SUICIDE SQUAD
2 - NECROPOLIS
- Capitolo 1. "L'evasione" -
Non c’era mai silenzio nella sua testa, ma il sibilo di quel
dannato allarme lo stava facendo impazzire.
“Cos’è?”
“Che sta
succedendo?”
“Fammi
prendere un attimo il controllo, voglio vedere!”
- Ragazzi, vi prego, è solo una stupida sirena. E la porta
della cella si è appena aperta.
“Come
sarebbe?”
“Si
è aperta?”
“Scappiamo!”
“Idioti,
è sicuramente una trappola!”
“Corbin, fammi
guardare!”
“No, fai
guardare me!”
Il giovane uomo premette forte i palmi delle mani contro le tempie,
reprimendo a fatica una smorfia di dolore: - Smettetela! Mi state
facendo diventare matto! State zitti per un secondo!
“Perché,
non sei già matto?”
“La vera matta
qui è Ice”
“Guarda che ti
sento, coglione!”
- Ragazzi, vi prego!
Annaspando come ubriaco, il carcerato avanzò fino alla
soglia della stanzetta in cui si era fatto volontariamente rinchiudere.
Si accasciò quindi contro il muro, cercando di decidere il
da farsi, ma, proprio mentre le altre personalità
riprendevano il chiacchiericcio insistente, la sua attenzione venne
catalizzata da una figura scura ed imponente che avanzava verso di lui
lungo il corridoio solitario.
Il primo impulso fu quello di scappare, poi, però,
all’interno della sua mente giunse un’altra voce,
una voce esterna, tranquilla, androgina e confortante, che lo
isolò completamente dai borbottii irritati degli altri.
“Perché
sei qui?”
- Sono un criminale… - rispose lui, quasi in trance.
– Sono pericoloso.
“Il manicomio
si è rivelato un fiasco, vero?”
Un piccolo sorriso si dipinse sul volto del giovane: - Non so come tu
faccia a saperlo, ma sì… qui è
più sicuro. Qui hanno i mezzi per tenermi a bada.
La voce tacque per qualche secondo, poi sussurrò in tono
ammaliante: “Vorresti
aiutarmi in una piccola missione? Sto cercando di migliorare il
mondo…”
***
- Ma non mi dire…
Digger Harkness sedeva sul letto con aria furtiva, dando le spalle alla
porta. Era riuscito a rubare un giornale durante l’ora
d’aria, con l’intento di provocare un piccolo
falò all’interno della cella - tanto per creare un
po’ di scompiglio - ma il titolo impresso a
caratteri cubitali in prima pagina aveva attirato all’istante
la sua attenzione.
- Disordini in città, eh? – mormorò
l’australiano. – Chi è lo stronzo che si
diverte a fare casino mentre io sono chiuso qua ad ammuffire?
Dunque… strane scosse… cani rabbiosi…
aggressioni… bah, fin qui nulla di che, ma…
sconvolgenti omicidi? Esagerati, sarà qualche serial killer
del cazzo e… aspetta, cuori strappati? Questo inizia ad
essere interessante…
Aguzzò lo sguardo, cercando di capire a quale creatura
potesse appartenere l’ombra impressa sulla fotografia
stampata sopra i paragrafi, quando all’improvviso un suono
acuto e assordate gli colpì i timpani con la violenza di un
pugno.
- Non ho toccato niente, giuro! – gridò, balzando
in piedi. – Stavolta io non c’entro!
Il suono dell’allarme era insistente e fastidioso, di
intensità diversa rispetto al solito. L’ultima
volta che si era udito un simile chiasso era stato alcuni mesi prima,
quando il Joker aveva fatto irruzione nel carcere liberando Harley
Quinn.
Capitan Boomerang si tappò le orecchie con le mani,
sferrando un calcio contro la porta della cella: - Fate smettere questa
fottuta sirena! Mi avete sentito, bastardi? Che cazzo sta succedendo?
Caricò nuovamente la gamba per colpire con un secondo
calcio, quando, con suo sommo stupore, i cardini della porta
cigolarono, per poi scattare con un “clang”
metallico.
Il criminale spalancò gli occhi azzurri, restando per
qualche secondo immobile, con le mani ancora premute contro le orecchie
e la gamba sollevata a mezz’aria. Inizialmente si
aspettò l’irruzione di una decine di guardie
pronte a immobilizzarlo e bastonarlo, ma, poiché non accadde
nulla di simile, prese coraggio e si affacciò alla soglia
della propria sudicia stanza: tutte le celle erano aperte e la feccia
sigillata all’interno fino a pochi istanti prima si stava
riversando in fretta nel corridoio, fuggendo in un tripudio di risa e
passi pesanti.
