CAPITOLO
18.
ONDA.
Pov
Sana.
Stavo
da circa un quarto d'ora nella stessa posizione perché il
fotografo
continuava a dirmi di star ferma, sentivo i muscoli delle gambe
intorpidirsi lentamente ma non ci feci caso, cercando di pensare ad
altro. Ad Akito, per esempio, e a quanto la nostra vita si stesse
trasformando nel più assurdo dei disastri.
Non riuscivamo a
passare insieme nemmeno dieci minuti di fila, e a volte non eravamo
nemmeno in grado di incastrare i nostri impegni quindi finivamo per
non vederci per giorni. Era uno strazio. Da quando avevo cominciato a
collaborare con il marchio di lingerie avevo dovuto spesso uscire
dalla città e Akito nel frattempo era tornato
all'università e ad
insegnare in palestra. La nostra era una vita troppo frenetica. In
più c'era da pensare alla riabilitazione di Natsumi e a
Kaori, che
mi mancava terribilmente.
Cambiai posa, mi costrinsi a
sorridere anche se in realtà mi ero appena resa conto che la
bambina
mi mancava più di quanto avessi potuto immaginare. Per
quattro mesi
l'avevo accudita, coccolata, l'avevo cullata quando stava male di
notte, l'avevo nutrita, era stata esattamente il prolungamento di me
stessa e adesso che era tornata da sua madre – cosa di cui
ero
veramente felice – mi sentivo un vuoto nel cuore. In compenso
c'era
Akito, e ciò che provavo per lui bastava a riempire quel
vuoto.
Magari avremmo potuto avere noi una bambina tutta nostra.
Mi
bloccai per un attimo. Ma cosa diavolo mi veniva in mente? Un figlio?
Io e Akito? Sarebbe stata una pazzia, un'assoluta e totale follia.
Non eravamo pronti, eravamo due ragazzini che si erano sposati per
necessità. E adesso che quella necessità non ci
sarebbe stata più
cosa ne sarebbe stato del nostro matrimonio? Era una domanda che mi
torturava da giorni, da quando Natsumi aveva ripreso Kaori con se in
realtà, e non facevo altro che pensarci. Lui avrebbe potuto
chiedere
la separazione, avrebbe potuto decidere di allontanarsi da me. Non
sapevo cosa avrei fatto in quel caso. Forse mi sarei distrutta
lentamente. Forse mi sarei buttata così tanto sul lavoro da
avere un
esaurimento nervoso.
Entrambe le opzioni facevano decisamente
schifo.
Cercai di spostare i pensieri da un'altra parte, mentre
il fotografo mi faceva cenno di mettermi supina e poggiarmi sul
cuscino alle mie spalle. Eseguii gli ordini e dopo qualche scatto il
fotografo si fermò, finalmente.
“Facciamo una pausa ragazzi,
grazie Sana. Cambiati e ci rimettiamo a lavoro tra quindici
minuti.”
Scattai in piedi e la mia assistente mi passò
l'accappatoio. “Grazie Miya.” dissi sorridendole.
Era una ragazza
molto carina, ed ero sicura avesse una cotta per Shoici, il ragazzo
che si occupava delle luci. Si scambiavano occhiate in continuazione,
mentre lui sistemava le luci e lei si preoccupava che il mio naso non
fosse lucido. Mi veniva quasi da ridere guardandoli, perché
si
creavano tutti quei problemi nel dirsi i loro sentimenti?
Da
che pulpito, pensai. Io e Akito ci avevamo messo anni, secoli direi,
a parlare a cuore aperto l'uno con l'altro, e c'era voluto un
matrimonio e mille problemi prima di farlo.
Non ero certa che
il nostro matrimonio avesse delle basi salde e propriamente sane, ma
era comunque un matrimonio d'amore e quello doveva bastare ad
entrambi per stare insieme.
Dopo aver ripreso il servizio
fotografico e averlo finito circa un'ora dopo, l'unica cosa che
volevo era tornare a casa da Akito. Prima, quando tornavo a casa e la
trovavo vuota, non provavo nessun senso di solitudine: mi piaceva il
silenzio e mi piaceva non dover dipendere dagli orari di nessuno.
