Gareth,
Morcant e Domaldr strisciarono silenziosamente lungo i muri di
pietra, affacciandosi ad ogni angolo per assicurarsi di non essere
visti. Il buio fitto era loro d'aiuto, e le uniche torce che
gettavano un po ' di fioca luce nell'oscurità erano quelle
in mano
alle due guardie all'ingresso della casa.
Gareth
attese che le sentinelle fossero voltate, poi fece un cenno col capo
ai suoi compagni, scivolando alle spalle del nemico.
Con
un solo rapido gesto afferrò la testa della prima guardia e
gli
tagliò la gola. Domaldr fece altrettanto con la seconda
guardia, ed
entrambi gli uomini crollarono a terra senza emettere un suono,
inzuppando il terreno del loro sangue zampillante.
“Ce
ne sono altri dentro?” sussurrò Domaldr.
“Ho
paura di sì. Entriamo con prudenza e, se necessario, agiamo
allo
stesso modo”, rispose Gareth indicando i due uomini morti a
terra.
“Spero
che tu abbia una buona ragione per avermi fatto chiamare nel cuore
della notte”, disse Owainn mettendo piede nella stanza di
Arianrhod.
Lei
se ne stava in piedi, le braccia lungo i fianchi, l'atteggiamento
calmo e e sereno.
“Volevo
parlarti”, disse semplicemente.
Owainn
avanzò verso di lei con un'espressione di giubilo.
“Vuoi
dire che hai riflettuto sulla mia generosa proposta?”
“L'ho
fatto, sì”, disse Arianrhod scostandosi una ciocca
di capelli dal
viso. “D'altronde non ho avuto altro da fare che
pensare.”
“Mi
dispiace, so che questa stanza non è adatta a una donna di
rango
come te. Ma quando sarai mia moglie non ti farò mancare mai
nulla,
te lo giuro...”
Arianrhod
alzò una mano per bloccarlo. “Sì... non
ne dubito”, disse con
un sorriso forzato. “Ed ora sono pronta a darti la mia
risposta...
a una condizione, però.”
Owainn
la guardò sorpreso. “Quale condizione?”
Lei
gli si avvicinò guardandolo negli occhi. “Ma devi
giurare di
dirmi solo la verità.”
“Te
lo giuro”, mormorò Owainn, rapito dall'ondeggiare
dei suoi
fianchi.
Arianrhod
si fermò solo quando il suo volto fu a pochi centimetri da
quello
dell'uomo. Lo vedeva che Owainn era completamente ammaliato da lei.
La fissava cercando disperatamente di trattenersi dal baciarla.
Almeno finché lei non le avesse posto la domanda che le
stava tanto
a cuore.
“Enid
sapeva?”
“C-cosa?”
“Enid
sapeva che mi avevi tradita? Ne era al corrente?”
Owainn
scoppiò in una risata liberatoria. Dal modo serio e solenne
con cui
lei aveva parlato ed agito si era aspettato chissà quale
complessa
richiesta; chissà quale difficile condizione per
acconsentire a
sposarlo. Rispondere a quella domanda invece non gli costava nulla ed
era anche dannatamente semplice.
“Quella
sciocca di mia sorella? No! Lei ti adorava. Se avesse saputo che ero
stato io mi avrebbe ucciso con le sue stesse mani!”
“Bene”,
sorrise lei, posandogli una mano sulla guancia. “Era tutto
quello
che volevo sapere.”
Lo
attirò a se, come se volesse baciarlo, e Owainn
l'assecondò
docilmente.
Quello
che si aspettava era di assaporare finalmente la dolcezza delle sue
labbra, qualcosa che attendeva da tempo immemore. In quei pochi
attimi immaginò come sarebbe stato essere sposato con lei,
con la
donna dei suoi sogni, avendo anche i mezzi per condurre una vita
agiata. Stava per ottenere tutto ciò che aveva sempre
agognato:
ricchezza, potere... e lei.
Tutto
si sarebbe aspettato tranne che sentire la mano di lei scivolargli
dietro al collo, tirarlo bruscamente verso di sé ed essere
colto
talmente alla sprovvista di non avere il tempo di reagire.
Sentì se
stesso gridare di dolore e crollare sul pavimento, con un pezzo di
legno acuminato che gli spuntava dal collo.
