ReggaeFamily
Capitolo
due: Mica
Van Gogh
In
pizzeria mi ritrovai seduta di fronte a Viola e, dopo aver ordinato
la cena, io e Tamara ci avvicinammo alla nostra amica e le
consegnammo il nostro regalo con tanto di poesia; avevamo pensato di
donarle una crema e un bagnoschiuma profumatissimi, abbinati a un
braccialetto con i gufi e a un portachiavi di peluche a forma di
emoticon sorridente.
Quando
Viola aprì i suoi nuovi tesori, rimase veramente contenta e ci
abbracciò forte, ripetendoci all'infinito che non avremmo
dovuto disturbarci. La cosa che la sorprese e la commosse
maggiormente, tuttavia, fu la nostra composizione in rima scritta in
braille.
«Come
avete fatto a scriverla?» ci chiese perplessa e con la voce
impregnata di gioia.
«Secondo
te Marta cosa stava facendo prima? Ti pare che si mettesse a copiare
strofe della Divina Commedia?» la presi in giro, ridacchiando
compiaciuta.
«È
stata lei allora! Se vi prendo...» scherzò, poi prese a
leggere la nostra poesia lasciando che le sue dita scorressero sul
foglio disseminato di puntini.
Rise
sia per le cretinate che avevamo scritto che per gli errori che Marta
aveva commesso nel copiare il testo in braille, così finimmo
per fare un baccano infernale nella pizzeria tra risate e accuse
scherzose.
Quando
tornammo ognuno al proprio posto, attendemmo ancora qualche minuto
prima di poter cominciare a mangiare; chiacchierammo un sacco e ci
divertimmo come capitava soltanto quando eravamo tutti insieme.
Una
volta terminata la cena, rientrammo al residence e ci rifugiammo
nelle nostre stanze, dopo aver appreso che la mattina seguente la
maggior parte di noi si sarebbe recata in piscina, mentre qualcuno
avrebbe cominciato con le attività in compagnia degli
istruttori.
Io
intanto continuavo a scambiare SMS con Danilo, e sentivo abbastanza
la sua mancanza. Mentre rispondevo a uno dei suoi messaggi
monosillabici – non era molto loquace come ragazzo,
specialmente quando doveva scrivere attraverso un cellulare –,
me ne arrivò un altro.
Era
Tamara che mi scriveva dalla sua stanza.
L'ho
detto a Marco XD
Dai,
davvero? Oh, così impara! E come ha reagito?
Certo,
stava rompendo e non faceva che chiedermi “ma cos'è che
dovevi dirmi? Qual era la sorpresa?”, così durante la
cena gliel'ho detto! È rimasto abbastanza impassibile, ma io
ho capito che ci è rimasto di sasso e non se l'aspettava! Ha
detto che è contento... seee, ma chi ci crede? XD
Che
squallido... ma si riprende? Ahahahah, grande Tami! Ora lo sa e
finalmente capirà che deve lasciarmi in pace... :D
Perché,
capisce?
Quell'ultimo
messaggio di mia sorella mi fece scoppiare a ridere, così
Viola mi chiese cosa fosse successo.
Ero
stesa sul letto dopo essermi preparata per la notte, mentre la mia
amica ancora armeggiava con valige e prodotti per l'igiene personale.
«Ti
ho detto che esco con Danilo, no?»
«Sì,
certo! E allora?»
Ridacchiai.
«Tami l'ha detto a quel troglodita di Marco e lui ci è
rimasto palesemente di merda, anche se ha cercato di nasconderlo!»
raccontai.
«Chi
esce con chi?» intervenne Marta, facendo irruzione nella nostra
stanza e gettandosi sul letto accanto a me. «Cosa mi nascondi,
eh? Raccontami tutto! Me l'avevi promesso!»
Così
tutte e tre prendemmo a chiacchierare, mentre sia Marta che Viola
andavano in brodo di giuggiole per la mia recente relazione;
non sapevo se definirla tale, perché io e Danilo uscivamo
insieme da troppo poco tempo, però stavamo bene insieme e io
avrei voluto che le cose continuassero a funzionare, fino a diventare
serie e forti.
«Ragazze, sono
contenta!» affermai, dopo aver inviato un messaggio di
buonanotte a Danilo.
«Anche noi lo siamo
per te!» affermò Viola, per poi dirigersi verso il
bagno.
Io e Marta rimanemmo sole e
lei mi domandò: «E quindi con Marco non ha funzionato,
ho capito bene?».
Annuii. «Purtroppo non
siamo compatibili, se escludiamo l'attrazione fisica.»
Marta rise. «Beata
gioventù!» strepitò.
«Smettila di parlare
come un'anziana!»
