13. Watching the flashbacks
intertwine
La prima e la seconda cosa che percepii quando mi svegliai furono la
mia bocca completamente secca e un discreto mal di testa. Allungai un
braccio, senza nemmeno aprire gli occhi, per trovare la bottiglietta
d’acqua che tenevo sempre sul comodino, e mi accorsi che il
comodino non era dove avrebbe dovuto essere.
A quel punto, non senza difficoltà, decisi di aprire gli
occhi per verificare la mia situazione e, guardandomi intorno senza
muovermi troppo, notai alcuni dettagli. Innanzitutto, ero su un letto
che non era il mio, in una camera che non era la mia, presumibilmente
in una casa che non era la mia. Il balcone alla mia destra era semi
aperto e da esso entrava una luce che mi colpiva in modo fastidioso il
viso, e forse era proprio quello il motivo per cui mi ero svegliata. Mi
girai sul fianco sinistro per evitare quell’inconveniente e
il mio stomaco si lamentò, decidendo di svegliarsi per
lanciarmi addosso un bruttissimo senso di nausea.
Non ebbi il tempo di assimilarlo, però, perché
quello che vidi sull’altro lato del letto matrimoniale mi
gelò da capo a piedi e mi fece dimenticare la nausea.
Davanti a me, girato di schiena, appallottolato al lenzuolo e con la
testa coperta in modo da risultare quasi del tutto riparato dalla luce,
c’era un corpo che sembrava essere maschile.
Imprecai tra me e me, seriamente preoccupata. Non era la prima volta
che mi svegliavo coi postumi di una sbornia, ma non mi era ancora mai
capitata una situazione del genere. Oltretutto faticavo a ricordare la
fine della serata precedente, quindi, conoscendomi, poteva essere
successo pressoché di tutto.
Serrai gli occhi sforzandomi di trovare delle reminiscenze nascoste tra
gli angoli della mia testolina bacata, e quello che il mio cervello mi
rimandò indietro furono immagini di me e Matt che ci
baciavamo in cucina, avvinghiati l’uno all’altra
come se fosse una cosa del tutto normale. Spalancai di nuovo gli occhi,
col cuore che mi martellava nel petto neanche dovesse uscire da un
momento all’altro. Cosa diavolo avevo fatto?
In uno sprazzo di lucidità, cercando di capirci qualcosa di
più, buttai l’occhio sotto le lenzuola e mi tastai
i vestiti per capire com’ero conciata. Quello che scoprii
peggiorò, se possibile, la mia condizione: addosso avevo
solo una maglietta blu non mia, che dalle dimensioni sembrava una
t-shirt da uomo, visto che mi arrivava fino alla coscia, e il reggiseno
che avevo indossato per andare al ballo. Delle mutande non
c’era la minima traccia, constatai con l’ennesimo
tuffo al cuore.
Non può
essere vero, dimmi che non è vero,
pensai, angosciata, mentre mi sforzavo di guardare qualunque cosa che
non fosse la montagnola coperta dalle lenzuola accanto a me.
Sospirai per cercare di regolarizzare il battito cardiaco, ma non
funzionò. Decisi quindi, a malincuore, di avvicinarmi al
corpo dormiente per verificare le mie paure. Scivolai piano sul letto e
allungai un braccio per far scorrere il lenzuolo in giù, in
modo da vedere la nuca del ragazzo. Mi aspettavo di trovare una testa
bionda e spettinata, invece, a sorpresa, mi si parò davanti
una zazzera di capelli castani e un po’ più lunghi
del previsto. Allungai il collo per vedere meglio e, finalmente, lo
riconobbi: era David.
La rivelazione non aiutò molto il mio stato
d’animo: dopo un primo momento di sollievo, infatti, la mia
mente malata cominciò a elaborare i dati, giungendo alla
peggior conclusione possibile. Ero andata a letto con Dave? Mi sembrava
un’eventualità poco probabile, ma non era
un’ipotesi da scartare del tutto, alla festa ero talmente
ubriaca che avrei anche potuto fare una cosa del genere.
Però non mi pareva di aver avuto a che fare con David, non
dopo la nostra mezza litigata, almeno.
Mi obbligai a chiudere di nuovo gli occhi per provare a concentrarmi
meglio sui ricordi della sera precedente.
Dopo aver bevuto la
tequila con Matt – maledizione, era tutta
colpa di quella stupida tequila
– uscii a fare un giro
in giardino e chiacchierai con qualche persona che conoscevo.
Alla fine mi ritrovai, chissà come, a parlare con un ragazzo
che avevo già visto a scuola, un certo Brendan. Era
più piccolo di me di un anno e io, tendenzialmente, non
guardavo i ragazzi più piccoli, ma ero ubriaca, confusa e,
oltretutto, stavo solo giocando, non avevo intenzione di combinarci
niente.
Infatti, dopo diversi
minuti che parlavamo, mi resi conto che il tizio
era parecchio irritante, uno di quei pavoni pieni di sé che
fanno di tutto per mettersi in mostra descrivendo i propri pregi e le
imprese che credevano di aver compiuto. All’ennesimo racconto
sulle sue doti di tennista pluripremiato, quindi, mi stufai e cercai un
metodo indolore per liberarmi di lui.
In quel modo, da brava
scema, riuscii solo a cacciarmi in un guaio
ancora più grosso. Per allontanare Brendan, infatti, fermai
la prima persona conosciuta che mi capitò davanti, Russ, un
amico di Nate, che giocava nella squadra di football con lui. Il tipo
cominciò da subito a flirtare con me in maniera piuttosto
palese, facendomi complimenti sul vestito, sui capelli, persino sul
trucco. Capii finalmente perché Nate si era sempre rifiutato
di farmi frequentare in modo continuativo i suoi amici: se quello era
un esempio di ciò che sarebbe successo, forse, non aveva
tutti i torti.