L’australiano si prese un paio di secondi per metabolizzare
la cosa, poi, esplodendo in un grido di gioia, si unì agli
evasi, dirigendosi verso la via d’uscita più
vicina.
A differenza degli altri, lui aveva ancora quella dannata capsula
esplosiva piantata nel collo, ma avrebbe risolto la questione a tempo
debito.
- Sì! Sono libero! – esultò, facendosi
largo tra i colleghi carcerati a spintoni. – Sono libero,
cazzo! Beccatevi questo, brutti figli di puttana, finalmente
sono…
La sottile puntura di uno spillo interruppe il suo discorso e la sua
fuga. Harkness fece appena in tempo ad estrarre la minuscola siringa
piantata tra il collo e la scapola destra, poi cadde a terra privo di
sensi. Buio.
Toby osservò in silenzio il timer sullo schermo elettronico
incorporato nel polso meccanico. Mancavano cinquanta secondi esatti.
- Finalmente – disse tra sé, inginocchiandosi sul
letto e facendo scorrere lo sportellino che si affacciava sulla cella
di Raisa.
Aveva passato solo tre giorni a Belle Reve, ma, per un ragazzo
iperattivo come lui, quel breve soggiorno aveva rappresentato
un’autentica forma di tortura.
“Se non
corressi il rischio di venire disintegrato, chiederei al Grande Capo un
aumento” pensò, attirando poi
l’attenzione della vicina con un furtivo “pssst”.
Raisa era stesa sul letto e lanciava svogliatamente in aria una pallina
azzurra e arancione, per poi afferrarla al volo e ripetere il
movimento. Volse lo sguardo in direzione del ragazzo, aggrottando la
fronte quando lui sussurrò: - Ascolta, tra qualche secondo
le porte delle nostre celle si apriranno e da quel momento dovrai
soltanto fidarti di me.
- Che stai dicendo? – domandò confusa la russa,
mettendosi a sedere.
- Non potevo spiegartelo prima, Waller mi ha ordinato di agire in
questo modo, suppongo per via dei tuoi problemi di memoria. Se non ti
fidi puoi provare a frugare nella mia mente o fare quello che vuoi, ma
nel momento in cui quelle porte si apriranno dovrai seguirmi ed essere
collaborativa.
- E questo tra quanto accadrà?
Toby controllò il timer: - Tra dieci secondi.
Nove… otto… sette… prepariamoci ad
uscire, davanti alla porta… tre… due…
uno…
Non appena il conto alla rovescia raggiunse lo zero, i cardini
cigolarono, aprendo presto una via di fuga per i due detenuti. Ma non
andò tutto come previsto.
- Cos’è questa sirena? –
gridò Raisa per sovrastare il rumore, tappandosi le orecchie.
Bionic Boy si guardò attorno con aria smarrita, mentre
l’intero corridoio cominciava a brulicare di criminali evasi.
- No, no, no! Questo non fa parte del piano! Perché stanno
uscendo tutti?
- Toby?
Il ventenne diede una rapida controllata allo schermo del timer, ora
occupato dal testo di un messaggio scritto in maiuscolo.
“IGNORA L’IMPREVISTO. CONTINUA AD AGIRE SECONDO IL
PIANO.”
Cercando di non farsi travolgere dai fuggitivi scalmanati,
afferrò la mano di Raisa e cominciò a correre
seguendo la direzione del flusso.
- Appena fuori da questo scompartimento scenderemo le scale, arriveremo
al secondo piano per poi raggiungere l’Ala Est.
- Che cosa c’è nell’Ala Est? –
domandò Raisa, cercando di tenere il passo.
- Incontreremo una persona… o almeno spero riusciremo ad
incontrarla, visto che rischia di perdersi in mezzo agli altri
prigionieri evasi… cazzo, questo intoppo proprio non ci
voleva!
Scesero al secondo piano senza interrompere la corsa, giungendo in una
zona del carcere piuttosto silenziosa e semi-desertica.
Un’ordinata fila di celle vuote si affacciava su un lungo
andito dalle mura grigiastre.
