Oggi mi sento bene.
Certo, non sono affatto
psicologicamente pronto al pensiero di dover fare il terzo ciclo di
chemio domani ma, a parte questo, sto bene:
Ho avuto una notte tranquilla,
senza risvegli e senza incubi.
Niente febbre, bastonate del
fattore G. sempre più gestibili (siamo arrivati a solo
tre dosi di antidolorifico sulle ventiquattro ore) e neutrofili
ancora in salita.
Mi sta pure tornando il mio solito
appetito e Asia, appena l'ha saputo, si è precipitata qui
all'ora di pranzo con una teglia gigante di pasta al forno,
riuscendo a trascinarsi dietro anche mio padre, per pranzare tutti e
tre insieme.
Sembriamo quasi una famiglia
normale: una famiglia senza
drammi, senza lutti, senza Bestie pronte ad attaccare e uccidere.
Peccato che poi alle 13 arriva Ester
col fattore G. e ci riporta tutti alla realtà.
Quando loro vanno via, guardo un
episodio di The Walking Dead e dopo il cambio turno degli
infermieri mi cambio e comincio ad allenarmi come ieri.
Va ancora meglio: il riposo di stanotte
e la pasta di Asia mi hanno dato l'energia giusta; ho il fiatone, ma
non mi importa; il mio i-pod passa le migliori canzoni per
l'allenamento ed io mi sento pieno di energia.
Riesco a completare il circuito molto
più in fretta rispetto a ieri, poi mi infilo in doccia.
Mi ritrovo a pensare alla chemio di
domani e ammetto di avere paura per come potrà reagire il mio
corpo. Temo che questo sia l’ultimo giorno di benessere e che
da domani ricomincerò a stare male.
Ma che ci posso fare?
Niente.
Non ho alternative.
Pazientare.
E' che io non sono per niente un tipo
paziente.
Ed è che qua, la faccenda, è
proprio lunga.
Se non altro, quella di domani, sarà
l'ultima chemio per un po'; poi se ne riparlerà dopo
l'operazione.
Anche l'operazione mi fa paura.
Non ne so molto ma qualcosa mi dice che
sarà un po' più complicata della biopsia.
Se tutto questo serve a sconfiggere la
Bestia, però, mi va bene.
Sconfiggere la Bestia e mettere fine a
quest'incubo è tutto ciò che mi interessa, adesso.
Se elimino la Bestia scompariranno il
dolore, l'angoscia, la fatica, la paura.
La paura forse no.
Forse quella rimarrà, dentro di
me, come una compagna silenziosa ma presente.
Ma la mia vita potrà tornare
come un tempo.
Io potrò tornare libero e sano
come due mesi fa.
Libero e sano.
Così ero solo due mesi fa.
Due mesi.
Sembrano passati secoli.
Ma di una cosa sono certo: se sconfiggo
la Bestia riavrò la pace.
Riavrò il mio sorriso, quello
più vero.
E riavrò il sorriso vero di
coloro che mi amano, che ormai anche quando mi sorridono hanno sempre
quell'espressione preoccupata e mi guardano con compassione, col
timore che io possa scomparire da un momento all'altro.
L'acqua tiepida scivola sulla mia pelle
come una carezza morbida, mi distrae dai miei pensieri, mi rilassa,
mi àncora al presente.
Chiudo gli occhi, per assaporare meglio
questa sensazione di pace e tranquillità che mi avvolge.
Comincio a lavarmi i capelli.
Piano, delicatamente, col terrore che
mi rimangano in mano.
E invece succede lo stesso.
E invece il momento è arrivato.
Ed io non sono pronto.
Non lo sono affatto.
Guardo quella ciocca di capelli stretta
nella mia mano e non riesco a riconoscerla come parte di me.
Tento disperatamente di resistere, di
non lasciare che il dolore abbia la meglio.