Poco dopo l'educatrice
lasciò la stanza e salì le scale in legno che
conducevano alla sua camera, situata, come quella di Giovanna, in un
vano che doveva fungere da mansarda e dare l'effetto di trovarsi in
una sorta di baia in stile Heidi. In realtà era orribile dover
percorrere quella ripida e stretta rampa di legno scricchiolante, ma
del resto non si poteva pretendere granché.
Prima che Viola tornasse dal
bagno, scivolai in un sonno ristoratore, desiderando che il tempo
trascorresse in fretta e che Danilo venisse a trovarmi come mi aveva
accennato quel pomeriggio.
Quando la mattina seguente
mi svegliai, la prima cosa che mi venne in mente fu che dovevo
alzarmi a preparare il caffè.
La sera prima gli istruttori
– tra cui c'era una new entry di nome Samuele che però
non si era neanche presentato ed era piuttosto silenzioso – ci
avevano annunciato che per quel campo ognuno di noi avrebbe fatto la
colazione nella sua stanza, visto che ognuna di esse era munita di un
piano cottura e di un forno a microonde.
Da un lato ero contenta,
perché in quel modo avrei evitato di avere a che fare con
esemplari come Simona, Gabriella e Nicolò di buon mattino,
però mi rendevo conto che per Tamara non sarebbe stato per
niente bello dover stare insieme alle sue disastrose compagne di
stanza durante quel pasto mattutino; Simona e Gabriella, infatti, non
erano minimamente in grado di badare a loro stesse, così
sarebbe stato compito di Tamara e Giovanna preparare loro la
colazione o comunque supportarle durante quell'operazione.
Mi alzai poco dopo e mi
diressi verso la cucina, dove incrociai subito Marta.
«Preparo io il caffè»
le dissi con un sorriso.
Così lei mi aiuto a
trovare ciò che mi serviva per riempire la moka e mi misi
all'opera; usai un fazzoletto di carta per appoggiare la parte
inferiore della caffettiera, metodo che utilizzavo per evitare che il
caffè in eccesso venisse sprecato. Non riuscendo a vedere se
la polvere andasse a finire tutta dentro il filtro, mi servivo di
quell'escamotage per raccogliere quella che si depositava ai lati del
piccolo serbatoio e rimetterla nella confezione del caffè.
«Ti fai furba, eh?»
mi chiese Marta, osservando i miei gesti.
«Direi di sì,
altrimenti tutto questo verrebbe sprecato» spiegai, indicando
il cerchio di polvere scura che era rimasto sul tovagliolo.
Misi
sul fornello la caffettiera e riuscii, dopo qualche tentativo, ad
accendere il gas; dopodiché tornai
in camera a svegliare Viola.
«Vivi, dai, alzati!
Cosa mangi tu per colazione? Abbiamo, per ora, solo del caffè,
una busta di latte e qualche brioche confezionata» esordii,
scuotendola leggermente per una spalla.
Lei sbadigliò e
impiegò un sacco di tempo per alzarsi dal letto. «Uff,
volevo continuare a dormire, sono stanca!» borbottò,
mettendosi a sedere e strofinandosi gli occhi con le mani.
«Non rompere! È
tardi, e tu sei lenta come una lumaca a prepararti! Allora, che vuoi
per colazione?» domandai ancora, ammucchiando le coperte ai
piedi del letto.
«Uhm...» Viola
sbadigliò ancora. «Latte.»
«Vieni qui, ti insegno
a prepararlo!» gridò Marta dall'altra stanza.
«Pure? Oh no!»
si lamentò la mia amica.
«Non fare i capricci,
su!» ridacchiai, mentre tornavo a controllare la caffettiera.
«Quest'affare non
funziona, quanto ci vuole a fare un caffè?» mi lamentai,
notando che, nonostante fossero trascorsi diversi minuti, l'oggetto
in questione si rifiutava di fare il suo lavoro.
Marta mi raggiunse e nel
frattempo anche Viola si alzò e arrivò in cucina.
«La metto sotto
l'acqua, vedrai che poi funzionerà» affermò
l'educatrice.
Quando rimise la caffettiera
sul fornello, ci vollero ancora diversi minuti prima che cominciassi
a udire il familiare gorgoglio del caffè che saliva dal
filtro. Sospirai e cercai qualche tazzina, portai fuori le poche
bustine di zucchero che la sera prima avevo raccattato dalla stanza
dei ragazzi e portai tutto sul tavolo; nel frattempo Marta spense il
fornello e trasportò la caffettiera in tavola, poi si dedicò
a insegnare a Viola come scaldarsi un po' di latte nel microonde.
Mentre aspettavo che il
caffè si raffreddasse un po', osservai ciò che stavano
facendo le mie compagne di stanza.
«Viola, dammi la mano.
Senti questi pulsanti?»
«Sì, a cosa
servono?» domandò curiosa la mia amica.
