Capitolo
35
“Quindi
tu pensi che...” Tiffany lasciò la frase in sospeso,
attorcigliandosi una ciocca di capelli attorno al dito con aria
scettica.
“Oh,
eccome se è così! È evidente, possibile che tu
non l'abbia notato?” le assicurò Cathleen in tono
complice.
Aprile
stava per volgere al termine e anche nel tardo pomeriggio il sole
inondava e riscaldava ogni angolo del campus. Le due sorelle si erano
concesse qualche ora solo loro due; in quel momento si trovavano
sedute su una panchina all'ombra dei fitti pini, al rientro da una
breve passeggiata in spiaggia.
“Ben
allora non si è accorto di niente, altrimenti me lo avrebbe
sicuramente detto! Siamo amici, ci diciamo tutto...” osservò
la più grande.
“E
Grace non ha detto niente a me, eppure si fida abbastanza... secondo
me ha paura di Lisa.”
“Paura
di Lisa?”
“Ehm...
diciamo che... la vedo ancora molto gelosa nei confronti di Ben”
ammise Cathleen con un sospiro.
“Eh?
Ma cosa vuole? Oddio, quanto è infantile! È troppo
abituata a trattare quel poveretto come una proprietà privata,
ma almeno adesso che non stanno più assieme dovrebbe fare un
passo indietro!” sbottò Tiffany indignata.
“Lo
so Tiff, ma io ormai non le do più nessun consiglio. Sai che
tra me e lei non c'è più il rapporto di un tempo.
Comunque sono preoccupata per Grace: da parte di Lisa vedo molta
antipatia, però entrambe vogliono passare il loro tempo con
me. Ma perché mi caccio sempre in situazioni del genere? Sto
sempre nel bel meszo di due fuochi...”
“È
il tuo modo di essere, Cat: riesci ad andare d'accordo con tutti e
molte volte sei anche troppo buona. Fortunatamente tu sei un portento
e riesci a cavartela benissimo in ogni caso!” tentò di
rassicurarla sua sorella con un tenero sorriso dipinto in volto.
Per
qualche istante le due ragazze si limitarono a scambiarsi un'occhiata
colma d'affetto mentre i rami che dondolavano leggermente alla brezza
proiettavano sui loro visi dei solitari raggi di sole.
“Con
Kel come va?” domandò poi Tiffany. Sapeva che Cathleen
aveva bisogno di parlarne.
“Parte
dopo la fine della scuola. Come sempre in realtà; ho saputo
che si sente di nuovo con la sua ex, la ragazza che ha dovuto
lasciare quando è andato via dalla Spagna. Non me lo ha detto
esplicitamente, ma secondo me prova ancora qualcosa per lei”
raccontò lei con una nota di malinconia.
“E...
tu sei gelosa?” volle sapere Tiffany con un pizzico di malizia
nella voce.
Cathleen
sospirò ed esitò per un istante. “No, Kelsey non
mi interessa in quel senso. Quando l'avevo appena conosciuto penavo
che tra noi potesse nascere qualcosa, ma non mi è mai piaciuto
veramente.”
“Me
l'aspettavo” ribatté prontamente l'altra, per niente
sorpresa.
“Oh,
ma tu sai sempre tutto!”
Tiffany
ridacchiò.
“Ragazze!”
Una voce in lontananza attirò l'attenzione di entrambe e fece
trasalire la più piccola, che rischiò di far cadere la
borsa poggiata sulle sue ginocchia.
Sua
sorella continuò a ridere alla vista della sua espressione
spaventata mentre Lionel le raggiungeva.
“Lion,
ma ti sembra il modo di annunciare la tua presenza? Ti avrà
sentito mezza Newton!” lo rimproverò Cathleen,
voltandosi per osservare in viso il ragazzo che stazionava alle loro
spalle.
“Ah,
qui si respira, certo che avete trovato un bel posticino! In camera
mia c'è un caldo pazzesco! Ma perché Tiff sta ridendo?”
esordì lui con entusiasmo, ignorando beatamente le proteste
della sua amica.