- Forse siamo arrivati tardi – borbottò Bionic Boy
con fare nervoso. – Maledizione, se scopro chi ha provocato
questa evasione di massa io lo…
- Ah, quindi l’intero sistema è andato in tilt
– disse una voce femminile, proveniente da una cella poco
distante. – Carcere di “massima
sicurezza”, dicevano…
Una donna slanciata sulla quarantina fece capolino dal proprio angusto
alloggio con fare flemmatico, poggiando distrattamente la spalla contro
il muro. Aveva i capelli castani raccolti in un approssimativo chignon
ed il volto caratterizzato da marcati lineamenti irlandesi.
Un sorriso speranzoso affiorò sulle labbra di Toby: - Sei
Evergreen?
- Diciamo di sì – rispose quella, gettandosi
un’occhiata annoiata attorno. – Si può
sapere cosa è successo qui?
- Che culo! – esultò il ragazzo, troppo eccitato
per rispondere alla domanda. – Sono così felice
che tu non sia fuggita insieme agli altri, Waller mi avrebbe ammazzato
se non avessi portato te e Raisa al Punto di Raccolta!
- Ah, quindi è Waller l’artefice di questo casino
– osservò Evergreen. – Chissà
perché la cosa non mi sorprende…
- Toby, potresti spiegarmi cosa significa tutto questo?
Perché Waller vuole me e questa donna? E dove si trova il
Punto di Raccolta? – domandò Raisa con fare
spazientito.
Il giovane assunse un’espressione afflitta: - Purtroppo non
posso spiegarvi tutto, non ho idea del perché il Grande Capo
mi abbia chiesto di portarvi da lei, ho semplicemente ricevuto degli
ordini e devo limitarmi ad eseguirli. Vi condurrò al Punto
di Raccolta, dove vi verranno date tutte le informazioni che vorrete.
Potreste fidarvi di me ancora per un po’?
Le due donne restarono in silenzio per qualche secondo, poi, Evergreen
sospirò: - Mi fido.
- Davvero? – s’illuminò il ventenne,
quasi incredulo di fronte alla risposta affermativa.
L’irlandese sogghignò: - Mi fido di quello che ti
succederà se oserai giocarmi un brutto tiro. Avanti,
ragazzino, portaci dalla Somma Megera.
L’ultima cosa che Floyd Lawton si sarebbe aspettato era
vedere la porta della propria cella spalancarsi
all’improvviso, mentre la sirena d’allarme
echeggiava per tutta la prigione con il suo assordante grido.
Il cecchino avanzò lentamente, affacciandosi sulla soglia:
poteva benissimo trattarsi di una trappola organizzata dai sadici
secondini, eppure nessuno dei prigionieri che in quel momento ne
approfittavano per fuggire aveva ancora affrontato conseguenze
spiacevoli.
- Floyd!
Roma si fiondò fuori dal proprio cubicolo, raggiungendo
l’amico ed afferrandogli le mani: il volto dai tratti gitani
era tinto di un’espressione preoccupata e confusa, i lunghi
capelli ricci e scuri sembravano più ribelli e spettinati
del solito.
- Che sta succedendo?
- Non ne ho idea – rispose l’uomo, gridando per
sovrastare il rumore della sirena. – Potrebbe esserci una
falla nel sistema, forse si può davvero provare a scappare,
o almeno tu potrai farlo. Io ho ancora la nano-capsula esplosiva
piantata nel collo, non penso andrei molto lontano…
- Per quella non preoccuparti – s’intromise la
ragazza dai capelli biondi e lo sguardo aggressivo che tanto amava
unirsi alle conversazioni dei due colleghi carcerati. –
Conosco qualcuno che potrebbe aiutarti, ma bisogna fare presto.
- Sono un po’ restio a fidarmi di una come te, Scarf, ma a
questo punto non vedo alternativa, si può provare
– ragionò Floyd, avviandosi con le due donne verso
l’uscita del corridoio. La loro sezione si era svuotata
rapidamente ed erano rimasti soli.
“Se quella
stronza di Waller avesse voluto ammazzarmi forse l’avrebbe
già fatto” pensò tra
sé il cecchino “E’
anche vero che potrebbe essere talmente impegnata a cercare di bloccare
l’evasione di massa da scordarsi della mia capsula e di
quella degli altri… no, impossibile, a quella donna non ne
sfugge una…”
Non era preoccupato per sé stesso, ma per Zoe: non poteva
lasciarla da sola definitivamente, non con quella stronza
irresponsabile della sua ex moglie.