Mi allontanai da Russ
con una scusa, entrai in casa traballando, e
raggiunsi poco dopo la cucina, l’unica stanza in cui era
vietato l’accesso e che quindi era vuota. Ma, si sa, una
ragazza ubriaca è come la carta moschicida per qualcuno che
pensa di potersene approfittare in qualche modo, e infatti dopo appena
pochi minuti apparve proprio Russ, che evidentemente mi aveva seguita
fino a lì per continuare a provarci con me.
Non perse tempo: mi si
avvicinò con un sorriso che, nel suo
intento, doveva essere seducente e malizioso, e mi
intrappolò tra sé e il piano di lavoro alle mie
spalle poggiando le mani su quest’ultimo.
“Tu non sei
amico di Nate?” gli domandai,
sconcertata dal suo comportamento, ma senza muovermi di un millimetro
né allontanarlo.
Lui alzò le
spalle con noncuranza. “Beh, Nate non
è qui adesso.”
Sbuffai: probabilmente
non sapeva nemmeno che io e Nathan ci eravamo
mollati e già ci stava provando così con me, gran
bell’amico. Appoggiai le mani sulle sue spalle per spostarlo
e lui, per la verità, non oppose resistenza e
indietreggiò subito di un paio di passi.
“Che
c’è?” mi chiese, stupito
che qualcuno, dopo avergli toccato le spalle, potesse rifiutare un
ragazzo con un fisico scultoreo come il suo.
“Non siamo
abbastanza in confidenza,” risposi, non
del tutto sincera: se non fosse stato un amico di Nathan probabilmente
gli avrei dato più corda.
Russ si
appoggiò con un fianco sul piano cucina, sempre con
quel sorrisetto malizioso sulle labbra. “Beh, possiamo
conoscerci meglio, se ti va.”
Era una battuta talmente
scontata da rasentare il ridicolo, ma,
purtroppo, io ero ubriaca, quindi mi ritrovai a ridacchiare come una
stupida: Russ pensò quindi di avere campo libero e si
avvicinò di nuovo.
“Eccoti.”
Voltandomi verso la
porta della cucina vidi Matt che ci guardava,
leggermente corrucciato. Mi guardai intorno, pensando che non stesse
parlando con me, ma nella stanza c’eravamo solo io e Russ,
appunto.
“Ti ho cercata
dappertutto,” continuò
lui, guardandomi dritta negli occhi e cancellando ogni dubbio. Poi,
prima che riuscissi a pensare di rispondere, si rivolse al ragazzo che
mi stava ancora troppo vicino. “Sparisci, Stevenson. Non si
può neanche stare in cucina, ho messo un cartello fuori! Non
sai leggere?”
Lui sembrava confuso.
“Ma lei…”
Patterson si
avvicinò di un passo e alzò le
sopracciglia. “Lei è off-limits
stasera.”
“E
perché?”
“È
impegnata,” si corresse, come se così
avesse più senso.
“Con
te?”
Matt annuì
lentamente, stringendo le labbra in
un’espressione di stizzita ovvietà.
Io seguivo il loro
scambio muovendo la testa per guardare prima
l’uno e poi l’altro, e più osservavo
Patterson comportarsi in quel modo più la mia bocca si
allargava in un sorriso di comprensione. In un’altra
occasione mi avrebbe dato fastidio che qualcuno – lui in
particolare – pensasse di decidere cosa potevo o non potevo
fare, ma nel linguaggio del corpo di Matt, in quel momento, leggevo una
sorta di malcelata gelosia che, in qualche modo, mi faceva piacere.
Fece un gesto con la
mano, indicando all’altro la porta.
“Ti conviene uscire. Ci sono molte ragazze ubriache fuori,
prova con Sheila Bradbury.”
Russ fece come gli era
stato detto senza fiatare e io, dal canto mio,
piantai su Patterson due occhi curiosi e un po’ appannati
dalla tequila.
“So prendermi
cura di me stessa, ma è stato
istruttivo vederti comportare da amico geloso, per una volta.”
Lui ignorò le
mie parole e mi lanciò uno sguardo
furioso. “Ti avevo detto di non fare stupidaggini.”
“Non pensavo
fossi così intransigente sul fatto di
non entrare in cucina.”
Matt sbuffò
sdegnato e mezzo divertito, e quella strana
rabbia che non gli avevo mai visto addosso prima sparì,
mascherata, come al solito, dalla sua tipica tranquillità.
“Sei spiritosa, Gray.”
“Sono
impegnata,” lo corressi, avvicinandomi piano
a lui.
Socchiuse gli occhi,
scrutandomi con sospetto mentre gli arrivavo
sempre più vicina. “Dai, l’ho detto per
liberarti di quel tipo. Te li scegli proprio bene, eh, tra
parentesi.”
Mi morsi il labbro
inferiore senza riuscire a trattenere un sorriso e
Matt mi guardò la bocca, indeciso, come quella volta al
maneggio. Eravamo distanti sì e no mezzo metro, se avessi
fatto un altro passo sarei stata attaccata a lui: ero ubriaca e il mio
autocontrollo era quasi del tutto dissolto, ma sentivo comunque che
quel passo, tra noi, pesava tantissimo.
Stavo ancora riflettendo
su cosa fare quando dalla porta
spuntò di nuovo la testa di Russ Stevenson, che chiaramente
quella sera era meno intuitivo del solito.