Arianrhod
lo osservava dall'alto, immobile, il petto che le si alzava e si
abbassava rapidamente. Aveva temuto di non farcela, di non riuscire a
mantenere il sangue freddo. E invece c'era riuscita.
Owainn
era steso a terra, il sangue che zampillava dalla ferita al collo gli
imbrattava le mani, con le quali cercava freneticamente e alla cieca
di sfilarsi il pezzo di legno che gli lacerava la carne; quel pezzo
di legno che Arianrhod aveva passato ore e ore a rendere più
acuminato affilandolo contro le sbarre di metallo della sua cella.
Presto
le grida dell'uomo avrebbero attirato le guardie e Arianrhod sapeva
di doversi muovere in fretta se voleva approfittarne per scappare.
Frugò
in fretta addosso ad Owainn, ignorando gli insulti che lui le
lanciava inframmezzati a improperi di ogni tipo. Trovò il
suo
coltello di pietra e lo osservò per un attimo. Sapeva che la
ferita
che gli aveva inflitto non era mortale, perché la sua
improvvisata
arma di legno non possedeva l'affilatura di una lama di metallo o di
pietra. In quell'attimo considerò di risparmiarlo.
Ripensò a Enid,
a Owainn quando era bambino... a quando erano stati tutti bambini
insieme, e avevano giocato, riso, pianto, condiviso ogni cosa,
contato gli uni sugli altri. A quando avevano preso due cavalli senza
permesso dalla stalla di Eachann e avevano cavalcato fino al bosco, e
a come Owainn si era preso la colpa per tutti per evitare che i suoi
amici venissero puniti. A quando lui e Enid, nel giorno di festa,
camminavano fino alla fattoria solo per portare agli amici un cestino
con le pere del loro albero. Ma poi ripensò a cosa l'uomo
che si
dibatteva davanti a lei sul pavimento era stato capace di fare al suo
migliore amico. E tutta la sua pietà svanì.
Si
chinò su di lui e guardandolo negli occhi annebbiati gli
sussurrò.
“Questo è per Ciaran e per i miei
genitori.” E gli tagliò la
gola. Owainn si portò entrambe le mani al collo,
agonizzando. In
pochi attimi non rimase più in lui alcuna stilla di vita.
La
porta si aprì e Arianrhod strinse l'elsa del pugnale con
dita
convulse. Deglutì:si augurò a sopravvivere e di
guadagnarsi la via
verso la libertà, chiunque si fosse trovata davanti.
Il
sollievo la sopraffece quando si accorse che si trattava di Gareth,
seguito da Morcant e Domaldr. Si gettò tra le sue braccia e
lui la
strinse.
“Grazie
agli dei!” esclamò il cavaliere. “Stai
bene? Sei ferita?”
Arianrhod
si rese conto di essere macchiata di sangue sul viso, sui capelli e
sul corpetto.
Scosse
la testa, gli occhi lucidi di lacrime. “Non è il
mio sangue”, lo
rassicurò.
“E'
il suo?” chiese Domaldr indicando Owainn steso in una pozza
di
sangue. Arianrhod annuì di nuovo, cercando di ripulirsi il
viso dal
sangue.
“Noi
che credevamo di salvarti... e invece ti eri già salvata da
sola!”
commentò Gareth, strappandole un debole sorriso.
“Non
sarei così ottimista cavaliere”, lo
ammonì Morcant. “Dobbiamo
affrettarci se vogliamo che le guardie dall'altra parte della casa
non si accorgano di niente.”
“Andiamo”,
disse Gareth uscendo con circospezione, la spada sguainata. Arianrhod
lo seguì, stringendo ancora il pugnale. Domaldr e Morcant li
imitarono.
“Dove
sono le guardie?” chiese Arianrhod scrutando il corridoio
deserto.
“Sono
lì”, rispose Domaldr indicando dei corpi stesi a
terra che lei non
aveva notato.
“Li
avete uccisi tutti?”
“Solo
quelli necessari. Ce ne sono molti altri dall'altra parte ma abbiamo
preferito agire in silenzio e non metterli in allarme.”
