capitolo 36
36.
How would it be?
What have I done?
What if it's too late now?
Did I do all I could, did I?
Did I make it all good, did I?
Somehow it doesn't feel right
Is it really all over?
Did I think it through, did I?
What if all I want is you?
[How would it be? – Lene
Marlin]
Nell'aria fredda le nuvolette di fumo impiegano più tempo
a dissolversi, rimanendo sospese nel vuoto per qualche secondo prima di
disperdersi con tutta calma, un po' come il fiato che si condensa e si
intravede con chiarezza durante una giornata d'inverno con le sue
temperature
rigide.
In effetti, a dirla tutta, all'undicesima casa sembrava
di essere in pieno inverno nonostante all'esterno il Santuario fosse ad
aprile
inoltrato.
Camus assaporò il gusto pieno e deciso della Gauloises
Blonde
e il suo retrogusto amarognolo, guardando il pacchetto blu posato sul
tavolino
di fronte a sé, indeciso se fumarne una seconda oppure no.
Lo faceva tutte le
volte in cui era nervoso o arrabbiato, quando era sul punto di perdere
il
controllo, per evitare di commettere sciocchezze come quella di qualche
ora prima
quando aveva mandato sottozero Aquarius.
Milo lo osservava silenzioso da qualche minuto, incerto
se palesarsi ed entrare nel salotto dove Camus, con indolenza, era
sprofondato
nella sua poltrona, o tornare indietro lasciandolo solo con i suoi
pensieri:
armato di un pesante cardigan, aveva trovato il coraggio di entrare in
quella
che lui definiva ghiacciaia, ma si sentiva stranamente a disagio.
"Sei lì da dieci minuti, o ti manifesti o
esci." lo redarguì Camus, di malumore. "Detesto essere
spiato."
"Non ti stavo spiando." rispose Milo,
avvertendo il disagio crescere di un altro po'. "Volevo dirti che Mei
si è
ripresa una decina di minuti dopo che te ne sei andato e che ora
è alla settima
casa. Shunrei mi ha incaricato di portare qui i suoi vestiti sporchi e
prenderne altri."
Sbuffando, Camus spense il mozzicone nel posacenere.
"Serviti pure."
"Il problema è, Camus, che mi sento a disagio
all'idea di mettere le mani tra la biancheria intima di una donna che
non è la
mia." proseguì Milo. "Se mi facessi la cortesia di darmi
quanto
richiesto, esco e ti lascio in pace, promesso."
Un altro sbuffo seguì quelle parole, quindi Camus si
alzò
e lo precedette; i piedi nudi, i capelli legati alla bell'e meglio in
una crocchia
all'altezza della nuca, una vecchia e ormai informe tuta blu col logo
del Paris
Saint-Germain e lo slogan Ici c'est Paris!
quasi sbiadito.
"Ma si può sapere che ti prende? Lei e i bambini
stanno bene e quell'altra è stata rimessa a posto, non
è questo che
conta?"
Prese un astuccio dalla tasca della giacca e si ficcò in
bocca un chewing-gum, per evitare di accendersi una seconda sigaretta.
"Il fatto è che io
non sto bene. Conta anche questo oppure è irrilevante? E non
intendo male
fisicamente, ma per quello che mi ha detto e per come l'ha detto. E
pensare che
proprio lei, per ciò che le avevo detto quella volta, mi
aveva rinfacciato le
sue sofferenze citandomi Hegel: le parole
sono spade, possono uccidere. Da che pulpito è
arrivata la predica."
"Beh, quella volta fosti piuttosto brutale."
"Davvero paragoni queste due situazioni? La mia fu
una bugia a fin di bene, una menzogna per salvarle la vita. Lei invece
mi ha
gettato addosso quelle parole per ferirmi, è diverso. E,
dannazione, ci è
riuscita anche parecchio bene."
"Sei rimasto male perché lei ha ribadito che decide
di testa sua e che tu non sei suo padre e di conseguenza non puoi
decidere per
lei? Sei in questo stato solo per questo? Shaina la pensa allo stesso
modo
eppure non mi butto giù così."
"Non per quello, per l'altra cosa."
Milo fece mente locale.
"Oh. Ma dai, non l'ha detto con l'intenzione di
ferirti, era sottosopra, era arrabbiata, era agitata per quanto stava
succedendo..."
Non gli rispose. Impilò ordinatamente i vestiti e gli
oggetti che avrebbero potuto servirle e glieli consegnò
insieme a dei cambi per
Lixue.
"Devo dirle qualcosa da parte tua?"
"No." arrabbiato com'era, non sarebbe stato un
bel messaggio.
Ascoltò i passi di Milo allontanarsi, quindi una volta
rimasto solo, decise di uscire dalla bolla d'indolenza e darsi da fare.
Ripose il pacchetto di sigarette nel suo astuccio
d'alluminio e le nascose nel solito posto, nello studio, quindi si
spogliò,
decidendo di farsi una doccia.
"Credo sia giunta l'ora di sostituirti, vecchia
mia." pensò a voce alta, guardando i pantaloni della tuta
sformati e lisi
all'altezza delle ginocchia. Tuttavia, la ficcò in lavatrice
insieme ai vestiti
sporchi di Mei, dopo aver rivoltato tutte le tasche. Si
stupì un poco nel
trovare quella strana busta ingiallita nella tasca del pigiama;
avviò il ciclo
a freddo e si sedette sullo sgabello del bagno, incuriosito,
estraendone dei
fogli accuratamente piegati e due libriccini.
"Ufficio di
Stato Civile - 10eme Arr., Atto di Nascita di Fabien Larousse, nato a
Parigi il
7 febbraio 1985 da Yves e Nicole Larousse." lesse
a voce bassa, tra sé e sé. Un uomo della
sua età o quantomeno, un uomo che avrebbe dovuto avere la
sua età, dato che il
foglio seguente –strappato da un volume piuttosto vecchio
dato il giallo della
carta- e redatto in greco, riportava la sua morte all'Undicesima Casa,
avvenuta
a poco più di vent'anni d'età, nella primavera
del 2005 in seguito alla scalata
del Santuario.
Li ripose ordinatamente così come li aveva trovati e
prese uno dei libriccini, scoprendo che si trattava di un passaporto
francese vecchio
modello con le pagine quasi tutte piene di timbri: l'ultimo risaliva al
febbraio
2005, quando Fabien aveva varcato la frontiera greca di ritorno dal
Canada. A
quanto pareva avevano visitato entrambi gli stessi luoghi, eccezion
fatta per qualche
Stato –in Argentina o in Belize, ad esempio, non c'era mai
andato-. A colpirlo
maggiormente fu, però, la fotografia apposta sul passaporto.
"Miei Dèi..."
*
"Posso entrare?"
Quando Mei sentì la voce di Hyoga nell'ingresso, fece
capolino dalla cucina.
"Qualcuno dovrebbe somministrare un calmante alla
tua fidanzata, è il decimo messaggio whatsapp che mi
manda... quante volte le
devo rispondere che per me le peonie vanno benissimo purché
non siano bianche?