Mi appoggio a una parete della doccia e
mi lascio scivolare in terra, tenendo stretti i capelli nel pugno,
mentre la sensazione di vuoto e di perdita annulla tutto il resto.
Alzo gli occhi verso il soffitto
sperando di fermare le lacrime, ma è del tutto inutile.
Cerco con tutte le forze di soffocare
l'emozione che mi sta assalendo, ma non ci riesco e alla fine mi
ritrovo a singhiozzare come un bambino.
Cerco di aggrapparmi più che
posso ai miei pensieri positivi, alla mia forza, alla mia
ostinazione, alla mia voglia di vivere, ma tutto ciò perde
importanza di fronte a quella ciocca di capelli.
Mi sento svuotato.
Un'altra volta perso.
E sono ancora seduto a terra.
Con la testa appoggiata contro le
piastrelle e l'acqua che mi scorre addosso.
Con la faccia bagnata di acqua e di
lacrime.
E totalmente privo di forze.
Sono fermo qui da troppo tempo.
Ho la pelle di mani e piedi
completamente raggrinzita dall'acqua.
E ho freddo.
Mi decido ad alzarmi ed esco dal box
doccia con i capelli ancora stretti nel pugno.
Mi avvicino con timore allo specchio
mentre gocciolo dappertutto.
Non si nota niente.
Non si vede niente.
Apro il pugno e riguardo la ciocca di
capelli.
E' solo una ciocca, ed io di capelli ne
ho tanti.
Non si nota.
Magari perderò solo questi.
Magari non ne cadranno degli altri.
No, non la do a bere nemmeno a me
stesso.
Continuo a tenere i capelli in mano,
come se così fossero ancora miei.
La verità è che non lo
sono più.
Deglutisco e li butto nel water.
Li guardo galleggiare, lontani da me,
cercando di prenderne le distanze.
Ho freddo.
Indosso l'accappatoio, me lo stringo
addosso, mi friziono per riscaldarmi.
Ho paura di asciugare i capelli.
Ho paura di strofinarli con
l'asciugamano.
Ho paura di usare il phon.
Guardo un'ultima volta i capelli nel
water, poi tiro lo sciacquone e chiudo il coperchio.
Mi ci siedo sopra sospirando.
Porto la testa bagnata tra le mani.
Rimango immobile, ancora per lungo
tempo.
Bussano alla porta.
"Ah Leo! Tutto bene?! E' un'ora
che stai lì dentro!".
E' la voce di Ulisse.
"Sì! Tutto bene!" urlo
restando seduto.
"Devo provarte la febbre!"
"Puoi ripassare tra dieci minuti?"
"E vabè! Poi basta però!
Son già passato due volte! Tra dieci minuti te voglio qua!"
"Sì, sì, promesso".
Sento il rumore dei passi che si
allontanano e della porta della camera che si chiude.
Se n'è andato.
Vado in camera, mi vesto e torno in
bagno per mettere via l'accappatoio.
Ho i capelli ancora bagnati.
Prendo un asciugamano e li tampono
leggermente, senza frizionare.
Torno di là e mi butto sul letto
aspettando Ulisse, che arriva dopo pochi minuti.
"Ma c'hai i capelli tutti
bagnati!" nota lui quando mi metto a sedere sul letto. "Hai
pure bagnato er cuscino!"
"Vabbè, siamo in estate, no?
Fa lo stesso!" esclamo prendendogli di mano il termometro e
mettendolo sotto l'ascella.
"Ma guarda qua! C'hai pure mani e
piedi tutti raggrinziti! Ma quanto sei stato a mollo?! Volevi diventà
un pesce?!"
"Si dice sano come un pesce,
no? Se divento un pesce forse torno sano!"
"Io dico che così te viene
'nà bronchite! Altro che sano come un pesce!"
"Andiamo Ulisse! Mi sembri mia
sorella!"
"Te sembro tù sorella?! Te
la do io tù sorella, te la do!" dice agitando una mano
in aria. "Vado a prendertene 'na asciugamano!"
