ReggaeFamily
Capitolo
tre: Rize up
Il
pranzo era stato più buono di quanto avessi sperato, e anche
aver parlato con Danilo al telefono mi aveva messo di buonumore. Ero
pronta per affrontare quel pomeriggio di orientamento e mobilità
con Marco, non mi importava granché di lui, non dovevo
pensarci e non mi restava che godermi l'ennesima esperienza atta ad
aumentare la mia autonomia personale.
Ma
accadde qualcosa che mi fece capire che Marco stava facendo di tutto
per attaccarsi a me come al solito; stranamente la cosa non mi andava
proprio, ma non potei fare altro che accettare la situazione. Gli
istruttori, a fine pranzo, chiesero chi volesse cucinare la cena
della sera seguente, così io mi proposi per quell'attività,
tanto prima o poi sarebbe toccato a tutti. Poco dopo Marco disse, con
finto disinteresse, che anche lui era d'accordo, perciò
compresi che saremmo stati in coppia insieme e la cosa mi irritò.
Tuttavia lasciai perdere e discussi con lui e gli altri sul menu da
preparare: decidemmo che avremmo servito una buona insalata di riso e
degli anelli di cipolla in pastella. A quel punto Tamara e Viola si
proposero per andare a fare la spesa, così anche loro
sarebbero state impegnate quel pomeriggio in una spedizione
all'Eurospin insieme a Lorenzo.
Sperai
vivamente che quell'atteggiamento di Marco non mirasse a
qualcos'altro, e decisi di evitare di dar troppo peso alla cosa per
il momento.
Prima
di uscire con il nuovo istruttore, salii in camera e esortai Tamara e
Viola a seguirmi perché avevo voglia di un caffè; alla
fine anche Marco ci raggiunse e io preparai la caffettiera. Avevo
come l'impressione che quello sarebbe diventato una sorta di rituale
per noi quattro.
Quando
io e Marco, verso le quattro, scendemmo a raggiungere Samuele, lui ci
annunciò in tono piatto che ci saremmo occupati di prenotare
in pizzeria per la cena, il che comprendeva il dover raggiungere in
autonomia il locale, per poi ripercorrere la strada verso il
residence. Ordinaria amministrazione.
Ci
avviammo per le assolate vie del paese, e solo allora scoprii che
Samuele non era muto e che, anzi, parlava un sacco, ma solo degli
argomenti che lo interessavano veramente. Infatti, cominciò a
raccontare a me e Marco di tutti i concerti a cui aveva assistito, di
tutti i viaggi che aveva fatto sia per piacere che per accompagnare
dei ragazzi come noi in dei campi simili a quello che stavamo
vivendo. Era molto entusiasta quando parlava di musica e di viaggi,
ci svelò un sacco di aneddoti e ci fece ridere più di
una volta. Alla fin fine era simpatico, con lui si riusciva a
instaurare una conversazione accettabile, anche se non l'avrei mai
detto.
Raggiungemmo
lo stesso locale in cui avevamo cenato la sera prima e trovammo i
camerieri intenti a ripulire e preparare la sala all'interno. Ci
accomodammo all'esterno, in cui si trovavano parecchi tavoli
circondati da panche in legno. Una cameriera ci chiese se volessimo
ordinare qualcosa e noi prendemmo un caffè a testa, poi
prenotammo due tavoli per quella stessa sera, precisando che quello
occupato da noi ragazzi – che eravamo in otto – doveva
essere separato da quello di educatori e istruttori.
Intanto
continuammo a chiacchierare di musica con Samuele, e infine mi stupii
parecchio quando Marco decise di offrirci il caffè. Ero
allibita, da quando era diventato così generoso?
Mentre
lui andava a pagare, ricevetti una telefonata: si trattava della mia
amica Beatrice, colei che, folle quanto e più di me, mi aveva
aiutato a buttare giù il copione che avrei dovuto inscenare
durante il precedente campo per far stare Marco al suo posto. Avevo
fallito miseramente, ma almeno avevo capito che una sciocchezza del
genere non avrei dovuto neanche pensarla. Ci eravamo ritrovate a
riderci su, pensando che stavolta avevo davvero un ragazzo con cui
uscivo e non ci sarebbe stato bisogno di mentire a Marco.
«Lau!
