cap 8
Un
passero cantò fra i rami della vecchia quercia e Tori
spiccò il volo alla sua ricerca.
Harlock si sfilò il guanto e fece scorrere la destra sul
tronco coperto di muschio.
Quell’albero era morto da decenni, ormai, tuttavia svettava
ancora solido sulla cima della collina come quando da bambino ci
s’arrampicava sognando di raggiungere le stelle.
Tutto uguale, tutto
diverso.
Si chinò a estirpare un vilucchio attorcigliato alla base
della croce ai suoi piedi e la sfiorò con la punta delle
dita.
Eccomi qua. Ci ho messo
un po’, ma sono tornato.
Un anno, due mesi e sei giorni.
Sospirò. Tornare su Futuria era stato difficile. Rientrare
nell’Arcadia ancor di più.
Nonostante il sole abbagliante che gli investiva le spalle e la
schiena, il gelo di quella sala computer sventrata e la sensazione di
solitudine che aveva provato nel rendersi conto che Tochiro se
n’era davvero andato per sempre lo fecero rabbrividire.
Spero che tu approvi la
mia decisione, amico mio, perché non è stato per niente
facile prenderla.
Si lasciò cadere all’indietro sull’erba
e chiuse l’occhio. Il cinguettio degli uccelli si
trasformò nel fischio della tormenta contro i pannelli
che coprivano la vetrata in frantumi della sua cabina, il prato soffice
nel pavimento duro e sconnesso sotto il suo sacco a pelo.
Dietro le palpebre chiuse, il pensiero che rimettere in funzione quella
nave non avesse ormai alcun senso, che il suo desiderio di farlo fosse
solo un’altra
fuga nel passato e le sue esitazioni un altro modo per tentare di
sfuggirgli s’affacciarono di nuovo alla sua mente.
Riaprì l’occhio, si sfilò
l’altro guanto e stese le mani contro l'azzurro del cielo.
Il calore del sole sui palmi era lo stesso della tazza fumante colma di
quell’intruglio che Maji e Yattaran chiamavano grog e delle
dita sottili di Mime strette attorno alle sue davanti al fuoco.
L’Arcadia non
è soltanto la tua nave, Harlock!
Già.
Si risollevò a sedere, piegò il ginocchio contro
il petto e rivolse i palmi verso la tomba.
Ed ecco il risultato,
amico mio!
Calli e duroni sotto ogni giuntura delle dita, tagli, bruciature e
abrasioni in vari stadi di guarigione su ogni centimetro dei palmi e
dei dorsi a ricordo di mesi e mesi passati a spalar neve, sgomberar
rottami, smontare componenti guaste e sostituirle con pezzi di
ricambio, stender cavi, saldare pannelli, avvitare grate, riparare
mobili scassati e grattar via polvere, grasso, segni di bruciature e
macchie d’olio più o meno da ogni cosa, incluso se
stesso.
E sai una cosa? Mi
è piaciuto. Ora capisco perché eri sempre
così allegro, dopo aver trafficato coi tuoi macchinari.
Anche se la sua schiena, le sue ginocchia e diversi altri punti del
corpo di cui un tempo ignorava persino l'esistenza non erano affatto
d’accordo, essere così impegnato e stancarsi
così tanto da non avere il tempo di tormentarsi
coi soliti, cupi pensieri era stato rilassante.
Per dirla come Yattaran:
"Svegliarsi all’alba come un gallo, lavorare come un mulo,
mangiare come un leone e dormire come un ghiro… questa
sì che è vita!"
E a volte gli era capitato persino di sorridere, senza ombre, proprio
come un tempo.
Poi era arrivato il momento d’avviare il computer e accendere
i motori. Aveva stretto fra le mani le barre lisce e odorose di cera
del timone… e anche se tutto era proprio come prima, niente
lo era stato più davvero: il grido dei rotori, la vibrazione
del pavimento, la resistenza della guida… Tutto uguale,
tutto diverso.
Avevi ragione tu. Ogni
cosa si può riparare o sostituire, tranne le persone.
E l’Arcadia, per lui, era stata anche e soprattutto quello.
Sospirò.
Non è
più la nostra nave, amico mio. Ma non sono
triste… e nemmeno pentito.
Adesso, l’Arcadia era la nave di Mime e Masu, di Maji e Mayu,
di Yattaran e del Dottore, di Yuki e Tadashi e di tutti quelli che
l’avevano aiutata a spiccare di nuovo il volo.
È cambiata.
Come tutti noi… come me. Ma non vuol dir forse anche questo,
vivere?
