UN ANNO DOPO
Respirò più profondamente, per svegliarsi. Mina
aprì gli occhi e
l'oscurità l'avvolse.
Ci vollero solo pochi attimi per realizzare di essere sdraiata nel
suo caldo letto, sotto le avvolgenti coperte di lana.
Si mise a sedere e dedusse, dall'oscurità che l'accerchiava,
di
essersi svegliata nel cuore della notte. Di nuovo.
Le succedeva ancora troppo spesso, nonostante fosse già
passato un
anno dalla sua stressante avventura. Il dottore le aveva comunque
detto di non preoccuparsi, “cose come queste si risolvono col
tempo
e gran pazienza”.
La donna sospirò. Adocchiò suo marito accanto a
lei, il quale
dormiva pacifico.
Mina sorrise teneramente a Tails, ammettendo allo stesso tempo di
essere un po' gelosa di quella abilità della volpe di
dormire senza
problemi.
Non che Mina soffrisse di insonnia: riusciva a dormire qualche ore la
notte, e sonnecchiava durante la giornata, per rimediare alle ore
perse. Tuttavia, svegliarsi nel cuore della notte e non riuscirsi ad
addormentare la faceva sentire, in qualche modo, incompleta.
Soprattutto quanto alle tre di notte la casa è fredda, tutti
dormono
e il mondo attorno è buio e pieno di ombre. Questo faceva
sentire
Mina completamente sola, e non in maniera confortevole. Anzi, le
venivano i brividi.
Non vedeva l'ora che la sveglia rossa di Tails squillasse al rintocco
delle sei. Dopodiché, suo marito avrebbe tirato un bel pugno
alla
sua stessa creazione per farla smettere, e poi si sarebbe alzato. Di
colpo, Mina non si sarebbe più sentita sola e il giorno
sarebbe
iniziato al meglio.
Purtroppo non erano nemmeno le quattro del mattino, ma Mina sapeva
già dove voleva andare e cosa voleva fare per far passare il
resto
della notte.
Molto lentamente, scoprì le sue gambe dalle lenzuola del
letto e si
mise a sedere sul bordo.
Il freddo della stanza contrastava fortemente con il calore delle
coperte, e Mina, che era ricoperta da una leggera vestaglia da notte,
si sentì rabbrividire la pelliccia.
Nonostante ciò, non ritornò sotto le coperte come
avrebbero fatto
tutti gli altri, ma si infilò le pantofole color neve e si
alzò,
per dirigersi verso la porta, e poi fuori dalla camera da letto.
Strizzò un paio di volte gli occhi, per abituarsi al nero
della
notte, poi, con passo dondolante, si incamminò lentamente
verso la
fine del corridoio.
Mise un piede davanti all'altro dolcemente, leggermente, in modo da
non far scricchiolare troppo le assi del pavimento.
Non voleva svegliare nessuno, e comunque preferiva cento volte il
silenzio tombale dell'abitazione che quel fastidioso rumore di legno
secco scrocchiante.
Lentamente, era arrivata a destinazione. Sorrise, mentre faceva
scattare la maniglia dorata della porta alla sua destra, alla fine
del corridoio.
L'aprì piano, cauta, entrò e richiuse subito
dopo. Si avvicinò al
centro della stanza con passo felpato, verso la candida culla della
nuova arrivata in famiglia, una piccola mangusta gialla e viola di
cinque giorni che dormiva beata.
Eh sì; era Melody, la figliuola di Mina e Tails, tanto amata
e tanto
attesa.
Era il ritratto di Mina, dicevano in molti, se non tutti. Infatti non
avevano tutti i torti: il manto giallo l'aveva ereditato tutto dalla
madre, persino gli occhi verde smeraldo erano uguali a quelli di
Mina.
I capelli, doveva ammettere, erano di una tonalità
più scura di
viola rispetto a quelli della madre mangusta, e sicuramente erano
lisci e compatti, al contrario dei capelli arruffati, ricci e ribelli
della donna in gioventù.
Ma il musetto... così candido e zuccherino, proprio come
quello di
Tails, non c'era dubbio!
Mina si sporse sulla culla, per ammirare con dolcezza sua figlia.
Melody si agitò un po' troppo nel sonno. Allarmata, Mina
estese la
sua mano verso la neonata.
“Ehy, tesoro.” sussurrò con tenerezza la
madre, accarezzando con
delicatezza la piccola guancia della cucciola, la quale, rassicurata,
smise di agitarsi e ritornò calma.
Piccola, dolce creatura.
Mina non riusciva ad evitare di pensare al passato con i
“se”:
e se Blaze non si fosse presentata, o se i trafficanti l'avessero
fatta franca?
Mina sarebbe ancora intrappolata da qualche parte, o schiava in
qualche palazzo di quella città fantasma. Sarebbe stata ben
lontana
dallo sposare Tails e rivedere i suoi amici. Non sarebbe nata Melody,
la vera stella dei suoi occhi.
Non sarebbe in una casa amica, con una famiglia e una bella vita.
E se fosse addirittura morta? Oh, non ci voleva nemmeno pensare.
Non voleva nemmeno pensare al fatto che--
Stava ancora accarezzando e osservando la sua piccola con tenerezza,
quando ella iniziò di nuovo ad agitarsi un po' troppo,
destando Mina
dai suoi pensieri. Questa volta, la cantante prese in braccio la
figlia e la cullò dolcemente.
“Shhh shhh” sussurrava la giovane madre, coccolando
la cucciola
per tranquillizzarla.
