CAP 3 - LA DIMORA DEI POMI D'ORO: ANTICHE PACI
Ciao tutti! ^^ ritorno nuovamente da nebbiose
e lontane lande dopo tanto tempo…Tra impegni vari e alcuni
problemi sono
riuscita a proseguire la storia che non mi ero certo scordata di
mandare
avanti…col fatto che ho altre due fan fiction belle corpose
cerco di fare il
possibile per non dimenticare nessuna!
Dunque ricapitolazione
sui contesti :
-
storico
Guerre franco-indiane, America del Nord. I
francesi riescono a sconfiggere Washington e a mantenere una cospicua
porzione
di dominio nella valle dell'’Ohio a discapito delle colonie
inglesi. La
tensione internazionale si fa alta e intanto le vecchie alleanze della
Guerra
di Successione austriaca sembrano cambiare gradualmente gli
equilibri…Gli
Asburgo si fanno avanti con il re Luigi XV chiedendo collaborazione
contro la
Prussia , Russia e Inghilterra ( cap 2 , PRIMA PARTE ) ancora non
avanza
nessuna dichiarazione di
guerra contro
Re Giorgio e la situazione resta sospesa in una fragile
stabilità…
- famigliare
Nella seconda parte del capitolo 2 abbiamo
avuto modo di conoscere de i De Jarjayes , oltre al già
apparso padre Jean
Antoine , gli altri due fratelli : il più grande Philippe
rancoroso,
acido e costretto da un drammatico incidente sulla sedie a
rotelle… Etienne
il più piccolo dalla testa calda, spericolata e brillante .
François gli era
molto legato e ha rimembrato,
con l’amico Blaise, il
suicidio e altri ricordi più leggeri di gioventù.
Concludendo, i
membri della famiglia d’origine del nostro
protagonista sono deceduti +
Per quanto concerne Judith, abbiamo
conosciuto l’affezionata sorella maggiore Oriane,
estroversa, positiva e
dal carattere fervente, il cognato ( e marito di quest’ultima
) Cosimo,
un barone napoletano con numerose attività commerciali e il
nipotino Samuele
( l’amato figlio della coppia adottato da un
convento)
Ultima parentesi riguarda la servitù dei due
protagonisti ( cioè i
membri comparsi
fino ad ora) : Marie , la nonna di
André, Berthold, il servo che
accudiva Philippe sempre rimasto al servizio della famiglia, e Albert
, maggiordomo di Etienne che
poi è stato trasferito nella dimora de i de Jarjayes.
Detto questo vi auguro buona
lettura! ^^
François,
dopo la missione in America di Fort Necessity , sta per approdare in
Francia…
3
La dimora dei pomi
d’oro:
antiche paci.
Te,
mela,
voglio
celebrare
riempiendomi
la bocca
col tuo nome,
mangiandoti.
Sei sempre
nuova come niente altro,
sempre
appena caduta
dal Paradiso:
piena
e pura
guancia arrossata
dell’aurora!
Quanto difficili
sono
paragonati
a te
i frutti della terra,
le uve cellulari,
i manghi
tenebrosi,
le prugne
ossute, i fichi
sottomarini:
tu sei pura manteca,
pane fragrante,
cacio vegetale.
(P.
Neruda) )
Valle
dell'Ohio
30
giugno 1754
Cara
Judith,
è
delirante vivere solo con un’immagine di te che alberga nella
testa e non posso
toccare…L’unica cosa che mi pare di odorare
è la carta su cui scrivi,
l’inchiostro della tua calligrafia…
Fa male
vedere le tue parole.
Fa male
perché a marzo di quest’anno ti ho lasciata senza
chiarirti nulla.
Abbiamo
attraversato brutti momenti ed io ho preferito raggelarmi. Il calore
brucia
troppo e non posso tollerare di essere rimasto l’unico erede
senza eredi.
Tre anni,
Judith.Tre anni e
ancora nulla.
Sono
terribile e ho osato trattarti in modi che tu mai avresti meritato.
Sì…le mie
scuse possono apparire retoriche, chissà quante volte
riciclate da mani di
innamorati collerici…Ma se non m’importasse nulla
…non sprecherei carte, non
dormirei a mala pena tre ore a notte riflettendo inutilmente su
ciò che ho
combinato. I miei doveri sono pesanti ma almeno con il loro peso mi
calpestano
bene la testa che vola molte volte male.
È la mia
indole…ma voglio raccogliere le cose sporche che si sono
accumulate in questi
anni e cacciarle via dalla più grande finestra che riesca a
immaginarmi. Con
cose sporche intendo tutti i momenti in cui abbiamo fatto finta di
vederci…e
magari abbiamo anche finto di far l’amore. In primis io sono
stato un pessimo
amante. Anzi non lo sono stato e questo mi fa davvero schifo.
Non
possiamo mettere a mondo un altro bambino se io non imparo di nuovo a
darti
tutto me stesso.
Non ho mai
smesso di pregare per le nostre figlie…continuo a provare
rabbia che ci siano
volate via di mano uguali a lucciole che , dopo la notte, cadono al
suolo già
vuote…Credimi. Vorrei aver avuto come preoccupazione,
durante tutti questi
mesi, quella di
provvedere alla loro
istruzione, prendere vestiti
ordinati e belli,
stabilire dove farle frequentare catechismo…Avrei voluto
vedere sui loro visi
un’altra te stessa piccola che sarebbe cresciuta…
Mi sono
dilungato ancora una volta su cose che, purtroppo, non ammettono
fantasie molte
costruttive…Perdonami…
Forse
il mio contingente dovrà
partire in pieno autunno, prima di
dicembre…Lo spero vivamente.
La
Louisiana non è un gran posto. C’è
l’aria salata del mare che s’attacca viscida
ad ogni abitazione e anche se siamo riusciti ad arginare senza fatica
le spinte
invasive degli Americani, non è finita qui.
Dell'’Inghilterra non mi fido e
tutte queste colonie non credo se ne staranno a lungo con i confini
fermi e
piatti. Da alcune indiscrezioni, stanno trapelando le intenzioni degli
Asburgo
di stringere alleanza col Regno di Francia. Avverto odori non tanto
piacevoli…Stai a vedere che le alleanze stabilite dopo
Aquisgrana andranno
all’inferno…Ma so da tempo che non
c’è da stupirsi se l’Europa non
è una scacchiera bella e quadrata
ma un calderone che può variare sempre la
temperatura di ebollizione per far eruttare sorprese nuove.
Quel che
mi preme adesso è tornare da te e dedicarci a noi e al
nostro avvenire.
Finché
non ti avrò avanti, non ti avrò
abbracciato e non avrò la certezza assoluta di sentirti
concreta non
potrò stare tranquillo…
Ti amo,
François
Arras,
Normandia
15
novembre
1754
Caro François,
Ho appreso con
molta gioia che le truppe francesi hanno trionfato in Pennsylvania
contro le
milizie americane…sono state svolte molte operazioni con
successo e più di una
volta, con orgoglio, hanno pronunciato il tuo nome.