“Ehi,
amico,” iniziò, quasi infastidito, “mi
hai mentito, la Bradbury non c’è e se
n’è andata diversa gente. Mi hai appena rubato una
delle ultime ragazze ubriache disponibili.”
Matt sbuffò,
alzò gli occhi al cielo esasperato e
compì quell’ultimo passo che ci separava. Poi, mi
baciò.
Sentii un rumore alla mia sinistra e trasalii, distratta. David si
stava stiracchiando con un brontolio appena accennato, alla fine
dell’operazione si girò verso di me e
mormorò un “Buongiorno” soffocato da un
vistoso sbadiglio. Gli risposi con un sorriso nervoso, sentendo lo
stomaco ancora più sottosopra di quanto non lo fosse prima.
Lui mi lanciò un’occhiata indecifrabile e
tirò un po’ giù il lenzuolo, quindi,
con l’ennesimo tuffo al cuore, notai che aveva su una
maglietta. Chissà se indossava le mutande, almeno lui.
“Stai bene?”
“Credo che vomiterò entro la mattinata,”
risposi, con sincerità.
“Beh, sono già le…”
Guardò l’orologio sul comodino prima di continuare
la frase. “Undici e un quarto, quindi non hai molto tempo per
raggiungere questo obiettivo.”
Ci fu qualche secondo di silenzio in cui entrambi ci guardammo in giro
pensierosi, prima che mi decidessi a parlare.
“Dave?”
Lui mugugnò in risposta, tenendo lo sguardo fisso sul
soffitto.
“Posso farti una domanda?”
“Vai.”
Ci pensai un attimo. “Due domande? Anzi, tre?”
David si mise su un fianco voltandosi verso di me, e mi
lanciò uno sguardo accondiscendente. “Anche
settanta, Delia, basta che ti decidi.”
“Abbiamo fatto sesso?” sputai fuori, lo stomaco
aggrovigliato per l’ansia.
Lui spalancò gli occhi. “Io e te?”
Annuii mordendomi il labbro inferiore e Dave scoppiò a
ridere come se non avesse mai sentito qualcosa di più
divertente in tutta la sua vita. Mentre rideva il lenzuolo scese ancora
e notai che, per fortuna, aveva addosso dei boxer grigi. Mi sentii
improvvisamente molto stupida.
“Beh, grazie,” borbottai, quasi offesa.
“Sono gay!” esclamò il mio amico, senza
smettere di ridacchiare.
“Lo so, ma ieri sera ero davvero, davvero ubriaca, e non mi
ricordo bene tutto quello che è successo, penso di aver
fatto un sacco di casini e…” blaterai, in
confusione. “Anzi, ho fatto sicuramente danni a destra e
manca, sono una deficiente. E Dave, l’altra domanda
è… Insomma, sei ancora arrabbiato con
me?”
Lui non ci pensò nemmeno un secondo. “No, Deels,
no. Vieni.”
Aprì le braccia e io espirai, un po’
più tranquilla, gettandomi sulla sua spalla e facendomi
stringere da lui. “Scusa,” mormorai, la voce
spezzata.
Dave mi carezzò la testa. “Siamo stati entrambi
cretini. E non serve che io ti dica che sei e rimarrai
un’ottima amica per me, non ho mai pensato il contrario. Ti
voglio bene,” sussurrò, prima di sdrammatizzare
con una risata. “E comunque ti sei già scusata a
sufficienza ieri sera.”
Corrucciai la fronte e alzai il viso per guardarlo.
“Davvero?”
“Davvero! Mentre stavamo andando a dormire non facevi altro
che chiedere scusa per qualsiasi cosa, eri disperata. Hai tirato fuori
cavolate di due anni fa di cui non mi ricordavo neanche.
Adorabile,” disse, ammiccando.
Tornai a poggiare la testa sul mio cuscino, sistemai la maglietta per
coprirmi al meglio, infine mi misi le mani sul volto, strofinandole
sugli occhi.
“Non mi ricordo,” mi
lamentai, mentre la lieve angoscia di poco prima tornava a farsi strada
nel mio petto.
“Qual era la terza cosa che volevi chiedermi?” mi
spronò David, capendo dove volessi andare a parare.
Chiusi gli occhi e sospirai. “Sono… sono andata a
letto con qualcuno?” domandai con voce tremante.
“A parte con me, intendi?”
Scoccai un’occhiataccia di sbieco al mio amico e lui
tornò serio, ma aveva un’espressione rassicurante.
“No, non l’hai fatto.”
“Ne sei sicuro?”
“Abbastanza, sì.”
Mi accorsi che mi stavo stritolando le mani e incrociai le braccia al
petto, continuando a guardare il soffitto. “Cosa vuol dire
abbastanza?”
“Era tardi, la maggior parte della gente era già
andata a casa. Matt ti ha portato da me e mi ha chiesto se potevo
occuparmi di te. Avevo già previsto di dormire qui e Tyler
era andato via da almeno un’ora. Ti ho fatto lavare il viso,
ti ho aiutata a svestirti e a mettere quella maglietta, ho mandato un
messaggio a tuo papà dal tuo cellulare, ti ho fatto bere un
bel bicchierone d’acqua e ti ho sistemata sul letto con me,
mentre tu continuavi a blaterare scuse e ringraziamenti a
casaccio.”
Un particolare del racconto aveva fatto attorcigliare le mie budella
ancora di più di quanto non lo fossero già.
“Matt?” pigolai, la voce appena udibile.
“Sì, Matt. Ha detto che ti aveva tenuta
d’occhio lui da quando avevi iniziato a bere, per questo sono
abbastanza sicuro che tu non abbia fatto sesso con nessuno.”