Se lo ricorda che detesto il bianco, vero?"
Lui corrugò la fronte.
"Peonie?!"
"Quelle per l'acconciatura e da mettere al polso.
Non è per questo che sei qui? Non ha ricevuto la mia
risposta?"
Capelli ancora sciolti come la mattina precedente, un hanfu
verde smeraldo indossato sopra il pigiama, scarpe di tela ai piedi, Mei
aveva
sì l'aspetto di una nobildonna cinese dei tempi andati, ma
anche due grandi
occhiaie grigie sotto gli occhi.
"Assomiglio a Chien
Po, lo so... non farci caso."
"A chi?"
"Non conosci Mulan? Ahi ahi ahi. Pazienza, che cosa volevi dirmi del
matrimonio?"
"Ah. No, no, non sono qui per i dettagli del
matrimonio. È che ho saputo che non sei stata bene. Sono qui
di mia iniziativa,
non mi ha mandato nessuno."
Mei sorrise stanca.
"Avevo la pressione un po' alta e Shiryu nel panico
ha chiamato Aphrodite."
"Un po' alta, dice lei. Novantacinque su
centoquarantadue e lei la definisce un
po' alta." interloquì Shunrei.
Hyoga intercettò la boccetta prima che Mei potesse
nasconderla nelle tasche della vestaglia.
"...e ti ha dato degli ansiolitici? Non dev'essere
stata una cosa piacevole, me ne rendo conto, ma non va bene assumere
certe cose
in gravidanza... non sono un medico però..."
"Non dev'essere stata piacevole? Tu credi? La testa
mi scoppiava, il cuore pompava forsennato e loro tre qui dentro
scalciavano
peggio di Beckham ai mondiali, secondo te com'è stato?
Aphrodite ha detto che
il rischio è minimo, e che comunque l'intero mondo potrebbe
costituire un
pericolo per loro. Tante cose non sono piacevoli eppure accadono, che
vuoi
farci? Quando riuscirai a sentire la futura sposa, dille che le peonie
vanno
benone, che le misure che le ho dato si riferiscono alla mia taglia
abituale e
che non ho bisogno di un insegnante di balli da sala."
"Oh sì che ne hai bisogno. Quando avrai partorito,
tu e Camus imparerete il valzer, a costo di insegnarvi io stesso."
Mei scosse la testa, a metà tra il divertito e l'arrabbiato.
"Come si vede che non avete un accidenti da fare,
voialtri ricconi." sospirò. "Ci sono altre belle notizie?"
"Ti chiedo
scusa per come mi sono comportato l'altro giorno, non ce l'avevo con
te.
Ahem... ti andrebbe un kebab per pranzo? L'ho preso giù ad
Atene, nel tuo
locale preferito. Ce n'è anche per Shaina, se le va di
venire."
Milo riascoltò il messaggio vocale tre volte prima di
decidersi ad accettare il suo invito; Shaina al contrario
diniegò, preferendo
scendere a Rodorio insieme a Marin per mangiare qualcosa al volo prima
di fare
due compere per il bambino. Indossò sciarpa e cardigan e si
recò all'undicesima
casa munito di birre.
La tuta sformata era sparita, così come il puzzo di
sigaretta, grazie anche a un gradevole incenso acceso da qualche parte.
"Posso entrare o corro qualche rischio mortale? Anch'io
dovrò morire, ma preferirei non morire congelato,
possibilmente."
"Entra." sospirò Camus. "Vai in cucina, è
la stanza più calda di casa."
Milo prese l'apribottiglie e stappò due birre, prima di
sedersi a tavola.
"Dov'eri finito? Dohko mi ha detto che Mei ti ha
cercato più volte, ma non le hai risposto."
"Non potevo risponderle, ieri ho dato un esame e
quindi sono tornato qualche ora a Parigi."
"Hai studiato con tutto il trambusto degli ultimi
giorni? Come diavolo hai fatto?"
"Abitudine. Ho avuto accesso al livello HSK6 di
Cinese Mandarino." rispose Camus, tutto contento. "Al termine del quale
sarò in grado di parlare quasi in maniera fluente, come un
madrelingua."
"Mei come la pensa a riguardo della tua ultima
affermazione?"
"Non lo so, ancora non le ho detto niente. Ma ci
vorranno anni di pratica per parlare come un nativo." rispose,
disfacendo
il cartoccio a portar via con il kebab. "È l'arabo che mi
preoccupa, credo
che lo lascerò stare per poter studiare meglio il
giapponese. E tu? Come
procede il tuo francese?"
Milo spizzicò una patata fritta.
"Abbiamo cambiato insegnante, adesso c'è un tuo
concittadino tutto altezzoso che parla solo ed esclusivamente in lingua
senza
concederci un minuto di tregua."
"Ovvio, altrimenti come faresti a imparare? Potrei
aiutarti con la pronuncia, che ne
dici? A quale livello Delf sei
arrivato? A2? B1?"
"Dico che vai troppo veloce, rallenta. Sono ancora
all'A2, comunque." rispose Milo, rimboccandosi la sciarpa. "Ultimamente
non vi parlate molto, voi due. Avete intenzione di fare qualcosa a
riguardo o
no? Perché a quanto pare preferisce parlare con DeathMask
piuttosto che farlo con
te. È alla quarta casa in questo momento, sai?"
Camus azzannò il proprio panino.
"Je le sais."
"E quindi?"
"E quindi, quando sarà il momento torneremo a
parlare. Nelle tasche del suo pigiama ho trovato delle cose."
"Di che genere?"
"Dei documenti e un album fotografico, di un uomo
che non sono io. Un souvenir dell'altra dimensione. Uscito
dall'università ho
provato a seguire un paio di tracce trovate su un paio di foto, ma
entrambe
hanno portato a delle piste morte." spiegò Camus,
armeggiando con lo
smartphone.
"In che senso?"
Mentre cercava una foto tra le cartelle salvate sul
cellulare, gli mise davanti una fotografia, che gli fece sgranare gli
occhi.
"Ma...!"
"...già. Dovrei essere io, ma
fatico a riconoscermi in quei tratti... comunque, ho
attraversato in lungo e in largo la via indicata nel passaporto, e
l'edificio
di questa fotografia non esiste."
"Magari è stato demolito."
"No, in quel preciso punto c'è un ristorante algerino aperto
negli anni '50
che non ha mai chiuso battenti: tra le fotografie appese su un muro del
locale
ce n'è addirittura una che ritrae il proprietario con
Dalida, che per inciso è
passata a miglior vita nell'87. Vedi? Questo qua. L'edificio della
foto, nella mia città,
non è mai esistito."
proseguì Camus, mostrandogli una foto che ritraeva Lixue sul
marciapiede di
fronte al ristorante in questione, con in mano un cartoccio contenente
del
cibo. "Buon ristorante, tra l'altro, la tajine di tonno era superba,
Lixue
ne ha spazzolata più della metà, ed era una
tajine da 32 cm di diametro, non so
se mi spiego. Ma a parte questo, c'è qualcosa che
stranamente mi affascina di
tutto questo: mi sarebbe piaciuto sapere qualcosa in più
dell'altro me, ma
ovviamente non sarà più possibile. Mi domando
com'è stata la sua vita da quando
ho trovato queste foto. I luoghi che ha visitato, dove ha abitato, cosa
ha
studiato... come ha conosciuto la sua donna."