Era talmente preso dai propri pensieri da non rendersi conto che Roma
l’aveva appena afferrato per un polso, cercando di bloccare
la sua corsa: tornò bruscamente alla realtà
quando rischiò di scontrarsi con un soldato alto e atletico,
con i capelli castani quasi rasati.
- Vai di fretta, Deadshot?
Floyd fece un passo indietro, preparandosi ad attaccare, ma
rilassò immediatamente i muscoli non appena riconobbe
l’interlocutore: - Flag… sei venuto qui per
riportarmi in cella? Vuoi farmi saltare la testa?
- Anche per me è un piacere vederti –
replicò ironico l’altro. – Comunque non
sono qui per fermarti né per ucciderti, a meno che non ti
rifiuti di collaborare. Vorrei che tu e le signore mi seguiste in
fretta e senza fare domande.
- E perché dovremmo fidarci di te, Coso? –
ghignò Scarf in tono di sfida.
- Perché non avete alternative – disse calmo Flag.
– O meglio, la mia alternativa sarebbe uccidervi tutti e tre
seduta stante: non siete armati e, per quanto riguarda voi due, signore
mie, i vostri poteri sono neutralizzati dalla droga che vi è
stata iniettata giornalmente. Vi consiglio di decidere in fretta.
Le due donne alzarono istintivamente lo sguardo sul cecchino dalla
pelle scura.
- Floyd – Roma appariva piuttosto titubante. - Tu hai avuto
modo di conoscere quest’uomo, noi no. Dobbiamo prendere una
decisione alla svelta.
-Possiamo fidarci – assicurò infine lui,
rivolgendo al Colonnello un’occhiata severa ma amichevole.
– È un po’ stronzo ma è anche
una brava persona.
- Sagge parole – rispose Flag, ricambiando con un sorrisetto.
– Ora seguitemi.
L’assordante suono della sirena raggiunse in breve tempo la
piccola stanza segreta, mentre le luci dei neon si accendevano e
spegnevano a intermittenza.
Chato Santana batté un paio di volte il palmo della mano
contro il vetro della capsula, cercando di sbirciare gli schermi dei
monitor che lo circondavano. L’espressione allarmata sul
volto di Maysie non prometteva nulla di buono.
- Che succede?
La giovane scienziata armeggiò nervosamente sulla tastiera,
lanciandosi attorno occhiate nevrotiche: - Non lo so… credo
ci sia appena stata un’evasione di massa, sto cercando di
contattare Waller… l’intero sistema ha qualcosa
che non va…
Dopo aver digitato un messaggio breve e conciso, raggiunse la capsula e
cominciò a testarne la funzione: - Sta andando tutto in
tilt… non posso lasciarti chiuso lì dentro, ne va
della tua sicurezza. Dobbiamo anticipare i tempi e arrangiarci da
soli…
Inserì il codice di accesso e premette un grande pulsante
blu: il coperchio della capsula si sollevò
all’istante.
El Diablo provò ad alzarsi per mettersi seduto, ma fu
necessario l’aiuto della ragazza per riuscire a vincere i
capogiri.
- Non mi incenerirai, vero? – domandò lei, con una
comprensibile nota di preoccupazione.
Chato scosse la testa debolmente, cercando a fatica di uscire dal
contenitore in cui aveva riposato per giorni. Indossava soltanto dei
pantaloni dalla stoffa leggera color beige.
- Non ne ho motivo. E anche se volessi, penso di essere ancora troppo
debole per produrre più di una piccola fiammella…
- Ce la fai a camminare?
-Posso provarci.
Maysie circondò le proprie spalle col braccio tatuato del
metaumano e, cercando un po’ goffamente di sostenerlo, si
avviò verso una porticina scura che si affacciava su un
lungo corridoio scarsamente illuminato.
Arrancarono per una decina di metri, raggiungendo un portellone
d’acciaio bloccato da una grossa maniglia circolare.
Lì, la giovane allungò la mano sinistra, facendo
combaciare la parte superiore dell’indice con il centro
esatto della maniglia: quella ruotò un paio di volte su
sé stessa, facendo infine scattare il meccanismo di
apertura.
