Dalla
rubrica A Cuore Scoperto del
settimanale Non mi dire!, n. 13
02/04/2017.
Carissimo Kai,
anche se non ti
conosco affatto (sigh) sei il solo che possa aiutarmi.
Io e la mia ragazza, J, stiamo insieme da qualche mese e avremmo deciso
di
arrivare in terza base… cioè, di fare sesso per
la prima volta. Ci sentiamo
pronte; onestamente, anzi, mi stupisco di come siamo riuscite finora a
tenere a
bada i nostri ormoni!
J è uno schianto, non so se hai presente il tipo: circondata
da amiche e
ammiratori, intelligente, rappresentante d’istituto, dolce,
bella come un
angelo e persino ricca. (E sexy.) Il pacchetto
completo, insomma. Da
quando sto con lei sono una persona diversa. La mia migliore amica M ed
il suo
ragazzo Y dicono che J mi ha trasformata, da figlia segreta di Satana
quale
ero, in un gigantesco marshmallow arcobaleno. Benché
reagisca sempre
prendendoli a scappellotti, non posso negare che abbiano ragione.
Tuttavia, o forse proprio perché J è tanto
importante per me, se da un lato non
vedo l’ora di infilarmi nei suoi slip dall’altro ho
una fifa blu che non mi fa
dormire la notte. Sarebbe la mia prima esperienza di tipo sessuale, non
ho mai…
hai capito, no? Ho paura di combinare un casino, di non piacerle, di
non
soddisfarla. Non voglio sembrare un’imbranata, ma
è esattamente così che mi
sento. J non sa che sono vergine, non abbiamo ancora affrontato
l’argomento
faccia a faccia. Mi vergogno troppo a rivelarglielo…
Urge un consiglio dei tuoi!
Un bacione, spero di leggere una tua risposta al più presto.
K.
«Tenerissima
K, ti ringrazio per la fiducia che riponi in me. Immagino che, in un
certo qual
senso, discutere di argomenti così delicati con un perfetto
estraneo sia più
liberatorio e forse anche più facile che con una persona
cara. Vero è, però,
che ci vuole del fegato a parlare di intimità sulle pagine
di un giornale.
Non mi sembri una ragazzina sprovveduta, né particolarmente
timida. Descrivi la
tua bella come una persona davvero incantevole, perciò
perché averne paura? La
sincerità è il fondamento di qualsiasi relazione.
Se la ami, se ti fidi di lei,
prima di passare all’azione dovresti aprirle il tuo cuore.
La prima volta non è uno scherzo per nessuno; credo che
metterla al corrente
della tua inesperienza gioverebbe molto al vostro rapporto.
Così lei saprà di
essersi conquistata la tua fiducia e potrà iniziarti al
magico mondo del sesso
nel migliore dei modi, con la dovuta accortezza.
Buona fortuna!»
Caro Kai, giunti
a questo punto temo
di non starti particolarmente simpatico e me ne dispiaccio.
Ma poiché non è da me rifiutare una sfida, eccomi
di nuovo qui a infestare la
tua rubrica.
La mia storia ha inizio sette anni fa, quando ero un fresco neolaureato
in
Scienze Politiche ventiquattrenne. Stavo con un ragazzo di nome Jongin,
che
studiava per diventare giornalista, ed eravamo felici.
I miei genitori, due tradizionalisti vecchio stampo, non vedevano di
buon
occhio che perdessi il mio tempo con quello che definivano
“un incidente di
percorso” invece di accasarmi e sfornare nipotini a
ripetizione. Ma giacché ero
maggiorenne e vivevo con il mio compagno, si limitavano ad una silente
disapprovazione.
Finché tutto non è andato a rotoli. Ero stato
invitato ad una festa. Avevo
chiesto a Jongin di accompagnarmi, ma quella sera avevamo litigato per
un motivo
futile che nemmeno ricordo. Alla festa ci andai con animo alterato. Ero
infastidito dalla lite, di malumore. Ce l’avevo con lui
perché era sempre così
irragionevole quando si impuntava su qualcosa. In mezzo alla
confusione, alla
musica assordante del locale, in mezzo alla folla tra cui non riuscivo
a
distinguere un solo viso amico, d’un tratto mi sentii molto
solo. Iniziai a
bere. Una ragazza mi abbordò.
Due mesi più tardi riuscì a rintracciarmi a
lavoro e mi annunciò di essere
incinta: il padre del nascituro ero io. Il test del DNA le diede
ragione.
I miei genitori colsero la palla al balzo e mi dissero che avrei dovuto
comportarmi da uomo d’onore, sposando la ragazza e allevando
con lei nostro
figlio. Ma c’era Jongin, ancora all’oscuro di
tutto. Quando venne a sapere la
verità, seppi di essere un uomo finito. Non intendo dire che
provò ad usare
violenza contro di me; non lo avrebbe mai fatto, era una persona troppo
pacifica. Eppure la sua reazione fu addirittura più violenta
di una sfuriata o
di un pestaggio: smise di parlarmi. Si trincerò in un
silenzio ostinato, con il
preciso scopo di allontanarmi da sé. I suoi occhi persero
quella luce segreta,
discretamente maliziosa, che me li faceva amare. Si dimostrò
impassibile di
fronte alle mie suppliche. Gli dissi che non avevo alcuna intenzione di
giocare
all’allegra famigliola con una persona di cui non sapevo
nulla, che non
significava nulla per me. Non volevo diventare padre di un bambino
concepito
per sbaglio, frutto di una ripicca e della sbornia.
Lui, in tutta risposta, non mosse un solo muscolo del viso.
Ignorò le mie
lacrime, le mie urla, persino le accuse che -da schifoso vigliacco- gli
mossi.
Solo quando gli gridai in faccia che non mi amava abbastanza da
combattere per
me, che anzi non mi aveva mai amato, si lasciò sfuggire un
sorriso muto, il più
triste che abbia mai visto. Sorridendo, toccandomi per
l’ultima volta, mi
spinse fuori dal nostro appartamento e dalla sua vita.
E’ una piccola storia squallida, lo so. La donna che ho
sposato è stata mia
moglie per circa un anno, giusto il tempo di veder nascere il bambino.
Non ha
protestato quando le ho proposto il divorzio e un sostanzioso assegno
di
mantenimento per il piccolo. Adesso abbiamo un rapporto civile e vedo
mio
figlio ogni mese.
Ma lo strazio di aver perso l’uomo che continuo ad amare
nonostante tutto non
passa. Sette anni dopo io sono ancora qui, una bestia ferita con il
cuore in
mano. In attesa. Jongin, mi rivolgo direttamente a te. Se dovessi
leggere
queste pagine, te ne prego: fatti vivo. Scrivimi. Il mio indirizzo
e-mail è
sempre lo stesso. Non ti ho dimenticato e so che nemmeno tu
l’hai fatto.
Tuo per sempre,
Sehun
«Che
storiella commovente, degna del patetismo tipico dei romanzi
dickensiani! Una
sviolinata molto toccante. Se questo Jongin non ti ha mai ricontattato,
un
motivo c’è: mi stupisce anzi che tu non
l’abbia ancora capito.
Coda di paglia? Ai posteri l’ardua sentenza.»
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