Ora, forse perché con Akito tutto mi sembrava nuovo e
completamente
magico, tornare a casa e trovarlo ad aspettarmi era una delle cose
più belle della mia giornata.
Quando arrivai a casa lo trovai
in cucina, sul divano, con il computer sulle gambe e tutte le luci
spente.
“Ma hai idea di quanto tu sia inquietante in questo
momento?”. Mi avvicinai, gli diedi un bacio e mi diressi ad
accendere la luce per preparare la cena.
“E tu hai idea di
quanto tu stia diventando una moglie petulante e
fastidiosa?”.
Akito mi sfoderò uno dei suoi rarissimi sorrisi e si
alzò dal
divano, mettendosi dietro di me per abbracciarmi.
Poggiai la
testa sulle sue spalle, inspirando il suo profumo, mentre avevo le
mani sotto il getto dell'acqua.
“Sei sicura di avere fame?
Perchè io avrei un'altra idea di
sazietà.”
Il mio respiro si
fece più cadenzato, il cuore cominciò a
martellarmi nel petto. Mi
voltai e, senza farmelo ripetere due volte, gli saltai addosso
cingendogli la vita con le gambe.
“Bene, vedo che sei
d'accordo con me.” e senza dire nulla mi portò in
camera da letto.
*
Dovevo
aspettare.
Nella scatola diceva di aspettare tre minuti. Avrei
resistito tre minuti? No, probabilmente no. Ma dovevo.
Sarei
morta nei successivi tre minuti, lo sapevo.
Ero seduta dentro
la vasca, completamente vestita e tra le mani avevo il mio primo test
di gravidanza. Non sapevo cosa fare. Se strapparmi tutti i capelli.
Se mettermi a urlare. Se riempire la vasca e annegare lentamente. Nei
successivi tre minuti avrei contemplato i mille modi in cui avrei
potuto suicidarmi.
Quanto tempo era passato? Un minuto? Dieci
secondi? Mi sentivo in una bolla. Akito sarebbe tornato tra un'ora
circa, e io non avevo idea di come dargli la notizia, se fosse stato
come sospettavo.
Guardai il cellulare, mancava un minuto.
Pensavo che sarei impazzita nel frattempo.
Cosa avrei detto a
mia madre? Diamine, mia madre avrebbe fatto i salti di gioia e io mi
preoccupavo di lei. Rei si sarebbe fatto venire un infarto. Il signor
Hayama e Natsumi sarebbero andati in shock. Le mie amiche mi
sarebbero saltate addosso.
Immaginavo la reazione di tutti,
tutti meno che Akito, l'unica persona di cui mi importasse davvero.
L'unica persona che avrebbe potuto distruggermi con uno sguardo.
Nello stesso momento in cui la porta di casa si aprì, il
cellulare cominciò a suonare, avvertendomi che il verdetto
era
arrivato.
Alzai la mano, guardai lo stick e andai in
iperventilazione.
Due lineette. Due.
E il mondo, per come
l'avevo sempre conosciuto, andò in pezzi.
*
Akito
mi chiamava dalla cucina, ma io non riuscivo a muovermi. Cercavo di
dare dei comandi al mio corpo, ma le mie gambe non rispondevano ai
comandi. Avevo il cervello completamente sconnesso dal corpo.
Sentivo i passi di Akito avvicinarsi alla nostra camera e
urlavo a me stessa di muovermi, di fare qualcosa, ma non ne ero in
grado.
“Sana?”. Akito abbassò lo sguardo e,
quando mi
vide, si piegò sulle ginocchia vicino a me. “Che
succede?
Cos'hai?”.
Mi voltai a guardarlo, aveva gli occhi pieni di
paura, la stessa paura che avevo io. Quando si accorse del test di
gravidanza il suo sguardo cambiò, ma io non riuscivo a
dirgli
niente. La mia bocca non si muoveva. Mi sentivo impotente con il mio
stesso corpo.
“Sana? Sana, guardami.” Mi prese il viso tra
le mani e lo spostò in modo che i nostri occhi si
incontrassero.
Abbassai lo sguardo. Non ero in grado di reggerlo in quel momento.
“E' quello che penso?”. Non feci altro che annuire.
Avevo
provato a dire qualcosa, ma dalla mia bocca era uscito solo un
balbettio confuso.