“Siete
due pagliacci!” disse loro Tiffany tornando seria, poi si alzò
dalla panchina e afferrò la sua grande borsa nera.
“Dove
vai?” domandò Cathleen.
“Devo
ripassare, domani ho un'interrogazione pesantissima. Voi restate
qui?”
Lionel
aggirò la panchina e si stravaccò nel posto vuoto
accanto alla ragazza. “E chi si sposta più?”
“Va
bene, ci vediamo a cena! Auguratemi buona fortuna!” li salutò
Tiffany, allontanandosi in fretta sotto la luce arancione del sole.
“Aiuto,
Tiff quest'anno sta studiando come una matta!” commentò
il ragazzo.
“Non
oso immaginare quando arriveremo al terzo anno...”
“Se
ci arriveremo!”
“Che
pessimista! Io ci arrivo di sicuro!”
“Per
fortuna tu sei un anno più avanti di me, così mi potrai
aiutare!”
“Chi
ti dice che ti darò il mio aiuto?” lo punzecchiò
lei.
“Perché
tu mi vuoi bene!”
“Oh,
ma stai zitto, scimmietta!” Cathleen allungò una mano
per tirargli una ciocca di capelli, poi cominciò a giocarci
come suo solito.
“Eh
no, stavolta questi li lasci in pace!” si rivoltò
scherzosamente lui, raccogliendosi i capelli con una mano e
gettandoseli alla sinistra, in modo che Cathleen non ci potesse
arrivare.
“Ma
che cretino! No no, i tuoi capelli mi appartengono!” esclamò
lei e con una risata si protese per raggiungere il suo obiettivo.
“Ehi,
stai disturbando il mio dolce far nulla!” protestò
Lionel tentando di spingerla via con poca convinzione.
Dopo
una breve e giocosa lotta tra i due, tra le risate e gli improperi,
Lionel lasciò andare la ragazza che ricadde addosso a lui.
Cathleen, presa alla sprovvista, lanciò un gridolino e in un
istante si ritrovò con il viso di Lionel a pochi centimetri
dal suo. Vide le guance del suo amico imporporarsi violentemente, ma
quella vicinanza la portò a smettere di ragionare per un
secondo, a disconnettere il cervello e reagire solo d'istinto.
Al
posto di allontanarsi subito, come avrebbe di certo fatto in
qualsiasi altra situazione, posò le sue labbra su quelle del
ragazzo per qualche secondo. Il cuore le martellava nel petto con
forza; quel contatto le piaceva, sapeva di mare, di impazienza, di
sentimenti celati troppo a lungo.
Lionel
intanto si sentiva andare a fuoco: le orecchie e il volto bruciavano,
ma soprattutto le labbra. Non sapeva come reagire, cosa fare: la
ragazza dei suoi sogni era così vicina, così dolce in
ogni suo gesto. Non si sarebbe mai aspettato di vivere un momento del
genere.
Da
quando aveva incontrato Cathleen per la prima volta si era invaghito
di lei, poi i suoi sentimenti erano cresciuti sempre più. Si
era trovato costretto a reprimerli più di una volta, a un
certo punto aveva pensato addirittura di averla dimenticata, ma lei
era sempre lì: bella, dolce, divertente, con il suo magnifico
sorriso che lo rendeva felice ogni giorno. Aveva sofferto e lottato,
ma in quel momento come mai prima si era accorto di amarla con tutto
il cuore, per quello che era, per la sua semplicità, anche per
i suoi difetti.
E
lei ricambiava i suoi sentimenti, finalmente.
Il
bacio durò pochi secondi, ma entrambi alla fine erano
sconvolti. Cathleen si mise di scatto in piedi con gli occhi
sgranati, come se si fosse appena risvegliata da un sogno; si guardò
attorno spaesata, fece scivolare il suo sguardo sugli alberi,
evitando accuratamente quello di Lionel.
Una
folata di vento più forte delle altre la fece rabbrividire e
istintivamente si strinse le braccia attorno al corpo. Indossava solo
ubna maglietta verde acqua a maniche corte, non aveva una giacca con
sé.