E in quel momento, come era già successo, iniziò
a parlare alla sua
bambina con adorazione:
“Mamma è qui, amore mio. Mamma ti vuole bene; e
anche papà, le
tue zie, i tuoi zii...” sussurrò lentamente al suo
piccolo
miracolo, mentre gli occhi si riempirono di lacrime e commozione. La
voce le tremava un poco. Essere lì con lei... era una
sensazione al
quale non si sarebbe mai abituata. Era un sentimento puro, felice e
grato. Averla stretta al suo petto le scaldava il cuore come nessun
altro aveva mai fatto.
E tutto quello a cui pensava era di proteggerla, e soprattutto di
farle capire quanto era amata.
Non sarebbe passato giorno in cui non le avrebbe detto quanto ci
tenesse a lei.
“E io ti prometto, piccola mia, che non ti lascerò
mai. Nessuno
ci separerà, tesoro.” concluse con un
largo sorriso la madre
mangusta, quasi come se volesse rassicurare la figliuola, e le diede
un caloroso bacio sulla fronte.
La bimba, come se avesse capito le dolci parole della mamma, si era
già calmata e stava dormendo profondamente, rannicchiata al
seno
della mangusta cantante.
E la notte si concluse con Mina che canticchiava le calde note di una
melodiosa ninna nanna alla sua bambina, mentre quest'ultima veniva
cullata nelle amorevoli braccia della madre.
Sei e mezza.
Ora di alzarsi ed iniziare a prepararsi per andare a lavoro.
Joe si era appena svegliato grazie al suono della vecchia sveglia sul
comodino, la quale segnava chiaramente l'ora con caratteri cubici e
di colore rosso acceso.
Respirò profondamente e piano piano aprì gli
occhi; senza troppo
stupore, notò che le persiane era sollevate a
metà, e la tenue luce
della prima mattina gli accarezzava la faccia dolcemente. Dovette
comunque aspettare qualche secondo affinché i suoi occhi si
abituassero alla luminosità della stanza. Poi
riuscì a tener aperte
le palpebre.
Si stiracchiò, poi si tolse le coperte di dosso e con
estrema
lentezza si mise a sedere ai bordi del letto.
Si guardò un po' attorno, nella sua nuova camera. Non era
nulla di
ché, a dire il vero:
le pareti erano di sicuro di un bel verde smeraldo una volta, ma
adesso, il colore era sbiadito o rovinato in quasi tutte le parti dei
muri. Joe lo guardò bene, e decise sul momento cosa avrebbe
fatto
nel suo giorno libero.
Il soffitto era di un bel azzurrino chiaro, come un cielo sereno.
Almeno il parquet di legno era ancora in buone condizioni.
Anche l'arredo della camera era piuttosto carente: solo il gigantesco
letto matrimoniale che occupava una buona porzione di quella piccola
stanza, lo spazioso armadio di fronte al letto della ex guardia e due
comodini, uno a destra e l'altro a sinistra della cuccetta dove
dormiva Joe.
Non un granché insomma, ma era plausibile: dopotutto, si era
trasferito in quel piccolo appartamento solo da una settimana, con la
sua sposa fresca fresca di matrimonio.
Proprio così, Joe si era appena sposato...
E proprio in quel momento, sulla soglia della porta, apparve la sua
consorte, Annie, con un sorriso splendente.
Joe si girò per ammirare la giovane donna: i suoi capelli
giallo
dorati erano raccolti in una grande cipolla sulla sua testa ed
indossava una camicia azzurra a righe di suo marito, visibilmente
troppo grande e larga per lei.
Joe non capiva come lei facesse ad alzarsi così presto,
addirittura
prima di lui, senza l'ausilio della sveglia.
Dalla cucina arrivava un buon odorino di toast cotto.
Annie deve aver fatto la colazione. Pensò
contento il
ragazzo.
“Buongiorno cara.” la salutò con un
ampio sorriso.
Lei non rispose subito; si avvicinò al letto, ci
salì e gattonò da
suo marito per abbracciarlo da dietro.
Poi gli diede un bacio sulla guancia e solo allora rispose al saluto:
“'Giorno amore!”
Un anno prima, quando vennero liberati da Blaze, i due si diressero
subito alla casa dei genitori di lei, brave ed umili persone
seriamente preoccupate per la loro bambina, la quale era sparita
senza lasciare tracce. Loro non sapevano che la loro piccola Annie
era stata scelta come infiltrata; sarebbero stati troppo in pena.
E così, dopo settimane che non la vedevano, appena se la
trovarono
davanti le si gettarono addosso, abbracciandola e baciandola, e
piangendo felici.
E si ritrovarono anche lui, Joe. La madre di Annie lo guardava
confusa, mentre il padre lo squadrava con sospetto.
Annie raccontò tutta la storia e spiegò senza
tralasciare nulla su
chi fosse il suo ragazzo.
Quando i due signori appresero che Joe era una delle guardie, non
mancarono di guardarlo con paura e rabbia, ma quando la ragazza
spiegò che lei era sana e salva grazie a lui, e sempre
grazie a lui
era riuscita a scappare da quell'inferno, allora lo guardarono come
se fosse il messia. Specialmente la madre, la quale decise subito di
accogliere il ragazzo.
Sua padre era di certo grato a Joe, ma ci impiegò un sacco
di tempo
prima di fidarsi di lui.
Di sicura la ex guardia aveva bisogno di un nuovo lavoro per
guadagnare di che vivere, e il padre fu molto gentile ad assicurargli
un posto nell'edilizia, dove lavorava anche lui.
Certo, doveva ammetterlo, era molto più faticoso del lavoro
precedente e di certo guadagnava un botto di meno, ma se era questo
l'inizio per una vita normale, era disposto ad affrontarlo. Poi,
però, ha preferito seguire la sua vocazione, ovvero il
meccanico;
uno dei lavoretti che faceva nel traffico, era proprio quello.
