Capitolo
Tredici: Falling into pieces
“You
just do it. You force yourself to get up.
You
force yourself to put one foot before the other,
and
God damn it, you refuse to let it get to you.
You
fight. You cry. You curse.
Then
you go about the busisness of living. That's how I've done it.
There's
no other way.”
~
Elizabeth Taylor
A
Sharon pareva di essere immersa nel buio da un'eternità. Camminava
senza sosta, i piedi nudi le dolevano e avvertiva una sostanza
viscosa sotto di essi, sangue, il suo.
Improvvisamente
la luce. Talmente accecante da far apparire bianco ed immacolato
tutto attorno a lei. Mosse qualche passo, incerta da quel cambio
repentino.
«Sharon...»;
il
cuore dell'agente 13 mancò un battito e percepì il proprio stomaco
stringersi in una dolce morsa.
Si
voltò di scatto, mulinando i lunghi capelli biondo miele; lui era lì
a pochi metri da lei, identico all'ultima volta che l'aveva visto...
Bellissimo e malinconico.
I
suoi piedi si mossero da soli, completamente dimentica del dolore
provato fino ad un attimo prima, corse verso di lui mentre la sua
vista andava appannandosi a causa delle lacrime.
Lui
allargò le braccia e la accolse indulgente. Sharon lo strinse a sé
con tutta la forza di cui disponeva, il cuore impazzito
dall'emozione.
«James!»
singhiozzò disperata.
Lui
le sorrise dolcemente, dio com'era bello, quanto le era mancato.
Si
baciarono con passione e sofferenza, le mani di Sharon vagavano
tremanti sul corpo di James, voleva sentirlo sotto i suoi palmi.
Un
lieve rumore metallico alla sue spalle, la costrinse a voltarsi. Ciò
che vide le gelò il sangue.
Davanti
a lei si stagliava il Soldato d'Inverno, colui che non ricordava di
essere James Barnes, uno dei più spietati e pericolosi assassini del
secolo, l'uomo di punta dell'HYDRA.
L'espressione
dei due James era mortalmente seria. Si fronteggiavano in silenzio,
mentre Sharon fra loro fremeva terrorizzata.
Con
una sincronia da brividi sollevarono entrambi la pistola, puntandola
l'uno contro l'altro.
L'agente
13 spalancò le braccia ponendosi sulla linea di tiro senza esitare,
proteggendo James.
«Ti
prego...» supplicò.
«Non
puoi uccidermi» dichiarò il Soldato d'Inverno inespressivo,
rivolgendosi a se stesso.
A
quelle parole James sorrise tristemente, cambiò traiettoria e si
puntò l'arma alla tempia;
«Invece
posso».
Sharon
si sentì morire, fece per sporsi verso di lui ma non fece in
tempo... e lo sparo risuonò violentemente.
Si
svegliò urlando. La luce l'accecò momentaneamente e Sharon sentì
mani gentili ma ferme fare pressione sulle sue spalle, scosse da
tremiti.
«Shh.
Va tutto bene, va tutto bene...» mormorò Natasha, abbracciandola
delicatamente. La bionda crollò fra le sue braccia piangendo
disperatamente, una mano premuta contro la gola dolorante, fasciata
con delle morbide bende.
«A-a-anco-ra!
S-sì è-è u-ccis-o!» singhiozzò mentre la russa le accarezzava
piano la schiena senza dire una parola, accogliendo silenziosamente
il suo dolore.
Erano
passati cinque giorni da quando James se n'era andato. Nessun
contatto, nessun indizio, dissolto come fumo; lasciando dietro sé
cuori spezzati, confusione e disperazione.
Da
quel momento Sharon era precipitata nello sconforto: non dormiva più
di due ore per notte, la gola sembrava non volerne sapere di guarire
e si rifiutava di mangiare.
Per
Natasha era stato naturale prendersi cura di lei. Solo quando l'aveva
vista così... spezzata... si era resa conto di quanto le
fosse legata.
La
russa non aveva mai avvertito un senso di vicinanza con un'altra
donna, probabilmente anche a causa di ciò che aveva vissuto nella
Red Room; ma con Sharon era stato diverso, quello che avevano
affrontato in Russia aveva gettato le basi per qualcosa di più
profondo, della semplice conoscenza e rispetto reciproco ai tempi
dello S.H.I.E.L.D.