Tutto bene?» esordì lei in tono allegro.
«Ciao
Bea. Tutto okay, attualmente sto facendo un'attività di
orientamento» raccontai.
«Uhm,
bello. E con il coso come va?»
Risi.
«Il coso. Tutto sotto controllo, direi.» Lasciai che
Marco e Samuele si allontanassero di qualche metro da me e
bisbigliai: «Sono con lui a fare l'attività. Poi dopo,
via SMS, ti racconto una cosa. Riderai, fidati».
«Ci
sta provando?» volle sapere Beatrice.
«Quello
sempre, ma stavolta gli va male. E tu che mi racconti?»
«Stamattina
ho fatto un affare...» E prese a raccontarmi di un paio di
scarpe carinissime che aveva comprato per pochi euro, esaltando il
fatto che fossero comode ed eleganti allo stesso tempo.
Evitai
di farle notare che un paio di stivali estivi color beige mi
avrebbero fatto venire il voltastomaco al solo vederli e continuai a
chiacchierare con lei per un po', finché non ci salutammo
perché dovevo concentrarmi sul percorso di ritorno verso il
residence.
Una
volta rientrata, ero abbastanza stanca, ma Lorenzo mi annunciò
che per raggiungere nuovamente il ristorante avrei dovuto fare
nuovamente il percorso a piedi, utilizzando il bastone bianco.
Rimasi
sorpresa. «Sul serio? Okay, ma... spero di farcela»
replicai.
«Ma
sì, ci sarò io con te. E anche Marco e Gabriella
faranno una passeggiata con noi, che ne pensi?» mi rassicurò
con calma l'istruttore.
«Okay,
proviamoci.»
Nel
frattempo Tamara mi raggiunse; pareva sconvolta e un po' triste, così
le circondai le spalle con un braccio e le chiesi: «Che
succede, sorellina?».
«Ho
assistito a una scena terribile...»
«E
cioè?»
«Lalli,
Tami, dove siete?» ci chiamò Viola, che intanto si
trovava nei pressi delle scale che conducevano alla nostra stanza. Io
e mia sorella la raggiungemmo e salimmo tutte e tre in camera.
«Dicevate?
Che è successo mentre eravate all'Eurospin?» chiesi
curiosa.
«Non
è successo all'Eurospin, che scema! È stato in
strada...» borbottò Tamara.
«Oh
sì, hanno investito quei cagnolini!»
«Eh?
Dei cani?»
Tamara
sospirò. «Eh, due cani! Li hanno investiti... il più
grande non si è fatto nulla, mentre il piccolo è
rimasto steso lì ed è stato subito soccorso, solo
che... oddio, è stato orribile quel tonfo...»
«Vero,
Tami ha ragione!»
«Mi
dispiace ragazze, ma non fatevi rovinare la vita da questa cosa,
dai!» tentai di sdrammatizzare, entrando in bagno per
rinfrescarmi un po' il viso.
«Tu
sei insensibile, sempre la solita! Solo perché tu hai paura
dei cani...» mi accusò subito mia sorella.
«Ma
stai zitta, questo cosa c'entra? Ho paura dei cani, ma mica vuol dire
che voglio che siano maltrattati...» ribattei irritata.
«Ragazze,
state litigando?» intervenne all'improvviso Marta, facendo il
suo ingresso in camera. «Lau, ti cercano per andare a piedi al
ristorante.»
«Ora
scendo!»
Mentre
mi avviavo verso l'esterno, sentii Tamara e Viola raccontare il loro
pomeriggio di spesa all'educatrice e sorrisi: ero orgogliosa di loro,
erano state brave e non avevano riscontrato particolari problemi
nell'affrontare la loro attività.
Mentre
aspettavo di partire per il ristorante, scambiai dei messaggi con
Danilo e Beatrice. Speravo ardentemente che lui venisse a trovarmi,
mi mancava davvero troppo.
Poco
dopo afferrai il mio bastone e cominciai ad avviarmi insieme a
Lorenzo, Marco e Gabriella verso il ristorante; mentre camminavo
lentamente, stando attenta a trovare tutti gli ostacoli e superarli
senza farmi male; avrei voluto che Danilo mi vedesse, che capisse
quanto quell'esperienza stava diventando importante per me, che mi
osservasse mentre riuscivo a prendermi la mia autonomia una volta
tanto.