Gliene mostrò un'altra. Una giovane Mei, familiare e
sconosciuta al tempo stesso: i capelli sempre neri, ma tagliati alle
spalle,
gli occhi gentili e pieni d'amore. Dietro di lei, l'altro Camus.
"Perdiana, sembrate davvero voi due." commentò
Milo.
"Già. È stata scattata a casa, ma non riesco a
capire... qui, nella prospettiva tra gli Invalides e il
Sacrè Coeur, c'è una
costruzione che non esiste da noi. E qui, ad esempio... in fondo a
questo
infinito asse dovrebbe esserci il Grande
Arche, ma... non c'è! E ti assicuro che conosco
molto bene la mia
città."
"O semplicemente non compare in foto..."
"Non è
possibile. Louvre – Concorde -
Triomphe
- Defénse."
elencò Camus. "In
prospettiva sono infilati tutti uno dietro l'altro, non puoi sbagliare.
Questa
foto è stata scattata dalla terrazza panoramica dell'Arc de
Triomphe, alle loro
spalle non ci sono gli Champs Elysées, quindi dovrebbe
esserci il quartiere
finanziario e di conseguenza l'arco ben visibile. Ma sto
tergiversando... non è
questo il vero problema."
"M-mh. Chissà che cosa è successo nella loro
dimensione: a volte conosciamo a malapena la nostra storia, come
possiamo
conoscere anche quella di altri mondi?"
Camus annuì ancora, alle parole di Milo.
"Sapevo di questi sogni e ne conoscevo la veridicità
perché Mei ne descrisse alla lettera uno in particolare che
io avevo avuto e
del quale non avevo mai fatto parola con nessuno. Sapevo che anche la
faccenda
delle anime affini nelle altre dimensioni era vera, ma qualcosa nel
profondo mi
ha sempre spinto a dubitarne. Però di fronte a questo, credo
di non avere più
dubbi."
Gli porse il passaporto e le altre foto, tenendo da parte
i documenti privati.
"Beh, alla buon'ora." fu il commento di Milo.
Foto scattate ad Atene, al Santuario, in Russia. Primi
piani di una donna molto bella che però non riusciva proprio
ad associare
all'amica. Un bacio. Una foto un po' troppo privata.
"Come fanno certe persone a fotografarsi in certe
situazioni? Bada, non mi imbarazzo facilmente, ma..."
"Me lo son chiesto anche io... non so te, ma in quei
momenti non riesco neanche a ricordare
il mio nome, figuriamoci se riesco a scattare foto o posizionare la
videocamera
da qualche parte." convenne Camus. "Preferisco tenere per me certe
cose."
Milo ridacchiò.
"Foto non ne faccio, ma video, qualche volta mi è
capitato."
"E fammi capire, dopo che cosa ne fate? Li rivendete
come porno di terza categoria o li riguardate per...non so,
migliorare?"
gli domandò Camus.
"Ciò che è già ottimo non si
può migliorare."
"Cala le arie."
*
Dopo un pomeriggio trascorso in compagnia di Google Maps
puntato su Parigi e le fotografie del suo omonimo, Camus scese fino a
Libra
subito dopo cena.
"Mei è in casa?"
Senza permettergli di entrare, Dohko lo fissò con un'aria
a metà tra il serio e il sarcastico.
"Sai che è in casa, dove credi che possa andare una
donna nelle sue condizioni? In giro per locali?"
"Non volevo mancarvi di rispetto, Maestro."
Camus si affrettò a chiedere scusa.
"Lo so."
"...e non voglio farlo neanche nei confronti di mia moglie, non le ho
mai
fatto del male e non intendo certo iniziare."
"Lo credo bene ragazzo, anche perché torneresti a casa con
qualche dente
in meno." precisò Dohko, stavolta completamente serio.
"Diciamo pure senza denti."
Camus levò mentalmente gli occhi
al cielo, mentre Shiryu, dietro Dohko, aveva preso a guardarlo con uno
sguardo
di fuoco.
"Shiryu, stavolta ti faccio
male, lo giuro." sibilò,
aumentando involontariamente il Cosmo fino a lasciare un sottile strato
di
ghiaccio ai suoi piedi.
"Ah, ma davvero? Ascoltami
un po', razza di pallone gonfiato: questi trucchetti forse funzionano
con gli
altri, non con me. Lo sai che l'hai fatta incazzare così
tanto che le è salita
la pressione alle stelle e Aphrodite le ha dovuto somministrare un
calmante? Ha
dormito quasi ventiquattr'ore ininterrotte e quando si è
ripresa, stamattina,
era ancora inebetita! Un calmante a una donna incinta, ma ti rendi
conto? Mia
sorella è qui per..."
"Tra moglie e marito non mettere il dito."
lo redarguì Dohko.
"Se c'è qualcuno qui che deve fare la ramanzina, sono io,
visto che ho più
anni ed esperienza di te. Dai, torna dentro."
Attese che Shiryu li lasciasse
soli, quindi tornò a dedicare attenzione a Camus.
"Vorrei solo parlarle. Posso
entrare?"
Dohko uscì, accostando la porta
dietro di sé.
"Questa volta dovrò farti
quel famoso discorso da padre preoccupato,
quello che non ti feci anni fa, ricordi?" al cenno affermativo di
Camus,
Dohko si schiarì la voce. "Per
onestà devo ammettere che al tredicesimo tempio ero dalla
parte di Mei. Non mi
interrompere, ho appena iniziato. Spero tu abbia tempo, devo
raccontarti
qualcosa."
"Non ho nulla da fare."
"Bene, perché è una
faccenda un po' lunga. Quando la precedente guerra
sacra si concluse del tutto e finalmente il suo... chiamiamolo regista, Yōma, fu sconfitto, io e Shion
ci separammo per condurre il resto delle nostre esistenze secondo gli
ordini
impartiti da Athena: Shion a capo del Santuario, io come guardia delle
Stelle
Malefiche. Questo dovresti saperlo, però, Volya dovrebbe
averti insegnato anche
la storia del santuario e delle precedenti guerre sacre."
"L'ha fatto, in effetti."
"Bene. Correva l'anno 1755, avevo superato
la tua età da un bel pezzo
e in un certo senso mi ero preparato a trascorrere i successivi anni in
solitudine: avevo un amico che di tanto in tanto mi dava una mano e
ciò mi
bastava. Finché un giorno non arrivò lei.
Non fare quella faccia, ho condotto un'esistenza solitaria, non
monacale."
"Ed era dunque
con questa lei che utilizzavate l'antro dietro la cascata." sorrise
Camus.
"Questa tua
insolita e pacata insolenza deriva da Mei, so che non è
farina del tuo sacco.
