Planet Hell - Il Pianeta Inferno

di GothicGaia
(/viewuser.php?uid=933170)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


3

La Simulazione

 
L’uomo e la ragazza stesi su due piccole brande, uno affianco all’altro, apparivano ingannevolmente supini all’interno della capanna di canne. Il silenzio era assoluto, e il buio quasi totale. Poco e niente filtrava tra una canna e l’altra. I due combattenti attendevano con pazienza il momento per agire. Erano rilassati, ma pronti.
“Cosa credi che accadrà quando sarò pronta?” domandò Demetra stringendo la spada nella mano destra.
“Quando sarai pronta saprai cosa fare, e non avrai più bisogno di me. Ora dormi, che ci aspetta una dura lotta stanotte!” gli rispose Owen. L’uomo richiuse gli occhi addormentandosi all’istante. Una capacità unicamente sua. Demetra non sarebbe riuscita ad addormentarsi tanto facilmente, quanto il suo maestro. Era troppo ansiosa per la simulazione che l’attendeva. Era almeno la millesima a cui veniva sottoposta, ma come ogni volta, le dava ansia. L’idea che quel silenzio innaturale sarebbe stato interrotto da un momento all’altro non le faceva venire voglia di prendere sonno. Eppure c’era abituata. Aveva dieci anni, e si allenava da metà della sua vita. Il corpo sottile e snello era veloce e scattante, essendo stato trattato per quel genere di vita. Una vita che non veniva sottoposta a tutti i bambini. Dura, a cui molti non avrebbero resistito nemmeno un giorno. Ma Demetra era stata geneticamente modificata, e per questo ormai il mondo e la vita quotidiana dell’resto dell’umanità non avevano più niente a che fare con lei. Un rombo e una vibrazione nell’aria avvolse la capanna. Il maestro aprì gli occhi.
“Ora!” gridò. Demetra scattò in piedi all’istante e con tutto il peso del proprio corpo buttò giù la parete di canne, mentre il tetto di paglia  veniva sfondato sopra le loro teste. Demetra corse a prendi fiato, in mezzo alle piante alte, che le arrivavano alla vita. Un gigantesco Robot d’acciaio si erigeva alto sopra la piccola costruzione artificiale in cui era rinchiusa un attimo prima. Nel percepire la sua fuga, il robot alzò la testa metallica per guardarla con due occhi rossi abbaglianti.
“Demetra sconfiggilo!” gridò il suo maestro che uscì dalla capanna in gran fretta, andando a ripararsi dietro un grande albero. Demetra impugnò la spada con entrambe le mani, e guardò il suo nemico. Il robot alzò un braccio, che finiva con un lungo mitra. Demetra si lanciò alla carica verso di lui. Il robot cominciò a sparare a raffica verso di lei. Ma Demetra riuscì a schivare ogni colpo evitando perfino che la sfiorasse. Corse e in pochi istanti lo raggiunse. Quando gli fu sotto, si diede una lieve spinta con le gambe, e si lanciò in aria, sollevandosi a quattro metri da terra. Una cosa che a un qualsiasi ragazzino della sua età sarebbe risultato impossibile. Strinse la spada con entrambe le mani e  rovesciò la punta verso il basso, mentre il robot lentamente puntava il mitra in alto verso di lei. Troppo lentamente. Demetra scese rapidamente e atterrò con i piedi sulle spalle metalliche del suo nemico. Con tutta la forza che aveva in corpo affondò la sua spada nella testa del robot, sfondando il metallo duro. Gli occhi rossi lampeggiarono, e una scarica elettrica salì lungo il filo della lama e invase il suo corpicino. Demetra gridò, mentre le scariche elettriche si muovevano come fulmini, lungo il corpo del robot. Stava per esplodere.
“Demetra salta giù!” gridò Owen
Troppo tardi. Il robot esplose. Demetra saltò in aria a una ventina di metri di distanza, finendo a faccia in già sul terreno, priva di sensi. L’aria vibrò e un ondata esplosiva si propagò in tutta la stanza delle simulazioni. Quell’esplosione non l’avrebbe uccisa, ma ci sarebbero voluti almeno tre giorni prima che riprendesse conoscenza. La simulazione era finita. E quella era solo una delle tante dure prove che l’attendevano. Il maestro non si sconfortò dell’episodio fallimentare. 




Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3666150