvicinò al letto e si sedette accanto a lei,
baciandola
sulle labbra. "Andrà tutto bene, lo abbiamo fatto un sacco
di
volte, no?".
"E
se ti dicessi che mi sentirei sola, se uscissi adesso?".
Le
diede un altro bacio sulle labbra. "Mi farò perdonare la
prossima notte".
Demelza
lo guardò storto, buttandosi sul cuscino. "Mi farai venire i
capelli bianchi prima del tempo".
Gli
sorrise, stropicciandole i riccioli rossi sparsi sul cuscino. "Su,
dormi. E' prestissimo e non hai motivo per stare sveglia". Si
alzò dal letto e si avvicinò alla culla di Bella,
stupendosi di
trovarla sveglia e sgambettante. Probabilmente era stata svegliata
dal suo colloquio con Demelza e ora se ne stava con gli occhi
spalancati, tutta scoperta e felice di vederlo. La piccola gli fece
un enorme sorriso a cui non seppe resistere. La prese in braccio, la
baciò sulla fronte e la mise nel lettone, accanto a Demelza.
"Su,
tieni compagnia a mamma che si sente sola" – disse,
scherzando.
La
bimba rise, allungando la manina verso il suo mento.
"Pa-pààà".
L'espressione
di Ross si addolcì. "Ride sempre, non è mai
scontenta" –
osservò, guardandola con occhi innamorati.
Demelza
abbracciò la figlia, stringendola al suo petto sotto le
coperte. "E'
una bimba felice".
Ross
annuì. "E tu, sei felice?".
Demelza
lo guardò negli occhi, seria. "Ne riparleremo stasera,
quando
tornerai a casa vivo, sano e salvo".
"Sembra
una minaccia" – osservò lui.
"Lo
è!".
Con
un sospiro, Ross si tirò su dal letto. Le diede un altro
bacio sulle
labbra, le sorrise e, dopo averla salutata, uscì dalla
stanza.
Nampara
era avvolta dal buio e dal silenzio della notte e anche fuori i
rumori erano attutiti dalla neve.
Di
soppiatto andò nella camera dei figli più grandi.
Entrambi
dormivano profondamente, rannicchiati sotto le coperte. Diede loro un
bacio sulla fronte, affranto dal fatto che sarebbe tornato a casa in
tarda serata e per quella giornata non li avrebbe praticamente visti,
poi scese al piano di sotto per fare colazione con del pane e
marmellata che Demelza gli aveva preparato la sera prima.
Mangiò
in silenzio e alla fine, pronto per uscire, si avvicinò alla
cassapanca per prendere il suo tricorno. E a quel punto si accorse di
non essere solo.
Sulle
scale, davanti a lui, vestita con una camicina da notte bianca,
comparve Clowance. Era assonnata e i lunghissimi capelli rossi le
ricadevano disordinati sulle spalle e sulla fronte. Sembrava una
bambolina spettinata ed era semplicemente adorabile. "E tu che
ci fai qui?" - le chiese, stupito.
"Andavi
via senza salutarmi?" - si lamentò la bimba.
Ross
fece qualche scalino, si sedette e le fece segno di avvicinarsi.
"Stavi dormendo, non volevo svegliarti".
Clowance
non parve molto convinta della sua risposta. "Ma io voglio che
mi saluti quando esci. Mamma ieri sera non era tanto contenta del
lavoro che devi fare oggi".
"Mamma
è un po' ansiosa. Ma lo sai, se oggi andrà tutto
bene, in fondo
alla Wheal Grace troveremo...".
"Un
tesoro?" - chiese la bimba.
Ross
scosse la testa, mascherando un sorriso. "No, semplicemente del
rame. I miei tesori sono altri".
Clowance
fece un sorrisetto furbo. "La mamma! La chiami sempre 'Amore
mio', quindi è lei il tuo tesoro".
Le
sorrise, dolcemente. Sua figlia era una grande osservatrice del mondo
che la circondava, delle persone, e sapeva interpretare a volte
meglio degli adulti i sentimenti altrui. "Certo, la mamma è
il
mio tesoro, è la donna che ho sposato e che amo,
è la mia migliore
amica, la mia compagna e la mamma dei miei bambini".
Soddisfatta
da quella risposta, Clowance annuì. "Stai attento oggi o il
tuo
'tesoro' stanotte ti manda a letto senza cena come fa con noi quando
siamo cattivi".
"Lo
prometto" – le rispose, lottando per non ridere.
"Papà,
ma stasera quando torni, mi aiuti a imparare a scrivere il mio
nome?".
Ross
le accarezzò i capelli, la prese fra le braccia e se la mise
sulle
ginocchia. La casa era avvolta dal silenzio dell'alba, dormivano
ancora tutti, anche Demelza doveva essersi riaddormentata ormai.
