ReggaeFamily
Capitolo
sette: Sono
solo canzonette
Mi
ricordo che anni fa
di sfuggita dentro un bar
ho sentito un juke-box
che suonava
e nei sogni di bambino
la chitarra era una spada
e chi non ci credeva era
un pirata!
[...]
E così e se vi
pare
ma lasciatemi sfogare
non mettetemi alle
strette
e con quanto fiato ho in
gola
vi urlerò: non c'è
paura!
ma che politica, che
cultura,
sono solo canzonette!
non mettetemi alle
strette
sono
sono
sono solo canzonette!
Mentre tutti eravamo a bordo
di un pullman che ci stava trasportando verso il maneggio in cui
avremmo trascorso la mattinata, Gabriella non faceva che ascoltare e
“cantare” Sono solo canzonette di Edoardo Bennato.
Non ne potevo più di sentirla, specialmente perché la
ragazza non faceva che rovinare la canzone con il suo modo di
interpretarla noioso e monotono.
Inoltre, erano giorni che
non faceva che alternarla ossessivamente con #fuoriceilsole e
Roma-Bangkok.
«Oddio, se la sento
un'altra volta, giuro che vomito» brontolò Tamara.
Io, lei, Viola e Marco ci
eravamo accaparrati gli ultimi quattro posti sul pullman e stavamo
cercando di non ascoltare i deliri di Gabriella, la quale veniva
incoraggiata da un divertito Nicolò e dal povero Giorgio:
entrambi erano in fissa con le stesse canzoni e le chiedevano di
ascoltarle a ripetizione.
Diedi di gomito a mia
sorella. «Porto fuori le cuffie e ascoltiamo qualcos'altro?»
«Sarebbe bello,
altrimenti porto fuori le mie. Non la sopporto più!»
«Dai, Gabriella, la
rimetti Roma-Bangkok? È troppo bella!» strillò
Nicolò in preda a chissà quale entusiasmo immotivato.
«Aspetta, prima voglio
riascoltare Bennato!» Detto questo, gridò rivolta al suo
cellulare: «Riproduci brano Sono solo canzonette».
Per l'ennesima volta le note
di quella canzone si diffusero nel pullman e io alzai gli occhi al
cielo.
«Giuro che mi piace
questa canzone, ma lei me la sta facendo odiare» dissi.
«Che palle... io
ascolto i Death adesso, devo anestetizzarmi» bofonchiò
Marco, facendo partire una canzone metal a tutto volume, senza
infilarsi le cuffie.
Viola subito si rivoltò:
«Oddio, no, togli questa cosa! È terribile! Ma sta
vomitando?».
«Vivi, sei assurda!
Dai Marco, ma non puoi metterti gli auricolari?» lo rimbeccò
Tamara.
Fortunatamente il viaggio
non fu molto lungo; infatti, dopo aver condiviso per qualche canzone
le cuffie con mia sorella, fummo costretti a scendere dal nostro
mezzo e ci ritrovammo in un piccolo angolo di paradiso.
Eravamo quasi completamente
immersi nella natura, circondati dalla macchia mediterranea, mentre
in lontananza si potevano scorgere delle strutture non meglio
identificate.
«Qui c'è un
maneggio, ma anche un albergo» ci spiegò Marta, mentre
si avvicinava a noi con Simona e Giorgio appesi alle braccia.
«Cioè? Un
albergo a fianco a un maneggio? Che puzza» osservai mentre
venivo già raggiunta da un sacco di mosche che si aggiravano
intorno a noi. «No, io odio gli insetti! Mi sono già
rotta!» aggiunsi, scacciando uno di quei maledetti animaletti.
«Andiamo ragazzi,
avviciniamoci al punto d'incontro» ci incitò Giovanna,
così tutti procedemmo al suo seguito.
Camminammo attraverso alcuni
stretti sentieri e raggiungemmo in breve tempo uno spiazzo in cemento
coperto da una tettoia. Dovemmo attendere alcuni minuti prima che
qualcuno ci raggiungesse e ci spiegasse cosa avremmo fatto.