Sentire il tuo
nome soffiarmi nelle orecchie e cadermi sugli occhi è una
sensazione
meravigliosa quanto inquietante e triste.
La mia
felicità è aumentata quando a corte è
stato comunicato che il tuo contingente
sarebbe partito agli inizi di questo mese.
Tu sei il
Generale De Jarjayes. So che le lettere impiegano moltissimo per
giungere a
destinazione…il grande oceano Atlantico ci separa e ,
nonostante il tempo abbia
la sua semplice matematica, scorre diversamente da continente a
continente… Non
basta soltanto la tua assenza ma la sregolatezza del sole che mentre da
me
sorge, da te sta già invecchiando...
Ho letto la
tua lettera e vorrei che le onde si scuotessero ancora di
più per far muovere
la tua nave…
Non possiamo
scordare le nostre bambine ma non desidero proseguire questo discorso
perché è
impossibile tracciare una copia , anche sfocata, del mantello della
morte…Che
sia malvagia o alleviatrice di tribolazione non voglio più
saperlo…
Tu hai
perfettamente ragione a dire che ora ci siamo noi.
Sì ci siamo noi
e dobbiamo affrettarci ad ammucchiare tutto ciò che abbiamo
accumulato e
togliere via c’ho che ci disturba.
Sei difficile,
François . Mi hai fatto star male e ho avuto modo di
riflettere lucidamente.
Nei momenti peggiori di solitudine emergono quei terrificanti fantasmi
mentali…quelle proiezioni che toccano i ritratti del passato
e fanno diventare
la luce degli antichi giorni obliqua allungando a dismisura le mani per
mutarle
in zampe e artigli. Non ti nascondo che parecchie volte mi sono chiesta
se ho fatto
bene a sposarti…se non sono stata ingenua e precipitosa a
diciotto anni…Ti
giuro, e ora me ne vergogno terribilmente, ho creduto che il blu dei
tuoi occhi
fosse in realtà una macchia ghiacciata di nuvole, gettata
lì sul tuo viso per
spazzarmi via nei tempi morti della quotidianità. E
…per un po’ di tempo ho
sospettato , nella nostra stanza da letto, che tu guardassi solo il mio
corpo…non
me, Judith…la tua sposa…ed è per
questo che mi rinchiudevo senza più voglia né
rabbia di oppormi
Ti faccio
questi discorsi, perché è solo con te che posso
capire e alla fine riesco a
notare che quel tuo freddo, quelle fortezze che sollevi non li chiudi
mai del
tutto.
Lasci sempre
degli spiragli e puntualmente fai crollare i mattoni. Io so che sei un
soldato
anche fuori dall’esercito. Puoi nasconderti ma so che mi
guarderai sempre.
Mi hai sempre
scritto e io voglio aprire un altro capitolo con te.
So che sarà
diverso e magari ci saranno altri problemi….ma vedremo
nascere un altro
bambino.
Sento che
andrà bene, François…perché
quando ci rivedremo ci toglieremo dagli occhi tutta
quella brina che ci ha fatto scordare che, benché siamo
diversi, troviamo
sempre il modo e la sostanza di combaciare.
Ti amo,
Judith
P.s
mia sorella Oriane
col marito e il piccolo
Samuele si sono trattenuti nella nostra villa per tre settimane .
Torneranno a
dicembre e trascorreremo il Natale
a Le
Heavre nella piccola tenuta di vacanza
dei miei genitori . Se le navi arriveranno a fine gennaio in Francia
potremmo passare
una settimana assieme in tutta tranquillità.
Le Heavre
28 gennaio 1755
Le Heavre era la solita bestia
acquattata, distesa con le
sue maculature di tetti grigi su un bacino d’acqua. Le
affusolate zampe
stiracchiate formavano i bracci del porto con l’unico ciuffo
ribelle della
pelliccia che pareva contemplarli:
la
torre della cattedrale barocca di Notre-Dame cercava di alzarsi sempre
per far
temere il proprio appuntito cappello vescovile.
Un grumo di fumo comparve ,a un certo punto, nel cielo
argento e azzurro del mattino.
Una schiera di cannoni neri , caricati
a salve , lanciarono
ruggiti di deferenziali saluti.
La fortezza militare della
città accolse tre dei velieri
francesi mandati in missione nelle colonie d’America.
Il primo a insinuarsi nel
grande golfo del porto fu il Saint-Michel
d’or , con il vessillo del
giglio della corona di Francia e lo stendardo di riconoscimento blu che
recava
ricamato l’arcangelo che calpestava il demonio. La
composizione delle vele
quadre issate sui tre alberi , dava l’idea di un pesce corazzato appeso
all’ingiù alla stregua
di un trofeo imponente e mitico, mentre l’acuminata prua
sfibbiava le acque blu
piombo simile al becco di un uccello palustre.
La grossa creatura,
spedita e sbuffante , si accostò alla banchina
del porto seguita dalle
altre due navi che parevano guardie del corpo che le proteggevano le
spalle.
Le passerelle furono issate da
braccia ruvide e
inumidite di mozzi e marinai
che gettavano e afferravano funi in tante frenetiche pennellate.
Presero a uscire ufficiali,
soldati, marinai in una marcia
di ordini, imprecazioni e passaggi di merci attraverso catene
ondeggianti e
gridanti.
- Qui c’è sempre
puzza
di termiti che corrono e intasano!
- Almeno siamo in
Francia e non più a Nouvelle Horléans…
- Beh, mica scanso il pantano
e le fontane di polvere…sono le schifezze a fortificare la
salute …
- …. anche una dose di
ben cotti manrovesci giusto, Damian?
L’uomo, che portava i
bagagli, sorrise ironico alla battuta
del padrone François mentre attraversavano la passatoia .
- Sono sempre
abbrustoliti alla perfezione, non temete. La qualità non
è andata perduta
neppure in America.
- Te li sei meritati
tutti, dato che la
tua zucca più che
abbrustolita si è carbonizzata a furia di rosolarsi nelle
idiozie.
- Ancora con
quest’argomento, signore?
I due scesero e attraversarono il
molo. Se un aristocratico
avesse udito quello scoppiettio
di frasi, si sarebbe sdegnato per la sfacciataggine del servo. Non
poteva conoscere
la particolare vicenda che lo legava ai de Jarjayes.
Damian , coetaneo del
generale, era un bell’uomo di elevata
e vigorosa corporatura. Possedeva
capelli castano cenere di un liscio crespo con alcune
ciocche che
guizzavano imbiondite per il sole marino e salato. La spazzola non
voleva
conoscere quell’ammasso di vegetazione indomita che gli
arrivava al collo.
L’unica cosa tosata con un po’ più cura
era la peluria che copriva il mento e
che accordava al viso , dagli zigomi sudati d’abbronzatura ,
un’aria da
vagabondo avventuriero. Gli occhi grandi e marroni non volevano mai
calare le
palpebre sempre pronti a scrutare e a commentare vivaci e disinibiti.
