CC CAPITOLO OTTO
Capitolo 8
Delphi tolse il pezzo di pergamena dalla tasca della
divisa, lo rilesse e lo rimise a posto: l'appuntamento era per dopo
cena, fuori dalla Sala Grande. Teddy non aveva indicato un orario
preciso e lui si era stancato di aspettarla. Alcuni compagni di Casa
gli passarono davanti lanciandogli occhiate incuriosite, seguiti da
un gruppo di Grifondoro.
“Voldemort Junior,” esclamò un ragazzo dall'aspetto
famigliare.
Delphi riconobbe lo studente con cui si era azzuffato
durante la cerimonia dello Smistamento.
“Cosa vuoi?” sbuffò annoiato. Se Teddy non fosse
arrivata in fretta avrebbe finito col litigare di nuovo con lui pur
di passare il tempo.
Il ragazzo gli mostrò i lividi e le escoriazioni che
gli aveva procurato Delphi.
“Clarence e Stephan hanno provato a farli sparire con
alcuni incantesimi che in passato avevano sempre funzionato,” disse
accigliandosi.
“Non stavolta, però,” lo anticipò Delphi.
“Esatto,” il Grifondoro lo studiò con grande
interesse. “Dipente da te, vero? È perché sei il figlio di
Voldemort.”
Delphi aveva promesso di non dire nulla sul suo vero
padre, perciò congedò il ragazzo con una scrollata di spalle e
sbirciò nella Sala Grande: i professori stavano ancora cenando,
tutti tranne uno, il Vicepreside. Finalmente vide Teddy alzarsi dalla
tavola dei Serpeverde a dirigersi verso l'uscita.
“Era ora...” disse lui, ma lei gli passò davanti
senza degnarlo di uno sguardo. Delphi stava per protestare, quando la
pergamena che aveva nella tasca gli strattonò la veste. La scritta
era cambiata, ora diceva di seguire Teddy a distanza e senza dare
nell'occhio.
Delphi fece di più, si nascose dietro un'armatura e
mutò il proprio aspetto quel tanto che bastava a renderlo
irriconoscibile. Il secondo piano del castello era deserto, così
Delphi e Teddy accantonarono ogni precauzione.
“Andiamo,” gli disse la ragazza, puntando la
bacchetta sulla porta d'ingresso dello studio del padre e mormorando
un incantesimo che Delphi non conosceva.
Le giornate si stavano accorciando e la sera era calata
già da un po', ma la luna piena illuminava a giorno la stanza.
Delphi avvertì un respiro leggero venire dal basso, c'era qualcuno
steso per terra!
“Teddy...” iniziò, lei si voltò e si premette un
dito sulle labbra. “Non zittirmi! Dove Merlino è tuo padre? Se è
uno scherzo...” taque di botto. Sotto alla scrivania rilucevano
quelle che sembravano due monete. Si spostarono verso di lui e dal
buio sbucò un naso, poi un muso.
“Ecco, lo hai svegliato!” s'indispettì Teddy e
camminò verso quello che sembrava un grosso cane. Quando fu
interamente alla luce Delphi capì di essersi sbagliato: il collo
possente, le enormi zampe, il colore del mantello... la bestia era
sicuramente un lupo.
Teddy grattò l'animale tra le orecchie e l'animale
uggiolò di piacere, senza smettere di annusare l'aria. Presto spostò
la sua attenzione su di lui e Delphi sentì le gambe farsi molli e
allo stesso tempo un'inspiegabile attrazione.
Il lupo sorpassò Teddy e gli si fermò davanti,
scuotendo la strana coda a ciuffo.
“Gli piaci,” sussurò la ragazza, saettando lo
sguardo da lui al lupo con grande interesse. “Di solito è molto
territoriale e diffidente con chiunque tranne me e la mamma.”
Delphi avvicinò la mano alla bacchetta.
“È pericoloso e tu lo sai, vuoi farmi uccidere?”
mormorò con scarsa convinzione, pericoloso o meno quella era la
Creatura Magica più affascinante che avesse mai visto.
“È innocuo quando prende la Pozione Antilupo. Avevo
ragione io sì o sì?” disse Teddy mettendo le mani sui fianchi, ma
anche lei sembrava stesse recitando una parte. Stranamente non le
importava più vincere la scommessa, cosa le interessasse adesso
Delphi non riusciva a immaginarselo.
Il lupo mannaro lo toccò col muso e il ragazzo reagì
d'istinto:
“Lacarnum
Inflamare!” pronunciò: la Creatura Oscura non indossava abiti e
l'unica cosa che prese fuoco fu una pila di pergamene sulla
scrivania.
“Oh, no no!” gemette
Teddy, spegnendo il fuoco con un getto d'acqua. “Mio padre se ne
accorgerà!”
Delphi indicò il lupo.