Ma a quel punto, il padre di Annie e Joe avevano stretto amicizia ed
avevano un rapporto di fiducia, tanto che il vecchio signore concesse
il matrimonio tra i due giovani, se volevano, ma solo dopo i diciotto
anni della figlia.
E così, nel giorno del suo diciottesimo compleanno, Annie
aveva
potuto sfoggiare il suo bel vestito bianco e sposare Joe.
“Quindi” disse Joe ad un certo punto, abbracciando
le spalle
della moglie “Oggi vai dal dottore?”
La donna annuì.
“Per te cosa sarà? Secondo me è un
maschietto!” cinguettò la
ragazza.
“Neanche per sogno!” rispose lui, ridacchiando e
abbracciandola
in vita.
“Sono sicuro sarà una femminuccia!”
“Quindi hai già dei nomi?” chiese lei
con un sorriso.
“Mmh...” ci pensò su lui, sedendosi
dritto “Ho alcuni nomi in
mente tra cui scegliere: per esempio quello di mia madre, mia madre
aveva un nome bellissimo si chiamava--”
“A me piacerebbe Angel.” lo interruppe lei, con un
filo di voce,
tenendo lo sguardo basso.
Joe si fermò di colpo. L'atmosfera si fece tesa e densa,
contrastando con la piacevole luce della camera; il ragazzo sapeva
che pronunciando quel nome si stava entrando in un territorio
piuttosto delicato.
Angel. La bellissima echidna bianca dagli occhi di ghiaccio.
Così dura, fredda e sfuggente, nessuno si aspettava fosse
anche così
fragile.
Chissà cosa stesse pensando quando prese la sua ultima,
grande
decisione.
Chissà cosa si fosse rotto dentro di lei. Di certo non
sapeva come
riaggiustarlo, dato che aveva scelto la tangenziale come punto di non
ritorno.
Un incidente. Angel aveva perso il controllo della sua macchina e
aveva sbandato nell'altra corsia, andando a fare un mortale frontale
con un camion che non era riuscito ad evitarla. Almeno non aveva
sofferto, aveva detto il medico legale, il quale parlava di una morte
sul colpo.
Un tragico incide. Almeno si credeva all'inizio.
La polizia aveva deciso di fare alcune indagini, e a casa
dell'echidna avevano trovato tre lettere:
la prima era aperta sul tavolo, in bella vista, per essere letta da
chiunque la trovasse.
Non c'era scritto nulla di ché, a dire il vero: la
confessione del
suo suicidio e il testamento, che era la parte più
interessante; si
trattava di consegnare due lettere, una a Annie the hedgehog, e
l'altra a Blaze the cat. Purtroppo, non fu mai possibile consegnare
la seconda.
Per Annie è stata una tragedia: già stava male
pensando che fosse
stato un'incidente, immaginatevi quando scoprì che era stato
intenzionale.
Era la sua migliore amica, e non ne sapeva niente; non sapeva della
sua profonda depressione, non sapeva dei farmaci, dello psicologo,
non aveva idea della torture fisiche e psicologiche alla quale era
stata sottoposta, quella dannata notte, e di quanto esse fossero
entrambe penetrare nella sua pelle e nella sua mente, senza darle
tregua. Ma soprattutto, non immaginava che non avrebbe mai superato
tutto questo.
Annie non riusciva a darsi pace: temeva di non aver fatto
abbastanza.
Per non parlare di come chiedeva di Blaze. Dio,
dov'era
Blaze?! Perché non si era fatta viva, perché non
aveva ricevuto la
lettera? Perché non era lì, con Annie,
perché non ha dato a Angel,
la quale si era addirittura disturbata a scrivere una lettera tutta
per lei, il suo ultimo saluto??
Che cosa ci fosse scritto su quella lettera, poi, non le era mai
stato detto. Cosa aveva da dirle Angel? Purtroppo non fu mai
possibile a Annie leggere quella lettere, nemmeno a Joe.
Forse avrebbe potuto impedirlo, o forse no, Joe non ne è mai
stato
sicuro. C'era troppa psicologia dietro, e lui sapeva che a questo
punto si sarebbe solo pianto sul latte versato.
L'unica cosa che sapeva, e che voleva assicurarsi, era di non
permettere pensieri simili a quelli di Angel di nascere nella testa
di Annie, perché alla fine, non era poi così
scontato che non
accadesse.
Annie attorcigliava alcune ciocche attorno al dito in un movimento
veloce e nervoso.
“Mi manca.” disse lei poco dopo, quasi in
sovrappensiero, mentre
osservava assente fuori dalla finestra. Joe si limitò a
guardarla e
a sforzare un sorriso. La baciò in fronte.
“Lo so.” sussurrò.
Annie si riprese, e le sue labbra si curvarono in un lieve sorriso.
“Quindi...” iniziò lei, con voce
più squillante “Come si
chiama tua madre?”
Gli occhi erano tornati a brillare e Joe poté constatare con
sollievo che si era di nuovo ripresa. Avrebbe fatto di tutto per
mantenerla felice, ad ogni costo.
“Non importa” ridacchiò lui
“Angel è molto più bello!”
Dieci e trenta.
Riesci a sentire tutte quelle persone là fuori?
“Respira.”
Il buio della piccola sala le infondeva calma, il silenzio della
solitudine la rilassava.
Non sarebbe durato molto, e per questo doveva concentrarsi al
massimo.
Chiuse gli occhi ed inspirò.
1...2...3...respira.
Le porte si aprirono. La giovane donna venne travolta dai raggi caldi
e brillanti del sole mattutino di prima estate e rapita dai numerosi
flash bianchi delle macchine fotografiche.
Aprì gli occhi e si ritrovò quasi abbagliata.