“Se
riusciamo ad evitare di essere visti ci risparmieremo un inutile
battaglia”, disse Gareth, facendo loro cenno di seguirlo. I
quattro
camminarono raso muro e riuscirono ad uscire all'aria aperta.
La
notte era mite e il cielo puntellato di stelle luminose. Una brezza
lieve increspava le cime degli alberi e Arianrhod inalò a
pieni
polmoni. Il profumo era quello della libertà. Era la prima
volta che
veniva rinchiusa e, seppure tutta la faccenda non era durata che un
giorno e mezzo, la principessa ora sapeva che cosa significava essere
privati della libertà. La morte era di gran lunga
preferibile ad una
vita in una cella. La morte sarebbe stata preferibile anche ad un
matrimonio con Owainn. Anche se non fosse riuscita a ucciderlo e
fuggire, lui non l'avrebbe mai avuta. Piuttosto avrebbe posto fine
alla propria vita.
Il
gruppo si diresse verso i cavalli e montò silenziosamente in
sella.
Morcant stavolta dovette salire dietro Domaldr, perché
Arianrhod
salì sul cavallo di Gareth.
Improvvisamente
si levarono voci concitate e grida alle loro spalle, e i quattro
seppero che la fuga della prigioniera era stata scoperta. La rabbia
che si intuiva in quelle voci era diretta agli assassini dei compagni
morti, e tutti loro lo percepirono chiaramente.
“Ora
dobbiamo muoverci”, incitò Gareth. “Sei
pronta?” chiese ad
Arianrhod che gli cingeva la vita. Lei annuì e
appoggiò la guancia
sulla sua schiena, come se volesse assorbire il suo calore.
“Ci
verranno dietro!” gridò Domaldr allarmato.
“Noi
saremo già lontani quando si accorgeranno di quale direzione
abbiamo
preso”, rispose Gareth. “Dobbiamo tornare dai
nostri soldati e
poi via verso l'accampamento. Morcant... ho bisogno di te per trovare
la giusta direzione il prima possibile.”
“Conta
su di me, cavaliere.”
***
Quando
giunsero all'accampamento, alle prime luci dell'alba, il primo gruppo
di ricerca non aveva ancora fatto ritorno.
Ad
accoglierli, oltre ai cavalieri e ai guerrieri del Piccolo Popolo,
c'erano solo Östen,
visibilmente preoccupato, e Ragnhild, che cacciò un urlo non
appena
vide Arianrhod. Precipitandosi verso di lei, la la prese
letteralmente fra le braccia non appena Gareth l'ebbe aiutata a
scendere di sella. La giovane danese non aveva mai visto la sua amica
ridotta in quello stato: pallida, provata, esausta e coperta di
sangue.
“Per
tutti gli dei, cosa ti hanno fatto? Vieni, vieni con me cara! Ti
porterò nella tua tenda”, disse facendola
appoggiare al proprio
braccio e scortandola via prima che qualcuno degli uomini avesse il
tempo di pronunciare una parola.
Ragnhild
scostò il lembo di stoffa che costituiva l'apertura della
tenda e
portò dentro Arianrhod, aiutandola ad adagiarsi sulla sua
brandina.
“Aspettami
qui”, le disse, scostandole i capelli dalla fronte,
“ti porterò
subito dell'acqua per lavarti.”
Ma
non ebbe nemmeno il tempo di uscire che quasi si scontrò con
Gerda
che stava entrando in quel momento.
La
ragazza era fuori di sé per la preoccupazione.
“Mi
hanno... mi hanno detto che era qui! Cosa le hanno fatto? La mia
signora!” disse pronta a correre da Arianrhod.
Ragnhild
la bloccò appena in tempo.
“Non
so cosa le abbiano fatto, Gerda”, le disse sottovoce.
“Ma ti
prego, non chiederle niente finché non ne sapremo di
più.”
“Va
bene, milady. Ma ora fatemi andare da lei, ve ne prego. Devo
prendermene cura, devo...”
“Certo.
La tua signora ha bisogno di te, a partire da subito. Ha bisogno di
acqua per lavare via il... sangue. E forse anche di qualcosa da
mangiare e da bere.”
“Subito!
E le preparerò anche uno dei miei decotti calmanti. Ho
raccolto
diverse erbe nei dintorni che ho messo ad essiccare. Tornerò
in un
baleno!”