Una luce artificiale ferì per qualche istante gli occhi
scuri del criminale, che però riuscì presto a
mettere a fuoco l’ambiente circostante. Si trovavano sulla
soglia di un immenso salone di forma esagonale, le cui pareti erano
quasi interamente coperte da schermi di computer, telecamere e monitor
e, al centro di esso, svettava un imponente tavolo di metallo,
circondato da poltroncine a due posti; c’erano delle persone
radunate lì – persone che Chato conosceva bene- e
lo stavano fissando tutte con aria sbigottita, fatta eccezione per
Amanda Waller e Rick Flag.
- Entriamo – sussurrò Maysie, aiutando il
trentacinquenne a compiere un paio di passi in avanti. Il portellone si
chiuse silenzioso alle loro spalle.
- Che mi prenda un accidente! – esclamò Capitan
Boomerang, sdraiato sul tavolo. – Sono ancora stordito per
via di quel sedativo del cazzo, oppure quello che vedo è il
nostro amico piromane?
- Non sono stato sedato, eppure lo vedo anch’io –
soggiunse Deadshot, con un piccolo sorriso. – Allora sei
sopravvissuto, eh? Che razza di figlio di puttana, avvisare con un
messaggino, no? Una chiamata? Una cartolina?
El Diablo aprì la bocca per rispondere, ma fu interrotto
dalla voce severa di Waller: - Ebbene sì, il vostro compagno
è vivo, siamo riusciti a recuperarlo soprattutto grazie
all’aiuto della dottoressa Hughes.
- Che sono io – balbettò Maysie un po’
impacciata, alzando la mano.
- Ad ogni modo, ci sono cose più importanti da spiegare, al
momento. Tra pochi istanti arriveranno gli ultimi componenti della
squadra e…
- Gli ultimi… componenti? – mormorò
Chato confuso, guardandosi attorno. C’erano sei persone che
non conosceva in quella stanza: una donna sui quarant’anni,
tre ragazze sulla trentina ed un giovanotto dall’aria
simpatica.
In quel momento, uno dei portelloni si spalancò e Tatsu
Yamashiro, alias Katana, fece il proprio ingresso nella sala,
accompagnata dall’imponente figura di Killer Croc e da due
ragazze poco sopra i vent’anni, una piccola e castana,
l’altra piuttosto alta, dai capelli neri ed il corpo
ricoperto di strani tatuaggi.
- Bene, direi che ci siamo tutti – esordì Flag,
mentre Capitan Boomerang si metteva a sedere, agitando la mano in cenno
di saluto.
- Ciao, Ragazza Samurai! Ti ricordi di me?
- Mi ricordo – replicò Katana, alzando gli occhi
al soffitto con fare annoiato.
Il colonnello rivolse all’australiano uno sguardo severo e
gli fece cenno di scendere dal tavolo: - Non cominciare ad importunare
le ragazze, Harkness. Bene, signori, vi consiglio di prendere posto e
ascoltare attentamente ciò che abbiamo da dirvi.
I componenti superstiti della Suicide Squad ed i membri sconosciuti
obbedirono in silenzio alla richiesta dell’uomo: Waylon Jones
si avvicinò a Chato e gli permise di appoggiarsi alle
proprie braccia, liberando Maysie dal non proprio dolce peso.
- Katana mi ha detto di te, poco fa, ma faticavo a crederle. Sono
contento di vederti, amico.
- Lo sono anch’io – replicò debolmente
El Diablo, sospirando di sollievo non appena si sedette su una delle
poltroncine. Era ancora un po’ stordito e gli girava la
testa.
- Ci siamo tutti, eccetto Harley Quinn che, come si sa, risulta
attualmente dispersa – cominciò Waller.
– Dunque, di recente ho svolto svariate ricerche sui detenuti
di questo carcere, in modo da poter integrare nuovi individui
all’interno della squadra, rafforzandola ed equilibrandola.
Direi di cominciare il discorso con le dovute presentazioni…
- Domanda – la interruppe George Harkness. –
Sbaglio o i nuovi membri sono quasi tutte donne?
- Non sbagli – replicò calma la donna di colore
– Prima eravate quasi tutti uomini, ma non mi pare che Harley
Quinn e Katana abbiano fatto osservazioni idiote o espresso lamentale a
riguardo.
- Ah, non mi lamenterò, promesso –
sogghignò l’australiano con aria furba.
- Come stavo dicendo – proseguì Waller.