Il
loro avvicinamento era stato spontaneo, pacato, senza che nulla fosse
forzato. Si erano ritrovate a condividere diversi momenti e Natasha
aveva compreso di poter contare su di lei nelle situazioni difficili;
ne apprezzava la forza d'animo e la generosità disinteressata. Per
lei era sempre stato complicato concedere la propria fiducia, non
quando si viveva in un mondo di spie e di assassini; non aveva mai
affidato la propria vita a nessun altro prima di Steve ed ancora meno
tollerava dover affidare la vita di lui a qualcun altro che non fosse
se stessa, ma Sharon era fra quelle persone a cui, da tempo ormai,
aveva concesso la sua fiducia incondizionata.
Vederla
ora, in quello stato di profonda prostrazione la feriva e la
infastidiva al tempo stesso: non poteva accettare che una ragazza
risoluta come Sharon Carter fosse ridotta ad essere l'ombra di se
stessa. Le accarezzò dolcemente il capo, mentre la bionda si calmava
lentamente; malgrado tutta la forza che possedevano, davanti ad un
amore così totalizzante anche l'essere umano più intrepido si
scopriva fragile e privo di difese.
Sharon
prese un profondo respiro, poi con stizza si asciugò le lacrime,
strofinò il dorso della mano sul volto senza alcuna grazia, ma con
rabbia.
Natasha
con presa salda le tolse le mani dal viso; l'agente 13 sollevò i
suoi lucidi occhi scuri e li puntò in quelli verdi e cristallini
dell'altra, nessuna delle due disse nulla. La russa si stava
dimostrando la sua ancora; in quei momenti quando sentiva il seme
della follia serpeggiare in lei e gli incubi tormentarla, Natasha con
la sua figura silenziosa le era immediatamente accanto. Non le aveva
chiesto niente, si era limitata ad ascoltare le sue parole incredule
e sofferenti, accoglieva il suo dolore ogni volta che questo
minacciava di sopraffarla, condividendo con lei quel tormento.
«Sharon-»;
la
bionda strinse i denti;
«Perché
l'ha fatto?» mormorò persa «Perché se ne è andato?» guardò
l'amica «Natasha io...» si portò una mano al volto.
La
russa aveva una risposta, ma non era quella che Sharon avrebbe voluto
sentire, perciò si limitò a stringerla un'ultima volta prima di
passarle la pillola che l'avrebbe aiutata a calmarsi e dormire. Non
che le facesse piacere costringerla ad assumere dei farmaci, ma senza
quelli l'agente non sarebbe stata in grado di andare avanti.
«Sharon
so che è difficile, ma resisti. Non perdere la fiducia...» replicò
con tono carezzevole, senza perdere il contatto visivo con lei.
«Mi
dispiace Nat- hai già molto a cui pensare... Mi sento così
inutile-» l'ennesima fragile lacrima abbandonò i suoi occhi,
tracciando i contorni sofferenti del suo viso.
La
spia scossa il capo;
«Shhh.
Non dire così. Riposa ora, ce la faremo. Ce la farai Sharon» le
assicurò, restando con lei finché non riuscì ad addormentarsi.
Si
alzò piano e lasciò la stanza con passo felpato, prima di
raggiungere la sua meta si diresse verso un'altra stanza poco
distante dalla sua. Aprì lentamente la porta ed il suo sguardo
s'intenerì un poco.
Jace
era preda di un sonno agitato, la sua mano stringeva però saldamente
quella di Alexandra, addormentata sul materasso steso accanto al
letto del ragazzo.
Come
fosse un'ombra fluttuante la russa si avvicinò ai due giovani, li
fissò intensamente poi una mano corse a scostare con dolcezza i
capelli dal viso di Alexandra, che si tese appena percependo quel
tocco e poi sospirò sollevata. Quando invece, Natasha sfiorò la
fronte di Jace la trovò ancora bollente, segno che la febbre che
l'aveva colto qualche giorno prima non si era attenuata.