“Gentili signore e gentili signori!”
salutò col microfono in
mano l'ex-sindaco, un tricheco panciuto sulla sessantina, vestito
particolarmente elegante.
“Rivolgiamo un caloroso saluto al nuovo sindaco, Coral the
betta!”
Gli applausi partirono in automatico.
Coral, la giovane pesciolina arancione, fece alcuni passi verso il
pubblico emanando la sua gentile eleganza. I suoi tacchi neri si
fermarono solo ad alcuni passi dalla folla, mentre si lasciava
fotografare dalla cima ai piedi. Con quella gonnella verde e una
professionale camicetta nera, sembrava già essere la prima
cittadina
perfetta, un sindaco esperto, che portava, sopra le spalle, una
giacchetta verde che combaciava con la gonna.
Le sue perle luccicavano al bagliore dei flash, dandole quell'effetto
di luce come se fosse appena scesa da una stella. Anzi, come se
proprio lei fosse una stella.
E in un certo senso, in quella giornata speciale, lo era.
Con uno splendente sorriso sul suo angelico viso, salutò gli
spettatori con la sua tipica dolcezza.
Seduti in prima fila c'erano i suoi familiari che le lanciavano baci
con la mano, pieni di gioia.
All'estrema sinistra, però, non c'erano dei familiari:
c'erano
due posti riservati per due persone importanti nella sua vita.
Una era lì, e Coral la guardò con allegria e
delizia.
Sulla sua sedia sedeva Mina; bellissima e radiante, con il suo
sgargiante vestitino rosso, sorrideva di rimando al nuovo sindaco.
Sulle ginocchia teneva la sua neonata, la quale stava beatamente
dormendo. La giovane mangusta gialla lanciò, anche lei, un
amorevole
bacio con la mano, e le fece un occhiolino quasi accattivante.
Rivederla faceva battere il cuore forte a Coral.
E poi guardò l'altro posto prenotato e lo trovò
vuoto, intoccato,
con la scritta “Riservato” ancora attaccata allo
schienale.
Si trattenne dall'emanare un sospiro desolato: lei
non era lì.
Cercava di auto convincersi che fosse solo in ritardo, tuttavia
trovò
ben difficile crederlo.
Solo Mina sembrò percepire il disagio dell'amica.
Notò che stava
osservando la sedia a fianco.
La giovane cantate osservò attentamente la postazione
riservata,
pensando, e ciò non passò inosservato a Coral. In
qualche modo
aveva ancora un barlume di speranza.
Ma quando Mina si girò verso di lei e la guardò
negli occhi
scrollando le spalle e negando con il movimento della testa, allora
capì che sperare era stato inutile.
Se persino Mina non sapeva, allora voleva dire che
non c'era.
Fu un colpo duro per Coral da mandare giù.
Lei non era venuta nemmeno per questo, uno dei
giorni più
importanti della vita della pesciolina, un giorno che sarebbe dovuto
essere anche uno dei giorni più felici della sua vita.
Come poteva non importarle?? Come poteva non venire??
Dio, dov'era Blaze?
Salvatrice, compagna, amica! Coral stava dedicando tutti i suoi
successi a lei! E lei non c'era.
Da quando Blaze l'aveva salutata al funerale della riccia rosa, non
l'aveva più rivista, ed era una cosa che la stava
distruggendo.
Perché la ignorava? Perché non le rispondeva,
quando le scriveva??
Chiamarla era impossibile, per qualche ignoto motivo.
Coral aveva aspettato quel giorno con impazienza, spendendo al meglio
il suo tempo per rendere tutto perfetto. E' così che sarebbe
dovuto
essere, quel giorno: perfetto.
Ma tutte le candeline delle sue speranze sembravano spegnersi una
dopo l'altra solo per la mancanza di un elemento. Devastante quanto
un solo elemento possa fare la differenza.
Ne basta uno solo per spegnere le candele. Senza ossigeno, le fiamme
perdono la vita, si spengono, e rimane tutto vuoto, e soprattutto
freddo.
Freddo come dentro il cuore di Coral in quell'esatto momento.
Freddo come il sudore che colava dalla fronte del nuovo sindaco,
ferma a guardare una seggiola vuota, con occhi assenti e nuvolosi.
La giovane donna stava impiegando tutte le sue forze per mantenere
quel sorriso radiante, ma finto, fatto di plastica.
Doveva solo sorvolare sull'assenza dalla gatta lilla. Come se fosse
possibile.
Blaze, sin da quando l'aveva incontrata, era stata la sua colonna
portante, anche se non la conosceva. Si era sempre fidata di lei, si
reggeva su di lei, aveva sperato grazie a lei. Coral era lì,
viva e
a casa, grazie a lei.
Blaze era la sua luce nelle notti buie e insonni nel treno degli
orrori. La gatta aveva saputo far vedere in Coral tutte le
qualità
che adesso, da giovane adulta, la distingueva in tutta la
città.
Blaze aveva saputo infonderle il coraggio. Aveva saputo insegnarle la
vera forza.
E adesso, solo a ripensarci, a Coral sembrava un ricordo troppo
lontano, quasi un sogno.
Avrebbe tanto voluto ripiegarsi nel passato, qualche volta.
Guardò Mina, che con il suo sguardo premuroso poggiava gli
occhi un
po' sulla sua bambina e un po' alla dolorante pesciolina.
Grazie a Dio c'era Mina. A parere di Coral,non poteva trovare amica
migliore della mangusta gialla. Era un angelo dai capelli viola,
onestamente. Sin da quando quella brutta avventura era stata
conclusa, solo la bellissima cantante era rimasta al fianco del nuovo
sindaco. Era quella bomba d'aria fresca che risvegliava le candele di
colpo.
Coral si rese conto che Mina era tutto quella di cui aveva bisogno:
la persona che ti completa, ma non lo sa.
