Capitolo
trentatre
Giusto
o sbagliato
Silye
affondò le mani chiuse a coppa nella bacinella che le aveva
fornito
Ashild, prendendo un po' d'acqua, e abbassò il viso per
sciaquarselo, come se tramite quel gesto avesse potuto lavare via non
solo il sangue dell'uomo che aveva ucciso, ma anche le sue colpe.
Gettò
uno sguardo ai polsi: se li era strofinati talmente tanto da far
arrossare la pelle e non lasciare nemmeno l'ombra delle macchie di
sangue. Avrebbe voluto cancellare per sempre ciò che aveva
compiuto
o il ricordo di esso, ma sapeva fin troppo bene che ciò non
era
possibile. Non riusciva a smettere di ripercorrere il momento
dell'uccisione e desiderare di cambiarlo, di essersi comportata
differentemente e avergli risparmiato la vita.
La
parola assassina
continuava
a rimbombarle nella testa senza tregua, facendole ogni volta salire
di nuovo sulla bocca il sapore acido della bile. Era davvero
diventata un'assassina? Aveva davvero privato un uomo della sua vita?
Per
anni era cresciuta imparando a difendersi dai malintenzionati di cui
i villaggi e le città di Midgardr erano piene, ma mai era
arrivata a
superare il limite che si era imposta dopo la morte del padre:
l'omicidio, fosse esso pure per legittima difesa.
Aveva
sottratto miriadi di soldi e oggetti alle persone, ma mai la loro
vita. Fino ad allora.
«Silye»
si sentì chiamare da Vidar, entrato in quel momento nella
stanza.
Lei, però, non si voltò a guardarlo; rimase a
fissare il proprio
riflesso opaco nell'acqua del catino. Vidar si sedette a terra
accanto a lei, di fronte al camino in cui continuava a scoppiettare
allegro un piccolo fuoco. «Stai bene?»
«Sono
un'assassina» mormorò lei, dando voce ai pensieri
che non facevano
altro che tormentarla dal momento in cui aveva messo piede fuori
dalla locanda.
«Sotto
un certo punto di vista, si potrebbe dire di sì»
disse lui. «Ma
l'hai fatto per un giusto motivo. Ti stava facendo del male, Silye.
Non dico che sarebbe arrivato ad ucciderti, perché gli
servivi viva,
ma avrebbe fatto di tutto pur di costringerti ad andare con
lui.»
«Ma
non meritava di morire.»
«E
chi merita di morire in questo mondo? Potrei cercare di farmi
apparire come una persona benevola dicendoti nessuno, ma non sarebbe
vero. Alla fine di questa vita a tutti non aspetta nient'altro che la
morte, chi prima, chi dopo. Bisogna solo prenderne atto e cercare di
vivere come meglio si crede. E non credere che anche il dopo
sia
migliore: chi è fortunato, cioè i morti in
battaglia, vanno nel
Valhalla, ma la maggior parte della gente finisce da Hel. Potrei
farti un bel discorso sul fatto che tutti hanno la
possibilità di
riscattarsi e mostrare che c'è del buono in loro, ma starei
mentendo. Certa gente semplicemente merita il peggio» mentre
parlava, la sua voce si era incrinata, facendo voltare Silye al
percepire quel cambiamento.
«Che
ragionamento... cinico. Sei convinto che la redenzione e il perdono
non contino nulla?»
«Credo
solo che siano molto difficili da ottenere, se non quasi
impossibili.»
«Cosa...
Cosa ti ha spinto a pensarla così? A diventare
così...
pessimista e freddo?»
«Credo...
me
stesso»
disse, sollevando il viso e volgendo lo sguardo verso di lei, fino a
poco prima puntato sul fuoco. «Ho fatto cose orribili, Silye.
Se tu
sapessi... probabilmente mi odieresti più di quanto tu
già non
faccia.»
Negli
attimi di silenzio che seguirono, Silye cercò di
interpretare il suo
sguardo e le sue parole, chiedendosi cosa avesse fatto di tanto grave
da arrivare a disprezzarsi tanto, come era trasparito dal tono della
sua voce. Poteva la sua colpa essere più grande di quella
che ora
gravava su di lei?
Quindi
spezzò il silenzio, ribattendo: «Io non ti
odio.»
«Cosa?»
«All'inizio
sì, ti odiavo, e anche quando mi hai detto quelle parole
l'altro
giorno. Ma adesso... Sto imparando a guardarti sotto una luce
diversa» disse di getto, senza smettere di guardare i suoi
occhi
ambra, che in quel momento alla luce delle fiamme avevano acquisito
una tonalità di giallo più spiccata ed accesa,
tanto da sembrare
essi stessi due fuochi divampanti.