Fece una pausa, riflettendo. “A meno
che…” aggiunse poi, in tono malizioso.
Mugugnai in segno di protesta, mi sfilai il cuscino da sotto la testa e
ci seppellii il viso, in imbarazzo.
“Deels?”
“Credo di aver fatto una cazzata,” mormorai,
afflitta.
“Se non esci da lì sotto non capirò mai
quello che stai cercando di dirmi.”
Spostai il cuscino giusto il necessario. “Credo di aver fatto
una cazzata,” ripetei.
Il bacio di Matt mi
trovò con le labbra già
schiuse e mi fece balzare il cuore direttamente in gola. Rimase
comunque in superficie, come la prima volta che mi aveva baciata per
allontanare Teller, al ballo, ma fu una cosa completamente diversa.
Innanzitutto, stavolta
durò di più. Mi
appoggiò la mano destra sulla nuca subito dopo aver posato
le labbra sulle mie e io chiusi gli occhi, d’istinto. Quando
li riaprii Matt si era staccato da me e stava guardando verso la porta,
forse per verificare che Stevenson fosse uscito. Io, invece, non
riuscivo a staccare gli occhi dal suo viso, completamente andata.
“Si
è deciso a sparire,
quell’idiota,” borbottò lui, voltandosi
di nuovo verso di me.
Appena vide che lo stavo
fissando come una scema, la sua espressione si
corrucciò di più. Non aveva spostato la mano
dalla mia testa: piano, come se stesse facendo una carezza
involontaria, infilò le dita sotto i miei capelli raccolti
sulla nuca.
“Non guardarmi
così, Gray,” mi
ammonì, la voce leggermente roca. “Ho bevuto
parecchia tequila anch’io.”
Mi ricordai di quando mi
aveva detto che quand’era ubriaco
gli piacevo un po’ di più, e mi scappò
un mezzo sorriso alcolico. Lui spostò di nuovo gli occhi
sulle mie labbra.
“Maledizione,”
imprecò a bassa voce.
Poi portò la
mano sinistra sul mio fianco, stringendo la
stoffa del mio vestito e avvicinandomi ancora di qualche
centimetro, finché non fui costretta ad appoggiare le
braccia sulle sue spalle.
“È
la tequila,” mormorai, un sorrisetto
a dipingermi il volto.
Lui annuì,
ancora corrucciato. “La
tequila,” ripeté.
Si avvicinò
di nuovo alle mie labbra, lentamente, come se
volesse darmi – e darsi – il tempo di cambiare
idea, ma quella volta fui io che mi sporsi in avanti percorrendo gli
ultimi centimetri che ci separavano.
Quel secondo bacio non
fu delicato, né rimase in superficie.
Dopo i primi istanti di stupore, Matt ricambiò, mi strinse
di più a sé e indietreggiò fino ad
appoggiarsi all’isola della cucina, cercando un sostegno per
aiutare la propria stabilità. Poi approfondì il
bacio e ci ritrovammo entrambi ad assaggiare il sapore della tequila
sulla lingua dell’altro.
Matt si
allontanò di qualche millimetro solo per inspirare a
pieni polmoni quella sensazione nuova e strana, così strana,
che sentivo anch’io premermi alla base dello stomaco.
“È
decisamente la tequila,
sì,” bisbigliò di nuovo, buttando fuori
l’aria e rilassando finalmente le spalle, lasciandosi andare,
un attimo prima di tornare a baciarmi con la bocca schiusa e inquieta.
Lo lasciai decidere come
continuare, ero troppo ubriaca e presa dalla
situazione per fare un altro solo passo in avanti. Mi bastava
continuare a stare lì, aggrapparmi alle sue spalle e
baciarlo, mentre lui mi passava le mani sui fianchi e sulla schiena.
Quando, in un attimo di confusione dettata dal mio tasso alcolemico,
tirai la testa indietro per controllare chi stessi baciando, lui non si
mosse nemmeno, troppo impegnato a riprendere fiato e ad impedirsi di
aprire gli occhi.
Ci baciammo ancora e
ancora, per non so quanto tempo, forse per delle ore, più
probabilmente solo per
qualche minuto, finché Patterson non scambiò le
nostre posizioni, girandosi e facendo in modo che mi appoggiassi io
all’isola. Dopo un paio di goffi tentativi riuscii a issarmi
con le braccia sul ripiano, afferrai la maglietta di Matt e lo tirai di
nuovo a me, aprendo le gambe per fargli spazio. Lui appoggiò
entrambe le mani di fianco a me, sul mobile, e mi guardò
serio negli occhi per la prima volta dopo un po’ di tempo: in
quella posizione il mio viso era alla sua altezza e potevo vederne ogni
particolare da vicino, così mi colpirono le sue sopracciglia
ancora corrucciate e l’espressione indecisa che gli leggevo
negli occhi.
“Cosa?”
gli domandai, sempre sottovoce.
Si umettò le
labbra, sospirò, distolse lo sguardo
girando impercettibilmente la testa. Non capivo a cosa stesse pensando:
lo tirai di nuovo per la maglietta che non avevo mai mollato e lui mi
accontentò, baciandomi piano.
“Hai baciato Matt. E allora?”
“Non l’ho baciato, cioè sì,
ci siamo baciati. Ma è lui che ha baciato me. Per
primo,” lo corressi, balbettando, pur consapevole che quella
volta era un dettaglio inutile e anche poco veritiero.
Dave, infatti, non modificò la propria espressione dubbiosa.
“E allora?” ripeté.
“Come e allora?
Davvero non ci arrivi?”
“Ci arrivo benissimo. Matt è un gran bel pezzo di
ragazzo, Delia, e vi piacete da una vita. Non capisco dove stia il
problema.”
