Stamattina mi tocca la sveglia presto:
febbre, pressione, prelievo, pipì nel contenitore, integratore
di ferro, solite cose noiose.
Dopo colazione mi preparo alla lunga
attesa di Giulia: faccio una lunga doccia, mi lavo i denti, indosso
jeans, calzini e scarpe, e la camicia nuova, quella a quadri coi toni
del blu, arrotolandone le maniche. Mi guardo allo specchio e mi
ritengo abbastanza soddisfatto di quello che vedo, testa a parte,
ovviamente; non so che impressione potrò farle senza capelli,
così preferisco mettere la cuffia, per darle il tempo di
abituarsi all'idea.
"Buongiorno Leo! Ma come siamo
belli, oggi!" esclama la Lisandri appena mi vede. "Mi sono
persa qualcosa?"
"Ma come?! Non se lo ricorda?!"
la prendo in giro io. "Ha detto che oggi mi manda a casa fino
all'operazione!" affermo con aria molto seria.
"E quando avrei detto una cosa del
genere?" mi domanda lei togliendosi gli occhiali.
"Ieri. Ha detto a Carlo di
riferirmelo, no?!" rido mentre Carlo diventa paonazzo.
"Dottoressa, io non... non so di
cosa lui stia parlando..."
"Ma come no?! Me l'ha detto ieri!"
dico rivolto alla Lisandri. "Giuro!"
"Dottore?"
Vedo Carlo in seria difficoltà e
decido di chiuderla qui: "E va bene! Sto scherzando! Però
potrebbe mandarmi a casa almeno per il weekend!"
"Non è il caso, Leo. Meglio
di no. Togli la camicia che ti visito."
"Ma cosa le costa?!" esclamo
mentre sbottono i primi bottoni della camicia per poi sfilarla dalla
testa. "Sono giorni che mi sento bene, perché non
posso andarmene un po' a casa?!"
"Perché è meglio non
rischiare" dice indossando il fonendoscopio. "Respira
profondamente".
Io alzo gli occhi al cielo e obbedisco,
ma termino il respiro sbuffando. "Andiamo, dottoressa! Le
prometto che farò il bravo! Sono tornati i miei amici da
Londra, ho bisogno di un po' di normalità!"
"Tossisci..."
"E' tutto a posto, no?" le
domando quando mette via il fonendoscopio e prende la mia cartella
clinica. "Non ho la febbre, ho la pressione buona..."
"Vuoi rubarmi il mestiere,
adesso?"
"E gli esami del sangue? Sono
buoni anche quelli, no? I miei globuli bianchi e rossi stanno benone,
mi pare di capire: sono giorni che non mi fate niente, a parte farmi
bere quelle fiale di ferro... Che mi tenete qua a fare?"
"Leo, te l'ha mai detto nessuno
che sei sfiancante?!" sbotta lei.
"Oh, sì! Un sacco di
gente!" esclamo sorridendo.
"Dottore, dia un'occhiata ai
linfonodi".
Carlo mi controlla i linfonodi del
collo e delle ascelle e sentenzia che va tutto bene. Ovviamente
la Lisandri deve accertarsene personalmente e quindi li controlla di
nuovo.
"E allora?! Sono in splendida
forma, no?!" la incalzo io.
"Non esageriamo. Diciamo che,
considerata la tua situazione, il tuo quadro clinico è
buono".
Io faccio una smorfia di disappunto e
mi rimetto la camicia. "Però mi tenete chiuso qui!
Forse riuscirò a guarire dal tumore, ma perderò la
sanità mentale! Per favore, dottoressa..."; noto che il
suo sguardo imperturbabile comincia a vacillare, così rincaro
la dose: "La prego... giuro che non mi stancherò, che non
farò l'incosciente, l'irresponsabile eccetera eccetera! Voglio
solo andarmene a casa per un paio di giorni, dormire nel mio letto,
stare con la mia famiglia e con i miei amici, andare a cena fuori..."
"Va bene, d'accordo."
"Va bene?" chiedo sgranando
gli occhi, ancora incredulo.