– Cominciamo con delle rapide presentazioni partendo dal
membro più giovane: Tobias Castilla-Marquez, alias Bionic
Boy, nato il 20 Maggio 1996. Non sottovalutatelo per via
dell’età, questo ragazzino possiede uno dei
quozienti intellettivi più alti del pianeta, ed il braccio
bionico che ha ideato e costruito da solo contiene al proprio interno
almeno una cinquantina di accessori tecnologici, armi incluse.
- Potete chiamarmi Toby – salutò lui con fare
allegro.
- Come potrete immaginare, Bionic Boy non è un detenuto, ma
un volontario – soggiunse il colonnello Flag, indicando poi
la ragazza bassa che aveva accompagnato Katana e Killer Croc.
– E lo stesso vale per questa signorina: Amelia Capuleti, o
Snakebones, classe 1993. In seguito ad un incidente, la sua intera
colonna vertebrale è stata sostituita da una struttura
resistente ed elastica, frutto di un esperimento ben riuscito al quale
la stessa signorina Capuleti ha avuto il coraggio di sottoporsi.
La giovane si lasciò sfuggire un sorriso, spalancando i
grandi occhi scuri. Portava i capelli tagliati all’altezza
delle spalle ed indossava una canotta tricolore con la scritta
“I love Italy”.
- Raisa Khovansky – proseguì Waller, indicando la
ragazza formosa dalla chioma fulva. – Conosciuta anche come
Mnemos. Nata ad Omsk nel 1988, classificata come metaumano: le sue
abilità influiscono sulla memoria e sui ricordi altrui, al
prezzo di frequenti e pesanti amnesie. Per via di queste amnesie, la
signorina Khovansky non sarà in grado di raccontarvi da
sé il motivo per cui è stata rinchiusa a Belle
Reve, perciò le darò una mano: secondo il suo
fascicolo, è accusata di omicidio, frequenti aggressioni e
rapina a mano armata.
I presenti lanciarono occhiate perplesse alla carcerata rossa, la quale
rispose con un’alzata di spalle. Era vero, non ricordava di
aver commesso quei crimini, ma era propensa a fidarsi delle parole
della corpulenta donna.
- Lei invece è Roma Petrescu, nata nel 1984 con il nome di
Roman – disse Flag, ponendo vicino al volto della gitana la
fotografia di un ragazzo attraente dai lineamenti affilati. –
Arrestata per furto, rapina a mano armata ed aggressione a pubblico
ufficiale. La sua particolarità…
- Ve la spiego io – lo interruppe Floyd, poggiando
i gomiti sul tavolo . – Allora, a diciotto anni Roma si
è sottoposta ad un intervento per il cambio di sesso, ma
è finita inconsapevolmente nelle mani di un ricercatore
fuori di testa. Risultato dell’operazione: questa signorina
può cambiare genere a comando, ecco perché
è conosciuta anche come Shifter. E visto che è
mia amica, vi consiglio fortemente di non fare gli stronzi.
- Perché guardi me? – esclamò Capitan
Boomerang con un tono di voce insolitamente acuto, mentre Roma
rivolgeva all’amico un sorriso di gratitudine.
Waller alzò gli occhi al soffitto: - Bene, ringraziamo
Deadshot per il suo intervento. Passiamo alla prossima componente della
squadra: Clarice Montague, nata a Bray nel 1993. Il suo nome di
battaglia è Hydra e, come potrete immaginare, i suoi poteri
ricordano quelli della creatura mitologica: il suo sangue ed il suo
morso sono velenosi e le parti del suo corpo che vengono tagliate sono
in grado di rigenerarsi, senza però duplicarsi. Incarcerata
con le accuse di svariate aggressioni e distruzione di
proprietà privata. Ah, vi consiglio fortemente di tenere
d’occhio i suoi tatuaggi, soprattutto in periodo di luna
calante.
Clarice lanciò un’occhiata stoica a tutti i
presenti, senza dire una parola, poi abbassò di nuovo lo
sguardo, seguendo distrattamente con il dito le linee misteriose
impresse sulla dorso della propria mano. Nonostante la calma apparente,
muoveva nervosamente la gamba sotto il tavolo.
Fu la volta della ragazza bionda dall’aria tosta, la quale
attese che Flag aprisse bocca per il semplice gusto di interromperlo
brutalmente.
- Visto che possiedo il dono della parola, posso presentarmi da sola:
sono Scarlett Tremblay, conosciuta anche come Scarf, ho
trent’anni e possiedo il potere di muovere telepaticamente le
fibre dei tessuti. Purtroppo, sono stata drogata regolarmente da quando
mi hanno rinchiusa a Belle Reve per omicidio, quindi, in questo
momento, le mie abilità sono un tantino assopite.