Spalancai gli occhi. “Ci piacciamo da…? Ma cosa
stai dicendo? Ti vorrei ricordare che da quando ci
conosciamo…”
Il mio amico mi interruppe con un gesto secco della mano.
“Non iniziare con la tiritera. Il fatto che non siate
perfettamente compatibili dal punto di vista caratteriale non significa
che non possiate piacervi dal punto di vista fisico.
C’è sempre stata attrazione tra di voi.”
Scossi la testa, spazientita. “È evidente che devi
ancora smaltire la sbronza.”
“Come no,” fece lui, sarcastico.
Decisi di troncare lì il discorso, in parte
perché stava prendendo una piega che non mi piaceva per
niente, in parte perché sentivo il bisogno di muovermi da
quel letto. Ma c’era un problema.
“Ho un’ultima domanda, ma è un
po’ imbarazzante,” ammisi, cambiando argomento.
“Avanti, sentiamo. Tanto peggio di
così,” commentò lui, garrulo.
“Se non sono… Insomma, se tu mi
hai…” Presi fiato e buttai fuori il quesito.
“Perché diavolo sono senza mutande?”
Dave spalancò gli occhi, sbalordito, prima di scoppiare
sonoramente a ridere.
“Eddai, non ridere, è una cosa
importante!” lo rimproverai io, offesa.
“Ma che ne so, Delia! Eri completamente andata, te le sarai
tolte mentre dormivi!” sghignazzò il mio amico,
ancora piuttosto divertito.
“Quindi non sei stato tu?”
“Secondo te mi metto a toglierti l’intimo,
così a caso? Non so neanche slacciare un
reggiseno!”
Il mio broncio si distese un pochino. “Quello ce
l’ho ancora su, è la parte sotto che è
sparita.”
“Io ti posso solo dire che quando ti ho controllata
l’ultima volta avevi tutta la tua biancheria addosso, poi non
so come sei abituata a dormire a casa tua.”
Borbottai un insulto e mi ficcai sotto le lenzuola, uscendone qualche
secondo dopo con le mie mutande in mano, trionfante. David fece un
gesto di vittoria col pungo chiuso e, per la prima volta quella
mattina, ridemmo insieme, poi io mi infilai gli slip e scivolai fuori
dal letto, stiracchiandomi appena.
“Ho seriamente bisogno del bagno,” biascicai,
sentendo la nausea che tornava con prepotenza. “Sai
dov’è? Io non so nemmeno dove cavolo
siamo.”
“Se esci e vai a destra lo trovi in fondo al
corridoio.”
Lo ringraziai e andai a rintanarmi in bagno per diversi minuti: mi
lavai bene il viso e i rimasugli del trucco che comunque Dave si era
premurato di togliermi la sera prima, mi diedi una rinfrescata generale
e mi obbligai a bere un po’ d’acqua, mentre il mio
stomaco ancora si lagnava, ma con più garbo.
Mi venne in mente, all’improvviso, che anche se David aveva
avvisato mio padre sulla mia permanenza fuori casa per la notte, non
avevo ancora detto niente ai miei riguardo il pranzo. Uscii dal bagno
in tutta fretta e per poco non finii contro Patterson, che stava
salendo in quel momento l’ultimo gradino delle scale che
portavano fin lì: per fortuna lui si fermò in
tempo per evitare di sbattermi addosso, salvando così anche
il vassoio che stava trasportando. Lo superai di un paio di passi,
prima di sospirare a pieni polmoni per calmarmi e voltarmi ad
affrontarlo.
“Scusami,” biascicai, ancora agitata nonostante
l’impegno. “Non… non ti ho sentito
arrivare.”
Lui mi studiò con un’espressione imperscrutabile e
all’improvviso mi sentii decisamente troppo poco vestita.
Stavo per parlare di nuovo, spinta dal suo silenzio prolungato, quando
Matt si decise infine a proferire parola.
“Stai bene con la mia maglietta. Hai già
vomitato?”
Boccheggiai, presa totalmente in contropiede da quel suo evidente
tentativo di mettermi in difficoltà, tentativo che,
peraltro, era andato a segno. Mi ricomposi e gli scoccai
un’occhiataccia, incrociando le braccia al petto in posizione
di difesa.
“Non ancora, grazie per l’interessamento. Credo che
parlare con te potrebbe aiutare la causa, però, stai
già peggiorando il mio voltastomaco.”
Lui si morse piano il labbro per evitare di ridere e si
voltò per appoggiare il vassoio su una cassapanca
lì di fianco.
“Sul serio, stai poco bene?” chiese poi.
Notai che stava portando la colazione a me e Dave: caffè, un
brick di latte, un pacco di biscotti e qualche fetta di pane tostato
col burro d’arachidi. Perché doveva essere
così gentile, dannazione? Stavo riuscendo così
bene a ricominciare a odiarlo, era una cosa che dovevo fare ad ogni
costo.
Annuii, stranamente a corto di parole, e mi trovai a fissare con
insistenza un nodo del pavimento in legno.
“Vuoi mangiare qualcosa?”
Feci di nuovo un cenno con la testa. “Magari il
caffè potrebbe aiutare, ma credo di aver già
superato il reale rischio di rimettere.”
Pensai che a quel punto avrebbe ripreso il vassoio per portarlo in
camera, invece rimase fermo dov’era e si passò una
mano fra i capelli, indeciso. Non sapevo se avesse abbastanza fegato da
tirare fuori ciò che era successo la sera precedente per
dire qualcosa, ma era evidente che aveva intenzione di farlo,
perciò decisi che volevo essere la prima a parlarne, per
dimostrare più coraggio di lui.