Il
ragazzo aveva subito un duro colpo, una parte della sua famiglia era
andata in pezzi ancora una volta sotto i suoi occhi, che già troppo
dolore avevano vissuto; non aveva voluto tornare a scuola ed era
rimasto accanto a Sharon per tutto il tempo. Nessuno degli adulti se
l'era sentita di costringerlo a fare diversamente.
Alexandra
si era dimostrata ancora una volta una ragazzina estremamente
combattiva per la sua età. Era lei che più di tutti si era occupata
dell'amico: lo faceva mangiare, lo obbligava a studiare e a
riposarsi... Cercava di fargli riprendere un contatto con la realtà,
di farlo reagire, anche dopo un violento scoppio di rabbia lei
l'aveva schiaffeggiato indignata, urlandogli di pensare a Sharon
subito prima di scoppiare a piangere dispiaciuta. Alla vista di
quelle lacrime Jace si era immediatamente calmato e l'aveva
consolata; era come se attraverso il suo pianto, lui avesse compreso
qualcosa di importante. Nulla però aveva impedito alla febbre di
coglierlo e costringerlo a letto.
“Ragazzini
testardi e coraggiosi” pensò Natasha con un lieve sorriso,
mentre imbeveva una pezza nell'acqua ghiacciata e la poneva
delicatamente sulla fronte del giovane, la cui espressione si
alleviò.
Restò
qualche altro minuto a vegliare sui suoi protetti, finché l'orologio
non segnò le quattro del mattino con un sospiro Natasha lasciò la
stanza.
Il
sacco finì brutalmente contro il muro della palestra, per quella che
era la decima volta. Ormai inutilizzabile, Steve ne afferrò
malamente un altro e lo fissò al gancio riprendendo ad accanirsi su
di esso.
«Steve
ora basta».
La
voce seria e secca di Natasha lo immobilizzò per qualche istante,
come se avesse ricevuto una scossa.
Il
supersoldato si voltò verso la compagna, il cui sguardo era severo
ma stranamente lucido e lui si sentì immediatamente in colpa.
«Dovresti
essere a letto a riposare» le fece notare lui con tono morbido;
lei
inarcò un sopracciglio perfetto;
«E
tu con me» frecciò accigliata.
Il
silenzio si era fatto teso, i loro corpi distanti, ma Steve fu il
primo a distogliere lo sguardo.
Natasha
gli si avvicinò cautamente come se si stesse avvicinando ad un
animale irrequieto. Gli circondò un braccio lucido di sudore e
poggiò la fronte sulla spalla.
«Cosa
speri di ottenere?» gli domandò, il tono lievemente meno severo.
Il
capitano sospirò e chiuse gli occhi;
«Non
lo so» ammise dolorosamente. Pur restando il soldato tutto d'un
pezzo a cui il mondo si affidava, il suo sguardo trasmetteva una
fragilità che rare volte Natasha gli aveva scorto. La sua mano gli
afferrò dolcemente il volto e lasciò che le loro labbra si
unissero. Il bacio si trasformò in un abbraccio; Steve la tenne
stretta a sé, nascondendo il capo nella sua spalla, amareggiato,
confuso, privo di un importante frammento di se stesso.
«Non
poteva restare...» mormorò Natasha intuendo i tormenti del
compagno; sentiva di essere l'unica a comprendere veramente la scelta
di James, non che questo le avrebbe impedito di prenderlo brutalmente
a calci prima o poi per aver gettato la persona che amava in un tale
sconforto.
«Avrebbe
potuto aspettare, mettercene a parte-» replicò lui risentito non
verso di lei, ma verso se stesso, verso Bucky.
La
russa lo scostò gentilmente dal suo corpo, per osservarlo in volto;
«Non
posso darti torto, ma se ha fatto ciò che ha fatto forse un motivo
c'è. Lui sapeva...»
«Che
cosa?»
«Che
restando ci avrebbe messo in pericolo» rispose sicura. Era certa che
James non si sarebbe mai allontanato da loro, che non avrebbe mai
lasciato Sharon e Jace a meno che la situazione non fosse così grave
da costringerlo, e la cosa nel profondo la inquietava.
