2. grandi e piccole aspettative
II.
Andromeda Black andava bene a scuola, in tutte le materie, ma non era
certo la prima della classe. A dire la verità, con
l’impegno che metteva nei compiti e negli esercizi, riusciva a
prendere più della sufficienza, ma non smaniava per avere il
massimo dei voti, perché semplicemente pensava che
l’obiettivo era padroneggiare gli incantesimi. Ovviamente era ben
consapevole delle aspettative che c’erano su di lei: figlia di
una delle più antiche e prestigiose famiglie di maghi
purosangue, con decine di pagine dedicate ai Black in Nobiltà di natura: genealogia magica,
tutti in famiglia e non solo si aspettavano che fosse una strega dotata
e abile, come sua sorella e la sua miglior amica Demetra non mancavano
di ricordarle. Sua sorella Bellatrix andava bene quanto lei nelle cose
di scuola, con la differenza che sembrava doversi impegnare meno per
raggiungere il suo obiettivo, che fosse imparare una fattura o
trasfigurare un pollo, ma aveva anche una costanza e un senso della
disciplina che lasciavano alquanto a desiderare: Andromeda si era
presto resa conto che sua sorella maggiore studiava solo quello che le
interessava e soprattutto che riteneva utile, come aveva di fatto
ammesso al momento di scegliere le materie opzionali dal terzo anno.
Non potendo non seguire Aritmanzia, a cui loro padre teneva molto, e
Rune, che sua madre aveva tanto amato ai suoi tempi, aveva aggiunto
Cura delle Creature magiche, immaginando che avrebbe imparato a domare
creature pericolose e rare, e Divinazione, attirata dall’idea di
prevedere il futuro. Una volta scoperto di essere perfettamente negata
per la Divinazione e che avere a che fare con le creature magiche
implicava faticare e sporcarsi, Bellatrix aveva mollato le due materie,
sentenziando che i veggenti sono tutti ciarlatani perché
prevedere il futuro è impossibile e che le creature magiche sono
roba per Mezzosangue o comunque maghi svitati, dato che
Trasfigurazione, Incantesimi e Difesa sono tutto quello che basta per
farsi rispettare. Andromeda non sapeva bene come, ma i suoi genitori
non le avevano mosso alcun rimprovero e anche il fatto che avesse preso
solo Accettabile in Aritmanzia e Rune era passato inosservato.
All’opposto del pressappochismo di sua sorella c’era la sua
miglior amica, Demetra Lestrange, che invece sembrava aver fatto suo
fino al midollo l’imperativo di essere all’altezza delle
aspettative delle loro famiglie purosangue. Demetra sembrava dotata di
un’abnegazione allo studio senza confine: già da bambine,
prima di Hogwarts, leggeva tutto il possibile dalla biblioteca di
famiglia e studiava già come preparare pozioni; una volta a
scuola, si preparava in anticipo alle lezioni e nel giro di pochi
tentativi padroneggiava gli incantesimi, ottenendo così le lodi
trasversali dei professori e punti per la loro Casa, ed essere
costantemente la più brava e la prima a fare le cose sembrava
essere davvero quello che la spingeva ogni giorno. Andromeda pensava
che lo zelo scolastico dell’amica era decisamente eccessivo:
Demetra era semplicemente già brava di suo, molto più di
lei o di Bellatrix e degli altri compagni, e non c’era ragione
sensata per quest’eccesso di studio.
“Questo è il prezzo dei risultati, perché la
conoscenza è potere” aveva detto una volta quando erano in
biblioteca a fare i compiti e Andromeda aveva proposto, non senza un
po’ di senso di colpa, di copiare un vecchio tema di sua sorella
per Storia della Magia.