"Mà no!"
"Mà sì, invece!".
Va in bagno e torna subito dopo con un
asciugamano, cominciando a frizionarmi i capelli.
"Lascia,
lascia! Faccio io!" esclamo mentre il termometro suona. "Toh!
Tu prendi questo" gli dico porgendogli il termometro per
allontanare il più possibile le sue enormi mani dai miei
capelli.
"Mannàggia a te! T'è tornata la febbre!".
Cazzo, questa non ci voleva.
"Adesso fili in bagno e t'asciughi
quei capelli! Altrimenti te ci trasformo io in un pesce!".
Io sbuffo e mi alzo dal letto, mentre
lui mi viene dietro. "Adesso glielo dici te alla Lisandri!
Glielo vai a dire a lei che tanto sèmo in estate!! La febbre a
38 te sei fatto venì! E non è ancora sera! Te se alza
di sicuro! E domani c'hai la chemio!".
Lo lascio parlare senza rispondere,
prendo il phon, lo metto al minimo e comincio ad asciugarmi i
capelli.
"Eh, buonanotte! Così ce
metti fino a domani! Alza un po'!" esclama lui prendendomi il
phon dalle mani e alzando la velocità e la temperatura.
"Sono capace di asciugarmeli da
solo, eh?! Non mi serve la balia!" dico riprendendo il phon.
"A me, me pare de sì!"
"Mi puoi lasciare in pace?!"
gli chiedo alzando la voce.
"Mamma mia, ahò! Stai
nervoso, eh?!"
"Sì, sono nervoso! Adesso
mi lasci in pace?!" esclamo esasperato, mentre sento che gli
occhi mi si riempiono di lacrime.
"Vabbè, vado a dire alla
Lisandri che c'hai la febbre e sentiamo che dice. Quando torno li
voglio vedè asciutti!"
"Ma sì, ma sì,
adesso vai!".
Lui fa per andarsene ma poi si volta di
nuovo verso di me: "C'hai paura che te cascano, è così?"
mi domanda guardandomi negli occhi mentre io stringo le labbra per
non piangere.
"Hanno già cominciato"
rispondo, non distogliendo lo sguardo dal suo. "Prima, sotto la
doccia. E avevi ragione tu... va bene?!" dico alzando la voce.
"Avevi ragione tu! Mi sono sentito morire a vederli cadere!
Avevi ragione! Sei contento, adesso?!"; mi rendo conto che sto
quasi urlando, ma non riesco a trattenermi.
"No che non sò contento.
Leo, me dispiace... Guarda che io, de rasarti, lo dicevo solo per
te...".
Allunga una mano verso la mia schiena.
La sento calda.
Forte.
Sicura.
Vorrei fosse la mano di mio padre.
"Lo so. Grazie" gli dico
scostandomi. "Vai pure dalla Lisandri adesso".
Lui mi rivolge un sorriso triste: "Sì,
vado".
Quando vado in camera vedo che il
cuscino bagnato è stato sostituito da uno asciutto e sorrido
grato. Mi siedo sul letto a giocare alla Play e dopo un po' torna
Ulisse, seguito dalla Lisandri.
"Ciao Leo".
Io metto giù la Play e accenno
un saluto con la mano: "Dottoressa...".
"Vediamo un po' cosa succede..."
dice avvicinandosi a me e cominciando a toccarmi intorno alla
mascella e sotto al mento. "I linfonodi non sono infiammati"
dice mentre Ulisse scrive sulla mia cartella. "Apri la bocca."
"E il dottor Carlo dove l'ha
lasciato oggi? Sento la sua mancanza!"
"Ha già finito il suo turno
per oggi, dovrai accontentarti solo di me. Apri la bocca."
"Eseguo!"
"Giù la lingua. Dì
Aaa... Niente, anche la gola è a posto. Togli la maglietta".
Mi visita col fonendoscopio e dichiara
che anche bronchi e polmoni sono a posto. Controlla fegato e milza ed
è tutto a posto anche lì.