"Oggi dovremo far saltare un tunnel con la dinamite alla miniera
e tornerò davvero tardi, tu sarai già a letto. Ma
domani starò a
casa tutto il giorno e ti insegnerò".
Clowance
sospirò. "Si ma... la maestra vuole che imparo! A me non
piace
la scuola, è difficile e mi annoio. Jeremy invece
è contento di
andarci e sa già scrivere il suo nome in corsivo. E io non
ho voglia
di imparare a scriverlo nemmeno in stampatello. A che mi serve
scrivere?".
A
Ross venne da ridere. Clowance odiava la scuola con la stessa
intensità con cui Jeremy l'amava. In effetti suo figlio era
uno
scolaro modello mentre la sua principessa faceva molta fatica ad
abituarsi a quella nuova avventura iniziata in autunno. "Ma tu
non vuoi essere più brava in tutto? Se ti eserciti, presto
diventerai brava a scrivere quanto Jeremy".
"Ma
papà!" - sbottò lei. "Io sono già
più brava di Jeremy
in tante cose, fa niente se mi batte almeno nella scrittura! Mica
posso essere perfetta!".
Ross
la guardò e trovò che era fantastica. Arguta,
intelligente, furba e
con una notevole faccia tosta. Era sicura di se stessa, sapeva come
far girare le cose a suo favore e sapeva stare al mondo sicuramente
meglio di quanto sapesse fare lui. "Facciamo così, domani
staremo tutto il giorno insieme e scriverò con te. Vedrai,
ci
divertiremo e impareremo insieme a scrivere meglio".
"Davvero?".
"Davvero".
Clowance
annuì. "Anche perché tu papà, ne hai
bisogno. Non scrivi mica
bene come la mamma".
Ross
rise. "Hai ragione! Allora a domani, va bene?". La mise a
terra e si alzò in piedi, stava diventando tardi. "E ora
dai,
torna a letto o prenderai freddo".
Clowance
sospirò e poi fece uno scalino. Infine si voltò
verso di lui.
"Anche se torni tardi stasera e io sto già dormendo, vieni a
salutarmi lo stesso?".
"Anche
se dormirai e dovrò svegliarti?".
"Si".
"Va
bene".
Clowance
sorrise, gli si avvicinò, gli prese la mano e la strinse.
Poi gli
saltò fra le braccia, dandogli un bacio sulla guancia. "Ti
voglio bene papà! E ti aspetto".
La
guardò correre su per le scale, verso camera sua. Era
incredibile
quanto adorasse quella bambina, quanto sapesse renderlo sereno e
tranquillo quando gli era vicina e quanto si sentisse legato a lei,
forse più che con gli altri suoi figli. Erano anime affini
lui e
Clowance, stesso carattere, stessa testa dura, stesso modo di fare
orgoglioso. Ed era bellissima, somigliava a Demelza in maniera
incredibile e ci avrebbe scommesso tutti i suoi soldi: sua moglie, da
bambina, doveva essere identica a lei d'aspetto, anche se di certo
Clowance era più pulita, curata e raffinata di quanto non
fosse
stata Demelza a quell'epoca.
Con
un sospiro, rammaricandosi di lasciare il tepore domestico,
uscì di
casa, salì sul suo cavallo e si avviò verso la
Wheal Grace.
Nevicava
forte, incessantemente. Le zampe del suo cavallo affondavano nella
neve e i fiocchi gelidi gli ferivano il viso e gli occhi.
Quando
arrivò alla miniera, i suoi dieci compagni d'avventura erano
già
la.
"Capitano!"
- disse Zachy, avvicinandosi per prendere il cavallo – "Ben
arrivato! Cominciavamo a temere che Demelza ti avesse legato al letto
per impedirti di venire".
Ross
rise. "Credo le sia anche passato per la testa, sai?".
Zachy
annuì. "Ah, lo so! La signora è una che sa quel
che vuole,
dicono che quando è a Londra conclude affari con la stessa
facilità
con cui noi leghiamo fascine di fieno".
"Si,
è molto brava, ci sa fare con gli affari". Ross
lasciò
all'amico il cavallo e con gli altri minatori entrò in
miniera,
aprendo la botola per scendere ai piani sottostanti. "Avete
preparato le cariche?" - chiese, scendendo gli scalini.
Paul,
dietro di lui, annuì. "Certo, ieri sera, come ci avevate
chiesto".
"Ottimo".
Ross
scese nei tunnel più profondi, facendosi luce con una
torcia. Toccò
la parete, osservandola con sguardo clinico per trovarne i punti
più
deboli e friabili. Poi andò in fondo alla parte di tunnel
già
scavato, fermandosi in fondo. Una volta fatta saltare la parete
laterale con la dinamite, da quella posizione avrebbe raggiunto
agevolmente il punto venuto allo scoperto dopo l'esplosione. "Ok
Paul!" - urlò all'amico dall'altra parte del corridoio
–
"Chiama Zachy e Sven e dì loro di procedere con la dinamite".