- Stamattina non ti è stata iniettata alcuna dose, quindi
l’effetto della droga svanirà nelle prossime
dodici ore – puntualizzò annoiata Waller,
assumendo però un sorriso sadico non appena
realizzò di dover presentare l’ultima componente
della squadra.
- Qualcuno di voi potrebbe aver sentito parlare di questa signora
– cominciò, ricevendo un’occhiataccia
dalla diretta interessata. – Spero vi sentirete onorati di
lavorare con la Commissaria, o meglio, l’ex Commissaria
Ashlynn McKinley, figlia dell’eroina nazionale
Caìtriona Shaw, alias Leprechaun. Avete a che fare con una
donna che è riuscita in un colpo solo a buttare nel cesso
anni di onorata carriera e ad infangare il nome della propria madre,
nascondendosi dietro una maschera di nome Evergreen. Incarcerata con
l’accusa di duplice omicidio, i suoi poteri ricordano in
parte quelli dei folletti irlandesi meglio noti come leprecani:
Evergreen può manipolare la fortuna e la sfortuna con
l’aiuto di un’antica moneta d’oro, oltre
a possedere agilità e velocità leggermente
superiori rispetto la media degli esseri umani.
- Mi sembrava di averla già vista –
sì intromise Killer Croc, squadrando con
curiosità l’ex poliziotta. – Hanno
trasmesso parecchi servizi su di lei in tv.
Evergreen incrociò le braccia al petto con fare scocciato: -
Non siamo qui per soffermare il discorso su di me, comunque. Suppongo
abbiate un valido motivo per aver convocato in questa “super
stanza segreta” un manipolo di detenuti e due ragazzini presi
dalla strada.
- Veramente, io vengo dall’università –
la corresse Toby con un mezzo sorriso, e stava per aggiungere altro
quando Waller lo zittì con un cenno della mano.
Flag posò diversi fascicoli al centro del tavolo, invitando
la squadra a sfogliarli: - A Gotham cominciano ad accadere cose strane.
O meglio, cose molto più strane del solito: sono stati
rilevati giornalmente alti picchi di energia nell’entroterra,
simili a pulsazioni cardiache; emettono qualche
“battito” e si fermano all’improvviso,
per poi ripresentarsi in una zona diversa ad intervalli di tempo
irregolari. E queste anomalie non sono che la punta
dell’iceberg: di recente, in città, diverse
persone sono state aggredite o brutalmente uccise; tutte le vittime
sono state trovate prive del cuore, a qualcuno mancavano anche altri
organi interni. L’ultima ma non meno importante anomalia
riguarda il comportamento animale: i cani sembrano impazzire ogni
qualvolta si ripresenti uno di quei misteriosi picchi di energia,
inoltre sono stati denunciati diversi avvistamenti di sciacalli, lupi,
licaoni ed altre specie “insolite” a zonzo per le
strade urbane. Io e Waller abbiamo ragione di credere che tutto questo
sia opera di metaumani, ecco perché vi abbiamo convocati.
La missione comincerà domani mattina all’alba. I
vecchi membri della Task Force X già conoscono le regole: io
sarò il vostro comandante e la vostra guida, non vi
azzardate a scappare, disobbedire o fare mosse false. A voi nuovi, la
notte scorsa, è stata impiantata nel collo la stessa
nano-capsula esplosiva presente nei vostri compagni veterani,
un piccolo accorgimento che speriamo vi dissuaderà dal fare
cazzate. Ne sono privi Katana, Bionic Boy e Snakebones in quanto
volontari, ma ciò non garantirà loro
l’immunità da eventuali e severe punizioni. Per
ora è tutto, ci sono domande?
- In realtà sì – rispose Toby, alzando
la mano. – L’evasione di massa fa sempre parte del
piano oppure c’è stata una falla nel sistema?
Waller e Flag si scambiarono una rapida occhiata, poi, la donna
replicò con fare spiccio: - Al momento questo non deve
interessarvi. La maggior parte dei detenuti evasi è
già stata sedata e riportata in gabbia. Ora vi consiglio di
godere dei vostri ultimi momenti di riposo: vi aspettano lunghe e
faticose giornate di lavoro.
***
I raggi di una flebile luce diurna filtravano attraverso le tende
tirate, schiarendo appena i contorni della stanza semibuia.