Ma tant'è, si dice che chi va con lo zoppo impara a
zoppicare, no? Rispondendo
alla tua domanda, sì." replicò Dohko, a
metà tra il serio e il faceto. "Poco
più che sedicenne, mi disse che vagava da giorni attraverso
i boschi e che era
scappata da un corteo di giovani fanciulle destinate all'harem
imperiale: dato
che già una delle sorelle maggiori era diventata una moglie
di terzo rango
sopravvivendo ai rigidi e spietati meccanismi di corte, lei era finita
in mezzo
a una trentina di altre fanciulle aspiranti concubine. Una vita che non
desiderava affatto fare, ma del resto, come darle torto? Il mio amico
mi mise
in guardia credendola una volgare ladruncola, ma guardandola meglio,
osservando
i suoi modi di fare e i vestiti che indossava -sporchi ma ricamati e di
ottima
fattura- decisi che quanto mi aveva raccontato corrispondeva a
verità e
acconsentii ad aiutarla."
"E diceva sul
serio il vero?"
Dohko sorrise, perso
in qualche ricordo.
"Le giovani
fanciulle destinate all'harem erano accuratamente selezionate tra le
giovani
più belle dei villaggi e ti posso assicurare che lei lo era.
Diamine, se lo
era. Capelli lunghi e neri, due occhi cosí profondi che ti
ci potevi perdere e,
cosa per me importante, stranamente non era stata ancora sottoposta
alla
barbarie dei piedi fasciati. Non ho nemmeno un ritratto, ed
è un peccato perché
avresti dovuto vederla, era bellissima.
Ti risparmio il racconto del tempo che ci è voluto per
superare la differenza
d'età e arrendermi a ciò che provavo per lei e
arrivo fino al punto
cruciale." raccontò Dohko. Presa la sua mano destra,
gl'indicò la
cicatrice con lo sguardo. "Ne avevo una uguale, purtroppo col tempo
è
sbiadita fino a scomparire. Il tempo trascorso insieme fu
indescrivibile ma
destinato a durare poco: morì a ventidue anni, pochi giorni
dopo il
parto."
"E vostro figlio?"
"Weizhe
nacque morto, probabilmente strozzato
dal proprio cordone. Lei invece è stata sopraffatta dal
dolore provato quel
giorno."
Camus si schiarì la
voce, colpito dal racconto.
"Non oso nemmeno
immaginare che cosa avete provato."
"Non puoi, e
ti auguro di non doverlo mai provare. Rimpiango quel tempo da
duecentocinquantun anni, ma so che quando arriverà la mia
ora, saremo insieme,
tutti e tre."
"Sono
desolato, Maestro."
"Mingxia
era per me ciò che Mei è per te.
Considero lei e Shunrei alla stregua di figlie di sangue, come se le
avessi
avute dalla mia defunta sposa. Tutto ciò per dirti che
sebbene sia dalla sua parte
perché per me lei e Shunrei sono le figlie che non ho mai
avuto, sono anche
dalla tua parte perché comprendo il tuo punto di vista e la
tua preoccupazione.
So che cosa vuol dire struggersi per chi ami e tentare in ogni modo di
proteggere quella persona: le tue intenzioni erano buone e normali, per
un uomo
che ama la sua donna, perciò non ti biasimo. Ma non
trattarla più come se fosse
una stupida incapace: quando ha preso quella decisione sapeva bene che
cosa
stava facendo, altrimenti son sicuro che avrebbe cambiato idea.
L'anello
che porti al dito e la cicatrice sul palmo della tua mano testimoniano
che Mei
è tua moglie, non una tua proprietà. È
di sopra, terza porta, l'ultima in fondo
al corridoio. Vai prima che ti prenda a calci nel sedere."
"Xièxiè."
ringraziò Camus, entrando.
Salì svelto le scale e raggiunse la porta indicata da Dohko,
quindi bussò dopo
qualche secondo.
"Avanti."
"Eccoti. Sei qui, dunque."
Seduta al centro di un letto a baldacchino di foggia
tipicamente cinese, Mei abbassò il volume della tv e gli
dedicò attenzione.
"A quanto pare."
"Posso entrare?"
Mei fece spallucce, spiluccando un biscotto.
"Prego. Me ne sono andata da sola
prima che tu potessi cacciarmi di
nuovo. Sai, dati i precedenti..." gli rispose, stringendosi nell'hanfu.
"Mi spiace per il tuo smisurato ego, non ti darò mai
più una soddisfazione
del genere."
"Mei, la mia pazienza ha un
limite oltre il quale è meglio non andare e tu l'hai
già messa a dura
prova."
"Oh ma davvero? La mia
invece l'hai già esaurita. Sei venuto a esercitare i tuoi
presunti diritti su
di me? Okay, posso tornare all'undicesima in tutta discrezione o hai
intenzione
di mettermi i ceppi? In effetti potrei sempre scappare...o meglio, rotolare."
Dall'altra parte della stanza, Degél scosse la testa con
disapprovazione, e Camus sospirò, premendosi due dita alla
radice del naso.
"Non ti sopporto quando dici certe
stupidaggini." sbottò.
"Sono
desolato, Mei, ma ha ragione." interloquì
Degél.
"Ci sono tante cose che io non sopporto ma che sono
costretta ad accettare, mio caro: un po'
per uno non fa male a nessuno." replicò lei,
avvertendo poco dopo gli
sforzi che Camus stava facendo per non perdere la pazienza.
Per amore, mia
cara, bisogna saper scendere anche ad accordi che facciamo fatica ad
accettare.
"E va bene, scusami." aggiunse poco dopo.
"Avevo bisogno di stare un po' da sola, dopo il trambusto di questi
giorni. A dire il vero avrei voluto parlarti ma non ho trovato che le
tue
spalle e un muro di silenzio."
"Ero arrabbiato."
"Ma davvero? Tu mi tratti come una povera mentecatta incapace di
decidere
per sé stessa e osi anche essere furioso?"
"Cercavo di scegliere la soluzione migliore."
"Già una volta hai deciso al posto mio e sappiamo
com'è andata. Bado a me stessa da quando avevo dodici anni,
ho praticamente
cresciuto mio fratello e una figlia, e rispondevo agli ordini di due
soli
uomini, Dohko e mio padre. Tu, mi spiace ricordartelo, non sei
né l'uno né
l'altro: a maggior ragione se il tuo concetto di nella
buona e nella cattiva sorte prevede
il lasciare tua moglie e i tuoi figli da soli
in un momento critico: l'ultimo
ricordo che ho prima che DeathMask iniziasse tutto sei tu che ti
allontani!"
Camus corrugò la fronte.
"...è questo che ti hanno detto? DeathMask ti ha
informata male, dunque, perché sono tornato subito indietro
e ti sono stato
accanto tutto il tempo."
"Ah, ecco. Sei rimasto con me e sei tornato all'undicesima prima che mi
risvegliassi, ora capisco. Molto, molto maturo da parte tua. E tanto
per la
cronaca, DeathMask non ha detto proprio nulla."
Aveva esternato un paio di cosette che non era il caso di
ripetere.
Camus si appoggiò all'intelaiatura di ciliegio del letto
e ne seguì con le dita i complicati intarsi.