Si destò dai suoi pensieri solo quando la folla, entusiasta,
le
chiese a gran voce il discorso.
Radunò alla svelta le idee e si avvicinò al
microfono.
Salutò e ringraziò i cittadini, prima di tutto.
E poi si mise a parlare di quanto fosse importante per lei la
città,
di quanto le stessero a cuore i suoi cittadini e soprattutto tutto
quello che avrebbe fatto per onorare la sua carica.
Sì, insomma, discorsi da sindaco, che non starò
qui a spiegare.
Comunque andò tutto bene, e quando finì di
parlare, Coral venne
accolta dagli applausi della gente.
Il frastuono le fece quasi dimenticare la mancanza di Blaze e la
tristezza a riguardo. Quasi.
Ore undici e trenta.
“Chi l'avrebbe mai detto!” sbuffò,
estasiata, cercando di stare
al passo con il collega.
Shadow procedeva a passi lunghi e veloci, intento a fissare
attentamente una fotografia che teneva in mano, sorridendo.
Deliziose notizie erano giunte da...Blaze.
Rouge, con un aggraziato colpo d'ali, si alzò in volo e si
mise a
sedere sulle possenti e larghe spalle del silenzioso collega di
metallo, Omega. Rouge era così contenta quando lo avevano
riattivato
che avrebbe voluto piangere. Anche Shadow fu contento di rivedere il
loro vecchio amico.
I sotterranei erano freddi e scuri. Le pareti ed il soffitto erano
stai divorati dalla muffa e il pavimento ricoperto dalla polvere,
tanto che non si riusciva quasi più a distinguere le
piastrelle nere
da quelle bianche.
Dopo tanti anni, l'ascensore suonò la sua tipica campanella,
e si
aprì.
“Come è stato scritto nel contratto”
disse un agente uscendo
dall'ascensore e seguito a ruota da altri due “Abbiamo il
permesso
di riattivare Omega.”
Shadow e Rouge annuirono e i tre camminarono fino in fondo a
quell'enorme stanza. Poggiato ad una parete, Omega giaceva inattivo.
Alcuni sue parti mancavano, tipo un braccio metallico, e il torace
era stato rigato. Probabilmente erano i risultati dell'attacco al
robot, dieci anni prima; Omega aveva tentato con tutte le forze di
difendersi, ma alla fine la G.U.N. aveva prevalso su di lui. Poco male,
comunque, avrebbero potuto sistemarlo comodamente anche dopo.
Il ragazzo che li aveva guidati, però, aveva assicurato ai
due nuovi
membri che le sue condizioni interne non erano state danneggiate.
Shadow e Rouge non attesero nemmeno che il loro accompagnatore
riaccendesse la macchina: si gettarono sui suoi circuiti elettrici e,
dopo sequenze di tasti e ricongiungimenti di fili, erano riusciti a
sistemare Omega. La base per il suo funzionamento era stata
impostata.
Di colpo, gli occhi del robot si accesero, emanando le sue tipiche
luci rosse a laser.
Shadow e Rouge non dovettero fare altro che compiere qualche passo
indietro. Ammirarono come il loro vecchio amico si stava
risvegliando, e sorrisero compiaciuti.
La testa di Omega scattò, e si guardò attorno.
Curioso come un
robot potesse sembrare confuso.
Lentamente si alzò e scannerizzò le due figure
davanti a lui.
“Shadow the Hedgehog?...Rouge the Bat?...”
chiese. Shadow
sorrise all'amico ed annuì. Rouge lo guardò con
tenerezza. Dio,
quanto le era mancato tutto questo. La donna si avvicinò
alla
macchina, sorridente, e gli mise le mani sul petto metallico, come
per assicurarsi che tutto questo fosse reale. Omega non fece niente,
la lasciò fare. Poi Rouge lo abbracciò,
accogliente.
“Bentornato, Omega.”
Rouge si fece trasportare da Omega, più veloce e meno stanco
di lei.
“Tu! Padre!” cinguettò incredula
“Che cosa ne pensi Omega?”
chiese al robot, spensieratamente.
Omega fece del suo meglio per alzare le sue spalle metalliche.
“Io credo che Shadow saprà essere un
ottimo padre. Lui è la
creatura perfetta, dopotutto.” rispose onesto con
la sua tipica
vociona robotica.
Shadow sorrise ancora di più.
“E Blaze un'ottima madre.”
continuò la macchina “La
vostra creatura sarà meravigliosa.”
aggiunse.
“Come siamo positivi!” commentò
scherzosamente la pipistrella
bianca, dando gentili buffetti al robot.
“Avete già pensato ad un nome?” chiese
la donna.
“Calmati Rouge.” la frenò il riccio nero
“Io stesso sto ancora
assimilando la notizia.”
“E' un no?”
“Già.” Shadow si mise a giocare con
l'anello dorato al suo
anulare.
“...Forse dovremmo dirlo...?” iniziò
Rouge, e Shadow la guardò
perplesso. La donna sospirò forte.
“A Annie. A Joe. A Coral.” iniziò lei.
Sapeva che loro non l'avevano più vista dal funerale di Amy.
New Mobius Big City.
Che nome con le palle, si può dire.
Dopo la morte della riccia rosa, e dopo l'ingresso del Team Dark
nella G.U.N., l'agenzia in questione aveva iniziato a fare profonde
ed accurate ricerche sulla famosa città fantasma.
Nient'altro era che una città non dichiarata
perché costruita
illegalmente.