La conoscenza è potere!,
a tredici anni neanche. Se lo avesse detto sua sorella, sarebbe stato
sgradevole ma perfettamente coerente; detto da Demetra invece suonava
come una di quelle frasi dei grandi che senti ripetere da quando hai
memoria e alla fine diventano tue senza che te ne accorga, e a un certo
punto non ti chiedi neanche più perché ci credi. Non ne
avevano mai parlato esplicitamente, ma Andromeda in un certo senso
capiva bene l’ansia da prestazione della sua amica. I fratelli
maggiori di Demetra, Rabastan e Rodolphus, avevano finito Hogwarts
giusto prima che loro iniziassero, erano stati entrambi Prefetti e
nella squadra di Quidditch ed erano considerati due studenti molto in
gamba, sebbene non i primi della classe. Demetra voleva dimostrare di
essere in primo luogo altrettanto abile dei fratelli, e se possibile
ancora di più. Non erano mancate le volte in cui le aveva
confidato di quanto le faceva rabbia sua madre che aveva sempre da dire
quanto erano speciali i suoi fratelli e quanto lei invece non doveva
montarsi la testa. Andromeda non aveva mai provato nulla del genere:
c’erano sì dei litigi con sua sorella maggiore, ma sapeva
che le voleva bene e crescendo insieme aveva imparato a prendersi i
suoi spazi e a non farsi mettere i piedi in testa. A volte suo padre
aveva fatto notare alle due sorelle quando fossero simili di carattere,
con la stessa determinazione e lo stesso spirito di indipendenza,
mentre vedeva in Narcissa una delicatezza nei modi e nelle parole che
necessitava di protezione, e tutte le volte tutte e tre avevano
protestato sonoramente a quell’affermazione, dichiarandosi loro
due diverse e Narcissa insistendo di non avere bisogno di alcuna
protezione, a undici anni neanche. Inoltre, il confronto con le sorelle
sfumava nel momento in cui stavano insieme ad altri maghi della loro
età, figli di altre famiglie purosangue come loro, che talvolta
si vedevano nei ricevimenti organizzati una volta da una famiglia una
volta da un’altra, e a cui potevano prendere parte una volta
compiuti i dieci anni e dimostrato di sapersi comportare in pubblico.
In quelle occasioni, a fare a gara per ricevere attenzioni e
complimenti erano Bellatrix e Demetra, con la prima che cercava di
sembrare più grande della sua età per abilità con
gli incantesimi (di cui non poteva dare dimostrazione fuori da scuola,
tuttavia) e la seconda che cercava di essere coinvolta nelle
discussioni di politica e legislazione di cui suo padre era spesso al
centro, essendo un membro del Wizengamot. Ciliegina sulla torta, poi,
Bellatrix aveva da sempre una cotta per uno dei fratelli di Demetra,
cosa per cui non mancavano mai di prenderla in giro a dovere,
nonostante Demetra a volte lasciasse trasparire un certo fastidio
all’idea di ritrovarsi Bellatrix in famiglia.
***
Demetra Lestrange aveva sempre preso tutto molto sul serio. Il primo
ricordo ben definito che aveva di se stessa era di quando, a tre anni
esatti, aveva fatto esplodere in sequenza tutti i bicchieri presenti
sulla tavola perfettamente addobbata per uno degli innumerevoli
ricevimenti che sua madre era solita organizzare e a cui erano invitate
solo le più prestigiose famiglie purosangue. Ricordava
perfettamente anche come suo padre fosse stato entusiasta della sua
poderosa magia infantile e come invece sua madre l’avesse
rimproverata per i bicchieri rotti, ricordandole che
l’autocontrollo della propria magia è tutto, ed era
alquanto disdicevole che una strega del suo lignaggio non riuscisse a
controllarsi. Naturalmente c’era rimasta male, aveva pianto e
solo l’abbraccio del papà aveva evitato un altro scoppio
di cristalleria, ma Demetra Lestrange aveva preso molto sul serio
quelle parole e negli anni seguenti non aveva più permesso alla
magia di manifestarsi senza controllo, se non in rare occasioni, che
guarda caso coincidevano spesso con litigi con i suoi fratelli. A
questo proposito, nutriva una certa invidia, sebbene mai cattiva, nei
confronti della sua miglior amica Andromeda Black, la quale non aveva
mai dovuto confrontarsi con fratelli e sorelle più grandi, che
hanno già fatto tutto benissimo, e dei quali devi essere
all’altezza: sì, Bellatrix aveva due anni di più ed
era una forza della natura, ma aveva anche un’irruenza e una
sfacciataggine che non sarebbero sempre state tollerate nella buona
società purosangue a cui appartenevano, nella quale
l’abilità politica contava tanto quanto
l’abilità con la bacchetta, e quanto alle cose di scuola,
non era così brava come voleva far credere. Rabastan e Rodolphus
invece erano stati entrambi Prefetti a Hogwarts, entrambi nella squadra
di Quidditch e nonostante non si atteggiassero a primi della classe
conoscevano incantesimi e fatture ben aldilà degli insegnamenti
scolastici, si interessavano di magia oscura, come già alcuni
membri della famiglia in passato, e sembravano i perfetti eredi della
nobile e antica casata Lestrange. E poi c’era lei, Demetra, nata
sette anni dopo i fratelli.
