Capitolo
ventotto
Fiducia
e rispetto
Silye
scese da sola da Sleipnir, facendo attenzione a non posizionare male
il piede sulla staffa per non rompersi anche una gamba, oltre al
braccio.
Il
cavallo li aveva condotti all'estremità settentrionale del
bosco di
Hoddmímir, proprio nel punto, non troppo lontano dalla sua
casa,
dove gli alberi della foresta incontravano i piedi delle montagne
Hlekker, una lunga e immensa catena montuosa che faceva da scudo
all'intero regno di Midgardr, del tutto chiuso dall'esterno, oltre
che dai monti, dalle mura a est e ovest e dal mare a sud.
Da
quando erano risbucati nel bosco Vidar non la aveva degnata di una
parola e nemmeno di uno sguardo. Era sceso dal cavallo ed era andato
da Baldr, che aveva attraversato il vortice insieme a loro. Si erano
allontanati da lei, parlando animatamente, come con la precisa
intenzione di estrainarla e non lasciarle ascoltare le loro
conversazioni.
Da
lontano, dopo che la ladra era finalmente riuscita nell'impresa di
toccare terra senza rompersi alcun osso, Vidar le lanciò
un'occhiata, interrompendo la discussione con il fratello, dicendole:
«Occupati
te di riportare
indietro Sleipnir.» Quindi, seguì Baldr, svanendo
nel fitto della
boscaglia.
Dopo
pochi istanti, in cui Silye rimase immobile e in silenzio, come a
cercare di interpretare il suo atteggiamento, la ragazza si decise a
distogliere lo sguardo dal punto in cui aveva visto per l'ultima
volta il dio, per volgerli al suolo. Vide una manciata di sassolini
innocui e cercò di sfogare la rabbia calciandoli e
scagliandoli
lontano. «Non sono la tua servetta, diamine!»
gridò, rivolta a
Vidar, ormai troppo distante per riuscire a sentirla.
Si
girò verso Sleipnir, che per tutto il tempo se ne era stato
tranquillo a brucare l'erba e scuotere la nuca nel vano tentativo di
allontanare un manipolo di moscerini che lo stavano infastidendo, ma
invano, poiché quelli si riavventavano subito su di lui.
«A quanto
pare siamo in due a non riuscire a liberarci di ospiti
indesiderati»
disse, accarezzandogli il collo e prendendo le briglie per
trasportarlo di nuovo nella sua capanna.
L'orizzonte
di montagne, tanto grandi da arrivare fin sopra alle nuvole, venne
coperto dagli alti alberi della foresta. Silye inspirò a
pieni
polmoni l'aria fresca della sua terra: le era mancato
Hoddmímir. Gli
inferi e le vicende vissute là le avevano lasciato un senso
di
spaesamento e profonda inquietudine, che, tuttavia, si stavano
iniziando ad acquietare una volta tornata nel bosco. La vista di quel
paesaggio così familiare e calmo era riuscito anche ad
attenuare il
dolore al braccio, a cui stava iniziando ad abituarsi. Rimaneva
indicibilmente forte, ma ormai le fitte stavano diventando regolari e
abbastanza sopportabili. Era un po' come Vidar: all'inizio era, -e
continuava ad essere-, fastidioso e irritante, ma con il tempo stava
iniziando ad imparare a conviverci, anche se con immensa
difficoltà.
Ora
che poteva vederla alla luce del sole, si accorse delle reali e
pessime condizioni della ferita. Si fermò per strappare la
manica
ormai del tutto lacerata per vederla meglio. La pelle intorno ad essa
era arrossata, tanto da darle un fastidioso prurito, e ricoperta da
piccole striscette rosse intorno ai lembi. Reprimendo il disgusto, si
soffermò a osservare l'interno e si accorse che, mischiato
al
sangue, vi era un liquido giallastro. Doveva sbrigarsi a rientrare e
curarsi la ferita, perché questa si era infettata dopo tutto
il
tempo passato all'aperto e nel fango delle segrete dell'Éljúðnir.
«Forza,
Sleipnir» incitò il cavallo, riprendendo a
camminare, ma a passo
più spedito.
Impiegò
solo una manciata di minuti per raggiungere la sua casa, che
ritrovò
uguale a prima. Come si fece vicina all'edificio, sentì dei
passi
rapidi correre verso di lei. Silye lasciò la presa sulle
briglie di
Sleipnir e si preparò ad accogliere tra le braccia
Úlfur.