La situazione delle schiave e del traffico sessuale non era
così
grave come si era pensato: la maggior parte di esse, dopo un periodo di
alcuni anni, venivano trasformate in cittadine a tutti gli effetti,
ma ad alcune condizioni; mai lasciare la città, mai parlare
con
qualcuno fuori della città. E così, si sono
abituate a vivere in
quella bellissima prigione incantata. Le infermiere che hanno
accudito ( per quel che potevano) Amy, quando l'aveva vista per la
prima volta, l'avevano riconosciuta subito come una di loro,
accogliendola così senza troppe domande.
Quel gentile signore al quale Blaze, Mina e Coral avevano chiesto
informazioni era, in realtà, uno dei fondatori: architetto
illustre,
aveva perso tutto quello che aveva per il suo vizio di bere,
facendosi anche lasciare dalla moglie. Disintossicato, ma senza
più
nulla, aveva accettato di collaborare alla creazione della
più illustre città mai progettata: NMBC. Una
città dai sistemi
perfetti, e dopo aver preso la sua danarosa pensione, il vecchio
aveva deciso di passare il resto dei suoi anni nella pace di quella
misteriosa metropoli.
Dopo una confessione del genere, venne arrestato insieme a tutti
quelli coinvolti, e le ragazze vennero finalmente riportate a casa,
anche se sembravano molto incerte, come se non fossero sicure di
volerlo davvero.
Rouge aveva finalmente potuto mettere la parola
“fine” al
rapporto che doveva compilare.
Shadow e Rouge, insieme al Comandante, avevano raggiunto un accordo:
Blaze aveva commesso un crimine e avrebbe dovuto essere condannata
con l'accusa di pluriomicidio. Tuttavia, il risultato delle sue gesta
-se possiamo chiamarle così- ha portato alla risoluzione di
un caso
durato fin troppo a lungo, e ha riportato a casa tante, tante
vittime. Sarebbe stato ovvio che, se l'avessero imprigionata, si
sarebbero incattiviti le stesse vittime e i parenti.
Il Comandante aveva deciso di evitare un simile scenario, almeno per
il momento.
Blaze se ne sarebbe tornata nella sua dimensione con la fedina penale
pulita come l'aveva lasciata nel suo mondo, ma non avrebbe
più
dovuto rimettere piede a Mobius, pena le sbarre a vita.
Doveva sparire come era arrivata: nel nulla, e senza lasciare tracce.
Per questo Shadow e Rouge si erano impegnati a staccare i lacci tra
Blaze e Mobius, ma era impossibile estirparli completamente.
“E' da mesi che torturano Blaze con lettere.”
ripresa la donna
“Dovremmo dirgli che quelle lettere non le possono
arrivare-”
“Ne abbiamo già parlato Rouge.”
tagliò corto Shadow, sapendo
dove il discorso sarebbe andato a finire.
“Noi possiamo fare il nostro meglio per consegnarle, ed
è tutto.”
spiegò, mettendo via la foto della moglie incinta e Marine.
“Nessuno deve sapere che lei è in un'altra
dimensione.”
“Una volta ogni quattro o cinque mesi non è
abbastanza!” ribatté
Rouge.
“Blaze ha perso un incontro importante perché la
lettere le era
stata inviata 'solo' un mese fa. Quando le consegneremo la posta di
tutti questi mesi non varrà più
niente.” continuò la bianca, iniziando ad alzare
la voce.
“Dannazione, donna! Vuoi metterla in prigione?!”
urlò lui,
inasprendosi.
“No, se non si fa beccare!” rispose la pipistrella.
Shadow prese
un bel respiro e si calmò. Il tono di voce si
abbassò.
“Facciamo quello che possiamo.” rispose il collega,
abbassando lo
sguardo per terra. Rouge incrociò le braccia al petto, e lo
guardò
spazientita.
“Tu leggi le sue lettere?” chiese il riccio.
“Dato che lei non può.” rispose l'amica,
alzando le spalle
nervosamente.
Omega guardava i due in silenzio. La loro mentalità era
nettamente
cambiata in sua assenza. Dieci anni sono tanti da recuperare, e per
una macchina è naturalmente più difficile
“aggiornarsi” sulle
relazioni tra le persone. Quando l'avevano
“risvegliato”, le sue
prime immagini furono Shadow e Rouge che lo salutavano con un caldo
sorriso. All'inizio non capiva: erano loro, di sicuro, ma dieci anni
in un colpo solo è...impressionante.
Shadow continuava a far girare l'anello nuziale attorno al dito.
“E' difficile anche per me, ok?” disse,
più duro di come avrebbe
voluto. L'espressione sul viso della collega si addolcì.
“Io amo Blaze! Siamo sposati eppure sono costretto a vederla
solo
qualche volta. Sto per avere un figlio con quella donna e non so
nemmeno se assisterò alla sua nascita. Tutto quello che
voglio è
restare con loro...!” la sua bocca si bloccò.
Anche i suoi
movimenti si bloccarono. Il gesto lasciò in sospeso i
colleghi, i
quali lo guardarono sorpresi, ma anche preoccupati.
“Che cosa sto facendo...” sussurrò.
“Shadow?”
“Cosa ci faccio ancora qui?!” ed iniziò
a correre. Dove? Beh,
dal suo capo, ovviamente.
Omega e Rouge lo seguirono a ruota, volando e correndo veloci e
chiamando il suo nome.
Shadow richiamò l'ascensore , premendo con troppa ed inutile
forza
il bottone di richiamo. I due colleghi lo raggiunsero.
“Shadow, che ti passa per la testa!?” chiese a gran
voce Rouge,
ansimando.
“Rouge, mi faccio licenziare!”
La donna si bloccò di colpo. Lo guardò dritta
negli occhi.
“...Cosa?...” chiese, incredula.
Shadow picchiettò ripetutamente alcuni pugni sul tasto
dell'ascensore, come se
fosse convinto che così sarebbe arrivato più in
fretta.