“Posso vederlo?” disse porgendomi la
mano per prendere il test. Glielo diedi.
Misi la testa sulle
ginocchia. Stava per venirmi un attacco di panico.
“Ci sono
due linee.” disse Akito. Le sue parole mi sembrarono una
sentenza
definitiva. “Cosa significa?” sospirò.
“Ti prego Sana, non
sono per niente pratico con queste cose.”
Non riuscivo a
parlare, continuavo a dondolare avanti e indietro dentro la vasca da
bagno come una pazza squilibrata. Aspettavo solamente il momento in
cui mi avrebbe urlato contro e detto che era una pazzia, che non era
possibile, che era stato attento, che non potevamo avere un figlio.
Non in quel momento.
“Sana, ti prego. Ti prego. Ho bisogno di
sentirlo da te.”
Non potevo lasciarlo nel dubbio, anche se
sarebbe bastato leggere la scatola.
Alzai la testa, fissai un
punto indefinito davanti a me e poi lo dissi.
“Significa che
sono incinta.”
Nella camera calò il silenzio. Potevo sentire
il rumore dell'orologio in cucina. Akito se ne stava seduto sul
letto, accanto a me, senza dire una parola.
Ero certa che
avrebbe reagito così.
*
Pov Akito.
Non sapevo
se la mia anima era uscita dal mio corpo per poi rientrarci con
prepotenza, avevo sentito solamente un grosso pugno al centro del
petto, come se qualcuno mi stesse seduto addosso. Era una sensazione
strana. Non l'avrei mai più riprovata nella mia vita. Non
come in
quel momento.
Sana sembrava in trance, non aveva alcuna
reazione. Si limitava a guardare davanti a se, senza dire nulla.
Sembrava quasi non respirasse nemmeno.
“Lo so che non è
quello che vuoi.” esordì improvvisamente. Speravo
scherzasse.
“E'
la cosa che voglio di più al mondo.” fu la prima
cosa che mi venne
in mente. Ma era la verità. Volevo quel bambino. Volevo una
famiglia. La volevo con Sana.
Lei si voltò finalmente a
guardarmi, le lacrime le scendevano lente sulle guance.
“Davvero
sei felice?” mi chiese singhiozzando.
“Mai stato più
felice di così in vita mia, te lo giuro.”
“Io penso che
sarà troppo complicato. Siamo sposati da pochissimo, non
sappiamo
nemmeno com'è la vita di coppia. Come possiamo essere
genitori?”
Sana mi stava mostrando le sue incertezze, e io
sapevo che erano solamente dovute alla paura di non essere
all'altezza, alla paura che io non lo volessi, alla paura di non
riuscire a conciliare le due cose: il nostro matrimonio e il ruolo di
genitori. Ma era davvero così? Non avevamo dato abbastanza
prove del
nostro amore? Perchè lei ne metteva altre sulle via?
“Chi se
ne frega del come, Kurata! Lo siamo già! Siamo genitori!
Dentro di
te c'è qualcosa di mio, di tuo. Chi se ne importa di come
faremo.
Siamo io e te, il resto non conta.”
Mi alzai velocemente dal
letto e la costrinsi a spostarsi, per mettermi nella vasca insieme a
lei. La abbracciai, stringendola fortissimo.
Sentii che
chiudeva gli occhi, poggiando la testa sulla mia spalla.
“Ce
la faremo Sana. Ce la facciamo sempre.”
Le baciai la testa e
rimanemmo lì per un po', finché entrambi non ci
ritrovammo a
toccare la sua pancia. Il mio cuore e il suo cuore battevano
lì
dentro, non c'era niente di più bello.
*
Dopo aver
saputo della sua gravidanza, io e Sana non avevamo fatto altro che
comprare tutine e pigiamini al bambino. Sana si ostinava a dire che
sarebbe stata femmina, voleva una bambola da vestire e a cui
insegnare a truccarsi in futuro. Io non volevo azzardare nessuna
ipotesi, a me bastava che esistesse, che fosse reale e soprattutto
sano, il resto non aveva molta importanza. Guardavo Sana fare
progetti sulla camera del bambino, la vedevo emozionarsi con me, ma
non potevo fare a meno di notare anche la sua enorme e comprensibile
paura. Anche io avevo paura, avevo paura di fallire come marito e
come padre, di non supportare lei o di non saper fare il genitore, ma
lei era più nella fase dell'incredulità ancora.