«Cucciolo, sono tornata!» Il cagnolino era attivo e
felice come mai
lo aveva visto prima: forse perché non era mai stata via
così a
lungo e il più delle volte tendeva a portarlo con
sé, quando andava
nei villaggi solo per comprare i viveri e non per rubare. «Ti
sono
mancata, minn
stjarna¹?»
affermò, grattando il muso di Úlfur,
perfettamente conscia di quale
fosse la risposta alla sua domanda retorica.
Quando
Silye gli si accovacciò accanto e il cane si
appoggiò a lei, Úlfur
fu attirato dalla sua ferita e si avvicinò a odorarla,
ritaendosi
subito dopo. «Non ho una bella cera, vero?» disse.
«Vieni, devo
andare a preparare qualche unguento per rimediare all'infiammazione e
lenire il dolore.»
Si
rialzò e fece per entrare in casa, quando trovò
la porta socchiusa
e delle voci alte provenire dall'interno. Erano di Vidar e Baldr. Si
accostò ad essa, origliando. Era sbagliato, ma voleva sapere
cosa le
stava nascondendo il dio e forse sarebbe riuscita a sentirlo nella
loro conversazione.
«...ti
ho detto che so quello che faccio» stava dicendo Vidar con
fermezza.
«Non
mi pare, dato che, se io non fossi intervenuto, a quest'ora saresti
ancora rinchiuso nelle prigioni di Hel» ribatté il
fratellastro, il
tono severo e duro come la roccia.
«E
allora? Avrei trovato un altro modo per uscire. Ti ricordo che
anch'io sono il figlio di Odino.»
«Sì,
lo so benissimo, ma tirare continuamente in ballo nostro padre non ti
salverà sempre. Anzi, spesso, come è accaduto da
Hel, non otterrai
altro che metterti nei guai fino al collo.»
«Ti
ripeto che avevo tutto sotto controllo.»
«Davvero?
Come lo hai avuto anni fa con Váli?»
«Non
metterlo in mezzo in queste questioni, Baldr!» Vidar
alzò la voce.
Silye si chiese perché mai il solo nominare quell'individuo,
-Váli-,
lo avesse fatto infuriare tanto. «Basta
parlarne.»
«È
per lui che lo stai facendo? Per quello che è successo?»
«No»
ribatté Vidar. «Ti ho già detto che lo
sto facendo per aiutare gli
umani.»
«Credi
davvero che meritino le tue sofferenze? Sin da prima del Ragnarok non
sono stati altro che individui egoisti e privi di scrupoli.
Perché
pensi che sia cambiato qualcosa?»
«Sbagli.
Non sono tutti così. Sono certo del fatto che non meritano
la morte
e la distruzione che porterebbe Nidhöggr semmai dovesse
risorgere.»
Baldr
tacque. «E che mi dici della ragazza?»
continuò, cambiando
argomento.
Il
cuore di Silye perse un battito quando sentì il dio parlare
di lei.
«Possiamo
fidarci di lei. O, almeno, questa è l'impressione che mi ha
dato nei
giorni che ho passato con lei.»
«Vidar,
sei troppo ingenuo. Non è come le völve
di un tempo. È cresciuta come un'umana, una ladra.
Ammetto che abbia un aspetto gradevole, ma non farti strane illusioni
con lei. Non è interessata alla salvezza di Midgardr, glielo
posso
leggere in faccia. Come ogni ladro, mira solo al denaro e ai suoi
scopi egoistici. Se vuoi divertirti con lei, fai pure; ma che rimanga
solo puro svago.»
Vidar
non rispose. Silye non poteva vederlo, ma immaginò che
avesse
annuito, dando ragione al fratello, il che non fece altro che acuire
la rabbia che già il dio le aveva provocato pochi minuti
prima.
«Forse
sono stato troppo duro con te, Vidar, e me ne dispiaccio, ma sei
ancora giovane. Devi sapere come funziona il mondo qua fuori o, dio o
meno, ne rimarrai schiacciato.»
Silye
fu colta da un'improvvisa fitta alla ferita, le cui condizioni
andavano peggiorando di secondo in secondo, e, andando a toccarsi il
braccio, la mano le andò a sbattere contro la porta, che si
aprì di
qualche centimetro, cigolando.
Baldr,
che aveva ripreso a parlare, si interruppe subito e Silye
capì di
essere stata scoperta. A questo punto non poteva fare altro che
mostrarsi, nella possibilità che potessero pensare che fosse
arrivata solo in quel momento. «Sc-scusate»
esordì, maledicendosi
per essersi fatta sfuggire quel balbettio. «Devo curare la
ferita...
ecco, si è infettata.»
Baldr
la guardò e nel suo sguardo Silye colse un sentimento molto
simile
alla disapprovazione; sicuramente credeva che avesse origliato la
loro conversazione. La ladra cercò ad ogni costo di evitare
di
posare gli occhi su Vidar. «Io ho qualcosa che potrebbe
aiutarti.»