Lionel
era ancora pietrificato sulla panchina, lo sguardo puntato sulla
scritta della sua maglietta: BOSTON 35. Perché proprio il
35? In base a quale criterio i produttori degli indumenti sceglievano
quei numeri? Erano domande inutili, ma in quel momento non
riusciva a concentrarsi su nulla di serio, sentiva la necessità
di svuotare completamente la mente.
“Cat,
io non...” provò a dire dopo qualche istante, sollevando
finalmente il capo e osservando la figura di Cathleen che si
stagliava contro i fusti dei pini dipinti dai colori del tramonto.
“Non
fa niente Lionel, non parliamone più.” La sua risposta
laconica troncò ogni tentativo di dialogo del ragazzo.
“Ascolta,
non ti devi porre problemi per quello che hai fatto...” riprovò
debolmente.
“Ora
non ne voglio più parlare, non me la sento. Mettiamo tutto da
parte e facciamo finta che nulla sia accaduto” lo interruppe
nuovamente lei; era completamente immobile, solo i capelli si
agitavano, sospinti dal vento.
“Stai
tremando di freddo” le fece notare gentilmente lui in tono
apprensivo.
“Che
ne dici di andare a cena?” cambiò discorso lei in tono
piatto.
Lui
si sollevò e si posizionò accanto a lei: oltre la
pineta, in direzione del mare, si presentava ai loro occhi un
luminoso e colorato tramonto.
Il
ragazzo si sfilò la giacca che aveva indossato qualche minuto
prima e la gettò sulle spalle di Cathleen. Lei sorrise appena
senza però voltarsi nella sua direzione; si strinse
l'indumento attorno al corpo e mormorò: “Grazie”.
Lionel
non sapeva bene come comportarsi, ma era certo che la compagnia dei
loro amici avrebbe spazzato via quell'imbarazzo che si era formato
tra loro due. Così prese la ragazza delicatamente per mano e
la condusse tra le viottole del grande cortile fino alla mensa. Tra
gli studenti che ancora si trovavano in giro per il campus, pochi
degnarono loro di uno sguardo.
Quella
notte Cathleen non riusciva a chidere occhio. Faceva caldo nella sua
stanza, ma non avrebbe comunque potuto aprire la finestra per via
della brezza fresca e umida della notte.
Dopo
essersi rigirata più volte tra le lenzuola, si mise a sedere
con un sospiro e afferrò il suo cellulare per controllare
l'orario: era l'una e venticinque.
La
scena del bacio con Lionel la tormentava e le dava da riflettere.
Ultimamente si era accorta di una piccola differenza nel loro
rapporto, sentiva da parte sua una maggiore voglia di stare con lui;
una vocina da un angolo nascosto della sua mente le aveva più
volte sussurrato che il suo migliore amico stava prendendo possesso
del suo cuore, ma lei l'aveva ignorata e repressa, convinta che una
cosa del genere non potesse essere possibile. Conosceva Lionel da
mesi ormai, se davvero avesse provato dei sentimenti nei suoi
confronti se ne sarebbe di certo accorta molto tempo prima.
Ma
allora come poteva spiegare il gesto di quel pomeriggio? Ma
soprattutto, come poteva spiegare la sensazione di soddisfazione e
felicità che aveva provato nel compierlo?
Non
ne poteva più di stare in quella camera, aveva bisogno di
uscire a fare due passi. Forse era stupido uscire a quell'ora della
notte, al freddo, ma lei ne sentiva il bisogno; non avrebbe potuto
certo passeggiare avanti e indietro per i corridoi, non le andava di
svegliare nessuno.
Si
infilò il cappotto pesante e in silenzio lasciò la
stanza.
Fuori
faceva freddo, ma lei iniziò a camminare velocemente e ben
presto i brividi scomparvero, così come i pensieri che le
affollavano la mente.