“Se ne accorgerà? Lui è
qui, ha visto tutto!”
“Non essere sciocco, non
ricorderà nulla di quello che è successo... non fosse stato così
non ti avrei coinvolto!” Si frappose fra lui e il padre. “Cosa ti
è saltato in testa? Sei stato sleale, papà è disarmato.”
Delphi batté le palpebre.
“È un dannato lupo
mannaro! Ha le zanne, e gli artigli e...”
L'animale passò davanti
alla figlia e leccò una mano al ragazzo.
“È simpatico,” borbottò
lui, confuso.
“È davvero strano,
è come se ti conoscesse...”
“Chiederò a mia madre se
me ne prende uno!”
Teddy lo afferrò per il
mantello e lo trascinò di peso fuori dallo studio, richiudendo il
lupo mannaro nell'ufficio con un colpo di bacchetta.
“Chiederò a mia madre se
mi compra un Metamorfomagus,” gli fece il verso in tono aspro.
Delphi avvertì una stretta
al petto.
“Non è la stessa cosa e
tu lo sai, smettila di farmi passare per ipocrita!”
“È la stessa cosa e tu
sei ipocrita!”
“Sei arrabbiata perché
volevi spaventarmi e invece ho fatto amicizia col lupo.”
Lei ci rifletté su.
“Ora non più... sono solo
sorpresa. Tu non capisci quanto sia strano quello che è successo lì
dentro, davvero... dovrò pensarci sopra.”
***
Remus
stava spiegando perché era sconsigliabile ridere alle battute di un
Imp, soprattutto se si era in
prossimità di un fiume,
quando lo sguardo gli cadde nuovamente sul piccolo Lestrange.
Non riusciva a capire perché all'improvviso si sentisse
tanto attratto da lui. Si impose di continuare con la lezione, ma gli
Imp non gli erano mai sembrati tanto noiosi.
Delphini stesso ricambiava la sua curiosità o era solo
una sua impressione? Remus colse l'occasione al volo quando il
ragazzino fece un gesto con la mano.
“Vuoi dei chiarimenti, Delphini?” domandò
speranzoso.
“Per Merlino se li voglio!” esclamò quello come se
non aspettasse altro. “Lei sembra così normale, oggi.”
Remus percepì il pericolo, ma mantenne la calma senza
troppa difficoltà.
“Oggi?” ripeté guardingo.
Delphini annuì.
“Sembra uno qualsiasi, mi aspettavo qualcosa di meglio
da un lupo mannaro.”
“Sono esattamente quello che sembro,” gli rispose
gentilmente Remus. Pensava che quella del ragazzo fosse solo genuina
curiosità, non aveva il tono maligno che ci si aspetterebbe dal
figlio di Bellatrix Lestrange.
“Andiamo, non sia ridicolo. Lei mi ha leccato la mano
solo qualche sera fa, è stato così eccitante che non me la sono più
lavata.”
Remus sogghignò tra sé e sé. Era preparato alle
battutine sulla sua condizione, non lo mettevano in crisi come un
tempo.
“A meno che tu non fossi Trasfigurato in un dolce di
Mielandia, escludo di averti mai assaggiato,” replicò serio, ma
ridendo con gli occhi.
“Oh, lo ha fatto, invece. Sono entrato di nascosto nel
suo studio,” replicò tranquillamente il ragazzo.
Nell'aula si alzò un mormorio, l'aria era elettrica.
Remus s'irrigidì. “Ti ho leccato la mano,” ripeté
atono.
Delphini scoppiò a ridere e continuò fino a che le
lacrime gli scesero lungo le guance.
“Lei era in forma di lupo, naturalmente,”
spiegò quando si fu calmato. “Pensavo fosse scontato.”
La vista di Remus si offuscò e tutto si fece
indistinto, tranne il ragazzo.
“Sei entrato nel mio studio con... con la luna piena,”
comprese. “Come? È protetto da incantesimi che tu non puoi...”
Lui no, ma Teddy sì, pensò immediatamente. Lei li
conosceva e sapeva come neutralizzarli, ma non poteva essere stata
sua figlia, non poteva accettarlo.
Delphini non si scompose:
“Incantesimi da principianti, lei non sa chi sono io.”
“Non ti ho fatto del male...” mormorò Remus.
“No. Mi ha leccato le mani come un bravo cane.”
Remus si guardò attorno: le azioni del ragazzo lo
avevano sconvolto abbastanza da fargli scordare che la discussione si
stava svolgendo sotto lo sguardo attento di un nutrito gruppo di
Tassorosso e Corvonero.
“Vai dalla Preside,” ordinò seccamente a Delphini.
Il ragazzo arrossì come se lo avesse offeso.
“Cosa? Perché, non è giusto!”
Remus lo guardò con ferocia e il ragazzino annicchilì,
tutta l'aula piombò in un silenzio teso.