“Non eri in programma – aveva detto una volta sua madre
– e quando sei nata sembravi una piccola civetta
dispettosa.”
Questa storia del somigliare a una civetta l’aveva fatta sua
più di quanto si sarebbe aspettata e non solo perché, in
effetti, tra il naso aquilino e i capelli mori arruffati, quando era
concentrata ricordava vagamente un rapace guardingo, come una volta
aveva detto Andromeda mentre facevano i compiti. A lei piaceva un sacco
occuparsi dei gufi portalettere di casa e il suo preferito era Emmon,
il vecchio barbagianni di suo padre che era con loro da un tempo
indefinito. Una notte aveva perfino sognato di essere diventata una
civetta ed essere uscita con Emmon dalla voliera e di aver
chiacchierato con lui tutta la notte volando per i cieli di Londra. E
quello era l’unico modo che aveva per volare, dal momento che per
la scopa era decisamente negata, non essendo mai riuscita ad alzarsi da
terra per più di due metri nel cortile di casa e con uno scarso
controllo della scopa, come i suoi fratelli, Rodolphus in particolare,
non avevano mancato di notare sghignazzando.
Ma Demetra non si era mai arresa e aveva preso sul serio ogni minima
osservazione, impegnandosi a ribaltarla a suo vantaggio. Se i suoi
fratelli erano bravi a scuola, lei sarebbe stata la più brava
del suo anno; se loro erano stati Prefetti, lei sarebbe diventata
Caposcuola; se loro adesso, finita la scuola, mostravano scarso
interesse per la Magisprudenza e la carriera politica al Ministero che
tanto impegnava suo padre, sarebbe stata lei a tenere alto
l’onore dei Lestrange come membri legislatori e politici della
comunità magica, quale la sua famiglia era da generazioni.