Si, era felice, o
almeno così' sembrava, ma non mi mostrava quella
felicità, era
sempre contenuta e poco espansiva, comportamenti che non erano da
lei. Avevo attribuito quell'atteggiamento allo shock, alle paure
naturali che vengono a qualsiasi donna nello scoprire di essere in
dolce attesa, ed ero andato avanti. Avevo continuato a sognare in
grande, ad immaginare altri figli, altre risate, altre voci per casa,
e il solo pensarci mi faceva sentire pieno di gioia. Non avevamo
detto ancora niente a nessuno della nostra famiglia e nemmeno ai
nostri amici. Era difficile spiegare che dopo pochi mesi di
matrimonio – per giunta non esattamente il matrimonio
perfetto –
che aspettavamo un bambino. Non era facile nemmeno realizzarlo tra di
noi, figuriamoci dirlo a qualcun'altro.
I miei pensieri si
affollavano mentre aspettavo Sana fuori dagli studi televisivi, Rei
non poteva passare a prenderla quindi le avevo imposto di non
prendere il taxi e aspettarmi.
Era uscita correndo, mentre io
la guardavo dalla macchina muoversi dentro quel vestito a fiori che,
ovviamente le calzava a pennello. La pancia era già un po'
cresciuta, ma lei si ostinava a portare abiti larghi per evitare che
qualcuno se ne accorgesse. Sana entrò in macchina e si mise
la
cintura, poi si voltò e mi diede un bacio a fior di labbra.
“Aspetti da tanto?”. Scossi la testa, anche se
l'avessi
aspettata per ore non gliel'avrei mai detto.
Mentre mettevo in
moto ricordai che dovevo parlare a Sana del torneo di karate della
settimana successiva. Era già da un paio di giorni che ne
ero a
conoscenza, ma con le cose da comprare per il bambino e tutte le cose
che ci avevano preso avevo dimenticato di dirglielo.
“La
settimana prossima mancherò un paio di giorni,
Kurata.” dissi
mentre svoltavo a destra. “Ho un torneo di karate con i
ragazzi e
devo accompagnarli necessariamente io perché Asuke
è impegnato con
le gare cittadine.”
Sana annuì ma non disse nulla, non era
facile lasciarla in un momento del genere ma non potevo farne a meno.
Arrivati a casa preparammo la cena, mangiammo in salotto ed
andammo a letto presto. Eravamo distrutti, lei perché aveva
lavorato
tutto il giorno allo studio televisivo e io perché stare
dietro a
venticinque bambini non è esattamente una cosa semplice.
E tra
qualche mese la nostra vita sarebbe stata ancora più
complicata.
Mi
addormentai sul suo pancino che stava già cominciando a
crescere,
essendo alle porte del quinto mese, pensando che al mio ritorno forse
l'avrei trovato ancora più cresciuto e che, finalmente,
avremmo
potuto spiegare quell'improvviso aumento di peso. Forse, finalmente,
saremmo stati felici.
Pov
Sana.
Akito era partito presto quella mattina, io non ero
riuscita ad alzarmi e Rei mi tartassava di telefonate da almeno
mezz'ora. Non avevo voglia di rispondergli, non avevo voglia di
alzarmi, ero stanca ancor prima di iniziare la giornata.
Mi
alzai dal letto un'ora dopo, mandai un messaggio a Rei dicendo che
sarei andata agli studi nel pomeriggio per registrare la
pubblicità
dello shampo che mi avevano commissionato la settimana prima. Dovevo
chiamare il ginecologo per l'ecografia mensile, la mia vita sarebbe
cambiata in poco tempo, avrei dovuto spiegarlo a tutti e quella era
forse la parte che non ero in grado di gestire. Non l'avevo ancora
detto a nessuno, nonostante la mia pancia fosse già
cresciuta, non
si notava abbastanza quindi avevo preferito aspettare. Usavo vestiti
larghi, nascondevo le forme sotto camicie e pantaloni che
camuffassero il mio stato. Ero anche stata abbastanza fortunata: mia
madre era stata impegnata con le ultime modifiche al nuovo romanzo,
perciò non ci eravamo viste spesso. Rei era così
distratto dalla
sua relazione con Asako e dal fatto che lei era impegnata con alcune
riprese e lui andava a trovarla tutte le volte che poteva. Non
avevamo avuto modo di vederci con i ragazzi, un po' per gli impegni
di Akito, un po' perché cercavo di declinare ogni invito per
non
doverglielo dire. Non perché non volessi dirlo alla mia
famiglia o
ai miei amici, in realtà credo temessi che quel sogno
sarebbe finito
da un momento all'altro e mi sarei svegliata senza rendermi conto che
avevo perso la cosa più importante della mia vita. In
più, c'era la
questione lavoro, la questione giornalisti, la questione
paparazzi.