“Non credo di ricordarmi quello che è successo
ieri,” dissi, guadagnandomi una sua occhiata stupita.
“No?”
“Non… non tutto,” balbettai,
già meno spavalda.
Corrugò la fronte. “Quindi qualcosa lo
ricordi?”
“Ricordo…” Distolsi lo sguardo per
riuscire a parlare. “Ricordo fino a quando eravamo in cucina
e poi ho un vuoto, non mi viene proprio in mente come sono arrivata qui
per dormire, insomma. Ma David mi ha assicurato, circa, che non sono
andata a letto con nessuno, quindi… Be-bene, direi.
Abbastanza.”
Ero andata alla grande, a parte il mio solito fiume di parole, fino
all’ultimo momento, in cui mi ero ritrovata a impappinarmi
senza pietà.
Matt annuì senza commentare i miei balbettii.
“Okay.”
Sospirai, tanto valeva fare quella domanda anche lui, già
che c’ero. “Non… non sono andata a letto
con… con nessuno, vero?”
All’ultimo mi trattenni dal dire “con
te”, ma lui dovette comprendere lo stesso il
sottinteso,
perché drizzò appena la schiena, e non
l’avevo mai visto così nervoso in più
di due anni di conoscenza.
Tentò comunque di scherzare. “Solo con Dave, ma
non in senso biblico. Credo.”
“Non prendermi in giro,” borbottai, cercando di
mantenere un tono leggero. “Quando mi sono svegliata per un
attimo ho creduto davvero di averlo fatto. E poi ero su un letto non
mio, con addosso una maglietta non mia e l’unica cosa che mi
ricordavo con chiarezza era quello che era successo con te
in… in cucina e quindi… Ero a pezzi ieri sera,
non avrei dovuto dire o fare certe cose.”
E tanti saluti al tono
leggero, brava Delia, mi insultai da sola per
essere riuscita a far riemergere l’imbarazzo in quel modo.
Eppure Matt, stavolta, non sembrò sorpreso: scosse la testa
e si avvicinò esitante di un passo, costringendomi a
prendere il bordo della maglietta che indossavo per abbassarlo e
coprirmi un po’ di più.
“Forse abbiamo esagerato con la tequila,”
esordì, e parve soppesare le proprie parole.
“Eravamo ubriachi, ma non abbiamo fatto niente di
male.”
Sembrava propenso ad aggiungere altro, ma lo interruppi, sentendomi
più leggera. “Hai ragione,
mi faccio prendere dal panico per niente. Eravamo sbronzi, tu volevi
solo aiutarmi con Stevenson che mi stava addosso, tra l’altro
ci sei anche riuscito. Ormai abbiamo l’abbonamento per
tirarci fuori a vicenda da situazioni del genere, non trovi? Ma so
perfettamente che non sarebbe successo niente se quell’idiota
non ci avesse provato con me. Insomma, siamo io e te.”
Le sue sopracciglia aggrottate e la smorfia indecisa sulle sue labbra
mi fecero pensare che non avevo detto ciò che intendeva
esprimere lui. Alla fine scrollò le spalle, decidendo di
lasciar correre.
“Delia, ti sei persa?”
La voce di Dave ci colse di sorpresa. Sussultai come una scema: mi ero
completamente dimenticata di lui. Mi girai e vidi la sua testa spuntare
in fondo al corridoio, dalla porta della camera dove avevamo dormito.
“Ehilà, scusate,” esclamò
mellifluo, appena si accorse della situazione. “Non volevo
disturbarvi, piccioncini.”
Spalancai gli occhi mimandogli con la bocca di smetterla, consapevole
che Matt, alle mia spalle, non avrebbe potuto vedere la mia espressione.
“Nessun disturbo,” rispose proprio Patterson, senza
accogliere la provocazione di David. “Ho portato la
colazione. È meglio se mangiate in camera, giù
c’è ancora confusione.”
“Uh, che bellezza!” cinguettò
l’altro, saltellando fin lì per guardare con
desiderio il vassoio. “Ti serve una mano per sistemare di
sotto, amico? Chiamiamo qualcuno?”
“No, ieri sera ho già raccolto le bottiglie in
giro e fatto tre sacchi dell’immondizia. Per le pulizie tanto
dovrebbe arrivare Martha tra poco.”
Seguivo il loro scambio di battute con moderato interesse e alzai un
sopracciglio al sentir nominare quella Martha.
Dave risolse i miei dubbi. “La cameriera? Sicuro che non
spiffererà niente ai tuoi?”
“Nah,
sono il suo pupillo, mi ama.”
David scoppiò sonoramente a ridere e io lanciai a Matt uno
sguardo che nascondeva un mezzo rimprovero esasperato.
“Il solito piccolo principe,” commentai, alzando
gli occhi al cielo.
Lui si difese dalla mia accusa velata. “Che
c’è? È logico che mi adora, mi ha visto
crescere! E comunque l’avevo avvisata della festa.”
Dave si intromise, si ficcò in mezzo a noi due e prese il
vassoio. “Io ho fame, ragazzi, torno in camera a mangiare in
santa pace, così vi lascio alle vostre scaramucce.”
“Vengo anch’io!” esclamai, cogliendo la
balla al balzo per fuggire da una conversazione che comunque, a mio
avviso, poteva considerarsi morta e sepolta.
Purtroppo per me, non lo era. Non feci più di un paio di
passi prima di sentirmi richiamare da Patterson.
“Gray.”