«Quello più
grande è il tasto di accensione, gli altri tre servono per
decidere quanti secondi vuoi far scaldare ciò che metti nel
forno: quello subito sotto indica dieci secondi, il secondo venti e
l'ultimo un minuto. Dipende da quanto vuoi che il tuo latte sia
bollente» spiegò con gentilezza Marta, guidando la mano
di Viola durante l'esplorazione.
Storsi la bocca. «Odio
quegli aggeggi» commentai. «A casa mia si usano i
pentolini per scaldare qualunque cosa, siamo contrari al microonde.»
«Sempre la solita tu!»
mi rimbeccò Marta. «Invece è comodo e veloce.»
«E nocivo»
aggiunsi con un'alzata di spalle.
«Anche noi non lo
usiamo mai, però ce l'abbiamo. Ma anche mamma preferisce usare
i metodi tradizionali» raccontò Viola.
Marta la aiutò a
riempire la sua tazza di latte, poi la supportò nell'infilarla
all'interno del forno.
«Tua madre è un
genio» dissi con un sorriso, prendendo un sorso del mio caffè.
Dopo alcuni tentativi, le
due riuscirono a scaldare il latte e mi raggiunsero a tavola.
Chiacchierammo e facemmo colazione in fretta; nel frattempo Danilo si
era svegliato e mi aveva inviato il buongiorno, e io ero molto felice
di sentirlo. Era difficile immaginare di dover trascorrere altri
dieci giorni senza di lui, però forse lui sarebbe venuto a
trovarmi e non avrei dovuto attendere così tanto a lungo.
Dopo colazione lavai le
scodelle e i cucchiaini, poi mi precipitai in bagno a prepararmi per
la piscina. Infilai il costume nero, un paio di shorts e una
canottiera e corsi a recuperare la borsa con il telo e tutto il
necessario per scendere di sotto.
La mattina trascorse
tranquillamente e io ebbi modo di parlare con Giorgio, il ragazzino
che stava frequentando per la prima volta il campo insieme a tutti
noi. Era simpatico e molto intelligente, ma ciò che mi colpì
maggiormente fu la sua sensibilità; anche Nicolò pareva
esserne rimasto colpito, per questo approfittò subito per
trattarlo come se fosse il suo schiavetto. Quel ragazzo era
impossibile, non sarei mai stata in grado di sopportarlo.
Mi divertii anche a sentire
i racconti di mia sorella riguardo alla sua nottata e al risveglio di
quella mattina.
«C'era una zanzara che
mi ronzava intorno, poi non vi dico quanto caldo faceva in quella
stanza! Non potevamo neanche aprire la finestra perché il
letto di Simona rimane proprio là sotto e lei non faceva che
alzarsi ininterrottamente per andare in bagno! Poi, ovviamente,
sbagliava letto e veniva nel mio o in quello di Gabriella! Poi a un
certo punto è arrivato il camion che ritira la spazzatura e ha
fatto un casino assurdo, mi sarei affacciata alla finestra e avrei
volentieri gridato imprecazioni a non finire! E, cosa più
avvincente, Simona non fa che sganciare aria da orifizi non meglio
identificati. In qualsiasi momento, sempre, è una tortura!»
Tutti scoppiammo a ridere.
Eravamo seduti sulle sdraio e io ero da poco uscita dall'acqua.
«Oddio Tami, ma è
orribile!» esclamò Viola in tono apprensivo.
«Abbastanza! Non vi
dico... infatti non ho quasi chiuso occhio» si lamentò
ancora, per poi sospirare e scuotere il capo.
«Simona e le sue bombe
a orologeria» commentò Marco. Stazionava in un angolo,
sotto l'ombra del portico che ospitava alcune sdraio, ed era seduto
per terra sul suo telo. Poco dopo fece partire della musica dal suo
cellulare.
Viola storse la bocca.
«Cos'è questo casino? Ma tu ascolti sempre queste cose
che sembrano dei barattoli ammaccati che sbattono tra loro?»
«Vivi, mi fai morire!»
scoppiò a ridere Tamara, piegandosi in avanti e rischiando
così di ruzzolare dalla sua postazione su una sdraio
traballante.
«Stai attenta tu!»
la apostrofai. «Vivi, hai sempre da ridire? Mica la gente può
ascoltare solo Africa o le canzoni degli anni Ottanta!»
«Che bella Africa!
Me la mettete?» saltò su la mia amica.
«Anche quest'anno devi
rompere con questa canzone? Mio dio!» sbuffai.
«Lalli, ti ricordi
quando ero fissata con Moonlight Shadow?» mi chiese
Viola con un sorriso.