Era
il primogenito
di Angéle, l’amatissima balia della famiglia, che
aveva allattato François ed
Etienne. Egli aveva
vissuto coi giovani padroni
quasi da pari, da fratello. Jean
Antoine, certo , aveva sempre imposto i gradini dei ruoli
(benché stimasse la
propria servitù ) ma
questo non aveva
impedito l’istaurarsi di un’amicizia sincera e a
volte burrascosa.
François conosceva
quello spirito intelligente, inquieto e ,
a cicli lunari , imprudente.
- Capisco che l’Europa e
l’America siano lontane– ammise –
però, maledizione, contattare uno scrivano a
buon prezzo e farci sapere qualcosa di tanto in tanto non è
mandare missive a
Saturno! Due anni! Due anni!
- È stato difficile,
generale…So che ho sbagliato a causa…a
causa…di quello che mi è successo.
- Se beccavi qualcosa di
peggio potevi morire in una stamberga puzzolente! Non hai pensato a
quel
disgraziato di tuo padre Berthold? Non gli sei rimasto che tu.
Ringrazia il
cielo che sia una specie di santo…fossi al suo posto ti
ridurrei a ecce homo.
- Invece son io a
metterlo in croce…povero papà...Mi è
mancato tanto. Dovremo andare a trovare
assieme mamma , Celine ed Etienne.
- Già…Angéle…Celine.
Angéle aveva spirato molti
anni fa per cause naturali ma
Celine restava, come Etienne, una porzione di terreno messo a soqquadro
dal
dolore. Era l’adorata sorella minore di Damian. Si passavano
solo due anni di
differenza e avevano condiviso una grande amicizia coi fratelli de
Jarjayes…
- Dovevo andarmene,
signore…- sospirò il servo guardando i carretti
con le mercanzie che rullavano
tra le vie - grazie a voi mi sono potuto imbarcare altrove per diverso
tempo.
François non gli aveva
impedito di cercare , per un
periodo, esperienze d’oltreoceano.
Fu una decisione molto
drastica ma sarebbe stato tirannico non lasciarlo volare via: allo
stesso modo
della morte, l’agonia e la tristezza erano i crudeli e
democratici generali di
tutti.
- Ti ho prelevato da
quel postribolo il giorno prima della partenza del Saint-Michel
d’or – il conte
preferì arginare i pensieri luttuosi - Non so davvero se sia
stata una mano
divina a guidarmi verso le urla tue e di quella ragazzaccia.
Damian sbuffò e
schioccò pesantemente la lingua tra
l’imbarazzo e una certa rabbia da spaccone compiaciuto .
-
Diamine! e la
sgualdrina mi aveva garantito di essere sotto controllo
medico…insomma! Aveva
vent’anni, una pelle perfetta e…
- Come un bel salmone ti
sei buttato nella corrente e sarai fuori combattimento per un
bel po’.
- Meno sento parlare
inglese , meglio è…- l’uomo si
fermò un attimo -Ehi, avete notato? La Compagnia
britannica pare piuttosto tranquilla…temevo
chissà che risse e incidenti.
L’austero palazzo grigio e
bianco della Compagnia delle
Indie Occidentali sembrava starsene sicuro e a proprio agio proteggendo il via vai dei
membri , mostrando
le finestrate rettangolari simili ad uno schieramento disegnato di
scudi
romani. C’era la cupa vigilanza su derrate alimentari e su
uomini provenienti
dalle Antille , dai Caraibi o dall’Africa dalla pelle
d’ebano o di mogano che
attendevano il seguito di una sorte tempestosa.
- Deve stare con la
testa bassa, Damian…dobbiamo farlo tutti. La battaglia
nell’Ohio è stata
un’esplosione in una piccola polveriera che comunque si
è sentita qui e in
Inghilterra. Tra dodici giorni dovrò recarmi con Blaise a fare
rapporto al re a al consiglio di guerra. Lui
attraccherà a
giorni.
- Dobbiamo procuraci una
vettura e raggiungere la dimora de La Seigne…
- François!
François!
Quella voce…possibile fosse
proprio lei?
- Signore! Ma avete
sentito?
- Sembra…sembra lei?
L’ufficiale
allungò maggiormente lo sguardo sulla folla
pullulante di marinai, soldati, mercanti , e schiavi.
“
François” era
un
nome diffuso…non certo raro.
- François! Sono qui!
Sono qui!
Un braccio si levò dalla
fanfara gorgogliante di gente
smuovendo un fazzoletto candido.
Il generale avanzò
sentendosi il cuore sprofondare in un
pozzo di violenta e immensa gioia.
Aveva riconosciuto una
capigliatura di boccoli castani assai
cara e un vestito pesante color acqua marina.
La sua pietra preziosa era
lì.
Incredibile.
- Judith…- la voce gli
colò
per terra.
La stanchezza disgelò tutta
d’un colpo dalle membra e lui
corse verso la moglie mandando al diavolo il consueto contegno
militare, quella
camicia di forza che aveva rischiato di divenire un innaturale
esoscheletro.
Non era il Generale de Jarjayes in quel momento e neppure
un conte.
Era solo François.Un marito che tornava.
Buttò il bagaglio e la
baionetta per terra e strinse a sé
Judith che gli gettò le braccia attorno al collo.
Non si dissero nulla durante
quei secondi.
Tra i loro corpi le parole non
trovarono ancora spazio.
Tante erano le cose da chiarire lasciate in sospeso ma ora bisognava
solo
riprendere a bruciare.
Il ritorno fece mutare in ombre
alienate l’odore cruento
del pesce e dei battelli sfigurati.
***§***
La carrozza , con la quale Judith era
giunta al porto, lasciò
scorrere dai finestrini le abitazioni di legno coi tetti grigio
bluastri del
centro. Prese la ben più pacifica strada che portava alla
tenuta marittima
della famiglia de la Seigne. Presto le vie si fecero più
mormoranti di alberi e
sassolini.
- Che
strana sensazione essere tornato in
Francia…- sospirò disteso il Generale inclinando
la testa all’indietro – tutto
ciò che mi è famigliare, mi sbatte in faccia
nuovo…anzi rinnovato.
La moglie gli si accostò
sorridendo:
- Anche a me non pareva
vero che la tua nave fosse
all’orizzonte…L’ho intravista dalla
terrazza della
villa e ho fatto preparare la carrozza.
- Non speravamo in
questa sorpresa…io e Damian stavamo provvedendo per
una vettura.
- Avremmo perso tempo a pizzicare
un onesto cocchiere, Madame – ridacchiò il servo
seduto sul sedile destro
davanti a loro
- Ma Judith…–
domandò il
generale con un sopracciglio inarcato e
a denti stretti – hai scelto Serge come
cocchiere?
- Suo fratello non stava
bene e lui è stato così gentile da mettersi a
disposizione…
Serge era uno dei servi della famiglia
de la Seigne. Una
brava persona lunga, magra col mento piccolo e arretrato e un naso a
punta sgranchito
in avanti. La sua aria placida era affidabile ma alcune volte finiva
tra le
nubi dell’imbranataggine. Ciò rendeva poco
tranquillo il conte.
- Beh, vedo in forma il
nostro Serge – diluì Damian - siete stata
provvidenziale in ogni senso, signora.