Delphini spinse indietro rumorosamente la sedia, alzò
la mano che sosteneva che l'insegnante gli avesse leccato e lasciò
l'aula tenendola sollevata come una bandiera.
Remus cercò di concludere dignitosamente la lezione e
quando l'ora finì fu con grande sollievo che trovò rifugio nel
proprio studio.
Ricordò che la mattina dopo la luna piena c'era puzza
di bruciato nella stanza e si disse che doveva chiedere a Madama
Chips se avesse notato qualcosa di sospetto.
Prese una manciata di Polvere Volante e si inginocchiò
davanti al camino e dopo qualche istante riaprì gli occhi nel
salotto di casa sua.
Tonks doveva essere appena rientrata dal lavoro perché
aveva ancora addosso il mantello.
“Ehi, Remus, che succede?” esclamò sorpresa quando
vide la sua testa fluttuare nelle braci.
“Dobbiamo rivedere gli incantesimi con cui sigillo il
mio studio,” le spiegò senza preamboli. Teneva alla sua opinione,
ma quello era più che altro un pretesto per sfogarsi con lei.
“Non dirmi che qualcuno li ha violati,” intuì
subito Tonks.
Remus riuscì solo ad annuire.
“Chi?” gli domandò, ma lo disse come se già
sapesse.
“Delphini Lestrange.”
Tonks non nascose la preoccupazione.
“Ti ha fatto del male o tu ne hai fatto a lui?”
“Lui sostiene che io l'ho... ecco... leccato sul dorso
di una mano.”
Tonks si accovacciò davanti al camino sbilanciandosi e
finendo quasi per caderci dentro.
“Oh, andiamo, mentiva!”
La sua certezza lo innervosì.
“Come fai a dirlo? Quanti estranei hai visto
interagire con me sotto pozione Antilupo?”
Tonks taque per un lungo istante.
“Dora?” ringhiò lui, anche se la strega si
nascondeva dietro un'espressione neutra quel silenzio era sufficiente
a tradirla.
“Nessuno. Circa.”
“Circa?”
“Una volta mia madre è entrata nella nostra
stanza...” ammise Tonks.
“Cosa? Perché non me lo hai detto?”
“Ti saresti preoccupato per niente.”
Remus chiuse gli occhi e fece per premerci sopra i
polpastrelli, quando ricordò che le sue mani erano rimaste a
Hogwarts col resto del suo corpo.
“Va bene, sorvoliamo. Qualcun altro?”
“Harry.”
“Ah, bene,” grugnì Remus, che iniziava seriamente
ad arrabbiarsi. “Organizzavi dei party nelle notti di plenilunio?”
“Ma non hai mai leccato nessuno.”
“Questo sistema tutto.”
“Remus...”
“Non avresti dovuto permetterlo, Dora, io mi fidavo di
te!”
“Va bene, chiedo perdono. Teddy aveva paura che tu ti
arrabbiassi e non volevo che ti spaventassi per niente...”
Remus si morse nervosamente il labbro inferiore.
“Quindi è stata Teddy a farli entrare,” constatò.
Tonks aprì e richiuse la bocca.
“Stai pensando che anche stavolta possa esserci il suo
zampino,” intuì. “Se lei e Delphini sono amici, forse...”
Remus provò un'immediata sensazione di sollievo.
“No, non direi che lo sono.”
Tonks non parve convinta.
“Meglio così,” disse pensierosa. “Per sicurezza
non dirle dei nuovi incantesimi, capito?”
Remus si allontanò dal caminetto prima ancora che lei
terminasse la frase: di chi si doveva fidare se non poteva contare
neppure sulla propria famiglia?
***
Delphi
aveva trovato il gargoyle a guardia dell'ingresso dell'ufficio della
Preside ma il professor Lupin
aveva scordato di dirgli la parola d'ordine. Decise che gli avrebbe
concesso dieci minuti per raggiungerlo e porre rimedio all'errore, se
non fosse arrivato in tempo si sentiva autorizzato a tornare a
lezione come se nulla fosse successo. Sicuro che grazie
all'espediente l'avrebbe passata liscia riuscendo oltretutto a far
sentire Lupin un povero idiota, si smontò quando vide Madama
Chips marciare verso di lui.
“Cosa
stai aspettando?” gli chiese bruscamente.
“Il
professor Lupin mi ha mandato dalla McGranitt senza spiegarmi come si
fa a entrare nel suo ufficio...” rispose. Non poteva più sfuggire
alla Preside, ma avrebbe fatto passare Lupin per idiota agli occhi
dell'infermiera della scuola... meglio di niente.
La strega strinse le labbra
fino a farle scomparire.
“Manico di scopa,”
pronunciò rigida e la statua di pietra si spostò, rivelando una
scala che si muoveva verso l'alto.