“Sì Rouge!” confermò alla
donna, rivolgendo tutta l'attenzione
su di lei “Io qui ho finito!”
“Ma di che parli?”
“Non ho nessun motivo per rimanere qui!”
urlò lui, e poi cadde
il silenzio tra i due.
Un silenzio tombale ed agghiacciante.
Shadow realizzò che non erano quelle le parole che avrebbe
voluto
utilizzare. Detta così assumeva un irrispettoso significato.
E aveva ragione a temere.
Rouge lo guardò immobile. Si sentiva spezzarsi dentro.
Lei non era una ragione valida? Il team?? Davvero non stava
considerando il fatto che senza di lui lei rimaneva sola??
Lei...non aveva altri amici... e quei pochi che aveva, li aveva persi
negli ultimi dieci anni da criminale.
Come poteva farle questo?!
Ma poi realizzò... come lei poteva
fargli questo?
Il silenzio venne spezzato pochi secondi dopo solo dalla campanella
dell'ascensore. Esso si aprì e, con passo un po' reclutante,
Shadow
ci entrò. Rouge si sentiva paralizzata, tuttavia fece uno
sforzo ed
entrò anche lei, prima che le porte si chiudessero dietro di
lei.
Omega non entrò, guardò l'ascensore chiudersi con
dentro i suoi
colleghi usciti freschi freschi da una situazione piuttosto delicata.
C'erano alcune cose che si stava chiedendo: avrebbe dovuto dire
qualcosa? Avrebbe dovuto convincere Shadow a cambiare idea? O
l'avrebbe fatto Rouge?
Ma tanto Omega sapeva già che tipo fosse Shadow: se il
riccio nero
avesse mantenuto anche solo una minima percentuale dell'ambizione che
aveva
Shadow dieci anni prima, allora bisognava star pur certi che il
riccio nero aveva già preso la sua irreversibile decisione.
Una musichetta rilassante stava suonando dagli altoparlanti
dell'ascensore.
Ma l'atmosfera tra Shadow e Rouge non era un cazzo rilassata.
Il riccio evitava di guardare la collega negli occhi, lasciando
però
che la punta del suo piede dimostrasse il suo nervosismo
picchiettando ripetutamente.
Rouge si stava sfregando un braccio, nervosa anche lei, ma al
contrario dell'amico si assicurò di guardarlo bene in faccia.
Dopo u po', Shadow si sentì di parlare.
“Senti Rouge...” iniziò lui, indeciso
sulle parole da esporle
“Non è quello che intendevo dire.”
“Di che parli?”
“Lo sai bene di che parlo!” scattò lui
“Di quello che ho detto
prima. Che non avevo nessun motivo per restare.”
spiegò.
“Io ho concluso il caso del commercio degli schiavi. Ho avuto
le
risposte che cercavo, so come si conclude la storia, e soprattutto
sono certo che si sia conclusa.” prese un bel respiro, e poi
continuò con la sua spiegazione “Ho ripagato il
mio debito con la
G.U.N. e la società. Abbiamo sbattuto al fresco tutti i
criminali
che avevamo aiutato in passato; non so te, ma io mi sento leggero
adesso...libero,oserei dire. E adesso, da qualche altra parte,
c'è
qualcuno che ha bisogno di me: Blaze. Lei è la mia famiglia.
Sono
abituato a correre in soccorso quando si tratta di crimine, ma ho
capito che aiutare qualcuno non significa sempre mettere in cella
qualcun altro. Aiutare significa ricevere gioia a conti fatti. Blaze
ha bisogno di me, che la aiuti: solo così saremo una
famiglia, solo
così avrò la vera gioia, quello che ho sempre
cercato nel mio
lavoro.” e finì la frase tirando un respiro di
sollievo, perché
finalmente aveva potuto dire quello che pensava, quello che
intendeva.
Rouge lo guardò sbalordita, con gli occhi spalancati: tutto
quello
che Shadow voleva era di sistemarsi, e lei stava solo giocando per i
suoi stessi interessi.
Che egoista che sei Rouge. Pensava, Egoistica
ed
egocentrica.
La donna mostrò un leggero sorriso, dolce e caritatevole.
“E tu pensi che ti lascerei andare da solo dal grande
capo?”
chiese lei ridacchiando divertita. Anche Shadow accennò ad
un
sorriso. L'ascensore suonò la campanella: erano arrivati. Le
porte
si spalancarono.
Sul volto di Rouge era di nuovo spuntato un sorriso accattivante.
“Questa la voglio proprio vedere!”
Ore quindici.
Rouge respirò a fondo l'aria fresca delle colline
incontaminate.
L'erba ondeggiava morbida al muoversi del vento.
Anche Shadow inspirò la frescura della brezza di tarda
primavera.
Omega guardava un po' il paesaggio intoccato di campagna, con il suo
prato incolto e verde e il suo cielo celeste e privo di nuvole, e un
po' i suoi compagni, alternando.
Dire che convincere il Comandante a lasciare Shadow è stato
difficile, non è esatto: è stato impossibile.
Quindi sì, adesso
Shadow stava tagliando la corda.
“Bhe, qui ci dobbiamo salutare.” disse Shadow,
posizionando uno
strano congegno per terra.
Quell'aggeggio gli era stato donato da Hope, e serviva come portale.
Esso era alimentato a chaos energy:
l'energia degli
smeraldi del Chaos. Tirò fuori dalle sue spine non uno ma
ben due
smeraldi e li posizionò in due contenitori metallici
attaccati al
macchinario, proprio come Hope gli aveva detto di fare. Le luci si
attivarono e la macchina creò un portale: stava funzionando.
Shadow si girò verso i suoi amici.
Rouge lo guardò con un misto di tenerezza e tristezza, e poi
sospirò.