"Un giorno solo però.
Domattina, se stai bene puoi andartene a casa, ma la sera ti voglio
qua."
"E ti pareva che non c'era la
fregatura!"
"Questo è quello che posso
concederti: prendere o lasciare."
"Prendo..." sospiro io,
rassegnato.
"Bene. Massimo per le nove devi
rientrare."
"Le nove?! Come faccio ad uscire a
cena, se devo rientrare alle nove?! Almeno alle undici!"
"Le dieci. Ultima offerta."
"Aggiudicato...".
Giulia è in ansia: da settimane
aspetta questo giorno, ma adesso prova una strana sensazione che le
fa tremare le gambe, peggio che al loro primo appuntamento; che poi,
a pensarci bene, al loro primo appuntamento non è che fosse
poi così in ansia: era solo impaziente e felice di
uscire con quel ragazzo che la attraeva da morire e che inizialmente
le era sembrato sfuggente e poco interessato a lei.
"Passo a prenderti tra un'ora,
allora" le dice sua madre, nel parcheggio dell'ospedale, mentre
lei apre lo sportello per scendere dall'auto.
"Fai pure un'ora e mezza!"
"Ma l'orario di visita non è
fino all'una?"
"Sì, ma se gli infermieri
non rompono riesco a stare un po' di più!" esclama
dandole un bacio sulla guancia. "Ciao mamma, grazie!".
Sua madre la guarda allontanarsi verso
l'imponente edificio, non senza una buona dose di apprensione; lei è
una donna adulta eppure gli ospedali riescono a incuterle ancora un
certo timore e, adesso, sua figlia cammina spedita per entrarci,
impaziente di rivedere il suo ragazzo, come se stesse andando al
cinema o al centro commerciale.
Ma perché, tra tutti i ragazzi
del mondo, proprio quello di Giulia deve essere rinchiuso là
dentro?
Si pente subito di questa sua
riflessione egoistica: nessun ragazzo di sedici anni dovrebbe essere
rinchiuso in un ospedale, nessun ragazzo di sedici anni dovrebbe
conoscere una malattia così orribile come il cancro, nessuno;
né il ragazzo di sua
figlia, né nessun altro, ma, da madre, non può fare a
meno di preoccuparsi per lei.
Era stato un sollievo quando Giulia le
aveva detto che, alla fine, aveva deciso di partire per Londra, dopo
avervi inizialmente rinunciato; era stato un sollievo sapere che non
avrebbe passato tutta l'estate a fare la spola tra casa e l'ospedale,
anziché godersi le vacanze, e che avrebbe trascorso tre
settimane spensierate con i suoi amici.
In realtà, poi, le cose erano
andate diversamente, perché spensierata, in quelle tre
settimane, Giulia non lo era stata mica tanto: quante sere quando la
chiamava al residence, scoppiava a piangere dal nulla perché
Leo le mancava o perché aveva intuito che stava male, anche se
lui non gliel'aveva detto, o perché erano due giorni che non
si faceva sentire, lasciandola nell'angoscia più assoluta.
E adesso le tre settimane sono
trascorse e Giulia non vede l'ora di riabbracciarlo: sta praticamente
correndo da lui; la guarda scomparire dietro il grande portone
di vetro e si decide ad andarsene, mentre spera che il cuore di sua
figlia non vada in mille pezzi.
Se prende l'ascensore farà
prima, perché è più vicino alla stanza di Leo
rispetto alle scale, ma l'ascensore è occupato e Giulia non
può aspettare oltre: prende le scale e le sale quasi di corsa,
raggiungendo in pochi secondi il primo piano.
Il cuore le martella nel petto, come
impazzito.
Le sembra quasi di sentirne il battito
fino alle orecchie, mentre imbocca il corridoio.
E poi lo vede.
E' lì, ad aspettarla, pochi
metri più in là, davanti alla porta della sua stanza e
la sta guardando come se fosse più bella di ogni altra cosa al
mondo.
E' lì, ad aspettarla e ha quel
suo sorriso incredibile, che le fa
contorcere qualcosa dentro.