«E
ora lui è lì fuori da solo! Cosa gli fa pensare di poter stare
meglio? O di non essere più in balia di quella donna!?»
ribatté serio, il suo tono basso si era fatto leggermente più
concitato.
Tutti
loro, insieme alla squadra di Coulson avevano visto James camminare
nei corridoi insieme a quella che tutti conoscevano come Erica
Holstein e poi sparire all'occhio delle telecamere.
Natasha
rimase in silenzio, osservando ammirata il profilo nobile del
compagno illuminato da un sottile raggio di luna.
«Non
lo possiamo sapere. Ha ferito Sharon e questo ci fa chiaramente
capire che non era in lui, ma non l'ha uccisa e avrebbe potuto a quel
punto, quindi significa che non ha perso la ragione... Non del tutto
almeno»
«Perché
non ci ha detto cosa aveva intenzione di fare-?» la guardò in volto
e ne rimase incantato, ma il suo sguardo era parecchio eloquente.
«Perché
non vuole farsi trovare» sospirò con un amaro sorriso «Nessuno è
meglio di lui nel far perdere le proprie tracce. Che diavolo gli sarà
saltato in mente?».
Natasha
si strinse nelle spalle e gli si avvicinò;
«Spero
per lui che sappia quel che fa-» d'improvviso la voce le venne meno
e avvertì le gambe deboli. Steve, dimostrando riflessi inumani, le
strinse delicatamente ma saldamente le mani intorno alla vita per
sostenerla.
«Perché
ti costa tanto darmi retta, ogni tanto?» le sussurrò preoccupato
mentre la sua mano scivolava premurosa sul suo grembo gonfio. Era
alle soglie del quinto mese, la rotondità del ventre si stava
facendo sempre più evidente.
Natasha
non rispose, troppo orgogliosa per confessare la verità. Guardò la
mano di Steve e si intristì; ancora non percepiva nessun movimento
da parte del bambino; la dottoressa Montgomery – la dottoressa che
aveva momentaneamente preso il posto di Helen Cho e da lei caldamente
consigliata – le aveva assicurato che era normale dopotutto lo
stress a cui stava venendo sottoposta. Ma lei non riusciva a non
inquietarsi, perché si sentiva così sbagliata?
«Steve
ascolta, se non vuole farsi trovare un motivo ci sarà, ma non
dev'essere per forza per la motivazione peggiore...»
«Lo
so ma-»
«Non
riesci ad accettare la situazione» finì lei per lui.
Steve
strinse le labbra in un'espressione grave. Era così, non riusciva ad
accettarlo. Il fatto che Bucky se ne fosse andato lo stava logorando,
lo angosciava il pensiero di averlo perso per l'ennesima volta, nel
silenzio e nella confusione più totale. Come aveva potuto ferire
Sharon in quel modo? Nemmeno per un istante aveva creduto che fosse
dipeso dalla sua volontà... No, era stato chiaramente manipolato. Il
fatto che l'HYDRA fosse riuscita ad infiltrarsi così a fondo tra di
loro gli rodeva il fegato, che fossero stati così vicini a Natasha e
al loro bambino lo faceva fremere di rabbia ed ansia.
James
non doveva andarsene, avrebbero potuto risolvere la situazione
insieme... Sempre che fosse risolvibile quella situazione. Che cosa
nascondeva nel suo cuore Bucky?
Sospirò
e scrollò le spalle, riportando lo sguardo sulla propria compagna;
«So
che non vorresti sentirtelo dire, ma non puoi. Non puoi mollare моя
жизнь [vita mia]»
gli disse abbandonando il capo sul suo petto, nessuno di loro due
poteva.
Steve
annuì piano ma seccamente. Erano accerchiati e Bucky gli mancava
come se gli avessero strappato un arto... Sentiva di avere la
sindrome dell'arto fantasma: c'erano volte in cui gli sembrava che
James fosse ancora al suo fianco, che lo stesse osservando
attentamente ma poi si rendeva dolorosamente conto che quella
sensazione avvolgente non era altro che una mera illusione.
Natasha
aveva ragione, non poteva permettersi di crollare e crogiolarsi nello
sconforto di una situazione incerta e pericolosa. Lui doveva andare
avanti.