Ormai
Silye non riusciva più a mettere ordine nella sua mente,
dove la
confusione, il senso di colpa e la stanchezza regnavano
incondizionati, forse anche per gli effetti non ancora scomparsi del
troppo alcol ingerito. Sentiva la sua mente e il suo cuore in
subbuglio e in tutto ciò l'unica cosa su cui riusciva a
soffermarsi
era il volto di Vidar, così vicino al suo.
Tutti
i diverbi che avevano avuto, le cattiverie che si erano urlati, i
segreti celati e i pericoli che avevano attraversato in quel momento
sembrarono sfumare, diventare insignificanti e lontani. Vi erano solo
lei e il dio, senza più differenze e disprezzo.
«Lo
pensi davvero?» chiese il dio, ma non le diede nemmeno il
tempo di
rispondere, perché in un attimo ricoprì la
distanza che li
separava, unendo le loro labbra.
Silye
all'inizio, colta alla sprovvista, rimase pietrificata per la
sorpresa. Quando poi sentì la mano di Vidar risalire sul suo
collo
con lentezza e dolcezza, lasciandole una scia di brividi, fino a
toccarle i capelli, affondando nei riccioli rossi, si decise a
mettere da parte ogni insicurezza e paura, schiudendo le labbra ed
approfondendo il bacio. Socchiuse gli occhi e si lasciò
trascinare
dall'istinto, ignorando una vocina lontana che le diceva di
smetterla, di allontanarsi il prima possibile da lui. Una parte di
lei sapeva che diceva il vero, ma non riusciva proprio a rompere quel
contatto; più le mani calde e morbide di Vidar le
accarezzavano la
pelle e le sue labbra si appropiavano delle sue, più lei
desiderava
che quel momento durasse in eterno.
Man
mano che il bacio si faceva più passionale, Silye divenne
più
ardita e andò a passare le mani sui riccioli biondi di
Vidar, che
tante volte aveva inconsciamente desiderato toccare, avvicinandolo di
più a sé.
Non
avrebbe mai creduto che baciare qualcuno ed essere ricambiata con
tanta enfasi potesse essere una sensazione così bella e
totalizzante. Era come per l'alcol: dopo il primo assaggio, non
riusciva a fare a meno di volerne sempre di più, senza
curarsi dei
problemi e delle conseguenze.
I
suoi movimenti si fecero audaci e le sue mani scesero fino
all'attaccatura dei capelli e il collo, arrivando sino al petto, nel
punto in cui iniziava la maglietta, di cui strinse l'orlo. Era come
se in entrambi fosse divampato un invincibile fuoco, che li divorava
da dentro e li guidava.
All'improvviso
ebbe un attimo di lucidità e si rese conto di ciò
che stava davvero
accadendo. Ripensò alle innumerevoli volte in cui lui
l'aveva derisa
e alle loro liti. Se
vuoi divertirti con lei, fai pure; ma che rimanga solo puro svago.
Quella
frase le tornò in mente con una dolorosa realizzazione.
Stava
seguendo il “consiglio” di Baldr? La stava usando
solo per
divertimento?
«Vidar...»
mormorò, ma senza trovare il coraggio di staccarsi da lui.
«Dobbiamo
smetterla. È
sbagliato.»
Sapeva
che
dovevano fermarsi, che quel bacio non avrebbe fatto altro che
peggiorare il loro instabile rapporto, ma il vero problema era che
lei lo voleva.
In quel momento non desiderava altro che sentire le labbra di Vidar
sulle sue, le sue mani sul suo corpo e tra i suoi capelli. Lo voleva
accanto a sé e avrebbe desiderato che il tempo si fermasse e
che
quei meravigliosi attimi di passione e follia non avessero mai fine.
«In
vita mia non ho mai fatto cosa più giusta di questa»
ribatté Vidar, continuando a baciarla e a stringerle
delicatamente
il collo con entrambe le mani.
All'improvviso
un colpo di tosse li fece trasalire, facendo loro riacquistare la
ragione, e dividere. Silye guardò la porta spalancata su cui
era
apparsa Ashild, per poi abbassare subito lo sguardo, troppo
imbarazzata per sostenere la sua espressione divertita.
«Mi
dispiace interrompervi, perché sembrava che ve la steste
spassando
parecchio, ma ho trovato qualcosa che potrebbe interessare tutti e
tre» disse, mostrano l'oggetto di cui era entrata in
possesso: il
libro delle völve.
Silye
sbiancò quando lo vide nelle mani di una sconosciuta, una
ragazza
che dopotutto, sebbene li avesse aiutati, non conoscevano affatto.