Espirai e mi fermai, rassegnata. Immaginavo che mi avrebbe bloccata, ma
speravo di evitarlo: non ero stata abbastanza veloce, quindi mi voltai
di nuovo per affrontare qualsiasi cosa mi aspettasse. Prima di parlare,
Matt lanciò un rapido sguardo alle mie spalle, per
verificare che David fosse sparito in maniera definitiva. Mi riusciva
difficile credere che quell’impiccione non fosse dietro la
porta ad origliare ogni parola, ma in quel momento non me ne
interessai, tanto sapevo che gli avrei raccontato tutto dopo, Dave mi
avrebbe obbligato a farlo.
Patterson forse la pensava al mio stesso modo, perché alla
fine si decise a parlare. “Siamo a posto?” chiese
solamente.
“In che senso?”
“Non smetterai di nuovo di parlarmi? Dopo ieri
sera.”
Quello, mio malgrado, mi colpì. Non mi aspettavo una domanda
del genere, ma non ero solo stupita: sentii un leggero formicolio sui
palmi delle mani che mi spingeva a rispondere velocemente per poi
fuggire. Non ero una persona codarda di natura, ma come tutti tendevo
ad evitare determinati discorsi che pensavo potessero mettermi in
difficoltà, ed era una cosa che con Matt mi capitava spesso:
sentirmi in difficoltà tanto da voler scappare. Mi costrinsi
a ragionare con lucidità.
“Non credo ti dispiacerebbe troppo,” risposi,
tenendo un tono scherzoso.
Le sue labbra disegnarono un sorriso tirato. “È
stancante sforzarmi di capire quando posso e quando non posso
rivolgerti la parola. E poi farti arrabbiare è una specie di
antistress per me.”
Piegai la testa di lato, fingendo di pensarci. “Non voglio
che ti stressi troppo,” mormorai infine.
Matt sorrise di nuovo, ma quella volta lessi spontaneità
nella sua espressione: sapeva, e lo sapevo anch’io, che
avevamo fatto un enorme passo avanti nel nostro modo di relazionarci,
fatto di continui alti e bassi, di esagerazioni da entrambe le parti.
Qualcosa sfarfallò nel mio petto, come ogni volta che lui
sorrideva così, e mi costrinse a mettere le mani avanti.
“Ma sappi che mi sento ancora in svantaggio per ieri sera,
dato che non mi ricordo tutto, e probabilmente mi ci vorrà
del tempo per superare la cosa e…”
“E bla bla bla… Lo so. Neanche coi postumi
rallenti la
parlantina, Gray?”
Assottigliai gli occhi, offesa solo a metà.
“Ognuno ha il suo antistress. E ora sparisci, principino, per
i miei gusti oggi abbiamo già parlato troppo.”
“Incredibilmente siamo d’accordo,”
replicò lui, voltandosi con un cenno di commiato.
Ci ripensò meno di un secondo dopo: stavo fissando la sua
schiena quando si girò per aggiungere qualcosa, abbassando
la voce di un tono.
“Ti ho solo portata su, per evitare che ti capitasse
qualcosa. Mi sono accorto, non so come, che eravamo entrambi troppo
ubriachi. Ho preso te, una bottiglia d’acqua e una maglietta,
e vi ho consegnate nelle mani della persona più affidabile
che ci fosse in circolazione: Dave. Tutto qui.”
Quando terminò di parlare, mi diede le spalle e
cominciò a scendere le scale, seppi che quel discorso era
definitivamente chiuso per lui. Serrai gli occhi qualche istante per
cercare gli ultimi flashback della sera precedente, per fare in modo
che la questione fosse chiusa anche per me. C’erano dei
ricordi, delle immagini racchiuse da qualche parte nella mia memoria,
solo che fino a quel momento ero rimasta convinta che fossero parte dei
sogni di quella notte, perché avevano una forma confusa e
spezzettata. Mi concentrai di più.
Io e Matt eravamo
davvero sul punto di andare oltre i baci. Perlomeno,
io lo ero. Ero seduta sul piano cucina, lui era ancora tra le mie gambe
e mi baciava così lentamente da farmi impazzire. Volevo di
più: forse ero già impazzita.
Lo avvicinai ancora a me
e afferrai il bordo della sua maglietta per
sfilargliela, lui mugolò qualcosa di indefinito sulle mie
labbra e fece un passo indietro. Senza rendermene conto seguii il
movimento del suo corpo con il mio e, nel farlo, scivolai
giù dall’isola. Non era molto alta, ma io ero
ormai completamente andata, e forse sarei caduta se Matt non mi avesse
acciuffata, posando le mani sui miei fianchi per tenermi in piedi.
Barcollai ancora un
po’, infine alzai gli occhi per
osservarlo. Doveva esserci una domanda nascosta nel mio sguardo,
perché lui scosse la testa piano.
“No,”
disse solo, fissando un punto del mio viso,
appena sotto lo zigomo sinistro, come se stesse cercando di
concentrarsi su qualcosa.
Misi su
un’espressione disconnessa. “No?”
“No,
senti… Si è fatto tardi. Come sei
venuta alla festa?”
“In
motorino,” risposi, come se fosse ovvio. Avevo
preferito muovermi con quello ed evitare la macchina con gli altri miei
amici in modo da essere autonoma per il ritorno, ma non ci avevo
pensato nel momento in cui avevo iniziato a bere.
“Dormi qui,
allora.”
“Qui?”
Lui annuì e
io mi toccai con due dita il viso, dove il suo
sguardo continuava a essere puntato.
“Ho qualcosa
sulla guancia?” gli domandai.
Accennò un
sorriso. “No. No, sei…” Si
bloccò un attimo, indeciso.
“Stai bene.”