Sharon
aprì lentamente gli occhi, percepiva le palpebre pesanti e stanche e
le borse sotto di esse talmente marcate da dolerle fisicamente.
Il
suo braccio reagì d'istinto, senza che lei ne avesse il controllo e
sfiorò incerta il resto del letto dietro di sé, trovandolo vuoto e
freddo. Come previsto il suo cuore venne stretto in una morsa
dolorosa e i brividi le scossero il corpo provato.
Si
levò a sedere come se ogni gesto le costasse una fatica immensa, con
sguardo desolato si guardò attorno, le labbra leggermente tremanti,
il mondo le apparve incredibilmente grigio. Col vuoto nel cuore si
alzò e si diresse verso il bagno, con gesti lenti e meccanici si
spogliò, lasciando che ogni singolo indumento le scivolasse,
spettatore muto, addosso.
Il
getto d'acqua freddo la colpì all'improvviso ma lei non mosse un
muscolo. I suoi occhi fissavano vacuamente la superficie chiara e
liscia lasciando che l'acqua le scorresse lungo il corpo candido e
liscio, disegnando nuove forme. La sua mente le proiettava, in un
orribile loop, ciò che era accaduto i giorni addietro. James al
centro di tutto, la sua testa si riempì di lui: del suo volto; dei
suoi sorrisi incerti ma pieni di dolcezza; dei suoi gesti; della sua
voce; del suo profumo... Di lui, lui e basta. Sharon ne fu
sopraffatta. Le spalle iniziarono a tremare in modo incontrollato e
le lacrime salate e disperate si mischiarono alle gocce d'acqua che
inutilmente avrebbero tentato di alleviare il suo tormento.
Il
peso di tutto quel dolore fu troppo per lei, le sue ginocchia si
piegarono dolcemente e crollò a terra, lasciando che il suo suono
della sua angoscia fosse soffocato da quello della doccia.
Non
aveva idea di quanto fosse rimasta sotto il getto d'acqua, ma quando
uscì i suoi occhi scuri erano incredibilmente asciutti, forse perché
aveva pianto tutte le lacrime che le erano state messe a
disposizione. Passò una mano sullo specchio e la sua immagine
comparve come per magia.
Sharon
si prese qualche secondo per osservare il proprio volto, i lineamenti
irrigiditi, le labbra tese e gli occhi talmente scuri da essere
imperscrutabili; poi afferrò la spazzola ed iniziò a pettinarsi con
cura inusuale i lunghi e lucenti capelli color miele.
Una
volta terminato di sistemarsi i capelli in una morbida treccia, la
giovane prese i trucchi ed iniziò a curarsi il viso. Il volto restò
perfettamente immobile, come quello di una bella bambola e il tutto
si svolse nel più totale silenzio. Tornò in stanza e si vestì, si
guardò un'ultima volta allo specchio e con un gesto secco cancellò
l'impalpabile scia bagnata che segnava la sua guancia.
Un
passo dopo l'altro... Un passo dopo l'altro...
Si ripeteva come un mantra.
Si
diresse nella stanza di Jace, ancora immersa nel buio; osservò con
un guizzo di tenerezza i due ragazzini addormentati, poi accarezzò
con estrema dolcezza il volto del quindicenne ancora caldo di febbre.
Gli rinfrescò la pezza di stoffa e gli sistemò con cura le coperte.
«Perdonami
per non essermi presa cura di te in questi giorni» gli sussurrò «Ma
ora sono qui Jace».
Una
volta in soggiorno vi trovò solo Natasha e il capitano, entrambi
furono sorpresi che fosse lì ma si premurarono subito di nascondere
la loro costernazione.
«State
uscendo?» domandò con voce leggermente roca, come chi non era più
abituato a parlare a voce alta.
Vedova
piegò leggermente il capo di lato, osservandola attentamente, poi
sorrise appena:
«Sì,
ho appuntamento con la dottoressa Montgomery. Mi piacerebbe se
venissi anche tu».
Sharon
dischiuse le labbra ed annuì grata. Si avvicinò alla donna;
«Mi
manca. In ogni momento mi manca. Non va ad ondate: è un dolore
continuo» ammise con un filo di voce ma senza guardarla in volto.