«Ma certo! Però
quella non posso mettertela, non ce l'ho! Ma, piuttosto, tu non eri
la donna anti-tecnologia per eccellenza?» la punzecchiai,
vedendola armeggiare con il suo nuovo Iphone.
«Ma Lalli! Sai che è
facile da usare? Ho fatto un piccolo corso, e di certo non mi metto a
parlarci come fanno loro!» si giustificò la mia amica,
alludendo a Gabriella che intanto parlava con il cellulare cercando
di usare Siri senza successo.
«E come diamine fai?»
le chiese perplessa Tamara.
«Un giorno ve lo
spiego!»
«Uff, ma perché
questo coso non funziona? Ho detto: riproduci brano #fuoriceilsole!»
strillò all'improvviso Gabriella.
Marco sghignazzò e
fece partire una canzone da lui definita tranquilla, ma che da subito
io ritenni una noia pazzesca.
«Che è 'sta
roba?» domandai.
«Sono i Tool! Non
dirmi che non li conosci, sono fighissimi» disse lui con
orgoglio, per poi canticchiare quella nenia insopportabile.
«Sembra una
ninnananna» osservò Viola. «Che palle!»
«Ma a te non va bene
mai niente, eh?» intervenne Marta ridendo.
«Oh, ragazzi!»
La voce squillante e insopportabile di Nicolò squarciò
l'aria, interrompendo tutte le nostre conversazioni. Poco dopo lui e
Giorgio comparvero all'ingresso della piscina.
«Il pranzo è
quasi pronto, cominciate a prepararvi!» disse Giorgio con
orgoglio.
Intanto Gabriella,
imperterrita, cantava – o meglio, biascicava monotona –
la canzone di Lorenzo Fragola che era il tormentone dell'estate e io
l'avrei volentieri buttata in piscina.
Così mi alzai e presi
a raccattare le mie cose, buttandole in borsa alla rinfusa.
«Gabriella, basta!
Dobbiamo andare a pranzo!» la esortò Giovanna,
chinandosi per raccogliere i vestiti che Simona aveva lasciato cadere
a terra, vicino a sé. «Dai Simo, vestiti. Non hai fame?»
si rivolse poi all'altra ragazza, la quale sembrava, come sempre,
immersa in un mondo tutto suo.
Scossi il capo e sospirai,
infilandomi in fretta i vestiti. Chiesi le chiavi della nostra stanza
a Marta e mi inventai che dovevo andare urgentemente in bagno, poi mi
avviai in fretta verso la mia camera.
Non ne potevo più di
sentire Lorenzo Fragola e le canzoni deprimenti di Marco, e poi
volevo sentire Danilo e parlare un po' con lui. Tuttavia, una volta
arrivata a destinazione, provai a chiamarlo ma lui non rispose.
Così mi diedi una
rinfrescata e misi su un po' di musica dal mio cellulare,
ritrovandomi ad ascoltare un brano che da giorni non faceva che
tormentarmi. Si trattava di Mica Van Gogh di Caparezza, brano
che mi aveva preso tantissimo da quando avevo sentito il suo nuovo
album, e la fissa era cresciuta dopo aver assistito, quell'estate, a
un concerto mozzafiato che mi aveva lasciato sfinita ma pienamente
soddisfatta.
Tu,
in fissa con i cellulari, lui coi girasoli,
girare
con te è un po' come quando si gira soli...
Mi misi a cantare, ammirando
ancora una volta la genialità di quell'uomo, aggirandomi per
la stanza in attesa che anche Viola e Marta arrivassero.
Mi sentii improvvisamente
affamata. Nicolò e Giorgio avevano cucinato il pranzo per
tutti noi, chissà se avevano creato qualcosa di realmente
commestibile.
«Lau!» mi chiamò
Marta, entrando in stanza in compagnia di Viola.
«Sono qui»
gridai dalla mia camera.
«Questo pomeriggio
devi andare a fare orientamento con Marco e Samuele» mi avvisò
in tono allegro.
«Con Marco? E ti
pareva! Samuele... ah, il nuovo istruttore?» buttai lì
leggermente confusa.
«Già.»
Rimasi un attimo in
silenzio, poi chiesi: «Ma quello parla o e muto? Non si è
neanche presentato e non ho ancora capito se è in grado di
ricoprire il ruolo che dovrebbe!».
Viola sbuffò. «Ma
sei cattiva!»
«No» la
contraddisse Marta. «Anche secondo me è muto!»
A quel punto scoppiammo
tutte e tre a ridere e ci preparammo per andare a pranzo, mentre io
mi domandavo perché dovessi necessariamente fare le mie
attività di orientamento e mobilità con Marco.
Possibile che questi diamine
di istruttori non avessero altri programmi per noi due? Possibile che
volessero a tutti i costi vederci insieme, vicini?
Smisi di pensarci quando il
mio cellulare squillò: era Danilo.
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