E' lì, ad aspettarla e ha
allargato le braccia per accoglierla.
E lei non ce la fa più.
Corre.
Corre, Giulia, per poterlo raggiungere
il più in fretta possibile.
Per poter annegare nella tempesta dei
suoi occhi.
Per poter ammirare da vicino quel suo
sorriso meraviglioso.
Per poter ascoltare la sua voce e
respirare il suo odore.
Per potersi perdere nel calore del suo
corpo, delle sue braccia, della sua bocca.
E in un attimo è lì ad
abbracciarlo e lascia cadere la borsa per terra, mentre lui la
stringe così forte da toglierle quasi il respiro.
E non hanno bisogno di dirsi niente.
È abbastanza potersi guardare
negli occhi.
È abbastanza potersi perdere in
questo bacio.
Questo bacio che scatena infinite
emozioni.
Queste bocche assetate.
Queste carezze che sembrano non
bastare, che li fanno impazzire.
"A' Leo! Prendeteve 'na stanza!"
esclama qualcuno mentre passa loro di fianco.
"Eddai Ulisse! Non rompere!"
ride Leo, mentre Giulia, nell'imbarazzo più totale, arrossisce
vistosamente. "Bentornata..." le sussurra nell'orecchio,
facendola rabbrividire, mentre con infinita dolcezza le accarezza i
capelli.
E poi entrano in camera.
E lui immerge le mani nei suoi capelli,
mentre si china su di lei e affonda piano i denti nel suo labbro
inferiore.
E la bacia.
La bacia.
La bacia.
La bacia ancora.
È come se volesse mangiargliele,
quelle labbra.
È come se volesse divorargliela,
quella bocca.
Con un sospiro, Giulia lascia che la
sua lingua la invada di nuovo: la sente scivolare, umida ed eccitante
e non può che rispondere ai suoi movimenti.
Le mani di Leo lasciano la presa sulla
sua testa e scendono, impazienti, lungo il suo corpo, ansiose di
toccarne ogni curva: il collo, la schiena, il sedere, i fianchi, le
cosce, il seno.
Giulia geme, mentre comincia a toccarlo
a sua volta.
E a quel tocco geme anche lui.
È come se fossero altrove.
Lei si abbandona alle sue mani forti
che la stringono, alle sue dita che le affondano prepotenti nella
carne, pur senza farle male; si gode questa sensazione estraniante,
accarezzandogli, frenetica, il petto, le spalle, il collo, la testa.
Ed è proprio mentre gli
accarezza la testa e sente, sotto le dita, la stoffa della cuffia che
all'improvviso, Giulia, si ricorda dove sono.
E si sente improvvisamente fragile.
Indifesa.
Estremamente consapevole di come questo
amore possa distruggerla.
Si stacca lentamente da lui, mentre
riprende fiato e lo guarda in quegli occhi immensi, pervasi di un
desiderio e di una dolcezza così grande da farle male.
"Non devi nasconderti da me. Non
serve, lo sai?" gli dice accarezzandogli il viso e sfiorandogli
le labbra con un bacio delicato.
Leo annuisce, pensieroso e tenta di
accennare un sorriso, ma lei glielo legge in faccia che è
preoccupato.
"Quante cose mi hai nascosto, in
queste tre settimane?"; la voce di Giulia si incrina un attimo,
un secondo soltanto ma a Leo basta per capire come dev'essersi
sentita mentre era lontana da lui.
"Parecchie" ammette lui
sospirando. "Non volevo angosciarti."
"E invece mi sono angosciata lo
stesso! Non è facendo così che mi rendi tutto più
facile, lo sai, vero?”
"Me ne rendo conto, ma penso sia
inutile farti sapere tutti i dettagli, dal momento che tanto non puoi
farci niente."
"E invece io li voglio sapere, i
dettagli, anche se non posso farci niente! Voglio sapere quando stai
male, voglio sapere tutte le cose più brutte. Poi basterà
che tu mi abbracci e mi dica che andrà tutto bene e io starò
meglio. Perché se me lo dici tu... io ci credo".