Avrebbe potuto fare domande o addirittura per qualche motivo
pretendere di volere il libro e tutti gli altri loro averi come pegno
del suo aiuto. Che stupidi erano stati a fidarsi di lei! L'imbarazzo
di poco prima si tramutò in fastidio e rabbia. «Ridammelo
immediatamente» ringhiò, alzandosi e andandole
incontro, ma quella,
anziché mostrarsi spaventata o accondiscente alla sua
richiesta,
rimase immobile e, anzi, sorrise.
«Prima
voglio delle risposte» affermò. «E credo
proprio che me le
dobbiate, dopo ciò che ho fatto per voi.»
La
ladra ci aveva visto giusto: quella ragazza, sotto l'aspetto
esteriore di una giovane affascinante e combattiva, in
realtà era
una gran ficcanaso, seppur parecchio astuta.
«Non
credo proprio. Dammi il libro o finirai per rovinarlo. È
un importante manufatto.»
Ashild
se lo mise davanti e prese a sfogliare velocemente le pagine,
sinceramente interessata a ciò che vi era scritto.
«È
tutto come mi raccontava lei...»
“Chi
è lei?”
pensò Silye, ma liquidò in fretta la faccenda. Al
momento aveva un
problema ben maggiore che la premeva.
«Vacci
piano! È
antico»
la ammonì Silye, lanciandole un'espressione rabbiosa.
«Cosa
vuoi sapere?» chiese Vidar, che si era alzato anche lui e
aveva
affiancato la ladra.
«Questo.
Tutto questo» Ashild indicò il libro.
«Sono vere le cose scritte
qui? Come siete entrati in possesso di un oggetto simile?»
«Ciò
che ci stai chiedendo è al di fuori della tua
portata.»
«Credo
di meritare la verità, non lo pensate?»
«Bene,
vuoi la verità? Tutto ciò che vedi scritto e
raccontato in quel
libro è falso. Non sono altro che frottole e, ora che hai
ricevuto
le tue risposte, restituiscici il libro.»
«Se
fosse davvero falso, il libro non dovrebbe essere così
prezioso come
pare che sia per voi» insistette quella, chiudendo di scatto
l'oggetto e osservando la copertina rovinata.
Vidar
tentò di prenderlo, ma quella fece resistenza e se lo tenne
ben
stretto tra le mani, tanto che il dio fu costretto a lasciare la
presa, per evitare di rompere il fragile oggetto. «Ti prego,
non
fare la bambina. Ti ringraziamo per l'aiuto che ci hai dato ma d'ora
in poi possiamo anche cavarcela da soli. Dacci il libro e toglieremo
il disturbo.»
«Bene,
ne ho abbastanza» Ashild superò i due e si
avviò verso il camino,
avvicinando pericolosamente il libro alle fiamme. «Ora ditemi
tutto
o brucio il vostro prezioso libro.»
«Non
provarci»
ringhiò Silye, facendo per scagliarsi contro di lei, ma
venne
trattenuta da Vidar.
«Non
peggiorare la situazione» le sussurrò lui e lei si
liberò dalla
sua presa con uno strattone.
«Sto
aspettando» affermò Ashild.
«D'accordo,
d'accordo» Vidar alzò le braccia, come a
dichiarare la resa. «Vuoi
sapere la verità? Sì, le cose scritte su quel
libro sono reali, o
almeno lo erano. Appartengono al mondo che esistette prima del
Ragnarok, che ne provocò la distruzione, e solo poche di
esse sono
sopravvissute attraverso i secoli. Perciò, direi che non
c'è
proprio nulla che possa interessarti.»
«E
voi chi siete? Come fate a sapere tutto ciò?»
chiese la ragazza,
guardandoli guardinga e dubbiosa.
Vidar
sorrise. «Io sono un dio e lei è una völva,
cioè una veggente.»
Silye
si girò a fissarlo come se fosse diventato matto,
lanciandogli uno
sguardo insieme confuso e infuriato. Cosa gli era saltato in testa?
Perché rivelare tutti quei dettagli a un'umana sconosciuta?
Con
suo immenso stupore, Ashild non scoppiò a ridere o li
osservò come
se fossero entrambi pazzi, ma li guardò con estrema
serietà, come
se credeva davvero a ciò che le avevano raccontato.
«Sapevo che era
tutto vero... Mia madre non era matta» disse, più
a se stessa che a
Vidar e Silye, che la fissarono interdetti.
«Cosa...
cosa intendi?» domandò la ladra, abbandonando ogni
sentimento di
ira nei suoi confronti.