Tirò
fuori da una piccola sacca che teneva legata alla cintura una
boccetta, che passò a Silye. «È
un rimedio naturale elfico, capace di lenire qualsiasi ferita e
dolore. Puoi anche prenderlo tutto, nell'eventualità che
possa
riservirti in futuro.»
La
ragazza si stupì della sua improvvisa gentilezza, sebbene
sapesse
che dietro l'apparenza il dio nascondeva quasi vero e proprio
disprezzo nei suoi confronti. Perché
gli dei devono sempre essere così arroganti?
si chiese, accettando la boccetta e sforzandosi di restituirgli uno
sguardo di riconoscenza, anche se in verità non vedeva l'ora
che se
ne andasse dalla sua casa. L'ostilità che il dio ostentava
nei suoi
confronti la feceva sentire a disagio, soprattutto perché
Silye era
ben conscia della sua netta superiorità in un eventuale
scontro. Era
pur sempre un ultramillenario con innumerevole esperienza alle spalle
e una semplice ladra come lei non avrebbe potuto nulla contro di lui,
semmai Baldr avesse iniziato a considerarla come un nemico.
Rilasciò
un leggerissimo sospiro di sollievo quando il dio le diede le spalle
e andò da Vidar, abbracciandolo. Guardandoli, Silye si rese
conto di
quanto fossero uniti, come fossero una vera famiglia, sebbene
condividessero solo il padre. Dovette distogliere lo sguardo,
perchè
in qualche modo i due fratelli le ricordavano l'amore paterno che
troppo presto e con violenza le era stato negato.
Baldr
sussurrò piano qualcosa a Vidar, forse appositamente per
evitare che
lei li sentisse, ma Silye riuscì ugualmente a captare
qualcosa di
simile a un Stai
attento.
Quindi il dio prese la sua ascia e uscì dalla casupola,
facendo
sbattere la porta dietro di sé.
Dopo
la partenza di Baldr, nella stanza era calato un innaturale e
opprimente silenzio. Era come se, dopo i turbinosi eventi vissuti
all'Helheimr, non riuscissero più ad abituarsi alla calma.
Silye
si avvicinò al tavolo e vi pose la boccetta datale da Baldr.
«Non
ci sono più scorte» esordì la ragazza.
«Va'
a comprarle» ribatté Vidar, con voce atona e
fredda.
«Non
ne ho alcuna intenzione. L'ultima volta ci sono andata io; ora tocca
a te.»
Non
le giunse nessuna risposta da Vidar, che le dava le spalle e sembrava
avere lo sguardo perso sul pavimento.
«Devi
iniziare a darti da fare anche tu» continuò Silye.
«Non
faccio abbastanza?
Ti ho protetta ben due volte, durante l'attacco degli schiavi di Hel
e delle viverne, e non mi hai nemmeno ringraziato» disse
all'improvviso, girandosi verso di lei. «Se non fosse stato
per me,
ora quelle viverne starebbero banchettando con la tua carne.»
Silye
deglutì al ricordo delle belve e del dolore che una di esse
le aveva
procurato. «E come mi sarei potuta difendere? Ti ricordo che
è la
prima volta che mi sono ritrovata ad affrontare delle creature
simili.»
«Già,
ed è proprio per questo che non dovresti affatto lamentarti.
Credimi, ho fatto fin troppo per te e dovresti solo ripagarmi con
qualcosa di concreto.» Il suo volto si dipinse di una
sfumatura
severa e quasi rabbiosa.
«Ti
ho già detto miliardi di volte che ci
sto provando»
ribadì. Sapeva che avrebbe dovuto dirgli della visione
strappata da
Hel, ma in quel momento voleva che Vidar si rendesse conto della
fatica che stava facendo e dei pericoli che aveva affrontato per lui.
Voleva rispetto.
«E
io ti ho ribadito altrettante volte che voglio risultati.
Siamo andati da Hel e cosa abbiamo trovato? Niente» il dio
scalciò
la sedia mandandola a sbattere contro la parete. Silye
sussultò
davanti a quell'improvviso scatto di rabbia. «Mi aspetto
molto più
di qualche stupida e falsa visione, völva.»
Non
l'aveva mai chiamata in quel modo, con tanta freddezza e scostanza,
come se tutto a un tratto fossero diventati due completi estranei.
«Non
basta ordinare per ottenere ciò che vuoi. Devi anche
dimostrare di
meritartelo» affermò Silye, con lo stesso
disprezzo che le stava
mostrando Vidar.