"Certo!
Ma non è rischioso per te rimanere lì?".
Ross
alzò le spalle. "Ma no! Al massimo mangerò un po'
di polvere,
ci sono abituato".
"D'accordo!
Allora procediamo immediatamente" – rispose il minatore,
sparendo sulla scaletta che portava al piano superiore.
Rimasto
solo, Ross si aggrappò alla parete, in attesa che la
dinamite
facesse il suo lavoro.
Improvvisamente,
tutto tremò attorno a lui. Fumo, detriti e una forte
detonazione che
gli ferì le orecchie, lo investirono in pieno. Chiuse gli
occhi
trattenne il fiato ed aspettò che gli effetti
dell'esplosione,
arrivata improvvisa e violenta come solo la dinamite sapeva fare,
cessassero.
Sentì
le braccia e il viso bruciargli per la polvere e i sassi che lo
colpivano con violenza, si chinò e si rannicchiò
per salvarsi il
viso e per riuscire a respirare, chiuse gli occhi e attese, mentre le
orecchie gli fischiavano per il frastuono generato dall'esplosione.
Improvvisamente,
la parete contro cui si era rifugiato scricchiolò.
Aprì gli occhi,
sentendola improvvisamente crollare davanti a lui e non trovando
più
in essa un punto di appoggio e di riparo, perse l'equilibrio.
Imprecò, maledicendosi per quel malcalcolato effetto
collaterale. La
parete, in quel punto, avrebbe dovuto rimanere integra...
Ma
non fece in tempo a pensare a come ritrovare l'equilibrio per non
cadere. Una voragine si aprì davanti a lui e cadde nel
vuoto.
All'ultimo riuscì ad aggrapparsi a uno spuntone di roccia ma
sotto
di se aveva il vuoto, la polvere lo avvolgeva e non c'era nessuno
abbastanza vicino per aiutarlo.
Guardò
sotto di se, con le gambe penzoloni nel nulla. Era buio, scuro, non
si vedeva il fondo... Tentò di tirarsi su, di riguadagnare
il tunnel
ma la roccia a cui era aggrappato gli stava ferendo la mano e i
postumi dell'esplosione lo avevano stordito.
Per
un attimo pensò a Francis e a quello che doveva aver provato
quando,
nel buio di quella stessa miniera, solo, aveva trovato la morte. E
poi pensò a Jeremy a cui aveva promesso di insegnare a
cavalcare un
vero cavallo, alla vocina di Bella che lo chiamava
'pa-pààà', al
suo colloquio di poco prima con Clowance, la sua bellissima
principessina. Se fosse precipitato non avrebbe potuto mantenere la
parola data con nessuno di loro, non li avrebbe visti crescere, non
avrebbe visto Jeremy farsi uomo e non avrebbe difeso le sue bimbe
dalla fila di corteggiatori che sicuramente avrebbero avuto di
lì a
qualche anno.
Non
voleva morire, non ora che era tanto felice, non in maniera tanto
stupida. Non era per se, ma per il dolore che avrebbe procurato a chi
amava. Non poteva essere, non poteva permetterlo. Tentò di
tirarsi
su, di risollevarsi, ma la roccia del tunnel prese a sbriciolarsi.
Improvvisamente,
sentì che stava perdendo la presa sullo spuntone.
Tentò di urlare,
di chiedere aiuto, ma dalle sue labbra uscirono solo flebili suoni
coperti dalla tosse causata dalla polvere.
Le
dita persero la presa sulla roccia, cadde giù per quelli che
gli
sembrarono istanti infiniti, abbracciato solo dal vuoto.
Il
suo ultimo pensiero razionale fu per lei, Demelza, il suo amore, la
sua stella, la vera luce della sua vita. Ancora una volta non l'aveva
ascoltata, ancora una volta aveva avuto ragione lei... Lo avrebbe
odiato, lo avrebbe maledetto a vita e sì, ne avrebbe avuto
mille
ragioni... Non l'avrebbe più vista, abbracciata, baciata,
amata...
L'avrebbe lasciata sola con tre figli da crescere... "Perdonami,
amore mio" – pensò. Poi impattò contro
qualcosa di molto
duro e fu come rompersi in mille pezzi.
E
infine anche l'ultima immagine di Demelza, dolce e rassicurante,
sparì dalla sua mente. E tutto si fece buio e immobile,
lontano...
Perso per sempre, come se una cortina di nebbia e oscurità
fosse
calata fra lui e il mondo circostante.
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