"Tornate a casa?"
"Dipende. Che temperatura ha raggiunto l'undicesima?"
Lui si schiarì la voce.
"Ehm... è salita a un paio di gradi sopra lo
zero."
"E allora Lixue e io rimarremo qui finché non torna
ad essere vivibile. Sabaka è abituata ai freddi siberiani,
noi due no."
"Non mi piace dormire da solo."
Mei indicò con un cenno l'altra parte del letto.
"A me nemmeno."
"...d'accordo, vado a prendere due cose e torno
subito." capitolò Camus.
"Ho sentito che Shiryu è sul piede di guerra...
ignoralo, non dargli corda." disse infine Mei, porgendogli un mazzo di
chiavi. "Quella blu apre la porta sul retro, entra da lì."
Camus accettò le chiavi, ma ignorò l'avvertimento.
"Entrerò dalla porta principale perché non sono
un
amante clandestino, ma tuo marito. E per quanto riguarda Shiryu,
è giunto il
tempo di smettere di ignorare le sue provocazioni, ne ho le tasche
piene. Sono
stufo di questa-..." s'interruppe.
Mei assottigliò lo sguardo.
"Sei stufo di cosa?" mormorò. "Di questa
famiglia? Era questo che stavi per dire? Sei stufo di questa famiglia,
o di
me?"
Avvertì la prima fitta farsi largo tra le tempie.
"Vuoi davvero una risposta? Perché potrebbe non
piacerti."
"Rispondi."
"Sono stufo marcio di questa situazione, e del fatto
che qualunque cosa accade, tuo fratello cerca di metterti contro di me.
E odio
quando riesce a farlo." sbottò lui. "Torno subito."
Quando tornò circa dieci minuti dopo, aveva già
spento la
tv ed era già sistemata a letto, pronta a dormire
–o quantomeno, provarci-. Lo
guardò spogliarsi per infilarsi il pigiama, resistendo
all'impulso di allungare
una mano alla sua schiena.
"Hai mangiato abbastanza in questi giorni?"
"M-mh."
"Mi sembri un po' sciupato."
"È una tua impressione." rispose stringato,
prima di distendersi accanto a lei, dandole la schiena. "Buonanotte."
Nei successivi minuti, la tensione non accennò a
diminuire; Mei si girò a fatica su un fianco e lo indusse a
girarsi a sua volta.
"Quoi?"
[Che c'è?]
Cercò la sua mano e se la portò al volto,
baciandone il
palmo più volte.
"Mi sei mancato." ammise Mei infine.
"Abbiamo già dormito separati, non è la fine del
mondo."
"Sì, ma non dopo aver litigato. Mi dispiace moltissimo
averti detto quelle cose."
"Per quanto tu possa essere dispiaciuta, le hai
comunque dette." rispose Camus. "E hanno anche colto nel segno. Come
te, neanche io merito di pagare lo scotto di quella decisione per il
resto
della mia esistenza."
"Mi dispiace."
"L'hai già detto."
Lasciò la sua mano, girandosi di nuovo.
"Allora buonanotte."
Un'altra fitta alle tempie, stavolta forte.
"...vogliamo andare avanti così? Io dirò una
cosa,
tu ne dirai un'altra e ci arrabbieremo a vicenda?"
"Non so cosa dirti. Ti ho chiesto scusa, ho
riconosciuto i miei errori... più di così non so
che cosa devo fare. Devo
inginocchiarmi supplice ai tuoi piedi e implorare la tua clemenza? Sono
stata
sgradevole, ho rivangato un passato che deve restare dov'è e
ho detto cose che
non avrei dovuto dire, lo so. Ero sottosopra, stanca e agitata. Neanche
tu hai
tenuto la lingua al suo posto, se non sbaglio." sbottò Mei.
"Anzi no,
la lingua l'hai tenuta a posto eccome, ti ho mandato tanti di quei
messaggi ieri,
avessi ricevuto una risposta, dannazione."
Lui sbuffò.
"Miei Dèi, ero a Parigi per un esame! Non potevo
risponderti perché ero all'Università."
"Ah."
Mei spense la luce, decidendo di tacere.
Camus sentì il suo respiro farsi regolare col passare del
tempo. Incapace di prender sonno in quel catafalco mascherato da letto,
si mise
lentamente a sedere e le sistemò i cuscini dietro la
schiena, soffermandosi a
pensare. Com'era stato il rapporto tra i loro... doppi,
nella loro dimensione? Anche loro avevano riso, scherzato, litigato,
nella loro quotidianità? E quanto doveva essere orrenda la
vita dell'altra Mei,
per tentare di appropriarsi di una vita che non le apparteneva?
"Non riesci a dormire?"
Camus tentò di metterla a fuoco nel buio della stanza.
"Questo letto è claustrofobico, mi sembra di
soffocare." borbottò, schiarendosi la voce. "E tu
perché non
dormi?"
"Charles."
rispose Mei, con uno strano tono di voce.
"Chi?"
"La ragione per la quale il mio alter ego ha perso
il senno e ha provato a prendere il mio posto."
"L'altro me non si chiamava Fabien?!"
"Sì, ma non parlavo di lui. Charles è un bambino
di
sette anni, il loro unico figlio."
Camus corrugò la fronte.
"Come fai a saperlo?"
"Ho letto un atto di nascita e poi... prima che
Turi... DeathMask, la..." s'interruppe, cercando di non pensare al
destino
riservato all'altra Mei "...lei
ha condiviso qualcosa con me, dei ricordi. Da quel che ho potuto
vedere, pare
essere un bambino acuto e promettente, affettuoso e molto affezionato a
sua
madre, il solo genitore che abbia mai conosciuto. Ho percepito lo
stesso
potente sentimento che mi lega a te e a Lixue, un legame molto forte.
Ma
Charles ha anche sviluppato lo stesso Cosmo di suo padre e dato che
nella
dimensione temporale della mia alter ego Hades si deve ancora
risvegliare e il
Santuario è sguarnito, è stato strappato alle
braccia di sua madre per
l'addestramento. È in quel momento che lei ha iniziato
seriamente a cercare
un... come dire...posto alternativo
nel quale vivere: perdere il suo uomo l'aveva gettata nella
disperazione e
perdere suo figlio è stato troppo."
Per qualche istante Mei non udì altro che il suo respiro
regolare.
"...ti sei addormentato?!"
"No. Posso comprendere il suo stato d'animo ma...
non dovresti difenderla, ha cercato di toglierti di mezzo. Te l'ho
già detto,
ha sperato fino all'ultimo e le cose non sono andate come desiderava,
ma non è
una buona sc-..."
Mei accese una luce –una sorta di lampadina d'emergenza
più che una lampada
vera e propria, avvitata in quello che era il soffitto del baldacchino-
e lo
guardò, seria.