Il
tragitto fu molto lungo, proprio perché non ero in grado di
procedere troppo in fretta e dovevo stare molto attenta a dove
mettevo i piedi. Alla fine, con un fastidiosissimo mal di schiena e
l'autostima alle stelle, raggiunsi finalmente la mia meta. Ero
felice, non riuscivo a credere di esserci riuscita con le mie sole
forze.
«Ma
quanto ci hai messo? Noi siamo arrivati una vita fa!» si
lamentò Marco, intento a fumare vicino all'ingresso.
Irritata,
replicai: «Grazie, tu riesci a spostarti più in fretta
perché hai un residuo visivo».
«E
che ostacoli vuoi che ci siano in questo tragitto? Non ho capito...»
«Prova
a farlo con il bastone e poi ne riparliamo» tagliai corto,
avviandomi all'interno del locale. Stavo cominciando a stancarmi
dell'atteggiamento da stronzo di Marco, non riuscivo proprio a
sopportare quel suo modo di fare da altezzoso che si vantava di aver
capito tutto della vita, mentre invece era soltanto un cretino pieno
di sé. Come avevo potuto innamorarmi di lui in passato? Mi
sentivo proprio una stupida a ripensarci.
La
cena procedette in tranquillità e, durante il viaggio di
ritorno, decisi di salire sul furgoncino perché ero troppo
stanca per rifare il tragitto a piedi con il bastone. Capitai seduta
accanto a Marco e, pur di stargli il più lontano possibile, mi
spiaccicai contro la portiera e lo ignorai deliberatamente.
Non
faceva che innervosirmi, e sinceramente mi stava passando la voglia
di fare attività con lui anche il giorno seguente. Al solo
pensiero mi sentivo nauseata.
Perché
gli istruttori permettevano certe cose? Stavolta avrebbero dovuto
separarci, invece le cose stavano andando male e stavano degenerando
fin troppo per i miei gusti.
Il
giorno dopo cominciò nel modo sbagliato.
Mentre
mi preparavo per andare in spiaggia, mi accorsi che mi era arrivato
il ciclo. In anticipo di cinque giorni, cazzo.
Non
aspettavo altro che andare al mare perché mi sentivo proprio
in vena di un bel bagno, dato che durante l'estate non ci ero andata
neanche una volta. Invece ero stata la solita sfigata e ora mi
aspettava una bella mattinata in preda alla noia, mentre Tamara e
tutti gli altri si tuffavano in quella meravigliosa acqua salata.
Imprecando,
uscii dal bagno e trovai Viola che sistemava le sue cose in silenzio.
«Che
succede, Lalli?»
«Mi
sono arrivate...» borbottai contrariata.
«Oh
no, che sfiga!»
«Già.»
Controllai che nella borsa del mare ci fosse tutto il necessario e mi
sedetti sul letto per rispondere a un messaggio di Danilo. «Tu
stai bene?»
«Penso
di sì» rispose con scarsa convinzione. «Mi sento
un po' stanca, niente di che...»
Finimmo
di prepararci e raggiungemmo gli altri al piano di sotto; neanche a
dirlo, eravamo in ritardo per colpa di Viola, e il primo gruppo era
già partito per la spiaggia.
Trascorsi
gran parte della mattinata sotto l'ombrellone ad ascoltare musica con
gli auricolari, il che mi fece sentire tremendamente annoiata. Non
riuscivo a inviare dei messaggi perché c'era troppa luca
intorno a me e non ero in grado di vedere lo schermo del cellulare,
perciò le mie risorse in quel caso erano piuttosto scarse.
Mi
ritrovai ad ascoltare Rize up,
una canzone reggae bellissima di un gruppo australiano di nome Blue
King Brown. Era cantata da una ragazza con una voce pazzesca, e in
quel momento mi soffermai ad analizzarla con più attenzione.
Rize
up, get up, rize up, right away!
Rize
up, get up, rize up, right away!
Rize
up, get up, rize up, right away!
Rize
up, get up, rize up now!
Viola
si mise in costume, ma non fece il bagno; si sdraiò all'ombra
e rimase piuttosto in silenzio, così a un certo punto mi andai
a sedere accanto a lei e cominciammo a scambiare qualche parola.