Leo sorride: "Andrà tutto
bene" le dice abbracciandola.
E le sembra che lui ci creda davvero, a
quelle parole.
E a lei questo basta.
Si fida.
Gli crede.
Gli deve credere.
Chiude gli occhi e, per pochi istanti
soltanto, si concede d'immaginare come sarebbe poter essere da
un'altra parte, insieme, da soli e spensierati, senza la Bestia, come
la chiama lui, in mezzo a loro.
Poi li riapre, velati di lacrime, e lo
guarda, prendendogli il viso tra le mani, che lentamente fa risalire,
fino a che le punte delle dita si infilano sotto la cuffia,
sfiorandogli la fronte.
Lui trattiene il respiro e poi
deglutisce: "Giulia..., non..."
"Sssh... Lasciami fare..."
sussurra lei e le dita salgono ancora. Si accorge che lui sta
tremando e comincia a riempirgli il viso e la bocca di baci. "Ti
amo..." mormora mentre le mani ormai si sono insinuate
completamente sotto la cuffia e sono adesso a contatto con la pelle
nuda della sua testa.
Leo ha le spalle rigide e le labbra
strette e a lei si stringe il cuore, nel vederlo così
indifeso. "Andrà tutto bene" gli dice
sorridendo. "Adesso sei tu che devi credere a me".
Lui annuisce e a Giulia sembra di
rivedere in fondo ai suoi occhi quella luce accecante che c'era
prima.
Prima della Bestia.
Quella luce che gli accende lo sguardo
e che la fa bruciare d'amore per lui.
"Ti credo" afferma,
mettendole una mano sotto il mento e sfiorandole le labbra con il
pollice.
E gli dispiace, quasi, di aver dubitato
di lei.
E gli dispiace, quasi, di aver pensato
che lei non sia abbastanza forte per restargli accanto.
E gli dispiace, quasi, di aver creduto
che l'amore non sia abbastanza.
Quasi.
Perché una parte di lui dubita
ancora; non perché non si fidi di lei, ma perché sa che
la guerra è ancora lunga e difficile.
Ma adesso le sorride, con gli occhi
lucidi e la lascia fare mentre gli toglie la cuffia.
La lascia fare mentre gli accarezza la
testa nuda per la prima volta.
La lascia fare e mette da parte i dubbi
e le paure mentre lei sposta le mani e lo osserva per qualche
secondo, prima di abbracciarlo di slancio e di lasciarsi stringere in
un abbraccio che non lascia spazio ad altro.
Giulia rimane abbandonata ad occhi
chiusi sul petto di Leo, ad ascoltare il suo cuore battere.
Il suo cuore che batte ancora.
Leo è qui, vicino a lei.
Ed è vivo.
Il resto non ha importanza.
"Mi sei
mancato così tanto!" esclama, e nella sua voce si
avverte tutta, quella mancanza. "Ed io? Ti sono mancata?"
Leo le sfiora i
capelli con le labbra e, lentamente, si stacca dall'abbraccio.
Lei si perde a
guardare il suo viso, constatando, senza dubbio, che Leo è
davvero bellissimo, anche senza capelli.
Sta per dirglielo,
ma lui la bacia.
E' un bacio
profondo e totale.
Un bacio che non
lascia dubbi sulla sua risposta: sì, anche lei gli è
mancata.
Siamo seduti sul letto e Giulia è
abbandonata nelle mie braccia, col viso appoggiato sul mio petto. Le
mie labbra accarezzano i suoi capelli, morbidi e profumati,
schiudendosi, di tanto in tanto, in un bacio. È già
passata quasi un'ora da quando è arrivata e tra poco dovrà
andarsene.
Non mi va di lasciarla già
andare via e all'improvviso sento il bisogno di sentirla più
vicina: la sollevo e la adagio sulle mie gambe, mentre lei ride:
"Ehi! Bastava che me lo chiedessi!"
"Mi sa che sei ingrassata a
Londra" la prendo in giro io. "Ho faticato a tirarti su!"