«Mia
madre... lei... sapeva che le leggende tramandate erano vere»
mormorò la ragazza. «E... lui»
nel pronunciare quell'ultima parola, la sua voce si caricò
di rabbia
e dolore, sentimenti che Silye comprendeva bene e riusciva facilmente
a riconoscere. «Lui l'ha uccisa.»
«Chi?
Spiegati meglio» disse Silye, avvicinandosi a lei.
«Il
Konungr» affermò con disprezzo.
La
ladra trasalì al sentire quella parola. Perché
mai il sovrano aveva
avuto interesse nel mandare a morte la madre di Ashild? «Cosa
c'entra lui in questa storia?»
«È
mio padre»
disse, distogliendo lo sguardo da loro e puntandolo sulle fiamme,
mentre allontanava da esse il libro e lo appoggiava a terra. Silye
avrebbe benissimo potuto afferrarlo e andarsene il prima possibile,
ma al sentire quella rivelazione non poté fare a meno di
mostrare
interesse nelle vicende di Ashild.
«Tu
sei... la figlia del Konungr? Come è possibile? La
principessa è
morta molti anni fa.»
«Già,
la bella storiella che si è inventato mio padre per coprire
la mia
fuga. E ormai non sono più la principessa. Quella parte di
me è
morta quando me ne sono andata.»
«Sei
scappata dal suo palazzo? Perché?»
continuò a chiedere Silye,
lanciando un'occhiata eloquente a Vidar. Se era vero ciò che
quella
ragazza stava dicendo, avrebbe potuto aiutarli ad incontrare il re.
Ashild
evitò di rispondere alle sue domande e, invece,
spostò lo sguardo
su di lei. «Ti interessa il Konungr? O, piuttosto, la taglia
sulla
mia testa? Sono due anni che mio padre mi cerca in ogni angolo del
regno, senza successo. Sai, ho i miei trucchi per non farmi
scovare.»
«Ora
sono diventata una ricercata come te, non ho alcuna intenzione di
tradirti e consegnarti ai soldati del re, ma sì, in un certo
senso
lui mi interessa. Abbiamo bisogno di incontrarlo e tu potresti
aiutarci a entrare nel suo castello.»
La
ragazza rimase per un po' in silenzio, come se stesse riflettendo
sulle sue parole. Quindi si alzò e disse loro, indicando con
un dito
il libro lasciato a terra: «Bene. Vi aiuterò, ma a
patto che voi mi
diciate tutto ciò che sapete su questi miti.»
«Abbiamo
un accordo» concluse Silye, girandosi verso Vidar, che la
guardava
con un'espressione dura. La ladra dovette fare un enorme sforzo per
evitare di ricordare la sensazione delle sue labbra e mani sulla sua
pelle, senza riuscire a sopprimere il rossore che le salì al
viso.
«Sei
stata troppo avventata ad accettare; potrebbe essere
pericoloso»
disse, prendendola da parte e parlando a voce bassa.
«Hai
alternative? Hai intenzione di fare irruzione nel suo castello senza
un briciolo di piano, come da Hel? E devo rammentarti quanto male
è
andato il nostro viaggio negli Inferi?»
Lui
in risposta strinse le labbra. «Potrebbe stare mentendo. E
ancora
sappiamo pochissimo su di lei e su ciò che è
accaduto ai suoi
genitori. Potrebbe benissimo essere solo una pazza o una
bugiarda.»
Silye
ricordò la lucidità e la fierezza dimostrate
dalla ragazza durante
il duello con i cacciatori di taglie e la disperazione e l'ira che
aveva scorto nel suo volto quando aveva parlato della madre e del re.
No, entrambe le opzioni erano da escludere.
«Io
dico che dobbiamo fidarci. Facciamo almeno un tentativo. Se poi si
rivelerà inutile, come dici tu, ce la toglieremo di dosso
senza
problemi.»
«E
va bene. Ma sappi che, se poi vengo a scoprire che non sa nulla sul
re e che in realtà è solo un peso, non
esiterò a liberarmene.»
«Come
vuoi» affermò Silye, abbassando lo sguardo per
evitare di
incontrare i suoi occhi. “A causa di quello stupido bacio,
ora sarà
molto più difficile sopportare la sua vicinanza e
parlargli”
pensò, affrettandosi ad allontanarsi da lui.
Angolo dell'autrice:
Beh, la situazione si
è parecchio riscaldata...XD Finalmente quelle due teste dure
si sono accorti di provare qualcosa l'uno per l'altro, ma il bacio
sarà positivo per il loro rapporto oppure, come pensa Silye,
servirà solo a complicare la situazione? E vi aspettavate
che Ashild fosse la figlia del Konungr?
Spero che abbiate gradito il
capitolo! Grazie mille per le sempre gentilissime recensioni e a
presto. ^^
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