- E’ da tantissimo che
manchi da casa. Sono molto felice di rivederti…Appena
arriveremo dovremo
mandare una lettera a Joyssigni , così Albert
potrà riferire a tuo padre che
sei sano e salvo.
- Salvo sì,
sano…eh!eh!
- È accaduto qualcosa di
grave?
François grugnì
crucciato:
- Il nostro giovine ha
avuto qualche problemuccio di salute che sta
sistemando…
- Non vi preoccupate
Madame – evase arrossendo Damian –
piuttosto…papà sta bene?
- Berthold si è sforzato
un po’ troppo in questo periodo. Prima di andare ad Arras
abbiamo chiamato un
medico e ha riscontrato un
principio di
artrosi.
- È sempre stato
così…lavora tanto quando c’è
un pensiero grosso che lo assilla. Beh…ora il grosso
pensiero è in Francia e
festeggeremo i
suoi settant’anni assieme!
- Assolutamente –
sorrise Judith – sai,Marie si domanda quando ti sistemerai e
farai il
brav’uomo?
- Quella donna nutre
un’eccessiva fiducia – scoccò ironico
François - ne
passeranno di diluvi universali prima che
Damian prepari paglia e rametti per il suo nido.
- Signore – si
drizzò
fieramente il servo – le mie ossa sono pietra e i miei
muscoli brace! Troverò
la soluzione a tutto…A proposito Madame, cosa dice Marie?
- Sì – aggiunse il
conte
– non
aspettava il nipotino?
La contessa si riempì di gioia mista a lucentezza
e rattristata
consapevolezza.
- E’ felicissima –
rispose con le ciglia leggermente incrinate – il suo
André è nato ad agosto. A
quanto pare è bellissimo,
pieno di
salute e affamato.
- Buon segno! – rise
allegro Damian – inizierà da subito a fare scorte
di energia! Da grande avrà un
fisico di ferro.
François accorgendosi del
sottile rivo ombroso della moglie
le strinse con calore la mano. Se fossero stati
soli l’avrebbe presa tra le braccia e ricoperta
di baci :
- Abbiamo tutto il tempo
– mormorò - …non abbatterti…
Mentre Judith ricambiò uno
sguardo d’acquatica dolcezza, le
ruote della carrozza barrirono acidule. I passeggeri traballarono a
destra e
sinistra come fossero sonagli scossi da un musicante balordo.
L’ufficiale
tirò fuori la testa dal finestrino e sbraitò
contro lo svampito conducente:
- Serge! Per le corna di
Satana! Volevi scassare la carrozza?!
- P-perdonatemi,
Generale de’Jarjayes! Non ho visto quella buca…
Questo pezzo di strada è un po’
accidentato…
- Accidentato sarai tu!
Non sapresti vedere neanche
la voragine
creata da un elefante!
Tutti si misero a ridere sotto i baffi
pensando che
mancasse quel collerico tocco di classe per coronare un tanto atteso
ritorno
alla normalità.
Le colline, nel frattempo,
presero a mostrare i grembi
ricolmi di meli dalle arterie maestose e ingarbugliate. Nonostante
fosse
inverno, si avvertiva un senso di tranquillizzante densità
in quei rami come se
formassero una forte falange contro le rigidità del freddo.
Oltrepassato un leggero
declivio, sbucò la dimora
paglierina dei nobili della Seigne ,dal tetto spiovente e grigio che
veniva vegliata
da pini marittimi accucciati poco distanti da essa.
In pieno stile Normandia, era
un semplice solido a due
camini in mattoni compatti e rassicuranti. Da fuori sembrava
più una dimora di
borghesi rustici che di conti. Le finestre mostravano i volti dalle
imposte
bianche mentre al centro s’incuneava, sotto un arco a tutto
sesto, un portone
di legno massiccio. Un vialetto di mattoni candidi e rosa, cinto da
voluminose
siepi ben tagliate, accoglieva gli ospiti. Il cortile centrale si
spianava
ampio, quadrato e chiaro mentre sul versante sinistro una bella
scuderia
proteggeva robusti cavalli frisoni e vari tipi di carrozze. Uno
splendido
giardinetto , smeraldino d’estate e verde cupo
d’inverno , ornava il retro
della villetta con un gazebo di pietra argentea che sormontava un
tavolo ovale
e sedie scolpite in marmo. Parecchie
piante di rosmarino zampillavano voluminose dal prato e diverse lavande
lilla e
glicine restituivano un pacifico e grandioso spettacolo, fatto da
miriadi di
pennacchi danzanti. Oltre un recinto si stendevano altri alberi di
melo,
coltivazioni di famiglia da parecchie generazioni che regalavano pomi
rossi o
arancio.
Quando François
scese dalla carrozza assieme alla moglie e
a i servi, provò la particolare e piacevole
sensazione di straniamento: più
volte era andato a trovare i suoceri assieme al padre e a Etienne ed
era
capitato anche di essersi recato lì per
far respirare aria buona a Josephine.
Sapeva di aver vissuto
concretamente momenti allegri,
malinconici e mansueti eppure riteneva di scontrarsi con un sogno, che
seppur
vivido, restava sogno.
Perfino nel momento in cui il
maggiordomo della casa
ricevette aprendo il portone ,coglieva una visione non completamente
vera.
Cercò di prendere
confidenza con l’ampio atrio rettangolare
dalle pareti percorse da una sottile e azzurra striscia
arabesca. Lasciò ,quasi intorpidito, il
bagaglio a Damian e per poco non lo fecero sussultare i passi gentili
del
padrone di casa e la lunga gonna vellutata della severa consorte.
- Caro François –
gli
disse l’uomo - siamo
lietissimi di
accogliervi tra
queste mura dopo tanto
tempo.
- L’onore è mio
,signori
– sorrise lui cordialmente – dopo il baccano del
mare e i terribili movimenti
delle navi, per me è come essere entrato in un tempio.
Il Conte Grégoire
Isaïe de la Seigne era un sessantenne di
media statura, tutto giusto nelle proporzioni , tutto calmo e lindo nei
gesti:
un’armonia di sincerità, discrezione e innata
benevolenza. Aveva
il volto un po’ quadrato ma
morbido e ben conformato. Gli occhi azzurri ,
del cielo dell'aurora, erano
sormontati
da meditabonde ciglia castane e i capelli mossi e brizzolati si
riordinavano
dietro le tempie e le orecchie per non cadere scomposti sopra le
guance. Indossava
un semplice completo invernale grigio chiaro con un panciotto blu scuro
che gli
correggeva il ventre leggermente in rilievo.
Non alta ma di grande presenza
era la moglie di
cinquantacinque anni: la contessa Bénédicte
Magdaléne. Sebbene alcune rughe le
pieghettassero la pelle , possedeva ancora una strabiliante e algente
bellezza.