Poi mi tirò a
sé e si abbassò per
lasciarmi un bacio proprio sulla guancia sinistra. Vi si
soffermò più del necessario, lo sentii sospirare
piano tra i miei capelli sopra l’orecchio, ma quando mi
voltai, scossa da quella vicinanza, e provai a baciarlo di nuovo,
lasciò a malapena che le nostre labbra si sfiorassero prima
di scostarsi.
Mi prese la mano.
“Andiamo, ti porto da David.”
“Dave
è arrabbiato con me,” gli
ricordai, la voce sempre più flebile e lamentosa.
“Sono sicuro
di no.”
Rientrai in camera e vidi David che si buttava sul letto: quello
sfacciato non provava nemmeno a fingere di non aver origliato.
“Vi siete baciati di nuovo?”
“No.”
“Perché avete smesso di parlare? Non capivo bene
quello che dicevate, questo corridoio è troppo lungo,
maledizione. E mi sono perso tutta la prima parte, pensavo fossi in
bagno!”
“Ero in bagno.”
Mi gettai sul letto accoccolandomi al suo fianco e lui mi
passò una fetta di pane tostato. Masticai qualche secondo in
silenzio, finché Dave non si intromise di nuovo nei miei
pensieri.
“Farete finta che sia successo solo per allontanare un
ragazzo che voleva approfittarsi di te?”
Finii di inghiottire il mio boccone prima di rispondere.
“È successo solo per quello.”
“Delia…”
mi ammonì lui, e immaginavo
dove volesse andare a parare, quindi lo interruppi subito.
“È successo solo per allontanare quel tipo, David,
non può esserci un’altra ragione per me e Matt,
ora come ora. Io sono sotto un treno per via di Nate, non pensavo di
potermi mai sentire così, ho litigato con te, ho bevuto, ho
fatto delle stupidaggini. Matt mi ha aiutato perché
Stevenson mi stava appiccicato. Basta.”
Lui sospirò, rassegnato, ed evitò di prolungare
il discorso. Sapevo che, anche se non era d’accordo con me,
non mi avrebbe contraddetto in quel momento: la mia verità
era quella che gli avevo appena spiegato e non c’era modo che
cambiassi idea.
Mi tornò in mente che dovevo sentire i miei genitori, quindi
mi alzai controvoglia dal letto e recuperai il cellulare, ancora
infilato nella mia borsa. Lessi velocemente un paio di messaggi di
Audrey e di Jude, e quando trovai l’sms che la sera prima
Dave aveva mandato a mio padre da parte mia, mi ritrovai a fare un
verso oltraggiato.
“Dave!” lo chiamai con tono di rimprovero.
“Cosa?”
Lessi ad alta voce il messaggio che avevo sotto gli occhi.
“Dormo da
David, perché David, che doveva darmi il
passaggio, dorme qui. Non preoccupare, ti sapevo domani.
Cos’è questa roba?”
Dave si mise a ridere quasi ululando. “Ero ubriaco
anch’io, Deels, ti aspettavi un poema epico?”
“Bastava scrivere molto meno!” lo rimproverai.
“Dormo fuori,
per esempio, era più che
sufficiente!”
Lui continuò a ridere di gusto stendendosi sul letto e io,
per non fare troppi danni, mi premurai di spostare il vassoio sul
pavimento prima di gettarmi sul mio amico per iniziare una lotta a
colpi di solletico.
Eccoci! Non so se vi aspettavate qualcosa di più, ma questo
è quanto.
Speravo di riuscire ad essere più svelta nella
pubblicazione, ma purtroppo a causa di vari casini ho dovuto rimandare
di almeno una settimana.
Speravo anche che il capitolo uscisse moolto più breve, ma a
quanto pare avevo fatto male i conti. Perlomeno è
più corto degli ultimi di un bel po'.
L'ultimissima parte è scritta abbastanza velocemente e
revisionata allo stesso modo. Potrebbe avere degli errori (ho
modificato delle cose anche l'ultima volta che l'ho riletta), quindi se
qualcosa non vi torna fatemi pure sapere!
Per il resto, non sono del tutto soddisfatta, ma non lo sono quasi mai,
quindi è inutile che tenga qui il capitolo a fare muffa.
Sono stata a lungo indecisa su cosa far ricordare a Delia, non volevo
toglierle niente di fondamentale e ho optato per uno schema
così. Tenete comunque conto che i ricordi sono solo i suoi,
come al solito non ci è dato sapere la parte di Matt, quel
ragazzo è impossibile.
Sono stata a lungo indecisa (e l'ho cambiato più volte)
anche sul tempo verbale da tenere nelle parti in corsivo. Essendo dei
ricordi precedenti al racconto avevo iniziato a scriverle usando il
trapassato, ma man mano che scrivevo mi sono accorta che
così sarebbe cambiato completamente il tono. Ho optato per
il corsivetto e per mantenere il passato remoto, ma non so. Se qualcuno
pensa che abbia sbagliato accetto suggerimenti, ancora oggi non sono
convinta.
Il titolo del capitolo è traducibile con qualcosa tipo
"Guardare i flashback che si intrecciano tra loro". È un
verso della canzone da cui prende il titolo la storia, Falling away with you.
Ho tediato abbastanza. Ringrazio davvero di cuore le stelle che hanno
commentato lo scorso capitolo per darmi un po' di carica. Love <3
Rinnovo l'invito a commentare e a farmi qualsiasi domanda vi passi per
la testa, sono qui apposta!
Causa prossimi impegni vari, non posso garantire tempi brevi di
pubblicazione, ma posso promettervi che farò del mio meglio
e che, come al solito, cercherò la spinta in tutte le
persone che seguono e commentano la storia con tanto amore.
Un bacio per voi! Alla prossima!
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