«Adesso andremo al
coperto, nel capannone, dove vi insegneremo a strigliare e pulire i
cavalli, poi ci potrete anche salire sopra per un breve giro al
coperto. Dopodiché ci sarà la passeggiata verso la
spiaggia, durante la quale ognuno di voi avrà un
accompagnatore che camminerà accanto a lui e controllerà
il cavallo. Quindi non preoccupatevi, andrà tutto bene e vi
piacerà. Inoltre, i nostri cavalli sono addestrati e abituati
a stare a contatto con un sacco di gente» spiegò con
entusiasmo un uomo sulla quarantina.
«I ragazzi giovani
come voi piacciono tanto ai nostri tesori» aggiunse una donna
dalla voce dolce e rassicurante.
Venimmo condotti all'interno
di un enorme capannone dal pavimento ricoperto di sabbia. Alcuni
cavalli erano già pronti e ci aspettavano accanto a una parete
su cui erano appesi, come apprendemmo poco dopo, vari strumenti che
sarebbero serviti per pulirli e sistemarli.
«Oddio, che emozione,
i cavalli mi piacciono un sacco» disse Viola. «Non vedo
l'ora di salirci!»
Stranamente, anche io ero
molto impaziente di vivere quell'esperienza, perché i cavalli
non mi spaventavano come la maggior parte degli animali. Mi era
capitato già in passato di salire su un cavallo e la cosa era
stata di mio gradimento, perciò mi trovai in perfetto accordo
con la mia amica.
«I cavalli a nostra
disposizione sono solo due, quindi farete i turni. Avvicinatevi in
coppia, prego» ci disse ancora l'uomo che ci aveva accolto;
nonostante avesse detto il suo nome, io non riuscivo a ricordarlo.
Fu un'esperienza bellissima
utilizzare le spazzole e sentire quei meravigliosi animali reagire
positivamente, evidentemente contenti che qualcuno si prendesse cura
di loro in quel modo.
«Devi compiere dei
movimenti semicircolari con la spazzola, sì, brava, così!
Ricordami il tuo nome» mi istruì pazientemente uno dei
tanti aiutanti che si stavano occupando di noi.
«Laura.»
«Ecco, Laura. Sei mai
andata a cavallo?» volle sapere.
«Sì, due o tre
volte. Mi è piaciuto molto.»
Una volta ultimata
l'operazione che stavamo compiendo, a qualcuno toccò l'arduo
compito di pulire gli zoccoli ai nostri simpatici nuovi amici.
Fu divertente notare che
Marco imprecava perché non riusciva a far sollevare la zampa
al cavallo, mentre Giorgio si rivelò molto affine all'animale
che gli era stato affidato e si divertì un sacco.
Dopodiché salimmo,
sempre facendo i turni, in groppa; mi resi conto che montare a
cavallo era molto più difficile di quanto ricordassi, forse
perché quegli animali erano veramente alti e maestosi.
«Forse non sono mai
salita su un cavallo così alto» bofonchiai, quando
riuscii maldestramente ad ancorarmi alla sella.
«C'è sempre una
prima volta, visto?» scherzò uno degli aiutanti.
Mi accompagnò per un
paio di giri all'interno del capannone e, nonostante la cosa mi
piacesse, sentivo anche delle proteste provenire dalla mia povera
schiena. Tuttavia, cercai di ignorarle e pensai solo a divertirmi,
riscoprendo la stupenda sensazione di essere trasportata da un essere
vivente che si muoveva sotto di me e reagiva a ogni mio movimento.
Riuscii a adattarmi a lui e lui in qualche modo si adattò a
me, finché entrambi non ci rilassammo e la passeggiata
proseguì tranquillamente.
Lo stesso accadde quando
uscimmo all'aperto e ci recammo presso la stalla per raccattare degli
altri cavalli. Prima che potessimo montare in groppa, ci furono
consegnati dei caschetti da indossare per questioni di sicurezza.
Faceva un caldo pazzesco, le
mosche ci aggredivano impietose e il sole era sempre più alto
nel cielo.
«Questi così
fanno sudare un sacco» mi lamentai, una volta che il mio casco
fu allacciato a dovere.
«Cerca di resistere,
dai» mi disse Giovanna, aiutando Gabriella a sistemarsi sul suo
cavallo.