Corse
via e tornò poco dopo per aiutare Arianrhod a lavarsi e a
cambiarsi.
La principessa rifiutò il cibo, dicendo di non avere fame,
ma
trangugiò tutto d'un fiato il decotto di Gerda, facendo una
smorfia
di disgusto.
“E'
amaro come il fiele”, si lamentò.
“Lo
so mia signora, ma vi farà bene. Vi aiuterà a
riposare.”
E
sotto lo sguardo preoccupato di Ragnhild e Gerda, Arianrhod si
abbandonò ad un sonno profondo e ristoratore.
Quando
si svegliò era trascorsa quasi l'intera giornata e il sole,
che
ricordava ai suoi albori, stava già scomparendo dietro le
colline
ammantate d'erica.
Gareth
e Östen
andarono a farle
visita e la trovarono in compagnia di Gerda e Ragnhild, che non
avevano lasciato il suo fianco per un istante.
“Stai
meglio?” le chiese Östen
afferrando la prima sedia libera e sedendosi accanto alle donne.
Gareth lo imitò.
“Credo
di sì. Sono felice che Gareth mi abbia trovata.”
“Il
merito è soprattutto di Morcant”,
precisò Gareth, “senza di lui
forse non ti avremmo mai trovata in tempo.”
“Allora
lo ringrazierò. E anche Domaldr. Se non fosse stato per voi
ora
sarei morta... o nelle mani di Ale.”
“Siamo
talmente felici di riaverti con noi, Arianrhod”, le disse
Ragnhild
prendendole le mani.
“Siamo
state talmente in pena”, aggiunse Gerda.
“Vi
ringrazio: voi siete le persone più care che ho al mondo.
Non potrei
essere più fortunata di così. Come va il tuo
braccio Östen?
Gerda mi ha detto che sei stato ferito nell'imboscata...”
“E'
una sciocchezza, ma sarebbe andata molto peggio se Gareth non fosse
rimasto con me. Spero di essere presto di nuovo in forma per poterti
servire ancora.”
Continuarono
a parlare per qualche minuto, e Arianrhod mise al corrente anche
l'amico di ciò che le era successo durante la prigionia. A
nessuno
però, aveva detto una parola su Owainn e su ciò
che aveva fatto.
Per tutto il tempo Gareth rimase in silenzio, ma Östen
lo vedeva fremere d'impazienza sotto un'apparente maschera di calma.
Lo
osservò per qualche momento, poi si rivolse alle donne.
“Lady
Ragnhild, Gerda... che ne dite di andare a fare due passi?”,
disse
in tono inequivocabile.
“Ma
certo”, disse Ragnhild alzandosi. “Vado a vedere se
Hrolf e il
duca sono tornati.”
I
tre uscirono e Arianrhod sorrise nell'accorgersi che le mani di Gerda
e Östen
si sfiorarono quando
i due credettero di non essere notati.
Gareth
attese qualche attimo prima di parlare. Seguì con lo sguardo
una
falena che svolazzava intorno alla torcia piantata nel terreno,
rischiando di bruciarsi le ali in ogni momento.
Infine
trasse un profondo respiro e disse: “Arianrhod... chi era
quell'uomo?”
Lei
si voltò a guardarlo: aveva gli occhi lucidi, ma non versava
lacrime.
“Dovevo
immaginare che lo avresti chiesto”, disse con un sorriso
dolce
amaro. “Tu mi conosci più di chiunque altro,
Gareth, e non posso
nasconderti i pensieri che mi turbano. Era Owainn, un mio amico
d'infanzia, e il più caro amico di mio fratello
Ciaran.”
“E'
stato lui che...?”
Arianrhod
annuì. “Avrei dovuto darti ascolto fin dall'inizio
quando tentavi
di mettermi in guardia da qualcuno a me vicino. Giuro sugli dei che
non sarò mai più così
ingenua!”
“Ti
ha fatto del male?” chiese Gareth deglutendo visibilmente.
Aveva
davvero paura a porle quella domanda, ma doveva sapere.
“No,
non mi ha toccata. Sto bene... e anche il bambino sta bene”,
gli
sorrise lei.