"Tu parli così perché non hai idea di come ci si
sente. Sei mai stato così disperato da non riuscire a
pensare? O hai mai
provato un dolore così atroce da mozzarti il respiro? Io sì. Non hai idea di come ci
si senta mentre cerchi di impedire
con tutte le tue forze qualcosa anche se sai perfettamente che non puoi
fare
nulla. Ti senti come se ci fosse qualcosa che ti stringe la gola e il
cuore
nello stesso tempo, è qualcosa che non auguro a nessuno,
l'essere inerme, impotente
e del tutto alla mercé del dolore." gli rispose. "Non riesco
ad
essere arrabbiata con lei, abbiamo
patito entrambe lo stesso strazio, abbiamo entrambe provato quella
sensazione
di soffocamento, ci siamo entrambe sentite inermi e disperate. A me
è andata
bene, tu sei qui e posso parlarti e toccarti, lei invece ha seppellito
il suo
Camus e nessuna divinità è più
intervenuta. E ora la loro creatura è
completamente sola, senza più neanche sua madre. Come
farà d'ora in poi?"
"Supererà anche questa, come abbiamo fatto tutti,
qui. O ti arrendi e ti lasci sopraffare o tiri fuori le unghie e
reagisci."
"...sì, certo. Come se fossimo tutti uguali."
"In questo luogo, lo siamo." la contraddisse.
"Tutti noi qui al Santuario non ci siamo arresi ai nostri destini,
tutti
noi abbiamo tirato fuori le unghie e preso di petto la vita, o saremmo
morti il
primo mese d'addestramento. Se mi fossi arreso, sarei morto di
polmonite... se
Aphrodite, o Milo, si fossero arresi, sarebbero morti avvelenati.
Persino
DeathMask ha lottato. O sarebbe morto come la sua famiglia, quel
lontano
giorno. Charles dovrà tirare fuori i denti e le unghie se
vorrà sopravvivere,
non ha altra scelta: lottare o arrendersi, vivere o morire."
"È solo un bambino, ha la stessa età di Lixue,
potrebbe essere nostro figlio, ci hai pensato? Ho subito pensato a lei
e a
loro, qui dentro: non oso nemmeno immaginare come potrei reagire se
qualcuno
provasse a portar via uno dei miei figli, la rabbia e la disperazione
sarebbero
così potenti che potrei uccidere senza alcuna
pietà." mormorò Mei. "E
non fare quella faccia: per onestà devo avvertirti che sarei
capace di uccidere
anche te se solo provassi a farmi una cosa del genere, sarebbe un
tradimento
troppo profondo da perdonarti."
"..."
"E ricordati che per me sarebbe facile avere la meglio su di te e farti
assaggiare il pugnale di mio padre, perché lo farei quando
meno te l'aspetti e
in un momento nel quale non saresti in te. Ti costringerei a vivere
sempre
all'erta."
"Lo so bene, ti conosco."
Mei sogghignò.
"Oh no. Tu pensi di conoscermi bene. Se come dicono
l'anima di una donna è come un iceberg, tu sei ancora alla
punta della parte
emersa."
"Confortante." commentò quindi Camus.
Tacque un attimo prima di scoppiare a ridere.
"Stai tranquillo, conosco mille altri modi per
mettere fuori uso una persona senza l'uso di armi da taglio. Un colpo
al collo
e via, pronto per l'altro mondo."
"Ciò dovrebbe rincuorarmi?"
"Direi di sì, perché non ho intenzione di
tagliuzzarti
ancora, hai abbastanza cicatrici addosso."
"...come...?!"
Mei allungò la mano ai suoi
pantaloni, tirandoli giù fino a scoprirgli il fianco ferito.
"Punto primo: a differenza
di mio fratello, la mia vista è perfetta e quel cerottone
non è invisibile. E
poi beh, non è da te dormire vestito né darmi le
spalle quando ti svesti. Punto
secondo: ci sento ottimamente, e ieri ho sentito Dohko chiedere
informazioni ad
Aphrodite circa la ferita che ti avrei inferto l'altra notte. Punto
terzo:
perché diavolo non mi hai detto niente?"
Sorpreso da quanto ascoltato
–pensare che aveva fatto di tutto per non farle sapere
niente- Camus si scostò
dal cuscino e si levò la maglietta.
"Okay, allora questa non serve più. Un po' d'aria, per la
miseria, qui
dentro si soffoca."
"Lo so, è un letto antico,
se non ci sei abituato fa quest'effetto." disse Mei. "E allora?"
"Non ti ho detto niente per
non farti preoccupare."
"Ma davvero? E secondo te non
mi sono agitata comunque? Ti ho quasi sventrato, secondo te non mi sono
preoccupata?"
"Cerco sempre di
proteggerti, lo sai."
"E su questa cosa arrivo al
quarto punto: domani mi porterai a casa e lascerò il tantō
nella stanza degli
avi. Non posso correre di nuovo rischi del genere. Ti sei fatto vedere
da un
medico?"
"Aphrodite basta e avanza,
non trovi? Stai tranquilla, sto bene, sto prendendo gli antibiotici."
Mei annuì.
"D'accordo. Fai qualcosa per
riportare casa a una temperatura decente, perché mi manca il
nostro materasso,
questo è troppo morbido per i miei gusti."
"Quindi torni a casa?"
"Se vuoi resto qui, così
sarai costretto a convivere anche con Shiryu."
Camus sgranò gli occhi.
"Vedrò che cosa posso fare."
**
"Bentornata
a
casa."
Mei
alzò lo sguardo dal
libro e si strinse nella felpa dei Kiss ricevuta in dono anni prima,
per
proteggersi dall'aria ancora freddina che aleggiava in casa.
"Vi
ringrazio, monsieur." rispose,
prima di
terminare la tazza di tè.
Degél
sorrise.
"Bach."
"Come,
prego?"
"La
musica che state
ascoltando, l'aria della Suite n°3 in re maggiore...
è di Johann Sebastian Bach."
"Sì,
lo so."
"Anche
se preferisco
il preludio della Suite n°1 in sol maggiore... sapete, quella
suonata al
violoncello. Non immaginavo vi piacesse anche Bach."
Mei
sciacquò la tazza e la
ripose.
"La
musica barocca
non è tra le mie preferite, a dire il vero. È che
ho impostato una playlist di
musica classica su Youtube perché pare sia il solo modo di
tenerli tranquilli
tutti e tre e... oh, non importa." spiegò, imbarazzata. "Ma
adoro le
opere liriche."
"Sì,
lo sapevo.
Comunque, per quanto sia interessante discorrere di musica con voi, non
è per
questo che sono qui. Posso rubare un po' del vostro tempo?"
"Ma
certo." gli
sorrise in risposta.
"Allora,
vogliate
seguirmi, prego. Oh, prendete le chiavi della biblioteca, per favore."
Lo
vide raggiungere la
doppia porta che conduceva alla biblioteca dietro gli appartamenti
privati.
Richiuse la porta alle proprie spalle, restando come sempre affascinata
dagli
scaffali alti diversi metri, zeppi di libri, e dall'odore che
emanavano,
mischiato al profumo della cera d'api.
"E
adesso?"
"Continuate a seguirmi."