Ogni bagliore sapeva di brinata cristallizzata e l’abito
color malva , decorato
solo sul corpetto e sull’orlo delle maniche lunghe, s’accostava
deferente al chiaro
epidermide. I folti e delicati capelli
biondissimi s’accumulavano in una crocchia sul capo tenuta
ferma da una cintura
di piccoli fermagli di madreperla. Il viso era affusolato tale e quale
alla
torre inflessibile del collo ; il naso e la bocca sembravano
lavorati in pregiati frammenti di
marmo e gli occhi grigio chiarissimo risaltavano in mezzo alle ciglia
bionde,
incutendo bruciore gelato a
chi osasse
contraddire. Le sue materne origini svedesi e l’aurea
invernale le avevano
fatto guadagnare l’appellativo di “
Normanna”.
- Speriamo che possiate
riposare in tutta tranquillità – si rivolse al
genero – la vostra camera è
quella dalla porta blu che guarda a est , verso il porto
della città .
- E’ la vecchia ubicazione
, François – rise Judith – sai quanto io
ci tenga…
- Sì,
è vero – ammise il marito afferrando
quel
gesto di complicità - ricordo
che fin da
ragazza hai avuto una grande affezione per i rifugi con le pareti
floreali…
La contessa della Seigne si
schiarì la
voce , con un lieve increspo, per
redarguire battute sconvenientemente
intime.
- Saremo a disposizione per
qualsiasi evenienza – si sforzò di essere tenue e
garbata - pranzeremo
verso l’una così, François, avrete
tutto il tempo a disposizione per sistemarvi .
- Esatto – aggiunse il
suocero con disinvolto calore – mettetevi comodo e dite
subito se desiderate
qualcosa.
- Vi ringrazio di cuore
– rispose rispettosamente il generale – in effetti
ho proprio bisogno di
ridarmi una sistemata da capo a piedi …
- Allora facciamo
preparare la vasca per il bagno – proferì Judith
– vedrai che ti sentirai come
rinato…
- Cosimo e tua sorella
Oriane sono assenti?
- Si trovano ancora giù
in città per sbrigare alcuni servizi. Torneranno a
mezzogiorno o forse prima.
- Bene ! Sarà meglio che
mi tolga questa divisa che non è più fatta di
stoffa ma di alghe e sale!
***§***
L’acqua calda e la fumogena
leggerezza del pulito avevano
fatto dissolvere la grassezza del sudore e le scaglie della stanchezza.
Finalmente libero di non indossare la divisa militare senza che
qualcheduno lo
potesse multare, François si sistemava davanti lo specchio
della stanza da
letto. Con un paio di pantaloni nuovi addosso e una vestaglia da camera
,
attendeva che Damian portasse la camicia, il gilet e la giacca freschi
di
pulizia. Dopo il bagno gli aveva velocemente spuntato i capelli
divenuti raggrinzati
e lunghi quasi fino alle spalle. Il pettine riusciva ,
meno intimidito, a
disciplinare le ciocche ondulate che
presentavano alcune striature di primizia argentatura.
All’inizio sciattamente quieto poi sempre più
incuriosito e
ansioso, il generale si acconciò sempre più
lentamente fino a che non contò uno
per uno i capelli grigi o bianchi che incappavano tra i dentelli del
pettine.
Abituato a portare la parrucca si era scordato della piantagione che
evolveva
sul suo capo.
Non era uomo vanesio ma si rattristò
alle graffiature della vecchiezza. Quei filamenti
erano le firme che la pazienza cupa, il dolore e la rabbia avevano
deposto poco
per volta e che s’immergevano nella sua castana e matura
giovinezza per poi
emergere e rammentargli che proseguivano la
loro semina.
Per sollevarsi spostò lo sguardo sulla parete di fronte
, un po’
più in alto dov’era appeso un ritratto
ovale di Judith
adolescente… Il pittore
l’aveva tratteggiata con magistrale delicatezza in un abito
estivo arancio chiaro
che le lasciava scoperti gli avambracci, le spalle e il collo. Sul viso
, senza
trucco, regnava imperitura la morbidezza ingenua della pelle; le belle
labbra sorridevano
tranquille e gli occhi erano
gocce mattutine
spruzzate da un pennello
inumidito in un mare calmo. I boccoli erano legati solo in parte da un
nastro
bordò all’estremità del capo. Il resto
della chioma era una profusione di libertà
angelica e rinascimentale. Seduzione irresistibile.
François dovette ringraziare il cielo e la propria tenacia
sincera
e disobbediente: sarebbe finito ammogliato con una duchessa se non si
fosse opposto
al padre Jean Antoine. Le unioni combinate erano all’ordine
del giorno tra
aristocratici ma lui non le aveva mai sofferte: la vita militare non
gli aveva
impedito di maturare il senso dell'autodeterminazione nella sfera
più intima
del proprio essere.
In
seguito ad animose discussioni,il genitore s’era dovuto
ricredere alla conoscenza diretta di Judith.
L’uomo rammentava un episodio che aveva svelato un’
inedita
angoscia, un’angoscia che spiegava l’intelaiatura
di un capo famiglia che
programmava e programmava cercando di far quadrare qualsiasi tassella
nell’ottica delle sicure disillusioni.
Padre e figlio passeggiavano nel cortile
della loro villa… Un primo pomeriggio morsicato qua e
là da rigurgiti di nubi
grigie che si ritraevano a tratti lasciando sgocciolare un sole
primaverile e
tremolante come il tuorlo di un uovo...
- Voglio sposare
Judith – dichiarò privo d’esitazione il
giovane - …lo voglio con tutto me
stesso. E’ una delle poche certezze della mia vita. Grazie a
lei…ho avuto il
coraggio di scoperchiare tante cose e paure orribilmente
ridicole.
Jean
Antoine emise un ruvido sbuffo dalle
narici…Era la manifestazione di un raffreddore intorpidito.
- Son rari questi
tipi di matrimoni, figlio mio…- rispose respirando
l’umidità asprigna delle
cortecce dei pini - non
so se essere immensamente
felice.
- La mia relazione
non è un contratto di vendita ! Parlerò da
ragazzino, ma non concepisco
un’esistenza di negoziazioni ,
tranquille bugie e…
François si
fermò nel vedere l’uomo abbuiare
tra le rughe e i ricci bianchi. Si vergognò contrito
pensando di aver offeso
l’unione dei
genitori…l’onestà di quella lontana
madre non vissuta visto che
l’aveva lasciato all’età di tre anni. Di
lei restavano numerosi ritratti,
forti,autorevoli di una bellezza sobria e granitica…una
Cornelia romana dagli
occhi blu e i capelli castani che forse odoravano di fiori secchi. Jean
Antoine
la elogiava quasi fosse un’icona sacra, una diva
incontestabile delle antiche
gens tiberine…però quel codice deferenziale,
seppur sincero, definiva
un sinonimo
di vero amore ?
- Non ho nulla da
ridire sulla tua fidanzata – riprese l’anziano in
tono calmo - Sono
vecchio ma non rimbambito a tal punto da
non cogliere l’energia che ti trasmette e
dona. Ha devozione, franchezza e profondità. Un
tesoro preziosissimo e
piuttosto pesante.
- Una felicità grande
può essere pesante?- interpellò il ragazzo
lievemente urtato - La
fortuna è un dramma?