“Mi mancherai, bellissimo.” disse piano, con un
sorriso triste.
Shadow si avvicinò a lei. Si fermò a distanza di
un passo, e poi,
con gran sorpresa della giovane donna, l'abbracciò forte.
“Grazie di tutto Rouge.” le sussurrò
Shadow, come non aveva mai
fatto “Grazie per essermi sempre stato vicino. Sei l'amica
migliore
che potesse mai esistere.” le disse, con immensa gratitudine.
In quel momento, Rouge si sentì come se tutto il dolore, la
tristezza, il disagio passati accanto al riccio nero fossero stati
sciolti. Si sentì come se tutti quegli anni fossero serviti
a
qualcosa. Si sentì veramente apprezzata per la persona che
era, e
non più per l'agente che aveva dimostrato di essere durante
il suo
lavoro.
Non ce la fece a trattenere le lacrime e pianse. Ricambiò
l'abbraccio del riccio con una stretta così forte che Amy
levati
proprio.
“Ti voglio bene scemo.” gli disse amorevole tra le
lacrime.
“Anche io.” le rispose il riccio allo stesso modo.
Stessero secondi eterni così, poi lei si staccò
bruscamente.
“Sciò sciò!”
ridacchiò lei tra le lacrime “Lo sai che non mi
piacciono gli addii!” disse lei, asciugandosi il fiume che le
usciva dagli occhi, “Saluta Omega e affrettati! Blaze ti
starà
aspettando!”
Shadow annuì, e si dirisse verso Omega con il palmo proteso,
pronto
per stringergli la mano.
Invece Omega lo accolse in un mega abbraccio.
“Addio Shadow the hedgehog!”
salutò il robot “Verrai
a farci visita in futuro?”
“Certo che sì!” rispose Rouge al posto
suo “Altrimenti vengo
io a prenderti a calci!” promise ridacchiando.
“E poi” aggiunse, mettendosi una mano sul cuore
“Ho un nipotino
da conoscere, una volta nato.” disse, facendo l'occhiolino a
Shadow.
“Sicuro.” confermò lui.
“Quando volete, fate pure un salto.”
E poi salì sulla piattaforma e sentì i suoi
congegni mettersi in
azione.
“Ci mancherai!” esclamò Rouge in
extremis.
“Concordo!” esclamò a
sua volta il robot.
Shadow rise forte, contento, e fu tutto quello che Rouge e Omega
sentirono prima che un'abbagliante luce fosforescente verde facesse
sparire di prepotenza il corpo di Shadow. La macchina aveva
funzionato, Shadow era stato teletrasportato.
I due rimasero in completo silenzio per alcuni secondi, fissando il
portale.
“Credi che sia andato?” chiese Omega alla fine.
“Sì, credo sia già dall'altra
parte.” confermò la donna, e
tolse gli smeraldi dalla macchina, la quale si spense in mancanza
della preziosa energia.
“Sai” iniziò Omega,
guardando la collega, la quale rimase
voltata a mostrargli le spalle “Avrei scommesso
che
avresti fatto di tutto per farlo rimanere, persino costringerlo con
la forza, se necessario.”
La donna ridacchiò.
“Sai, l'avrei anche fatto, all'inizio. Ma poi ho capito che
non
potevo impedirlo. Vedi” spiegò lei, finalmente
girandosi per
guardarlo negli occhi rossi “Io ho sempre voluto che lui
andasse
avanti, che superasse la morte di Maria e tutti quei brutti ricordi
sull'ARK. L'ho sempre spronato a guardare avanti, di lasciarsi il
passato alle spalle, di costruirsi un futuro. E ora che ha fatto
tutto questo, mi sono resa conto che adesso sono io l'unica che
è
ancora attaccata al passato.” spiegò, asciugandosi
una lacrima
prima che scappasse dall'occhio.
“Tutto quello che volevo era che ritornasse tutto come prima,
e un
anno fa, quando ci siamo riuniti nel Team Dark ancora una volta, mi
sono illusa che potesse essere possibile, che il mio desiderio si
fosse avverato. E invece nulla è come prima, Shadow
è andato avanti
mentre io ho ignorato il mio stesso consiglio. Sciocca, non
è vero?”
chiese con un filo di voce, dando a Omega un forzatissimo sorrisetto.
“Sciocca no, casomai incoerente.”
rispose l'amico robot.
“Quelli erano veramente bei tempi. Sai, quando noi
eravamo un
vero team, unito, che combatteva per questo mondo
incondizionatamente. E' nostalgia Rouge, è normale che tu ne
soffra.” Omega le poggiò delicatamente
una mano sulla spalla.
La donna sorrise, consolata.
“Adesso che facciamo? Torniamo alla base?”
chiese Omega,
indeciso, mentre prendeva da terra il congegno di Hope. La
pipistrella bianca ridacchiò maliziosa.
“No Shadow, no party.” rispose con un sorriso
accattivante.
“Oggi ci prendiamo la giornata libera. Se mi sbrigo, magari
posso
trovare ancora Knuckles che fa compere al mercato.”disse,
alzandosi
in volo.
“Anzi” disse, volteggiando verso la
città “Ripensandoci, Omega
hai mai tentato di rubare una pietruzza grande come il Master
Emerald?” chiese, con gli occhi che le brillavano.
“No.” rispose il robot, seguendola a ruota con il
portale
sottobraccio.
Per
lui il tempo rimaneva un mistero. E' incredibile come cambia, ma
soprattutto come fa cambiare.
N.A:
E'. FINITA.
Ringrazio
tutti quelli che mi hanno seguito fino ad ora, e spero che la storia vi
sia piaciuta!
E' stato bello ragazzi! Alla
prossima avventura!
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