Gareth
la strinse a sé, sollevato. “Povero amore mio...
so quanto deve
essere doloroso per te. Ma hai compiuto la tua vendetta: i tuoi
genitori sarebbero fieri di te.”
“Ne
sei sicuro? Me ne vergogno, ma per un attimo ho pensato di
risparmiargli la vita. Non sarebbero fieri di me per questo.”
“E
invece io credo che lo sarebbero ancor di più”,
disse Gareth.
“Come lo sono io. Se la compassione non facesse parte di te
non
potrei amarti così tanto.”
Rimasero
in silenzio per qualche minuto, semplicemente appagati di essere
l'una tra le braccia dell'altro.
Improvvisamente
Arianrhod si staccò da lui, come colpita da una rivelazione.
“Ma
certo!”, esclamò battendosi la mano sulla fronte.
“Cosa
c'è?”
“Quando
ero ad Avalon”, spiegò Arianrhod eccitata,
“Viviana ebbe una
visione per me, nel Pozzo Sacro. Mi disse che un giovane guerriero mi
avrebbe tradito, e lì per lì non capii a chi si
riferisse. Non
compresi neppure il vero significato di quell'appellativo, ma ora lo
comprendo... il nome Owainn nella nostra lingua significa 'giovane
guerriero'. Era a lui, era ad Owainn che la profezia si
riferiva.”
***
Il
secondo gruppo di ricerca era tornato all'imbrunire ed era stato
messo subito al corrente degli incredibili sviluppi. Il duca si era
assicurato di persona che la sua sovrana stesse bene, e le aveva
fatto una paterna lavata di capo sull'imprudenza e sull'eccessiva
fiducia. Arianrhod intuì che stava rimproverando soprattutto
se
stesso e accettò tutto con un mezzo sorriso sulle labbra.
Poi
Fjölnir
andò dritto da suo
figlio.
Gareth
sapeva che presto o tardi avrebbe dovuto rendere conto a suo padre di
ciò che aveva fatto, e il pensiero più
angosciante per lui era di
perderlo proprio ora che lo aveva ritrovato. Di sicuro sapeva di
averlo deluso, e questo fu ancora più palese quando
notò
l'espressione del suo volto.
“Figlio
mio, io avevo fiducia in te.”
Nel
suo tono c'era più stanchezza e rassegnazione, che rabbia.
“Ma
tu hai tradito la mia fiducia, hai tradito il tuo voto... e hai
tradito la Svezia.”
“Padre,
so di averti deluso. Me ne vergogno profondamente... ma io la
amo.”
“La
ami? Non fatico a crederlo, Gareth. Ma questo non ha importanza. Lei
doveva essere sacra e inviolabile per te, e tu le hai messo un
bambino in grembo! Ho addirittura riposto in te abbastanza fiducia da
darti il compito di convincerla a sposare Hrolf... che idiota sono
stato!”
“Ti
prego di credermi quando ti dico che ho fatto tutto il possibile per
convincerla a sposarlo....”
“Non
ti credo!”, gridò il duca. “E quel
bambino non potrà mai essere
altro che un bastardo, è questo che volevi per tuo
figlio?”
La
voce di Gareth era gelida, bassa, quando parlò.
“Era questo che tu
volevi per me, padre?”
Fjölnir
si bloccò, come se qualcosa lo avesse colpito. Tra padre e
figlio
calò un silenzio carico di tensione.
“Hai
ragione”, disse infine il duca con voce colma di stanchezza.
“Io
sono l'ultima persona al mondo che dovrebbe parlarti di
questo.”
E
avvolgendosi nel mantello, si allontanò, il capo chino e la
schiena
curva, come se fosse stata caricata di un grosso peso.
Angolo
autrice: Ciao
a tutti! Che ne pensate del nuovo capitolo? Devo dire che si
è
chiuso in un modo che neanche io mi sarei aspettata, in modo molto
triste per me. Ma ho fiducia che presto il duca accetterà la
situazione e Gareth perdoni suo padre (perché in fondo, per
quanto
lo ami, il rancore per essere stato abbandonato da piccolo è
ancora
vivo in lui). E niente, spero vi sia piaciuto e vi mando un grande
abbraccio!
Ci
vediamo alla prossima
Eilan
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