- La grandezza non
è opera leggera. Il mondo ha la consistenza di una piuma? Tu
e la tua futura
sposa sorreggete reciprocamente i
vostri
universi.
- Dunque, padre , dove
scorgereste l’inquietudine?
Il
sole fece cadere un braccio bruciando di oro
bianco la fontana del cortile: l’acqua
stagnante nella vasca prese di nuovo linfa vitale. Anche il verde
dell’erba e degli
alberi venne schiaffeggiato da quel raggio scivolato via furioso dalle
nuvole
grigie.
- Mi domando,
François – sospirò Jean Antoine - in
che maniera gestirai gli incoraggiamenti,
le dichiarazioni della passione, ogni verbo d’amore che ti
correrà via dalle
labbra.
- In che senso?
- Nel senso che ci
sono parole che non tornano più indietro. Le potrai ripetere
ma tutte le volte, lentamente, avranno un
sapore diverso. Si
sprecano spesso e poi si dimenticano
in
un lungo rapporto in procinto di ghiacciarsi…
Il
figlio restò basito. Non aveva
mai sentito il genitore esprimersi attraverso termini tristi, accorati
che
emettevano il fruscio di vecchie carte riprese da un cassetto chiuso a
lungo…Si
rese conto di aver ininterrottamente percepito quell’uomo
come il pater
familias incontestabile e contestabile, carceriere e protettore senza
mai
riflettere sul fatto che era stato giovane e magari sventurato e
intrappolato...
Alla fine l’anziano
interrogò con
gli occhi neri che sembrava dicessero “
ma che guaio ti procuri? ”:
- Sarai in grado di
non lasciare deteriorare un cibo che ti dovrà alimentare per
infiniti anni? La
libertà fa correre su distese fiorite ma anche su deserti
pieni di massi aguzzi…
Se hai scelto di non aver catene, potresti calpestare sentieri luminosi
così
come potresti barcollare su un
precipizio.
Damian bussò alla porta
facendo rimpicciolire i ricordi nella
memoria.
Il conte ricevette i vestiti ordinati.
- Sono felice che voi e
Madame vi siate riuniti – esordì il servo mentre
aiutava il generale a
sistemare la giacca sulle spalle.
- Sì…stento a
crederci…Finché
non l’ho presa tra le braccia temevo si trattasse di un
miraggio.
François si
abbottonò tornando dinanzi lo specchio. Stette
per qualche secondo immobile contemplando il riflesso della camera
azzurro
chiaro decorata da floreali linee blu…. Trovò
mirabolante non odorare le tende
di un accampamento costellato di zanzare plumbee.
- Non posso più pensare
alla distanza…- confessò accennando un sorriso -
continuo tuttavia a
essere smarrito…devo
ancora riprendermi…
Damian ,
tranquillo
e impertinente, si
avvicinò al talamo matrimoniale.
Aggiustò un po’ i lembi delle coperte ricamate
da vecchia balia
premurosa e pettegola.
- Beh…- appurò
massaggiandosi il mento - Il
letto è
stato preparato con grande cura.
François trasalì
di vergogna e stizza.
- Damian!
- Dovete rimettere in
moto quello che avete lasciato dormire. Se no, tanti saluti disgelo!
- La baionetta funziona
bene anche senza proiettili.
Il suono leggero e ritmato di passi
indubbiamente
femminili, persuasero l’uomo a risparmiare staffilate al
servo.
- Suvvia, vi do
suggerimenti da uomo a uomo…- mormorò costui
sorridendo e battendogli una mano
sulla spalla - se volete ritrovare la vostra dimensione pensate alla
felicità
di Madame…non avete visto il modo in cui vi guarda?
- Spolverati via.
Si udirono tre bussi alla porta:
- François
– chiamò
Judith
– è permesso?
Damian aprì
l’uscio e , con elegante sornioneria,
riferì:
- Madame: vostro marito
è pronto. Risplende amabilmente da cima a fondo somigliante
ad un angelo del
paradiso.
- Ti farò risplendere
appeso al tetto di questa magione – minacciò il
generale – se non righi
dritto alla tua postazione!
Judith sorrise costernata mentre il
servo obbediva
divertito.
- Mai che quell’asino
smetta di spiattellare asinerie – brontolò il
padrone cambiando poi tono
rivolgendosi alla moglie – scusami…spero
di non aver tardato troppo.
- No – rassicurò
lei –
la tavola è già apparecchiata ma Oriane e Cosimo
devono ancora arrivare...ti va
se aspettiamo in terrazza?
I due attraversarono il corridoio ,
arrivando sulla
balconata che guardava il giardino d’ingresso della casa
… Le Heavre pareva un
grumo di scatole spazzate nell’angolo più remoto
dell’orizzonte.
La donna si
avvicinò
affettuosamente al marito dandogli un bacio sulla guancia e stringendo
il suo
braccio.
- Incredibile che tu sia
accanto a me. La tua espressione e il tuo corpo si sono ridotti su
fogli di
lettera per troppo tempo. Ho potuto sgridarti soltanto attraverso
l’inchiostro.
Per fortuna adesso è diverso.
Lui sorrise
afferrandole la mano
in modo implorante:
- Desideri già somministrarmi
fucilate? Ti prego, sono saturo di proiettili…hai tutto il tempo per
randellarmi più tardi.
- Hai proprio ragione,
caro. Ne abbiamo di conversazioni da fare. Sarà impossibile
annoiarsi.
- È
così…bisogna
recuperare in ogni senso.
- Inevitabile. Tante
cose ci cadono per strada mentre andiamo di corsa.
L’uomo circondò
le spalle della moglie voltata dalla parte
opposta .Percorse con gli occhi la linea della guancia su cui sfumava
la luce
perlacea dell’azzurro. I riccioli castani ingombravano le
spalle offuscando il
collo ed evocando la visione terribile degli incubi regnanti nelle
notti
irrespirabili. La donna diventava muta immobilizzandosi. Al terzo
disperato
richiamo si girava mostrando un ovale piatto, liscio uguale a un uovo
di
ceramica sprovvisto di occhi, naso, bocca… Uno spettro
svuotato, bianco
d’irriconoscibile morte.
La morte di parole, ricordi
materiali…il rifiuto atroce del contatto profondo.
Immediatamente il conte pronunciò
dipanando la coltre del
silenzio:
- Ho la pessima
abitudine di correre troppo e leggo
ad
alta voce sentenze credendo che gli altri non possano avere
facoltà di
rispondere…molte volte l’ho fatto con
te…Credo che ci siano germi che restano
perennemente nel
cuore. Ne sono talmente
tanti che non basta una vita per toglierli tutti. Alcuni si estirpano e
altri
si generano o rigenerano…Judith, non ne ho idea di quanto io
possa migliorare o
peggiorare…In America , quando mi trovavo a cenare da
solo…la vuotezza che mi
stava di fronte era aliena… Non diceva nulla. Si limitava ad
esistere nella sua
assurdità senza forma. Certo la spada, la divisa e lo
stendardo della mia
famiglia appartengono
al re… ma tutto
quello che ho dentro, il sangue, la rabbia, la tristezza, la mente
piena di
cianfrusaglie appartengono alla mia anima che siede qui, attaccata a
te.