Per me fu più facile
raggiungere la sella rispetto a quanto accaduto in precedenza. Una
volta pronta, però, qualcosa andò storto.
«Oddio...»
mormorai, sentendo la mia cavalla muoversi. In un attimo mi accorsi
che stava avanzando a piccoli passi, dal momento che la mia aiutante
si era allontanata un attimo per aiutare Simona.
«Qualcuno mi aiuti,
sta camminando!» mi agitai in preda al panico, non sapendo
minimamente come fermerlo. Improvvisamente avevo dimenticato come
fare, sentivo solo l'ansia invadermi e avevo una fottuta paura di
venir trascinata chissà dove.
«Lau! Come mai il tuo
cavallo si è spostato? Devi avergli dato sbadatamente il
comando per...» commentò Giovanna, in piedi accanto a
Nicolò, già in sella da tempo.
«Non lo so, ma...
aiutatemi!»
«Laura, tira le
redini! Tutte e due insieme!» mi suggerì la mia
aiutante, tornando con calma verso di me. Evidentemente sapeva che
non c'era di che preoccuparsi, perciò mi tranquillizzai a mia
volta e feci ciò che mi diceva, ma il cavallo non si fermò.
«Più forte,
dai! Non gli farà male, la aiuterà a capire che deve
fermarsi. Coraggio!»
Riprovai con più
forza e stavolta l'animale su cui ero appollaiata si immobilizzò.
Tirai un sospiro di sollievo
e mi rilassai completamente, rendendomi conto che avevo cominciato a
sudare freddo. «Mio dio» mormorai.
Da quel momento la mia
accompagnatrice non mi lasciò un attimo da sola, rimase
accanto a me durante tutta la passeggiata verso la spiaggia e durante
il tragitto di ritorno, così come fecero tutti gli altri
aiutanti con i miei compagni d'avventura.
Fu molto bello stare a
cavallo in mezzo alla natura, sfilare in mezzo agli alberi di pino,
ritrovarsi a inciampare leggermente su qualche sasso disseminato qua
e là e sentire il cavallo perdere per un attimo l'equilibrio,
rendersi conto di essere sulla sabbia e notare alla propria destra il
mare con le sue onde che si infrangevano sulla riva, guardare tutto
dall'alto e sorridere perché era come essere liberi.
Educatori e istruttori
scattarono un sacco di foto, tra cui una panoramica in cui ripresero
tutti noi ragazzi uno accanto all'altro sui nostri cavalli, mentre
alle nostre spalle si estendeva la spaiggia e più in fondo la
distesa salmastra che portava con sé una brezza umida e
invitante.
Tornammo nella zona delle
stalle completamente sfiniti ma contenti, perché per tutti noi
era stata una bellissima esperienza che avremmo ripetuto anche
subito.
Eravamo tutti seduti attorno
a due tavoli quadrati che avevamo accostato per poter stare più
comodi. Avevamo raggiunto il bar presente nella piscina dell'albergo
per il pranzo, dopo esserci congedati dai nostri aiutanti e dai
meravigliosi animali che ci avevano allietato la mattinata.
Avevo un terribile mal di
schiena e trovavo la sedia su cui mi ero accomodata tremendamente
dura, ma cercai di non farci troppo caso e mi concentrai sulle
conversazioni con i miei compagni.
Poco prima di lasciare il
maneggio, avevo sentito Danilo al telefono e gli avevo raccontato ciò
che mi era successo, quanto tutto questo mi fosse piaciuto e non
avevo tuttavia omesso i dolori che avevo provato nel corso della
mattinata.
Lui mi aveva consigliato di
riposarmi una volta rientrata al residence, ma se non avevo capito
male saremmo andati al mare nel pomeriggio.
Fui contenta di notare che
il cielo si era oscurato e che delle nuvole grige non promettevano
niente di buono, così educatori e istruttori furono costretti
ad ammettere che non era il caso di andare al mare.
Mentre ripensavo a Danilo e
al fatto che ancora non era riuscito a venire a trovarmi, una
sensazione spiacevole si impossessò di me: davvero stava
risultando così difficile per lui raggiungermi? In treno ci
avrebbe impiegato al massimo quaranta minuti.