"Ma sentilo! Non è affatto
vero! Non sono ingrassata! E poi non mi sembra che tu abbia
faticato!"
"Va bene..." le dico
stringendola a me con forza. "Ti sto prendendo in giro!"
"Ah, ecco! Tu, piuttosto, sei
dimagrito o sbaglio?"
"Non sbagli..." sospiro
storcendo le labbra. "E pensa che in questi ultimi giorni sono
anche riuscito a riprendere un chilo".
"Non si mangia un granché
bene qui, eh?!"
"A parte questo..., diciamo che...
ci sono stati dei giorni in cui ho faticato a mangiare o... a
trattenere quello che mangiavo..."
"Colpa della chemio?"
"Sì, principalmente sì.
Poi ci sono stati degli effetti collaterali poco gradevoli di robe
che mi hanno dato per combattere gli effetti collaterali della
chemio... un casino, insomma! Mi sistemavano una cosa e me ne
scasinavano un'altra..."
"E in tutto ciò non mi
dicevi un bel niente!" esclama con un'espressione contrariata
sul viso. "Non ti crederò mai più quando mi dirai
che va tutto bene!"
"Eddai Giulia, l'ho fatto in buona
fede!"
"Mettila come ti pare, ma mi hai
comunque detto una marea di cazzate!"
"Non arrabbiarti, su!"
esclamo sfoderando il mio sorriso ammaliatore. "Ho anche una
cosa per te!".
Mi allungo verso la parte bassa del
comodino e prendo il palloncino a forma di cuore che mi ha dato
Piera. "Tieni!"
Lei ci prova, a tenermi il broncio, ma
non le riesce molto bene e si illumina come una bambina: "Che
bello! Grazie!". Mi schiocca un bacio sulle labbra e poi si
alza. "Anch'io ho qualcosa per te!" dice aprendo la sua
borsa e tirandone fuori un sacchetto di plastica verde scuro di
Harrods. Dentro c'è una maglietta bianca con stampate
sopra la bandiera inglese, le immagini dei monumenti più
importanti e la scritta My Girlfriend went to London and all I got
was this lousy T-shirt.
"Grazie" le dico ridendo,
mentre lei si risiede vicino a me.
"Guarda bene, c'è un'altra
cosina!".
Apro meglio il sacchetto e trovo un
portachiavi a forma di Big Ben.
"Questo è per la chiave
della Vespa! L'ho preso pensando a quando avrai il patentino e potrai
usarla. È un po' un augurio...".
Io trattengo un sorriso amaro pensando
alla mia Vespa nuova fiammante ferma in garage per chissà
quanto tempo.
"Sei stata molto dolce, grazie."
"La maglietta con il leone in
questo momento dovrebbe essere in lavatrice. Te la restituisco appena
sarà lavata, asciutta e stirata!"
"Puoi tenerla ancora, se vuoi."
"No..." dice lei scuotendo la
testa. "Dopo averla usata per tre settimane, tutte le notti, non
aveva più il tuo odore, ma il mio. E comunque lavandola,
profumerà solo di detersivo!"
"Se vuoi puoi prenderne un'altra,
allora..."
"No, non ce n'è bisogno!
Adesso il tuo odore posso sentirlo direttamente sulla pelle... ed è
decisamente meglio!" esclama sorridendo, prima di sprofondare il
viso nell'incavo tra il mio collo e la spalla, facendomi rabbrividire
di piacere.
Solo adesso mi rendo conto di quanto mi
sia mancata realmente.
Queste ultime tre settimane sono state
lunghe e pesanti e, di sicuro, altrettanto lo saranno le prossime tre
e le altre tre dopo e quelle dopo, dopo ancora. E' impossibile
prevedere quando potrò deporre le armi, perché la
guerra è ancora troppo lunga per vederne la fine.
Però, in mezzo, ci sono dei
momenti in cui posso rilassarmi e respirare, ed è di questi
che devo imparare ad approfittare, per non arrivare in fondo stremato
e senza fiato.
Questo è uno di quei momenti.
Respirare Giulia è uno di quei
momenti.
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