"Non è chiaro da dove
provenga questa febbre. Potrebbe essere il fattore G. Hai qualche
sintomo?"
"No."
"Nessun dolore o malessere?"
"No, mi sento solo un po' stanco".
Ma probabilmente è colpa
dell'allenamento intensivo degli ultimi due giorni; anche se mi
guardo bene dal dirglielo.
La Lisandri fa cenno ad Ulisse di
passarle la cartella clinica; la guarda a lungo, la esamina in cerca
di qualcosa. "Mh... se anche avessi dei dolori non li
avvertiresti perché sei ancora sotto antidolorifico..."
dice parlando più con se stessa che con me. "Non so da
dove provenga questa febbre, ma entro domattina bisogna che non ci
sia più. L'esame del sangue di stamattina era buono... Non
c'erano in corso infezioni, i neutrofili erano 2100... questa febbre
non me la spiego. Sei sicuro di essere stato bene per tutto il
giorno?" mi domanda sedendosi ai piedi del letto.
"Sì."
"Prova a raccontarmi la tua
giornata..." mi dice togliendosi gli occhiali.
"Non ho molto da raccontare, dato
che sono chiuso qua per tutto il giorno..."
"La scorsa notte hai dormito
bene?"
"Sì..."
"L'appetito? Devi sforzarti ancora
per mangiare?"
"Dipende da cosa mi portano..."
"E oggi?"
"Oggi è venuta mia sorella
con la pasta al forno e ho mangiato di gusto."
"E' venuta Asia? E stava bene? Non
era influenzata, per caso?"
"No, stava benissimo. E anche mio
padre."
"Quindi hai pranzato con loro? E
poi?"
"E poi niente, è venuta
Ester per il fattore G..."
"Sì, questo lo so. E poi?
Che hai fatto?"
"Ho guardato un telefilm,
ascoltato musica, roba così..."
"E hai fatto una doccia".
Io guardo Ulisse, che è alle sue
spalle, per capire se lui le abbia detto qualcosa sui miei capelli,
ma dall'espressione che mi fa sembrerebbe proprio di no.
"Sì... come lo sa?"
"Diciamo che ho un buon olfatto.
Ho sentito l'odore del bagnoschiuma appena sono entrata. Hai usato
l'acqua troppo calda? Troppo fredda?".
"No... normale, tiepida."
"Sei rimasto bagnato a lungo? Hai
lasciato i capelli bagnati?".
Ulisse mi fa di nuovo segno che non le
ha detto niente ed io gli credo: d'altronde mi ha pure cambiato il
cuscino bagnato prima di andarla a chiamare.
"Ma no..." le rispondo
sfregandomi un occhio.
"Senti Leo, domattina ti aspetta
la chemio e sai benissimo quanto sia fisicamente pesante. Devi
arrivarci al meglio. Dobbiamo fare scendere questa febbre, ma non
posso azzardare terapie a caso."
"Niente antibiotici a chi
piglio piglio, stavolta?"
"Gli antibiotici debilitano molto
il fisico e alla vigilia della chemio non ce lo possiamo permettere.
Tu sei proprio sicuro di essertene stato tranquillo per tutto il
giorno? Di aver riposato, di aver dormito bene, di aver mangiato?"
"Mà sì!"
"Non è che sei uscito di
nascosto e te ne sei andato in giardino? O in palestra?"
"No, giuro" dico trattenendo
a stento una risata.
Beh, sul fatto di non essere uscito
dalla stanza posso giurare davvero.
"Leo, non stiamo giocando. Qua si
tratta della tua salute. Devo capire se la febbre è un effetto
collaterale del fattore G. oppure se c'è dell'altro".
Questo interrogatorio mi sta sfiancando
ed io vorrei solo essere lasciato in pace e starmene da solo.
"E va bene! C'è dell'altro!
Mi sono un po' allenato..., ok? Può darsi che mi sia
affaticato un po'..."