Delphi masticò un “grazie”.
“Prego,” replicò Madama
Chips, facendo in gesto in direzione delle scale. “Parlerò dopo
con la Preside.”
L'ufficio della Preside era
una stanza molto ampia a base circolare. Delphi si stupì di trovare
tanti cimeli di Quidditch, in una teca c'era persino un antico e
rarissimo Bolide di pietra.
C'erano diversi quadri
appesi alle pareti che ritraevano i Presidi di Hogwarts e stavano
tutti sonnecchiando, tranne uno con un soggetto particolamente brutto
che lo fissava sogghignando.
“L'anno scolastico è appena iniziato e sei già qui.
Tuo padre sarà orgoglioso di te,” commentò con malignità il
dipinto.
Delphi era perplesso.
“Come se lui lo sapesse...” sbuffò. Che ne sapeva
quel tizio di suo padre?
“Se non lo sa, lo scoprirà presto... è un
insegnante, dopotutto.”
Delphi lo guardò storto.
“L'ultima volta che ho controllato era ancora a
Azkaban,” disse al ritratto che probabilmente era stato dipinto
mille anni prima, quando non escludeva che suo padre, Lord Voldemort,
avesse effettivamente lavorato a Hogwarts.
Il quadro fece per replicare quando la zia Narcissa
entrò nello studio.
“Ho saputo,” disse, tradendo una certa ansia.
“Delphi, ti prego, cerca di comportarti bene con la Preside. Quello
che hai combinato... ne parla tutta la scuola...”
Delphi s'impettì, orgoglioso, ma si sgonfiò subito
dopo: lui era già famoso, quello che non voleva era essere espulso.
“Va bene...” mormorò.
***
Narcissa tirò un sospiro: quel bambino era indomabile,
sua sorella avrebbe dovuto essere più severa con lui, o per lo meno
permettere a lei di esserlo. Entrare nello studio dove riposava un
lupo mannaro in una notte di luna piena, come gli era venuto in
mente? Se fosse stato morso... non poteva pensarci, le implicazioni
sarebbero state gravissime. Non solo il ragazzo, ma anche lei e la
sua famiglia sarebbero stati in grave pericolo se il Signore Oscuro
avesse scoperto quello che era successo all'Erede sotto la loro
custodia.
“Perchè ti sta così a cuore quel ragazzo?”
Narcissa sussultò, non era stato Delphi a parlare, il
ragazzo stava studiando un bacile che riconobbe essere un Pensatoio
all'altro capo della stanza. Si girò in direzione della voce e
incontrò con lo sguardo il ritratto di Severus Piton appeso accanto
a quello addormentato di Albus Silente. Piton era un traditore, ma
era ancora in debito con lui: non aveva dimenticato che aveva stretto
il Patto Infrangibile e difeso Draco nel corso del sesto anno
scolastico del ragazzo.
“Potrebbe essere altrimenti? Lo conosco da quando è
nato,” spiegò gentilmente al dipinto.
Severus parve stupido.
“Quindi tu e Andromeda Tonks vi siete riavvicinate,”
constatò.
“Andromeda? Cosa c'entra... non capisco...” balbettò
Narcissa, ancora scossa dall'incontro con Teddy Lupin l'osservazione
la punse sul vivo.
Severus strinse gli occhi, cosa stesse cercando di
capire era per Narcissa un mistero.
“Il piccolo Lupin è il nipote di Andromeda,” le
disse infine come se ritenesse la spiegazione talmente ovvia da stare
dubitando dell'intelligenza della donna.
Narcissa comprese l'equivoco.
“Pensi che Delphi sia il figlio di Lupin e di
Ninfadora.”
“Mi sbaglio, forse?” chiese scettico Severus.
“Non farti ingannare dai suoi poteri di
Metamorfomagus,” lo avvertì Narcissa.
“Fosse solo il colore grottesco dei suoi capelli...
Somiglia molto al licantropo, purtroppo.”
Narcissa avvertì un'unica, violenta fitta al petto, ma
fu solo un fugace attimo.
“Delphi è figlio di Bellatrix e Rodolphus,” tagliò
corto, l'osservazione del ritratto era semplicemente ridicola.
L'espressione di Severus era indecifrabile.
“Ho sentito parlare di lui,” sibilò.
Narcissa si congedò con un cenno del capo e andò
incontro alla Preside che era appena entrata nello studio, sperando
nella sua clemenza.
Con enorme ritardo eccomi tornata ad aggiornare la
ff. Purtroppo non riesco a risolvere il problema con Open Office e
scrivere senza il correttore ortografico è piuttosto stressante per
me XD La storia è molto vicina a una svolta, niente di troppo
scontato, mi auguro.
Ringrazio tutte le persone che stanno seguendo la ff
e in particolar modo quelle che recensiscono. Al prossimo capitolo,
Fri
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