Harley legò le stringhe degli stivaletti, per poi indossare
un attillato corsetto rosso e nero. I suoi movimenti erano silenziosi e
furtivi, di tanto in tanto si voltava per controllare il compagno
addormentato, il cui corpo nudo era celato solo in parte dalle lenzuola
leopardate.
La ventiseienne lanciò un’ultima occhiata allo
specchio a muro che sovrastava un costoso comodino, diede
un’aggiustata ai capelli raccolti in due codini alti e,
quando fu soddisfatta, si avviò in punta di piedi verso la
soglia della stanza.
- Dove stai andando?
Harley si fermò, raccogliendo la mazza da baseball
abbandonata sul pavimento: - Vado a fare un giro, Puddin', a fare un
po’ di casini in città –
sussurrò in tono amorevole.
Il Joker emise una specie di grugnito annoiato: - Fa’ come ti
pare.
La ragazza saltellò per casa fino a raggiungere la porta
d’ingresso, fece scattare la maniglia e scivolò
furtivamente in strada. Erano le prime ore del pomeriggio ed il cielo
aveva un aspetto livido e grigiastro.
Harley sospirò, attorcigliando distrattamente il dito indice
attorno ad una ciocca di capelli, poi si inoltrò in un
vicolo che portava al retro dell’abitazione, saltò
in sella alla moto parcheggiata a ridosso del muro e, dopo aver dato
una bella scossa al motore, accelerò gradualmente,
ritrovandosi presto nel bel mezzo del traffico cittadino.
Non era necessario rivelare a Puddin' ogni dettaglio delle proprie
intenzioni, se le cose si fossero messe male gli avrebbe mandato un
messaggio e lui sarebbe sicuramente corso a salvarla.
“Sì,
il mio pasticcino verrà ad aiutarmi” gongolò
tra sé, mentre svoltava bruscamente a destra, provocando un
incidente “Non
può fare a meno di me.”
Con questi pensieri ed il sorriso stampato sulle labbra cremisi, la
Regina di Gotham si dirigeva rapidamente verso l’ultimo posto
in cui, fino a pochi giorni prima, credeva avrebbe più messo
piede. Non la entusiasmava affatto l’idea di rivedere quella
donna, ma non poteva nemmeno ignorare la notizia appresa quella mattina
stessa: c’erano stati dei casini a Belle Reve, qualcosa come
una tentata evasione di massa, forse collegata a tutto ciò
su cui la polizia stava indagando in quei giorni.
Non aveva naturalmente idea di come stessero Deadshot e gli altri, ma
era piuttosto propensa a fidarsi del proprio istinto, ed il suo istinto
in quel momento diceva che i suoi compagni (perché si
rifiutava di chiamarli ex compagni), i suoi amici, avevano bisogno di
lei.
E questa volta no, non li avrebbe abbandonati di nuovo.
***
Angolo
degli Autori: Ecco qua il primo vero capitolo della
storia!
Finalmente siamo riusciti ad introdurre i nuovi personaggi e tenetevi
forte perché, durante il corso della storia, appariranno
anche quelli legati all’universo DC al di fuori della Suicide
Squad cinematografica.
Il primo “atto” è incentrato su un OC
che al momento preferiamo lasciare avvolto nel mistero, ma che
avrà comunque una funzione importante all’interno
del racconto.
Speriamo inoltre che abbiate trovato IC i vari personaggi non inventati
(noi ODIAMO andare OOC), attingendo un po’ dal film ma anche
un po’ dal fumetto (in particolare per quanto riguarda la
caratterizzazione di Joker ed il suo rapporto malsano con Harley).
Ci auguriamo che il capitolo vi sia piaciuto e che gli OCs vi ispirino:
siamo solo all’inizio, ognuno di loro ha una
caratterizzazione psicologica approfondita, dei segreti ed una storia
da raccontare, e ci farebbe molti piacere se foste abbastanza
incuriositi da volerli conoscere e scoprire passo per passo.
Si creeranno molte nuove relazioni di tutti i tipi, altre
già esistenti nel film saranno più volte
confermate (come, ad esempio, l’amicizia tra Floyd/Harley e
Floyd/Flag di cui vi abbiamo dato piccoli assaggi) e, in generale, ogni
membro della squadra riuscirà ad imparare qualcosa
interagendo e stringendo legami con gli altri.
Grazie mille a chi ha letto il capitolo, alla prossima!
Gryfferinpuff
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