Fui distratta da mia sorella
che imprecava: «No cazzo, è pieno di api!».
Mi allarmai subito e mi
immobilizzai sulla sedia, guardandomi attorno in cerca di una qualche
via di fuga; ci trovavamo su una sorta di veranda rialzata rispetto
alla piscina, infatti eravamo saliti per una piccola gradinata prima
di poter raggiungere il bar.
A quel punto si scatenò
un po' il panico generale, ma Lorenzo e Samuele riuscirono a trovare
un metodo per attirare le api in un unico punto lontano da noi. Non
seppi come ci riuscirono, ma gliene fui estremamente grata,
altrimenti non sarei stata in grado di mangiare il mio panino.
Avevamo da poco finito di
mangiare, quando accadde qualcosa che non mi sarei mai aspettata.
Giovanna e Lucrezia
arrivarono da noi in compagnia di un uomo a me sconosciuto, il quale
indossava abiti semplici, non era tanto alto e doveva aver superato
la cinquantina. Io comunque non ero brava a definire l'età
delle persone, specialmente quando non potevo scorgerne bene i
lineamenti, proprio come in quel caso.
«Ciao ragazzi»
esordì lui in tono gentile.
«Indovinate chi è?»
se ne uscì Lucrezia tutta contenta.
«Non saprei...»
disse Gabriella.
Io ero perplessa. Chi poteva
mai essere?
«Dai, lo conoscete
bene, provate a indovinare!» rincarò Giovanna.
L'uomo sorrise appena e
riprese a parlare: «Come state? Vi state divertendo in
vacanza?».
«Dai, non riconoscete
la sua voce? Non ci credo!» esclamò Marta.
Noi rimanemmo in silenzio.
Io non avevo minimamente idea di chi potesse essere, la sua voce a
primo impatto non mi sembrava familiare.
«Ditecelo, tanto non
ci arriviamo!» tagliai corto.
«Dai... inizia con la
b» ci suggerì Lorenzo.
«Con la b?»
rifletté Nicolò confuso.
«Non lo so! Ce lo
dite?» si stancò Gabriella.
«Va bene! Ragazzi, vi
presento Edoardo Bennato!» annunciò infine Giovanna.
Calò il silenzio,
durante il quale io cominciai a sentire una sensazione indescrivibile
si impossessava di me; ero incredula, scioccata, basita, emozionata,
imbarazzata... tutto insieme.
Non lo avevo riconosciuto,
ma c'era da dire che non possedeva la stessa voce di quando lo si
ascoltava cantare.
Gabriella diede subito voce
a quel mio ultimo pensiero: «Hai la voce diversa!». Poi
parve accorgersi di chi si trovava al nostro tavolo e cominciò
a ridacchiare, imbarazzata, non riuscendo più a controllarsi.
A quel punto realizzai anche
io cosa stava succedendo e mi premetti le mani sul viso. «Non è
possibile! Non ci credo! Oddio!» continuava a ripetere.
Mi resi conto troppo tardi
che probabilmente le nostre reazioni avevano messo in imbarazzo
l'artista che si era gentilmente avvicinato a noi per un saluto e
qualche foto.
Ci mettemmo più volte
in posa e a un certo punto Gabriella e Nicolò presero a
intonare:
Mi
ricordo che anni fa
di sfuggita dentro un bar
ho sentito un juke-box
che suonava
e nei sogni di bambino
la chitarra era una spada
e chi non ci credeva era
un pirata!
Bennato canticchiò
qualcosa con loro e io mi sentii imbarazzatissima per qualla scena
piuttosto raccapricciante.
Poco dopo lui ci salutò
e ci augurò buon proseguimento con la nostra vacanza, poi andò
via.
«Oddio, ma davvero lo
abbiamo conosciuto?» chiesi a mia sorella.
«Sì...
credo...»
«La nostra infanzia,
Tami!»
«Oddio...»
Dopodiché afferrai il
cellulare e cominciai a inviare un sacco di messaggi ad amici e
parenti, raccontando quanto mi era appena successo.
Ero seriamente senza parole.
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