Facile
per lui, essendo
incorporeo non doveva faticare poi tanto. Sospirò prima di
decidersi a salire
la scala a chiocciola che saliva sinuosa lungo la parete, fermandosi a
un passo
da Degél che l'aveva condotta fino all'ultimo piano, a circa
dodici metri da terra.
"Dove
mi state
portando?" gli domandò. Degél era intento a
cercare qualcosa lungo una
porzione di parete priva di scaffali. "Non mi direte che state cercando
un
passaggio segreto?"
"Qualcosa di simile: ho tratto ispirazione da Versailles. Avete mai
visitato
la reggia? Si narra che i re, soprattutto Luigi XIV e il bisnipote
Luigi XV li
utilizzassero per far visita alle amanti: Madame de Pompadour e Madame
Du Barry,
per citare le più famose."
"La
reggia è
visitabile solo in parte, e sicuramente i passaggi segreti non sono
inclusi
negli itinerari turistici. Comunque voi utilizzavate da solo questa
stanza?"
Degél
sollevò un
sopracciglio.
"Stavo
scherzando." ribatté Mei. "Non avete l'aria di esser stato
un
libertino."
"Sacrebleu, non direi proprio."
"Lo
so. Eppure dal
ritratto giù in casa, eravate un bel giovane."
"Dite?
Potrei
sbagliarmi, ma se non vi conoscessi, direi che siete infatuata di me."
le
sorrise, scoccandole un'occhiata allegra.
"Affascinata semmai, è
diverso." lo corresse. "Amo un solo
uomo, monsieur, e non siete
voi."
"Ne
sono lieto."
rispose Degél. "Anche perché la differenza
d'età è ragguardevole
–duecentosessantaquattro anni sono un po' troppi, avete idea
dello scandalo che
seguirebbe?- e perché ho amato una sola donna e quel
sentimento l'ho riservato
solo a lei. Ma poi... che sorta di relazione sarebbe la
nostra...vediamo...platonica?
Dopotutto sono uno spirito
senza corpo."
Mei
scoppiò a ridere.
"Noto
che la vostra
audacia ha fatto passi da gigante. Dunque, oltre a essere di
bell'aspetto siete
anche audace."
"Come
oggi, anche
all'epoca esistevano artifizi per migliorare l'aspetto di una persona:
quel
ritratto non è del tutto veritiero."
"Questo
lasciatelo
giudicare a me, se non vi dispiace. Certo, se potessi vedervi meglio di
come posso
vedervi ora, vi darei un giudizio più accurato."
Lui
corrugò la fronte,
fermando le dita a un certo punto.
"L'assunzione
di una
forma più materiale è un aspetto al quale sto
lavorando da tempo, Mei. Oh, eccoli
qui." rispose lui. "Li vedete?"
Due
chiavistelli abilmente
celati nella modanatura della parete: faticando un po', Mei
riuscì a sbloccarli
e ad accedere al locale dietro il pannello girevole. Un locale grande
quanto la
camera da letto di Camus, che a una prima occhiata aveva bisogno d'una
gran pulita.
"È
tutto come l'avevo
lasciato prima di partire per Blugrad, nessuno ha mai più
messo piede qui
dentro." le spiegò. "Oh, guardate. C'è persino
l'ultimo libro che
lessi qui. Questo era... come dire... il mio posto
privato."
"Catullo. Scelta interessante."
commentò Mei, sbirciando la
copertina del libro dopo aver rimosso la polvere con una passata di
mano.
"Chiedo
venia, perché
interessante?"
"Non
so. Voi custodi
delle energie fredde non vi abbandonate ai sentimenti, eppure Camus
adora i grandi
classici russi zuppi d'amore e sentimenti, mentre voi leggete Catullo."
"Rammentate
quanto vi
dissi anni fa, sulle due facce che noi guerrieri siamo obbligati a
mantenere.
Qui dentro potevo permettermi di essere solo
Frédéric e nessun altro."
Scostato un telo, Mei si sedette su una poltroncina, stanca.
"Vi
chiamate
Frédéric?"
Degél
annuì, quindi
trovato ciò che stava cercando, lo indicò a Mei.
"Riguardo
ciò che mi
avete detto l'altro giorno..."
"Vogliate
perdonarmi,
non ero in me ed ero arrabbiata."
"Non
importa, non
sono in collera con voi. Posso chiedervi una gentilezza? Nel cassetto
più
piccolo di quel secretaire c'è una chiave, prendetela. Lo
farei io stesso, se
potessi."
Fece
quanto chiesto,
quindi, seguendo le sue indicazioni, aprì il baule accanto a
lui: al suo
interno, sotto uno strato di mussola, intravide degli abiti.
"Posso?"
gli
domandò: pur essendo uno spirito erano comunque oggetti di
sua proprietà.
"Prego."
Un
sontuoso abito di
broccato azzurro chiaro a decori d'argento, dal bustino stretto e le
maniche aderenti
che si aprivano in un tripudio di pizzi all'altezza del gomito. Mei se
lo
drappeggiò addosso, constatando quanto fosse stretto.
"D'accordo,
al
momento sono incinta e perciò ho le misure un po' allargate,
ma miei Dèi, come
facevano le donne della vostra epoca a indossare bustini tanto stretti?"
"Come
facevano le
donne del vostro Paese a sopportare la fasciatura dei piedi?"
ribatté Degél.
"Giusto."
convenne Mei. "Paese che vai, tortura che trovi."
Mise
da parte l'abito
femminile, passando per un elegante completo da uomo in velluto blu
notte,
dalla giacca rifinita di volute e ricchi ricami dorati.
"Ammetto
che
preferisco la moda maschile a quella femminile: corsetti e panieri non
hanno mai
attirato le mie simpatie. Ma le giacche da uomo, come questa... e
questi? Un
tantino trasparenti per un galantuomo come voi: riesco a vederci
attraverso." gli disse, sollevando un paio di braghe bianche, dal
tessuto
leggero.
"...per
essere
onesti, Mei, li indossavo, ma... come la camicia, c'era e non si
vedevano."
Arrossì
violentemente.
"Volete
dirmi che
erano le vostre... mutande?" mormorò Mei, imbarazzata.
"E
voi volete dirmi
che non avete mai toccato biancheria da uomo?"
"Sì,
quella di mio
fratello o di mio marito quando faccio il bucato, ma..." s'interruppe e
si
schiarì la voce. "D'accordo, lasciamo da parte i vestiti e
passiamo a
qualcosa di più neutrale... questa, ad esempio." prese la
scatola
intagliata sul fondo del baule, scoprendo un
medaglione portafoto, una collana di perle e un
cofanetto.
"Beh, non proprio
neutrale. Non ne faccio una giusta a quanto pare."
"Apritelo."
Ancora
sottosopra per vari motivi, in primis per
il modo in cui aveva trattato Degél, Mei aprì
lentamente la scatolina di
velluto rovinata dal tempo. Al suo interno, un anello.
"Oh."
"Si
chiamava Seraphina e quell'anello
di fidanzamento era destinato a lei."
A
distanza di due secoli ricordava ancora le sensazioni provate quando
aveva
acquistato quel gioiello, a come aveva fantasticato sul momento della
proposta... tutte cose perdute in un istante.