Anche per questo si era opposta all’idea del Cappello Parlante di
mandarla a Corvonero: sebbene sapesse di svariati membri della famiglia
delle generazioni passate che erano stati smistati in Corvonero e
avevano avuto una fulgida carriera politica, la maggior parte era
sempre stata Serpeverde, la casa dei puri di sangue e degli ambiziosi,
l’unica via per la grandezza che voleva raggiungere. E poi
Andromeda era già in Serpeverde e lei non poteva immaginarsi
sette anni a scuola non insieme a lei. Si conoscevano praticamente da
sempre, grazie al fatto che le loro famiglie si conoscevano e
frequentavano lo stesso ambiente. Demetra a volte immaginava Andromeda
come la sorella che non aveva, invece dei fratelli maggiori cocchi di
mamma, e considerava sue amiche anche le sue sorelle, nonostante
Narcissa fosse più piccola e apparentemente disinteressata a
qualsiasi cosa e Bellatrix fosse sempre in competizione per apparire
più grande e più brava, compresa la fastidiosa
infatuazione per suo fratello Rodolphus. Sentiva alquanto la differenza
di età e sapeva che avrebbe dovuto aspettare del tempo, crescere
e acquisire credibilità agli occhi degli adulti della
generazione di suo padre, prima di potersi imporre anche ai fratelli,
per cui per il momento cercava di farsi rispettare dai suoi pari,
cioè i propri compagni a Hogwarts. Prendeva molto sul serio
l’opinione che avevano le persone di lei, fossero suoi pari o
adulti allo stesso modo, perché, come diceva a volte suo padre,
è attraverso il filtro dell’opinione pubblica che un mago
diventa autorevole. Ne parlavano talvolta con Andromeda e ogni volta
lei si stupiva dell’amica: ad Andromeda sembrava sempre non
importare nulla dell’opinione che avevano gli altri,
perché diceva soltanto che se uno è gentile, educato e
rispettoso non conta quanto è bravo a scuola, quante cose sa
già fare, o se ha idee bizzarre o dorme col gatto. Per lei
invece era inconcepibile non fare i conti ogni giorno con
l’immagine che dava di sé, ma sapeva che, proprio per la
diversità di Andromeda da tutti gli altri compagni purosangue,
qualunque cosa fosse successa, non avrebbe smesso di essere sua amica,
e quella era la cosa più importante.
***
Di solito le due amiche Serpeverde studiavano nella Sala Comune e anche
nei primi due anni non avevano mai avuto problemi a trovare i posti
più comodi o i tavoli più spaziosi, poiché erano
sempre state in compagnia di Bellatrix che, pur non essendo all'epoca
ancora una delle studentesse più anziane, aveva lo straordinario
dono di far sloggiare senza proteste evidenti chiunque occupasse
qualunque poltrona o tavolo di suo interesse, ragion per cui non
sarebbe certo stato un problema ora che era al quinto anno.
“Togliti biondino, qui ci stiamo noi che abbiamo da
studiare!” intimò Bellatrix a un ragazzino del secondo
anno che sedeva da solo a un largo tavolo in marmo vicino alle vetrate.
“Io non me ne vado, perché sono arrivato prima e sto
aspettando i miei compagni” rispose il biondino senza scomporsi
minimamente all'aggressività di Bellatrix.
“Come osi, marmocchio?” ed estrasse la bacchetta. Anche il biondino estrasse la bacchetta, per nulla intimorito.
“Bella, lascia fare, non vorrai duellare con uno del secondo anno
per il tavolo...” si inserì Andromeda per riportare la
sorella al senso della ragione.
“Se vuole un duello per il tavolo io non mi tiro indietro” rispose il biondino gelido.
Il suo coraggio fu ammirevole, ma per Bellatrix alzare la bacchetta e gridare Stupeficium!
fu tutt'uno. Il biondino finì a pochi metri di distanza con un
tonfo sonoro contro una lampada che riparò prontamente una volta
rialzatosi.
“Bella! Ma insomma! – esclamò Andromeda
avvicinandosi al ragazzino – Come ti senti? Vuoi che andiamo in
infermeria?”
“No” sibilò il biondino, lanciando occhiate d'odio a
Bellatrix, e se ne andò ancora rosso in volto e più
scosso di quanto non volesse far credere.
“E che cazzo!” fu l'unico commento di Bellatrix.
Andromeda non poté non lanciare uno sguardo di rimprovero anche
a Demetra che intanto si era seduta e aveva cominciato ad aprire i
libri, evidentemente convinta che fosse tutto normale.
Per ultima sedette Narcissa, che non riusciva a togliersi dalla mente
il volto dell'unico ragazzo che avesse mai osato tenere testa a sua
sorella.
***
NdA: ecco
che finalmente le protagoniste parlano un po' di loro e si intravede
qualcosa della vita in comune a scuola... Che dite? Lo so che in
questo capitolo non succede nulla, ma presto si metteranno in moto gli
eventi. Commentate!
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