Ecco…anche nella stupidità più nera mi
rendo conto che sono tuo. Posso urlare
quanto mi pare ma la legge dell'anima resterà questa.
Judith poggiò la testa tra
la spalla e il colletto della
giacca dello sposo.
- Invece , François , io
ho la pessima abitudine di scappare dalle battaglie…Temo di
non sapere
impugnare le armi e perciò le lascio cadere credendo che sia
inutile. Anche le
corazze mi spaventano perché le trovo opprimenti e
impediscono di camminare.
Posso provare a dare fuoco per prima e ci riesco ma dopo, per tanto tempo , mi gelo.
Io non ho avuto
abbastanza forza per cavarti sempre fuori dai fossati in cui ti
infilavi. Sai quanto
odio dormire da sola…ho avuto il terrore, per molte notti,
di trovarmi in un
mausoleo funebre …col pensiero poi della culla delle nostre
bambine che sta
chiusa in soffitta…
François scrollò
la sposa stringendola a sé contro la
stoffa calda.
- Ci sarà una nuova
culla, Judith. Me l’hai scritto nell’ultima
lettera, ricordi? Sarà così perché
ti vedo diversa. Guarda, il tuo volto è ancora
più bello…I tuoi occhi sono
forti e si muovono come acqua corrente..Sento che mi saprai sfidare a
duello
meglio di prima, qualunque cosa possa accadere…Sei la mia
luna. La mia
splendida luna.
Lei gli accarezzò il viso
rimirando le iridi blu aggrappate
tra le ciglia nere e le forti palpebre.
- La nostra camera è
quella che guarda a est, voltata verso il mare. Io l’ho
sempre adorata perché,
quando eri via, almeno
potevo immaginare
il tuo sguardo. Sia di notte che di giorno, il colore delle onde cambia
ma
rimane lì, a vegliarmi da lontano…
Vennero interrotti da un palpito di
zoccoli e polvere
arrotolata: una carrozza con due cavalli marroni si avvicinò
giungendo davanti
le scuderie.
Scesero un uomo alto, magro e
distinto con una donna
vestita di lilla e un bambino dai capelli rossissimi.
Judith e François
chiamarono Cosimo , Oriane e il piccolo Samuele che
salutarono con
caloroso entusiasmo.
***§***
Nella sala da pranzo , dalle pareti
bianche che intonavano
un’eco agreste e greca, sfavillava una magnifica tavolata.
Era un topazio
istoriato dalle lamelle d’argento dei piatti
d’ostriche, imporporato dalla
calda freschezza rubino del vitello rosolato e puntinato dai vassoi dei
formaggi agrodolci.
I conti della Seigne non erano sperperatori di opulenze, ma
si premuravano che la gastronomia di casa offrisse prodotti di alta
qualità.
Dai frutti di mare pescati dal gustoso furore dell'oceano agli animali
allevati
nel pregiato clima salmastro dei pascoli costieri: c’era da
perdersi in quel
tempio sugoso di profumi forti, dolci e gioiosi. Grégoire ci
teneva a far
pervenire da Neufchatel-en-Brain, l’omonimo cacio
d’antica tradizione normanna.
Il particolare gusto farinoso si sposava con l’innaffiatura
amarognola e fine
del sidro.
- Prego , signori! –
invitò il padrone sollevando la brocca di ceramica- È
d’obbligo per il palato e la gola questo
nettare di famiglia.
- Ormai le nostre
cantine a Napoli rischiano di esser popolate più da
bottiglie di sidro che
vino! Ci manca
soltanto una coltivazione
di meli sul nostro terrazzo per ottenere i giardini pensili di
Babilonia!
- Oh ,Cosimo! –
accusò Oriane
- Dovremmo tornare qui
durante la bella stagione! Da noi in Italia non esistono questi tesori
di
coltivazioni…tu cerchi di rifilarmi , ogni domenica,quel
dannato amaro alla
rucola dal sapore di medicinale per tosse!
- Suvvia , cara…sai che
sono un amante delle tradizioni d’Ischia ma non per questo
disdegno i sapori
della Normandia, anzi…
Il marito , ricevendo la brocca dal
suocero , la pose alla
sua signora mentre Samuele seduto
in
mezzo odorava il transito dell’aroma dolce e pungente.
- Questo sidro è
un’antica
lavorazione che rende il gusto più fermo e dolce –
accennò Grégoire.
- Non vedevo l’ora di
tornare a berlo – dichiarò François
sorridendo - Se non
sbaglio penso di averlo assaggiato la prima volta proprio da voi quando
ero
ragazzo.
- Sì –
confermò la sposa
seduta affianco - quella
primavera in
cui venisti con tuo padre e tuo fratello.
- Già…la fioritura
dei
meli…uno spettacolo favoloso. Facevamo passeggiate
lunghissime.
- I fiori degli alberi
sono molto belli. Sembrano rosa acceso quando sono chiusi , quasi
provino
vergogna , e poi aprono la corolla che è bianchissima.
- Da piccole costruivamo
delle coroncine – ricordò Oriane che stava di
fronte alla sorella dalla parte
opposta del tavolo - Te
ne feci una
molto bella, Judith…sarebbe stata perfetta abbinata agli
orecchini che hai ora.
- Li ho da parecchio
tempo. Me li regalasti tu, François, all’inizio
del nostro fidanzamento.
Il generale annuì
rimembrando, per un breve istante, un
pomeriggio in cui l’aveva portata ad ammirare le coltivazioni
costiere: lei
sedeva sul dorso di un cavallo che lui conduceva per le briglie
facendosi
strada tra le piante. Una
bellissima
giornata specialmente durante l’attimo in cui la fanciulla ,
nello scendere in
modo scorretto dalla sella, capitombolò tra le sue braccia
che prontamente
s’erano preparate ad afferrarla.
- Helene! –
rimproverò
la contessa Bénédicte, imperiosa a capo del
tavolo –Rischiavi di rovesciare il
dolce!
- Perdonatemi, signora!
La cameriera arrossì
costernata : era una ventiseienne
minuta e pallida, dai capelli neri legati in
una treccia e
dalla bocca piccola
travolta bruscamente dall’incandescenza delle guance.
- Madame –
giustificò Damian
che stava aiutando a portare i piatti –lo sconsiderato sono
io che ho
involontariamente intralciato la ragazza. Sono grande e ingombrante.
-
D’accordo, ho compreso
– concluse scabra la padrona –
l’importante è che stiate attenti. Per cortesia
giacché è stato servito il tortino di mele portate anche il calvados.
Mentre si allontanavano verso le
cucine , l’imponente uomo strizzò
l’occhio alla ragazza che sorrise con
pudore mettendosi la mano sulla bocca.
- Ti sei ricordata bene,
cara – aggiunse Grégoire -
non può mancare
questo assaggio prima del dessert. è come una goccia di
fiamma dolce in gola.