"E
quegli abiti... li avevo acquistati per noi, per il nostro matrimonio,
prima
che... beh, non ha più importanza, comunque. Il Destino ha
voluto diversamente.
Ho riflettuto a lungo sulle vostre parole e sono
giunto alla conclusione che in parte avevate ragione. Sono scomparso
all'età di
ventidue anni senza aver provato l'ebbrezza della passione, senza aver
conosciuto il calore delle braccia di una donna, senza aver...amato nel
senso
puramente carnale del termine. Ma vi ho detto che ho amato anche io, ed
è vero.
Un'amica d'infanzia, sorella di un mio grande amico: ci è
voluto un po' di
tempo per farmi comprendere la vera portata dei miei sentimenti e non
c'è stato
che un solo bacio tra di noi, ma fu sufficiente. Avrei fatto qualunque
cosa,
avrei dato la mia vita per lei. Non ho raggiunto la vostra
età e rispetto a voi
sono inesperto, forse non so che cosa voglia dire vivere a stretto
contatto con
una persona, dormire o fare l'amore con essa e avere dei figli, ma
posso
comprendere, anche troppo bene, che cosa voglia dire soffrire e
disperarsi per chi
si ama."
La
perdita della persona amata era un dolore
inimmaginabile e Mei sentì qualcosa spezzarsi dentro,
pensando a quanto dolore
Degél aveva dovuto sopportare.
"Oh,
Dèi." mormorò, con la voce
tremula. "Non potevo immaginarlo, ho parlato senza pensare a
ciò che
dicevo. Mi dispiace veramente tanto aver risvegliato il vostro dolore
con la
mia mancanza di tatto. Vi prego di perdonarmi, monsieur."
Un
altro sospiro triste.
"Non
avete risvegliato nulla, mia cara,
perché quel dolore non si è mai sopito."
mormorò Degél.
Si
domandò come facesse a convivere con quel dolore tutto il
giorno, tutti i
giorni, da decenni: lei l'aveva provato per poco tempo ed era stato
terribile,
atroce, incredibilmente difficile.
"Un
giorno vi parlerò di lei, ma... in questo momento non mi
è proprio
possibile."
"Non
ve l'avrei chiesto, a dire il vero." rispose, iniziando poi a riporre
pian
piano ciò che aveva tirato fuori dal baule. Piegò
con estrema cura il velo e la
sua acconciatura di perline, sfiorandole con le dita, pensando a
quant'era
stata fortunata Seraphina ad aver avuto accanto un ragazzo come
Degél.
"L'avevo
detto, eravate un bel giovane." proruppe diversi minuti dopo, cercando
di
stemperare la tensione. "Questo ritratto è diverso da quello
appeso in
corridoio."
"Voi
mi lusingate. Potete tenerlo, se vi fa piacere."
"Non
posso accettare, è troppo prezioso per voi."
"Allora
diciamo che lo terrete in custodia finché non
tornerò a riprenderlo, che ne
dite?"
"D'accordo."
annuì Mei, sorridendo. Il ritratto sull'altra
metà del medaglione ritraeva una
splendida ragazza: facile indovinarne il nome. "In quanto a Seraphina,
i
miei complimenti, monsieur. Era davvero molto bella."
Gli
occhi di Degél s'illuminarono, le labbra piegate in un caldo
sorriso
melanconico.
"Oh
no. Lei non era solo bella,
lei era il Sole."
***
Lady
Aquaria's corner:
Riguardo
la lunghezza del capitolo, lo ammetto, la cosa mi è sfuggita
un tantinello di mano,
ma non volevo spezzarlo in due.
I
personaggi accennati qui –Mingxia, Weizhe, Volya, Fabien e Charles-
sono miei OC, ma
non compariranno mai, se non nei ricordi dei loro cari.
Proseguo con le note:
-Gauloises Blondes: sigarette francesi (non scelte a caso,
lo devo ammettere: queste sigarette erano le preferite di Albert Camus,
a quanto
pare dalla sua biografia).
-Ici c'est Paris!: è uno degli slogan della più
famose squadre
di calcio di Parigi, il Paris Saint Germain, della quale Camus
è tifoso.
-HSK6, Delf e livelli A2-B1: riguarda la conoscenza delle
lingue cinese mandarino e francese; qui
una spiegazione più accurata.
-Dalida: meravigliosa cantante franco-italiana, famosissima
soprattutto in Francia: a Parigi ha persino una piazzetta intitolata a
suo
nome.
-Tajine: particolare pentola di terracotta in uso
soprattutto nei paesi della fascia nordafricana.
-Grande Arche: il moderno "arco" costruito nel
quartiere finanziario di Parigi.
-Louvre – Concorde - Triomphe – Defénse:
Camus si riferisce all'asse
che unisce (asse
non esattamente allineato, a dire la verità) questi quattro
punti a partire
dalla piramide di vetro del Louvre fino al moderno arco della
Defénse
attraverso l'obelisco di Place de la Concorde e l'Arco di Trionfo in
Place de
l'Ètoile.
-Harem
imperiale cinese: gli imperatori potevano contare su
centinaia di
concubine, separate per "gradi" secondo un complesso sistema di caste
interne; molte imperatrici passate alla storia per la loro
crudeltà o per il
loro potere si fecero strada nello spietato mondo dell'harem. Tra loro,
ad
esempio, Cixi.
-Nell'antica Cina era in uso un particolare
tipo di letto a baldacchino dalla struttura chiusa: Camus lo
definisce catafalco (feretro)
appunto perché a differenza
dei letti ai quali siamo abituati, non è aperto. Nel
collegamento troverete un
esempio.
-Infine...
per me Degél e Seraphina avevano una storia. Voglio dire, so
che non è scritto
da nessuna parte, ma a me personalmente piace pensare che tra loro ci
fosse
qualcosa. Ad ogni modo Degél nacque nel 1721 (per morire poi
ventidue anni
dopo, nel 1743), quando in Francia regnava Luigi XV, bisnipote del Re
Sole, che
reintrodusse nella moda dell'epoca la sobrietà che in
qualche modo era mancata
durante il regno del suo predecessore; alcuni elementi, ad esempio,
persero lo
sfarzo amato da Luigi XIV. Degél (pur avendo trascorso la
stragrande
maggioranza della vita in Grecia o in Russia) lo vediamo, soprattutto
nel
Gaiden a lui dedicato, indossare splendidi completi alla francese in stile
rococo, e gli abiti che ho descritto ricalcano quello stile.
Pur avendo
fatto diverse ricerche, anche su libri cartacei, non sono del tutto
sicura
dell'uso della biancheria intima (reintrodotta nel 19° secolo),
ma preferisco
pensare che Degél ne facesse uso, insieme alla camicia da
notte lunga e la
classica camicia bianca indossata sotto il panciotto. Non riesco a
immaginare monsieur
Degél in una situazione alla "sotto il vestito, niente".
Proprio no.Vorrei
ringraziare chi continua a leggere e quelle poche anime pie che ancora
recensiscono. Mille fois merci.
Lady
Aquaria
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