Intanto
tutti uscirono dall'acqua e Nicolò si sistemò poco
distante da noi, facendo un casino con la sabbia e con la sua voce
altamente disturbante.
«Ma
quando si spegne questo qui?» si lamentò Viola.
Poco
dopo anche Tamara ci raggiunse e si sedette accanto a me,
abbracciando le ginocchia con le braccia.
«Hai
messo la crema?» le chiesi.
«Mmh...
non ho voglia» bofonchiò.
«Tami,
la crema devi metterla, lo sai!» la rimproverai.
«Uff...»
«Portala
qui, te la spalmo io» insistetti.
«Ma...
e va bene, che palle!» si arrese, contorcendosi per raggiungere
il suo zaino. Ne estrasse la crema e me la passò controvoglia.
Gliela
spruzzai sulla schiena e le spalle, poi presi a massaggiarla, mentre
le intimavo di fare lo stesso sul viso e sulla parte anteriore del
suo corpo.
«Ora
sei contenta?» si lamentò.
«Ti
fa male prendere troppo sole, è la prima volta che stiamo al
mare quest'anno, quindi non rompere.»
Poco
dopo presi a chiacchierare con Samuele, steso accanto a noi, mentre
Nicolò blaterava e importunava il povero Giorgio. Gabriella
parlava con il cellulare e Simona portava fuori discorsi che solo lei
poteva capire. Poi c'era Marco che se ne stava per gli affari suoi
con le cuffie e la sua solita aria cupa e imbronciata. Non sarebbe
mai cambiato, ne ero certa. Ormai aveva diciannove anni e sarebbe già
dovuto essere più maturo, invece continuava ad agire come un
adolescente perenne.
A
un certo punto sentii Viola afferrarmi la mano, una presa convulsa,
forte, stranamente forte.
Posai lo sguardo su di lei e
mi accorsi che storceva la bocca in una smorfia innaturale, mentre la
sua stretta aumentava.
«Oh no»
mormorai, poi mi voltai verso Samuele e gli dissi: «Samu? Samu,
Viola ha una crisi».
«Come?» fece lui
confuso.
«Ha una crisi»
ripetei più forte.
Viola cominciò a
mugolare e tra quei suoni quasi incomprensibili capii che stava
chiamando sua madre. Era un mormorio flebile, eppure tutti se ne
accorsero.
Poco dopo Samuele si
inginocchiò accanto a lei, e proprio in quel momento arrivò
Giovanna e prese la mano sinistra di Viola tra le sue; sia io che lei
prendemmo a parlarle con molta calma, finché lei smise di
mugolare e si calmò. Sentii pian piano il suo corpo
rilassarsi, ma fu lieve, perché le crisi epilettiche
richiedevano un po' di tempo per essere smaltite e superate.
Era stata lieve, per
fortuna, e quando Viola riuscì a parlare, disse che in effetti
non era successo niente di così grave. Riuscimmo a parlare e
scherzare per un po', e mi resi conto a malapena che mia sorella era
sparita.
«Ma dov'è
Tami?» chiesi leggermente preoccupata.
«Lucrezia l'ha portata
via, piangeva e...» mi spiegò Marta, in piedi vicino a
me.
«Povera Tami...»
sussurrò Viola. «Lei non... Lalli... sta...»
Poi la crisi riemerse e
inghiottì nuovamente la mia amica, ma stavolta io e Giovanna
fummo pronte per soccorrerla e starle accanto. Stavolta durò
un po' di più, fu più intensa, ma alla fine Viola si
calmò e si addormentò.
Le crisi erano tornate. Per
quell'anno non eravamo stati fortunati come nel campo precedente, ma
comunque sperai che Viola ne subisse il meno possibile.
Quella giornata era
cominciata male e ora ne comprendevo il perché. E non era
neanche a metà, chissà cosa ci aspettava.
Mi ricordai che avrei dovuto
cucinare con Marco e mi venne l'angoscia. Non ne avevo nessuna
voglia, mi sarei volentieri inventata una scusa per evitarlo.
Ma non potevo, dovevo tenere
duro.
Dovevo
risorgere, ribellarmi,
proprio come Nattali Rize gridava nella canzone con i suoi Blue King
Brown.
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