Natasha le afferrò gentilmente il polso facendo scivolare la mano
verso la sua;
«Tutto
quello che senti va bene, Sharon» la rassicurò mentre la bionda
faceva scontrare i suoi occhi scuri e tristi con quelli di lei, verdi
e cristallini. Annuì. Comprendendo ciò che la spia voleva dirle.
Steve
si rasserenò un poco nell'osservare le due donne così vicine.
«Andiamo?»
disse avvicinandosi a loro e poggiando delicatamente la mano sulla
schiena di Natasha.
Erano
quasi all'uscita dell'Avengers Tower quando i tre scorsero una figura
alta che camminava nervosamente avanti ed indietro, borbottando
qualcosa all'esterno dell'edificio, proprio davanti l'ingresso.
Steve
fece cenno a loro di fermarsi, mentre con cautela si dirigeva verso
l'accesso.
«J.A.R.V.I.S.
che succede?»
«Questo
ragazzo vuole entrare Capitano Rogers. Afferma di conoscere lei e la
signorina Romanoff. Ma non possiede un'autorizzazione e non è
presente nel database.» rispose compitamente l'AI.
«D'accordo
J.A.R.V.I.S ci penso io-» ma il supersoldato si bloccò, il suo
sguardo aveva finalmente colto il volto del ragazzo spazientito... e
lui lo conosceva.
«Holden?».
*
«Vuoi
davvero andare fino in fondo?» berciò non molto convinto l'uomo,
facendo schizzare un sopracciglio verso l'alto.
L'altro
gli scoccò un'occhiata stizzita, non voleva più tornare
sull'argomento. Quella al momento era l'unica cosa utile che poteva
fare.
«Non
mi pare abbia altre alternative ora come ora» rispose lugubre.
L'omone
si strinse nelle spalle arrendendosi. Che facesse un po' come gli
pareva;
«Beh
spero che allora tu abbia più fortuna dell'ultima volta James».
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Eccoci
qui, allora come potete notare in questo capitolo non abbiamo
moltissimi "elementi", se non verso la fine questo capitolo non ci
riserva grandi sorprese e si concentra sulla reazione di Steve e Sharon
oltre che Natasha e il piccolo Jace, che in questo momento è in
una versione tutta sua di "mamma-infermiera". Questo è
ovviamente voluto... La "mancanza di Jamesn" non è una
questione che si può certamente risolvere in un capitolo.
Volevo un momento dedicato a coloro che più di tutti amavano
James e spero di aver mostrato in modo giusto il loro dolore, su cui
avrò comunque modo di tornare.
Spero anche che vi sia piaciuto il rapporto tra Natasha e Sharon, che
è qualcosa a cui io tengo molto... Nei film abbiamo grandi
esempi di "bromance": Steve e Bucky, io direi anche Bruce e Tony o Tony
e Rhodes mi piacciono molto, ma un'amicizia al femminile non l'abbiamo
ancora vista (o mi è sfuggito qualcosa?) quindi questa relazione
che si sta instaurando fra due grandi donne come Romanoff e Carter per
me è fondamentale.
Poi c'è un piccolo assaggio di Bucky che è impegnato a
fare qualcosa... per sapere cosa dovrete attendere ancora un bel po',
vi posso solo dire che non riesce a stare fermo di sicuro!
Passiamo poi a Holden... chi se lo ricorda?? Se avete dubbi vi consiglio di fare un salto indietro a due storie fa XD
Bene,
per il momento è tutto! Spero che il capitolo non vi abbia
deluso... Io ringrazio tutti voi per la pazienza e il sostegno! Sia i
miei fantastici recensori che i miei nuovi lettori a cui faccio un
saluto speciale!
Ci rivediamo fra DUE SETTIMANE (e spero di non avere più tutte queste difficoltà!) VENERDI' 23 GIUGNO! Per qualsiasi avviso vi consiglio di visitare (e mettere mi piace ;)) alla mia pagine autore su FB "Asia Dreamcatcher".
ps. La risposta alle recensioni del capitolo 12 arriveranno entro DOMENICA SERA!