"Credo di non aver capito bene..."
mi dice guardandomi seria, mentre Ulisse ha capito benissimo e mi
fulmina con uno sguardo.
"Ho fatto qualche esercizio..."
"Cosa vuol dire che hai fatto
qualche esercizio?!" esclama lei alzandosi. "Per
quanto tempo?"
"Circa una quarantina di minuti...
Più un'ora ieri..." ammetto a bassa voce.
"Tu mi stai prendendo in giro,
vero?" mi domanda incrociando le braccia. "Dimmi che mi
stai prendendo in giro!"
"No, ma mi sentivo bene e..."
"E... e cosa?!" urla
lei. "Io ti ho detto di non uscire da questa stanza per non
affaticarti e tu hai pensato bene di allenarti per due giorni di
fila?! Sei un incosciente! Un irresponsabile!"; continua a
sgridarmi mentre io distolgo lo sguardo da lei e guardo un punto
impreciso della stanza. "Si è un po' allenato...,
hai capito Ulisse?! Ha fatto qualche esercizio! E poi vuole
che lo trattiamo da adulto! Altro che adulto! La baby sitter
mi tocca assumere, qua! Non ti possiamo lasciare da solo! Adesso
dimmi come faccio a fidarmi ancora di te?! Eh?! Me lo dici?!"
esclama mentre cammina avanti e indietro per la stanza come una
furia. "Ma cosa credi?! Che io mi diverta a tenerti prigioniero,
come dici tu?! Credi che sia una sadica?! E' questo che credi?! Credi
che stiamo giocando qui?! Hai una vita di riserva, per caso?! No, non
ce l'hai!".
Io sono rimasto zitto finora, ad
accusare il colpo, ma dopo quest'ultima frase non ce la faccio
proprio a non risponderle: "No, non ce l'ho la vita di riserva!
E' per questo che cerco di rendere meno schifosa quella che mi
ritrovo!".
Lei smette di colpo di camminare e mi
fissa; in fondo alla rabbia che ancora infiamma i suoi occhi,
percepisco qualcos'altro che non saprei ben definire: dispiacere,
frustrazione, compassione, forse. "Che tu mi creda o no, è
quello che sto cercando di fare anch'io: migliorare come posso la tua
vita, anche a costo di farmi odiare da te" dice prendendo in
mano la mia cartella e scrivendoci sopra. "Ulisse...,
somministra per infusione endovenosa un flacone di acido
acetilsalicilico diluito in fisiologica. Da ripetere ogni quattro
ore, fino a domattina prima del prelievo. Controlla la febbre ogni
due ore. Quando arriva Laura spiegale la situazione e dille di
monitorare la febbre anche tutta la notte, sempre ogni due ore, col
termometro se è sveglio o basandosi sul polso se dorme. Se
dovesse salire oltre i 38 chiamate me o il medico di guardia, nel
caso io sia già andata via".
"Va bene dottoressa" risponde
Ulisse, che ha preferito rimanere in silenzio per tutto il tempo.
Lei fa un cenno con la testa verso di
lui e poi se ne va senza dirmi niente.
"Eh, certo che l'hai proprio fatta
incazzà!" osserva Ulisse guardandomi.
La giornata prometteva bene, prima di
quei maledetti capelli nella mia mano.
Prima di questa maledetta febbre.
Prima della sfuriata della Lisandri e
del suo ricordarmi che una vita di riserva io proprio non ce l'ho.
Ho la certezza che i miei capelli hanno
cominciato a cadere.
Ho la certezza che mi toccherà
stare chiuso in questa stanza chissà ancora per quanto.
Ho la certezza che domattina mi tocca
di nuovo la chemio.
Ho la certezza che tra poco mi tocca di
nuovo la flebo.
Ho la certezza che adesso ho un
grandissimo giramento di palle.
Ma nessuna vita di riserva.
Quella proprio non ce l'ho.
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