Durante
il suo tragitto senza una vera meta incrociò altri ragazzi: un
ragazzo solitario che si teneva la testa tra le mani seduto su una
rampa di scale, una coppietta che si stringeva in un abbraccio sul
ciglio di un'aiuola, un gruppetto di amici che faceva baccano vicino
all'ingresso del parco. Cathleen si sorprese di quanto fosse attiva
la vita notturna della scuola; non si sarebbe mai aspettata di
trovare così tante persone a vagabondare là fuori, chi
in preda all'insonnia come lei, chi desideroso di un momento di
privacy, chi invece agognava solo un po' di compagnia.
La
ragazza volse lo sguardo alla luna: era quasi piena quella notte e
inondava ogni angolo con la sua morbida luce.
Tutti
ammirano la bellezza della luna, ma in realtà lei brilla
semplicemente di luce riflessa, si ritrovò a osservare.
Era per questo che trovava affascinante la fontana avvolta
dall'oscurità della notte: rifletteva la luna, che già
di per sé era un riflesso, la rendeva ancora più falsa.
Si
recò quindi presso il pozzo d'acqua per ammirare quello
spettacolo che l'aveva sempre affascinata, ma quando vi giunse si
accorse di non essere sola: dalla parte opposta una figura familiare
avvolta in un grosso giubbotto scuro era appollaiata sul bordo.
Cathleen si avvicinò a essa con curiosità. “Angel?
Che ci fai qui? Ti hanno nuovamente buttato fuori dalla stanza?”
domandò in tono preoccupato quando riconobbe il ragazzo.
Ma
lui non sembrava per niente turbato; sollevò i suoi occhi
grigi e sereni su di lei e con calma rispose: “Ciao Cathleen.
No, stavolta sono stato io ad andarmene, avevo troppi pensieri per la
testa. Tu invece che ci fai qua fuori? Fa freddo”.
Lei
prese posto al suo fianco e puntò il suo sguardo sul cerchio
luminoso che baluginava in acqua. Quanto era bella e pura la luna, ma
anche lei nascondeva dei segreti e dei misteri, come tutti.
“Ti
capisco, anche io non riuscivo a dormire.”
“Non
vorrei sembrare indiscreto, ma... se vuoi puoi dirmi che cosa ti
preoccupa, per sfogarti. E tranquilla, qualsiasi confidenza con me è
al sicuro” la invitò gentilmente il ragazzo in tono
incerto, come se avesse paura di pronunciare quelle parole.
“A
una condizione: anche tu dovrai sfogarti con me. Ci stai?”
Angel
tentennò per qualche secondo: faceva sempre fatica a fidarsi
del prossimo, era estremamente riservato e non confidava mai i suoi
pensieri a nessuno. Ma quella notte si era creata un'atmosfera
magica, ogni pensiero poteva essere rivelato con il dolce scroscio
dell'acqua e l'impetuoso borbottio del vento come sottofondo.
“Va
bene, ci sto.”
“Okay.
Il punto è che oggi ho dato un bacio a fior di labbra a un mio
caro amico. Non avrei mai pensato di poter fare, ma soprattutto di
voler fare, una cosa del genere: io e lui ci conosciamo da mesi, nel
frattempo ho nutrito interesse per altri ragazzi, non mi sarei mai
aspettata di... insomma... lui mi piace, ecco. Ultimamente ho
maturato questi sentimenti, ma li ho negati a me stessa fino a questo
pomeriggio” raccontò Cathleen. Nella sua voce non c'era
nessuna traccia di vergogna o imbarazzo, ma il ragazzo non poteva
scorgere il viso completamente rosso della ragazza.
“E
qual è il problema?” domandò lui con semplicità.
“Il
problema l'ho appena superato. Prima d'ora non avevo mai ammesso che
questo ragazzo mi piace, non riuscivo a darmi pace, ma ora che me ne
sono resa conto mi sento più libera. Forse avevo proprio
bisogno di togliermi questo peso, ero stanca di mentire a me stessa.”
“Pensi
che lui possa ricambiare i tuoi sentimenti?” chiese ancora
Angel, cercando di non fare domande troppo specifiche per non
risultare invadente.