Ci avrebbero seguito ovunque solo per catturare una
mia immagine col pancione, anche se era già uscito qualche
articolo
che commentava il mio improvviso cambio di look. Avevo una paura
matta di soffrire come una dannata durante il parto. Non sapevo come
le due cose fossero collegate, ma in quel momento niente nel mio
cervello poteva trovare un posto ben preciso: era tutto un enorme
casino.
Mi preparai velocemente, presi la borsa che Akito mi
aveva raccomandato di non riempire come quella di Mary Poppins e
andai verso la porta.
Non avrei saputo interpretare che tipo di
dolore fosse. Una fitta, fortissima, al basso ventre. Inizialmente
pensai fosse una cosa passeggera, era normale per una donna in
gravidanza avere qualche dolorino ogni tanto. Abbassai lo sguardo e
mi portai una mano sulla pancia, pregando che finisse presto.
Quando
vidi il sangue che scendeva dai miei pantaloni capii che non era
affatto un dolorino da gravidanza.
Un'altra fitta mi scosse
improvvisamente e pensai di non riuscire a sopportarla. Strinsi i
pugni e, facendolo, mi accorsi di avere tra le mani il cellulare.
L'ultima chiamata era quella di Rei, perciò premetti sul suo
nome e
pregai che rispondesse in fretta perché sentivo le forze
abbandonarmi velocemente.
“Sana, ma si può sapere che fine
hai fatto? Sei una sconsiderata!”
Per una volta non poteva
semplicemente stare zitto?
“Rei… Rei, ti prego. Vieni...”
Non feci in tempo a finire la frase che sentii gli occhi
pesanti e la voce di Rei mi sembrò solo un suono lontano,
ovattato.
I miei occhi si chiusero un attimo dopo. L'ultimo pensiero che
passò nella mia testa fu Akito. Dovevamo dirlo agli altri in
un
altro modo, non così.
Perchè non l'ho fatto prima?
*
Sentivo
la voce di qualcuno attorno a me, ma non ero in grado di riconoscere
di chi fosse. Non mi era familiare, eppure sembrava così
accogliente, calda. Mi sentivo al sicuro.
Ci volle un attimo
per realizzare dov'ero e cosa era successo, un secondo dopo aprii gli
occhi e guardai quello che avevo intorno.
Mia madre, Rei, un
uomo in camice bianco. Ero in ospedale, ciò significava che
mi
avevano trovata in tempo e che era tutto a posto.
“Mamma?”
Mia madre fu subito vicina a me, aveva i capelli scompigliati e
sembrava fosse uscita con i primi vestiti che aveva trovato. Mi
veniva da ridere guardandola ma, quando ci provai, sentii un dolore
acuto in tutto il corpo.
Allora no, non andava tutto bene.
“Sana sei un'incosciente! Ma perché non ci hai
detto che eri
incinta? Perchè non ce l'hai detto?” continuava a
ripetere mia
madre come un disco rotto.
Chiusi gli occhi aspettando che
smettesse per risponderle. Poi mi resi conto delle parole che aveva
usato.
“Hai detto eri. Hai parlato al passato. Perchè ero
incinta?”
Lo sguardo di mia madre mi perforò l'anima, pensai
che non l'avevo mai vista così triste.
“Sana… tu hai...”
Non riusciva a dire niente, ma io sapevo già cosa aveva da
dirmi.
Il medico che era ai piedi del mio letto si avvicinò,
fece un cenno a mia madre facendole capire che ci avrebbe pensato lui
a spiegarmi tutto.