- No, papà – rise
Judith
– credo proprio che rinuncio. Non sono abituata a finire
neppure un intero
bicchiere di vino!
- Io ne prendo solo una
goccia – disse Bénédicte che assaggiava
sempre il sidro con estrema
moderazione– per tener fede alla nostra tradizione.
- Non preoccuparti papà
– gioì Oriane – io non persisto mai al
Calvados. Mi auguro che non ti
comporterai da taccagno se domando una bottiglietta da portarmi a casa.
- Puoi stare tranquilla,
figliola – sorrise il padre – io sono sempre
orgoglioso di saperti ottima
degustatrice dei nostri prodotti.
- E la nostre collezione
di bevande normanne si allarga sempre di più –
scherzò Cosimo – sentiremo odore
di mele anche prima di entrare in casa.
- Se tu importi casse di
liquore rucoloso , io lo faccio col sidro e il calvados.
- Povero rucolino!
Sempre con lui, ce l’hai!
Damian portò la bottiglia
dell'acquavite con i bicchierini
di cristallo intanto che Helene serviva,
da un vassoio , ciotole di caramello
ricavato dallo zucchero
di mela.
Samuele puntò ,
bramoso, quelle delizie morbide arancio
brillante cominciando
a fare vivaci
cenni prima alla madre e
poi al padre.
- Tranquillo –
rimbrottò
Oriane - nessuno
ruba la tua parte! Non
fare la scimmia…c’è prima la torta.
- Ma – bofonchiò il
bimbo – a me piace prima il caramello….
- Suele – mormorò
il
padre mescolando francese a incrinature partenopee – una cosa
per volta e in
piccole parti! Visto che l’altro giorno hai avuto mal di
pancia?
Imbronciato il figlioletto
tracciò col dito ghirigori
immaginari sulla tovaglia.
- Posso avere un altro
po’ di succo di mela?
- Certo, piccolo –
s’accinse il nonno a prendere un’altra piccola
caraffa di ceramica.
- No, papà – lo
fermò
Oriane – così si abitua troppo alle cose
zuccherate. Va bene assaggiare tutto
ma non troppo.
- Ma – oppose dispiaciuto
l’uomo – mi sembra che abbia soltanto bevuto un
bicchiere.
- Effettivamente sarebbe
meglio che il bambino non toccasse neppure il caramello –
ammonì la nonna – la
torta è bella buona Samuele, vedrai che già con
quella sarai pieno.
Il nipote , intimidito, posò supplicante
lo sguardo sulle tazze che
tenevano in pugno l’invitante e soleggiata sostanza
d’ambra.
- Samuele può mangiare
un pochino di torta e un pochino di caramello –
puntualizzò la madre.
- Una fetta di torta è
sostanziosa – predicò la contessa – se
il piccino prende sia l’uno che l’altro
potrebbe sentirsi di nuovo poco bene come diceva tuo marito.
La figlia minore cominciò a
percepire aria di tensione: la
madre e la sorella facevano molte volte attrito tra loro. Numerose
erano state
le discussioni specialmente durante l’adolescenza quando
Oriane aveva fatto
divampare a meglio il proprio spirito ribelle…
- Madre, controlliamo
che Samuele possa abituarsi a mangiare con noi a tavola senza strafare.
Ha
avuto la sua porzione di primo e secondo e ora può
assaggiare il dolce.
- E dopo tanti assaggi
di tal genere che è stato costretto a letto.
- L’altra volta –
ribatté l’altra sull’orlo
dell’irritazione – ha combinato pasticci con accostamenti di cibo che
gli hanno colpito lo
stomaco!
- I nonni si preoccupano
per i nipotini – sospese la diatriba Judith –
può succedere che non
si sappia quali
alimenti diano fastidio ai più piccoli.
Nonostante fosse una quisquilia,
Bénédicte doveva trovare
il minimo pretesto per criticare la figlia più grande. Dopo
le tempeste
rischiose della giovinezza, la donna si portava appresso
l’ombra di una
diffidenza accusatrice:
un po’ per
orgoglio ma soprattutto perché temeva chissà
quali errori potessero nuocere
alla famiglia.
- Per fortuna che
Samuele mostra appetito - fece
calmo Grégoire
– è giusto che il suo palato si adegui piano
piano
a ogni cosa.
- Sta volta si è
regolato bene – osservò Cosimo –
può prendere la sua parte di dolce
tranquillamente…e poi è l’occasione del
ritorno dello zio François.
- Io più di una volta mi
sono sentito male da bambino – ammise lui –
perché avevo l’abitudine di andare
a mangiare di nascosto i biscotti al miele. Infatti mai mi sono
scordato quei
bei momenti di traballamenti intestinali.
Dopo una risata corale ( anche se
più che ridere Bénédicte
accennò un sorriso) si mescé il calvados nei
bicchieri che vibrarono ondeggiamenti
cristallini.
Dalla cucina provennero, ad un tratto , una cacofonia
grossa e
argillosa e improperi della cuoca e dei camerieri: Serge aveva fatto
cadere due
barattoli di confettura di mele dando prova della sua leggiadra
destrezza.
Note
personali:
il secondo capitolo l’ho
concluso con la parte Un
proiettile nella mente . All’inizio tutta
questa scena doveva essere
l’ultima parte del capitolo secondo ma poi ho deciso che
ormai sanciva un’altra
fase degli eventi.Ed eccoci ad aver fatto conoscenza
della casa di Le Heavre,
dei genitori di Judith….c’è un ambiente
di serenità e tranquillità a differenza
di quello che si avvertiva con Jean Antoine…ho desiderato
introdurre i
caratteri differenti di Grègoire e di Bénedicte ,
una coppia veramente
particolare, due poli opposti...Sono riapparsi Oriane, Cosimo e il
piccolo
Samuele…mi auguro di aver descritto in modo decente le
dinamiche famigliari…Naturalmente i nostri
François e Judith si sono ritrovati
con la voglia di andare avanti e con rinnovata forza nonostante i
tristi eventi
passati..
È apparso un altro
servo Damian, connesso anche col passato
del protagonista, insomma un altro elemento che ci
racconterà più avanti di più
sui de Jarjayes !
L’ultima parte del
III cap ( la più lunga) , vi posso
garantire con certezza che sarà postata tra
lunedì 8 maggio o martedì 9….
Ci sono novità per il
quarto capitolo! Praticamente le
prime due parti le avevo già completate da un pezzo
….quindi ci saranno
ulteriori aggiornamenti il 16 maggio, il 31 maggio
…l’ultimo sarà probabilmente
a metà giugno perché lo devo revisionare da cima
a fondo e apportare modifiche…
Col capitolo 4 si conclude il
LIBRO PRIMO. I leoni della
corone NON sarà una saga ma un romanzo unico suddiviso in
più libri che
rappresentano le fasi della vita dei personaggi. Ho deciso quindi che
il libro
secondo sarà dedicato all’infanzia di Oscar e
André, il terzo all’adolescenza,
il quarto all’età adulta + epilogo^^
Vi ringrazio umilmente per la
pazienza!!
Un salutone!
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