“Non
lo so. Oggi non mi ha respinto, era imbarazzato ma non disgustato. Ha
provato a parlarmi, ma io non gliel'ho permesso perché non
avrei saputo che dirgli. Non ne ho proprio idea, non credo abbia
altre ragazze per la testa comunque.”
“Va
bene. Ora ti senti più leggera?”
“Oh
sì, mi sento più consapevole. Non è stato facile
parlare sinceramente, ma è un grande passo avanti. Grazie. Ora
è il tuo turno” concluse Cathleen, preparandosi ad
ascoltare la confidenza del suo interlocutore.
“Più
o meno anche io sono qui per questo motivo. Cioè... una
ragazza” esordì lui. A differenza di Cathleen, Angel
aveva molta più difficoltà a esprimere ciò che
provava, ma sapeva che era necessario. Prese a torcersi nervosamente
le dita e mordicchiarsi il labbro inferiore, poi prese un profondo
respiro e proseguì: “Penso a lui da un po', ma il mio
problema è che... non mi sento mai abbastanza”.
“Non
voglio necessariamente sapere di chi si tratta, dimmi solo che non è
Alice.”
“No,
ho dimenticato Alice, non potrei continuare a provare dei sentimenti
nei suoi confronti dopo quello che è capitato. Probabilmente
capirai di chi sto parlando, ma non importa. Dicevo: lei, a
differenza di tutte le altre, mi ha da subito accettato per quello
che sono e mi ha fatto sentire subito a suo agio. È una
ragazza allegra, che rende più luminosa ogni sua giornata; io
con lei riesco a essere me stesso, a ridere ed essere forte. È
dolcissima, perfetta, ma io... non lo sono. Io sono così
timido, goffo, impacciato, pieno di difetti, invece... questa ragazza
merita di più, molto di più. Sto cercando di cambiare e
di migliorarmi per lei, ma purtroppo non ho la fortuna di averla al
mio fianco e senza il suo aiuto mi sembra di non fare nessun
progresso.”
Cathleen
ascoltò attentamente con un sorriso pieno di tenerezza appena
accennato. Certo che aveva capito a chi si stava riferendo e ne era
entusiasta; il discorso di Angel inoltre era stato davvero
dolcissimo, da esso traspariva un affetto puro e genuino.
“Angel,
ascoltami bene. Chiunque sia questa ragazza, se è quella
giusta per te, ti accetterà per quello che sei. Tu sei una
persona stupenda, ne vuoi la dimostrazione? Stai cercando di essere
migliore per lei, questo è simbolo di grande intelligenza,
bontà e altruismo. Ma se lei ti ha accettato, sono sicura che
ti adora per quello che sei. Non sminuirti mai; nessuno è
perfetto, nemmeno lei, e sono proprio i difetti a rendere le persone
uniche. Io per esempio voglio bene a Tiff e quindi anche alle sue
particolarità, altrimenti non sarebbe Tiff.”
Lui
annuì lentamente, più per sé stesso che per lei.
Sapeva che Cathleen aveva ragione, ma convincersi di tutto ciò
era molto complicato. “Lo so, ma io sono insicuro.”
“Tieni
conto che tutte le persone sono diverse e quella perfetta, quella da
prendere come esempio, non esiste. Dimmi, sai già quando
rivedrai questa ragazza?”
“Tra
un mese, più o meno.”
“Ecco,
in questo mese cerca di prendere coraggio e superare le tue
insicurezze. Quando passerete del tempo assieme devi solo cercare di
essere te stesso, senza troppe forzature, perché fingere non
porta da nessuna parte. Devi essere come il sole, puro e trasparente,
non come la luna. La luna è bella, ma così falsa:
riflette solo una luce non sua, ma di concreto non ha nulla di
speciale.”
Angel
sollevò lo sguardo verso quella falsa fonte di luce. Cathleen
aveva ragione: voleva mostrarsi per quello che era, le maschere non
servivano a niente, non era necessario raggiungere la perfezione.
“Grazie
Cathleen” mormorò con un lieve sorriso.
“Grazie
a te, Angel” ribatté lei.
Ed
entrambi si sentivano più leggeri.
|