Non aveva bisogno di spiegarmi nulla. Sapevo
già tutto.
“Signora Hayama, mi ascolti...”
Cercai di
tornare lucida, nonostante la mia testa non fosse più
lì già da
qualche minuto.
“Lei, purtroppo, ha subito un aborto
spontaneo. Abbiamo avuto modo di vedere che lei soffre di una
patologia che si chiama incompetenza cervicale. La sua cervice
è
poco tonica, debole, e non riesce a rimanere chiusa per tutto il
termine di una gravidanza. Ciò significa che è
molto improbabile
che lei possa portare a compimento una gravidanza. Il suo ginecologo
avrebbe dovuto avvertirla nel momento in cui avrà fatto
l'ecografia
transvaginale.”
Tutto quello che aveva detto mi rimbombava
nella testa e la cosa che più continuava a ripetersi
all'infinito
era “… è molto improbabile che lei
possa portare a compimento
una gravidanza.”
Non avrei potuto avere figli. Akito ne
sarebbe stato distrutto. E io?
“Andatevene.”
“Signora,
per favore, lei deve capire che questo non prescinde il fatto che si
possano trovare altri modi...”
“Ho detto andatevene.”
Il
dottore mi guardò impallidendo, mia madre non riusciva a non
piangere. Rei non lo guardai nemmeno, la sua faccia era la
dimostrazione della sofferenza.
Si voltarono tutti verso la
porta.
Mi toccai la pancia. Il mio bambino non c'era più.
“Aspettate!” li fermai, prima che uscissero dalla
camera.
“Era maschio?”
Il dottore scosse la testa. “No, una
femmina.”
E poi uscirono, lasciandomi sola in quell'asettica
stanza d'ospedale.
*
Dovevo
essermi addormentata perché non ricordavo quando mia madre
fosse
rientrata e ora se ne stava seduta accanto al mio letto, fissandomi.
“Mamma, ti prego. Voglio stare da sola.” sussurrai,
provando a voltarmi ma senza risultati. Mi faceva male tutto.
“Tesoro… penso che tu debba chiamare Akito.
Dirglielo. Non
penso che sia il caso che rimanga fuori città con te in
queste
condizioni. Lui potrà aiutarti.”
Dirlo ad Akito. Mi sembrava
la cosa più sbagliata e difficile da fare. Come potevo
dirgli che
avevo appena messo fine a tutti i suoi sogni in un attimo?
Forse
era stata colpa mia, forse non ero stata abbastanza attenta, mi ero
stancata troppo. Cosa avrei potuto dirgli? Era colpa mia se la nostra
bambina non c'era più. Ricordai immediatamente che fosse una
femmina.
Avevamo pensato al nome Nami. Significava onda, lo
avevamo scelto perché quella notizia ci aveva travolto come
accade
con le onde, che si infrangono sugli scogli e non ti avvertono mai
del loro arrivo, semplicemente non fai in tempo e ti ritrovi
sommerso. Lei era stata un po' questo, un po' qualcosa che ci aveva
sommerso. Sommerso di timori, preoccupazioni, pensieri. Sommerso di
gioie.
E ora non c'era più. E io non potevo dirlo ad Akito.
Mi avrebbe odiato. Non avrei mai potuto condannarlo a una vita
con me, se non potevo dargli ciò che aveva sempre voluto.
Una
notte Akito mi raccontò che, quando era un ragazzino,
immaginava
sempre di avere una famiglia tutta sua, spesso con me, ma comunque
una famiglia felice, con tanti bambini, nonostante temesse che la
donna che amava potesse avere lo stesso destino di sua madre.
Sua
madre era morta dandogli la vita, si era sacrificata per lui, pur
senza volerlo. Akito era cresciuto, soffrendo si, ma era pur sempre
riuscito ad essere felice in un modo o nell'altro. Io invece ero
stata costretta a sopravvivere alla mia bambina, e cosa ci potrebbe
essere di così doloroso? Non immaginavo niente di peggio.
Non ero
stata in grado nemmeno di dargli un figlio. Non potevo condannarlo a
una vita del genere.
Se gli avessi detto che avevo perso la
bambina naturalmente non mi avrebbe mai lasciato, mi sarebbe stato
accanto senza esitazioni, lo conoscevo. Akito mi amava. Anche io
amavo lui, e proprio perché lo amavo con tutta me stessa non
potevo
sacrificarlo.