«Ne
sei certa? Credi davvero che con la violenza non si possa ottenere
nulla?» disse il dio, avvicinandosi a lei. Silye
cercò di
indietreggiare, ma dovette fermarsi quando sentì il tavolo
dietro di
lei. Era bloccata e ormai il viso di Vidar era a un passo dal suo.
Sentì i battiti del cuore aumentare, ma non per la vicinanza
di
Vidar, bensì perché l'espressione ostile e
aggressiva sul volto del
dio le dava un senso di disagio.
«Cosa
c'è? Ora hai paura? Non mentirmi, perché posso
leggerlo nei tuoi
occhi. È
forse perché ti sei finalmente resa conto che la tua stolta
determinazione non può nulla contro la forza fisica di un
dio? Temi
forse che io possa farti del male?»
Con l'indice il dio seguì il contorno del suo viso,
lasciandole
leggeri brividi. «O forse è il problema opposto:
hai paura che
qualcuno possa volerti bene. O, peggio, amarti. Non è questo
il
motivo per cui hai allontanato tutti e ti sei isolata in questo
bosco? Sono certo che in questo momento tu sia più
spaventata al
pensiero che io possa baciarti, anziché ferirti.»
Vidar accorciò
ancora di più le distanze, tanto che ora Silye poteva
sentire il suo
respiro solleticarle le labbra. Il suo volto era una maschera di
derisione e malizia. «Allora dimmi: di cosa hai davvero
paura? Se è
per il secondo motivo, non hai nulla da temere, perché non
c'è
alcuna possibilità che mi possa piacere una ragazzina come
te.»
Vidar
aveva davvero superato il limite. Silye ne aveva abbastanza: del
dover sempre sopportare le battute insolenti e beffarde del dio, ma
soprattutto di dover convivere con un individuo che aveva una
così
bassa considerazione nei suoi confronti. Non si sarebbe tirata
indietro, né avrebbe lasciato cadere nel vuoto passivamente
quell'affronto: non quella volta. Si mosse così velocemente
che
Vidar non fece in tempo a spostarsi o deviarlo: gli tirò uno
schiaffo. Il dio indietreggiò, stordito, mentre si andava
definendo
un vistoso segno rosso sulla sua pelle. Poi, come fosse stato un
riflesso naturale per lui, le prese il polso ancora alzato dopo
l'atto e la bloccò per impedirle qualsiasi altro movimento.
«Lasciami»
ringhiò Silye, ignorando le fitte al braccio stretto con
troppa
forza. Vidar si guardò la mano, come se si fosse accorto
solo in
quel momento di averle afferrato il polso con troppa forza, e lo
lasciò andare.
«Ascoltami
bene, dio dei miei stivali» sibilò la ladra.
«Non sono una
servizioevole schiava da comandare. Sarò anche una ladra, ma
prima
di tutto sono un essere
umano,
e pretendo lo stesso rispetto che riserveresti ad un tuo qualunque
altro simile.»
Il
dio non rispose, ma si allontanò da lei senza distogliere lo
sguardo
dalla mano che pochi attimi prima le aveva cinto il polso.
«Vuoi
sempre avere e avere, senza dare mai nulla in cambio»
continuò la
ladra. «Sei convinto che tutti debbano stare ai tuoi piedi,
ubbidirti e riverirti, solo perché sei un dio.
Già, sei un dio e tu
non fai altro che ripeterlo vantandotene, ma questo tuo titolo non
vale nulla se non riesci ad essere all'altezza del tuo nome e a fare
ciò che davvero ci si aspetta da te.»
Vidar,
senza neanche rivolgerle un'occhiata, uscì dalla casupola,
lasciando
Silye in un turbine di rabbia, confusione e mille altri pensieri
sconnessi.
¹
Espressione norrena significante “Mia stella”.
Angolo autrice:
Stavolta
Vidar ha proprio esagerato e si è meritato lo schiaffo di
Silye. Nella prima bozza di questo capitolo, in realtà,
Vidar diceva anche di peggio, ma ho pensato che dopo Silye non si
sarebbe fermata a un solo schiaffo: conoscendola, l'avrebbe proprio
riempito di botte e non gli avrebbe più rivolto la parola.XD
Fate però attenzione all'atteggiamento del dio alla fine del
capitolo, così come alla conversazione con Baldr,
perché prelude un dettaglio del suo passato, di cui si
saprà di più in seguito.
Comunque,
perdonatemi per il ritardo, ma, tra Via Crucis e pranzi e cene varie,
non ho proprio trovato il tempo di revisionare il capitolo e
pubblicarlo! Ringrazio comunque tutti i lettori! A presto.^^
Sophja99
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