“Dammi il telefono mamma.”.
Mia madre
mi fissò, senza capire cosa volessi fare, poi me lo
passò e tornò
a sedersi. “Vorrei parlargli da sola, se non ti
dispiace.”
Mia
madre annuì, si alzò ed uscì dalla
stanza.
Composi il numero
di Akito, sapendo che quello che stavo per dirgli avrebbe decretato
la fine della nostra relazione, del nostro matrimonio, delle nostre
vite.
Pov
Akito.
“Ciao
Kurata. Che c'è, ti manco di già? Non sono
passate nemmeno otto ore
da quando ci siamo salutati stamattina!” risposi scherzando
alla
sua chiamata. Mi aspettavo mi concedesse almeno una risata, ma la
voce di Sana dall'altra parte era veramente gelida.
“Devo
parlarti.”
Mi bastò
mezzo secondo per rendermi conto che non
era in vena di scherzare o di fare conversazione. Mi allontanai
velocemente dalla palestra, le urla dei ragazzi non mi permettevano
di sentire bene.
“Dimmi,
Sana. Che succede?”
“Ci
dobbiamo lasciare.”
Le sue parole mi
fecero sorridere. Era
uno scherzo, ovviamente. Non poteva essere altro che uno scherzo.
“Sii
seria, Kurata. Non mi piacciono questi scherzi idioti.”
dissi con una punta di sorriso sulle labbra.
“Ho
abortito.”
Le sue parole mi
attraversarono il petto prima di arrivare al
cervello, prima che potessi veramente comprenderle. Era impossibile.
“Che
significa che hai abortito? Ti è successo qualcosa? Stai
bene?”
Il panico che
sentivo nella mia voce non l'avevo
mai e poi mai sperimentato prima. Mi sembrava che tutto il mio mondo
fosse definitivamente crollato.
“Stamattina
mi sono sentita
male. Pensavo fossero dolori normali della gravidanza, ma poi ho
cominciato a perdere sangue. Ho abortito naturalmente. Era una
bambina.”
Aveva abortito. La
mia bambina era morta.
“Sana…
ma tu stai bene? Dimmi che stai bene. Ti prego. ”
“No,
Akito. Non sto bene. Dobbiamo separarci.”
La sua voce era
strozzata, sentivo il suo dolore. Sentivo il suo cuore spezzarsi ad
ogni parola che mi diceva. Perchè continuava a ripetermi che
dovevamo lasciarci?
“Sana ma
perché? Io ti amo, tu mi ami!
Avremo altri bambini, non è colpa tua. Torno a casa stasera.
”
Sentivo i suoi
singhiozzi dall'altro capo del telefono.
“Non
rendere tutto più brutto di quanto non sia. Ti prego. Non
sono la
persona che tu pensi io sia. Non posso avere altri figli. Non voglio
altri figli. Devo partire per il tour promozionale del film tra
qualche settimane. Ho avuto un'offerta da Victoria Secret. Non voglio
altri figli.”
Non riuscivo a
credere a quello che stava
dicendo. Non potevo credere che mi stesse lasciando.
“Non
è
una cosa di cui voglio discutere per telefono. Torno stasera, non
prendere decisioni affrettate e non azzardarti a scegliere per me. Io
so cosa voglio, voglio stare con te.”
“Ma io
non voglio
altri figli. Non voglio stare con te.”
Chiusi la
telefonata e
solo in quel momento mi resi conto che le mie gambe non mi reggevano
più e che ero seduto per terra, fuori dalla palestra,
attorno a
mille voci, mille urla di gioia, mentre il mio cuore sanguinava.
Urlai
così forte che mi mancò l'aria.
Mentre tutti mi
chiedevano se avessi bisogno d'aiuto l'unica cosa che volevo era
sprofondare. Sprofondare senza dover affrontare il dolore della morte
della mia bambina senza addossarla a Sana. Come avrei potuto?
*
Aprii la porta di
casa lentamente, cercando di
ritardare il confronto che, in un modo o nell'altro, avrei dovuto
avere con Sana. Non sapevo cosa dirle. Le ore in macchina mi avevano
svuotato. La mia testa era vuota di pensieri, di domande, era solo
piena di confusione.
Il mio cuore era
pieno di dolore.
Mi
avviai verso la cucina, ma non la trovai. Lei non c'era.
Quando
entrai in camera da letto, però, la trovai stesa. Doveva
essere
molto debole, sapevo cosa accadeva quando dovevano indurre il parto.
Non doveva essere stato semplice.
“Ciao...”
sussurrò senza
l'accenno di un sorriso. Mi avvicinai a lei, le diedi un bacio sulla
fronte ma lei rimase immobile.
“Cosa
è successo?” chiesi,
cercando di dimenticare le parole che mi aveva detto al telefono quel
pomeriggio.
“Penso
che tu lo abbia già capito. Non appena mi
riprenderò partirò per il tour promozionale, e
poi dovrò
affrontare la campagna di...”
“Non mi
importa di tutto
questo!” urlai, interrompendola. “Voglio sapere
perché vuoi
lasciarmi! Voglio sapere perché stai prendendo questa
assurda
decisione senza consultarmi!”
Sana
cercò di mettersi più
dritta sul letto ma un'espressione di dolore le arrivò sul
volto,
perciò l'aiutai a sedersi meglio alzandola di peso.
“Quindi?”
incalzai.
“Forse
non è nel nostro destino avere un figlio
adesso. Forse siamo ancora troppo giovani. Forse non siamo adatti. Se
ho perso questa bambina ci sarà un motivo: l'universo non
vuole che
noi due diventiamo genitori!” urlò, facendomi
rabbrividire.
Ma
cosa stava dicendo? Da quando credeva al destino? Da quando affidava
le sue scelte nelle mani di un fato che non esisteva?
Ma chi
era quella ragazza?
“Sana, ma
cosa diavolo stai dicendo? Ma
ti rendi delle assurdità che mi stai buttando
addosso?”
Mi
passai una mano tra i capelli, cercando di sfogarmi su quelli invece
che spaccare tutto quello che mi ritrovavo tra le mani.
“Senti,
Akito.” cominciò, trattenendo le lacrime.
“Mi dispiace se ti sto
facendo del male, mi dispiace se non posso darti quello che vuoi, ma
io non voglio avere altri figli. Non voglio dover mettere da parte la
mia carriera per un bambino. L'ho già sperimentato con
Kaori, ecco
perché ero così spaventata quando abbiamo
scoperto della
gravidanza. Io non lo volevo questo figlio.”
Forse qualcuno
mi stava facendo una specie di scherzo, perché quella non
poteva
essere Sana. Non poteva essere la bambina, la ragazza, la donna che
avevo amato per tutta la mia vita.
“E'
impossibile, Sana.
Eravamo così felici. Cosa è cambiato?”
le chiesi, sperando che a
parlare fosse lo shock e non il suo cuore.
“Questo
aborto è
stata la miglior cosa che mi sia successa.”
Quella frase mi
uccise. Uccise me, il mio amore per lei, i vent'anni di profondo
sentimento che avevamo condiviso, il matrimonio improvvisato che
avevamo avuto, la mia stima per lei, il mio affetto.
Fece
nascere in me solamente l'odio.
“Mi fai
schifo.”
Detto
ciò afferrai la valigia che avevo lasciato davanti alla
porta della
camera, attraversai il corridoio e, nonostante la sentissi piangere
così forte da potermi spezzare il cuore, non tornai
indietro.
Sana
era morta quel giorno per me, così come era morta mia
figlia.
Mi dispiace se a qualcuno
avevo detto che ci sarebbero stati solo lieti fine, sono stata presa
dal mio lato dark e ne è uscito fuori questo.
Volevo semplicemente dirvi grazie perchè continuate a
sostenermi nonostante i miei infiniti ritardi. Purtroppo, E SOTTOLINEO
PURTROPPO, sto preparando gli esami per la sessione estiva e non ho
avuto molto tempo per scrivere. Tutto questo è stato scritto
stasera e stasera stessa lo sto pubblicando, grazie alla tempestiva
azione della mia meravigliosa Beta.
Spero che commenterete, che non mi odierete, che mi vorrete ancora bene
dopo questo capitolo. Io vi voglio sempre bene ! :*
Aspettando taaaaante recensioni,
Akura.
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