Respirò a pieni polmoni. L’aria era fresca e
carica del profumo di viole, erba e terra bagnata.
Scostò la falda del mantello, aprì la bisaccia e
tornò ai piedi della vecchia quercia.
Nel suo cartoccio, il pugno di terriccio era umido e soffice contro
il palmo e il germoglio che aveva coltivato durante il
viaggio era alto appena cinque o sei centimetri, ma le foglie erano
d’un verde così brillante da sembrar finte.
Sarebbe cresciuto al riparo del vecchio albero, ci si sarebbe
appoggiato e alla fine l’avrebbe scalzato e se ne sarebbe
nutrito fino a sostituirlo del tutto.
E una nuova generazione
crescerà all’ombra della nostra e un giorno la
sostituirà, però...
– Harlock!
Mayu emerse dal versante sud del pendio e si piegò senza
fiato, le mani sulle ginocchia, l’ocarina che penzolava sopra
due mazzolini di fiori malconci, i pantaloni e gli stivali macchiati
d’erba e terriccio fin sotto il ginocchio. Tirò su
la testa e lo squadrò sospettosa.
– Non vorrai mica farlo senza di me, vero?
Harlock scosse il capo, sollevò verso di lei il germoglio e prese dalle sue mani il mazzetto ridotto peggio.
Posarono i fiori ai piedi della croce e s’accosciarono fra le
radici della vecchia quercia. Non ci misero molto. La pianticella era
piccola, il terreno umido e soffice. Le loro dita
s’incontrarono nel premerlo tutt’intorno a quel
fusto sottile come un rametto.
– Capitano – la voce di Yuki –
È andato bene il viaggio di ritorno?
Harlock s’alzò, strofinò i palmi sul
didietro dei pantaloni, le andò incontro e tese la sinistra per
aiutarla a salire l’ultimo tratto di pendio, visto che era
ripido e scivoloso e lei aveva il braccio destro occupato.
– Ti risponderò quando ti deciderai a chiamarmi
Harlock. Non sono più…
Lei strinse forte le sue dita e gli sorrise radiosa.
– Tu sarai sempre il mio Capitano… Harlock.
Una parte di lui, quella che odiava con tutto se stesso, gli
sussurrò che avrebbe ancora potuto averla.
No.
In ogni donna, lui avrebbe sempre cercato Maya e Yuki meritava la
felicità che aveva già trovato accanto a un uomo
che non inseguiva fantasmi del passato.
– È andato bene.
La tirò su e lei lasciò andare la sua mano. Il
sorriso lasciò il posto a una smorfia di disappunto.
– Mayu! Quante volte te lo devo dire di non correre a quel
modo? Vuoi romperti l’osso del collo, per caso?
Mayu incrociò le braccia dietro la testa, imbronciata.
– Uffa, Yuki! Smettila di trattarmi come una bambina! Ho
quindici anni, ormai: sono una donna!
Yuki la squadrò dalla testa ai piedi.
– Allora comportati come tale – sbuffò
– Ma guardati... sei tutta sporca di terra!
Lei rise.
– Non penso che gli altri si formalizzeranno. Rilassati,
Yuki! Siamo in famiglia, mica a uno di quei vostri noiosissimi pranzi
di lavoro...
– Già – la fronte di Yuki si
spianò – Ma ciò non toglie che tu stia
diventando un vero maschiaccio, Mayu! Diglielo anche tu, Capitano!
Lui la trovava incantevole: guance rosse, un sorriso innocente sulle
labbra delicate di Emeraldas e una luce vivace negli occhi scuri e
intelligenti di Tochiro.
Aveva pensato d’averli perduti per sempre...
Che sciocco. In ogni
germoglio c’è sempre qualcosa
dell’albero che l’ha generato.
– Capitano... Harlock!
Ritornò in sé al suono della voce di Yuki e al
movimento del suo braccio che gli strattonava la manica.
– Ti perdi ancora nei tuoi pensieri, eh? Certe cose non
cambiano proprio mai.
Un lieve movimento nell’incavo del suo braccio destro gli
fece pensare che invece molte cose cambiavano, nella vita: alcune
laceravano il cuore, altre lo colmavano di gioia.
Si chinò su di lei e scostò i
lembi della coperta che avvolgeva il bambino.
Anche se gli avevano dato il suo nome, Phantom Harlock Daiba gli
somigliava ben poco: era un bimbetto paffuto, roseo e tranquillo, coi
capelli ribelli di Tadashi e i colori di Yuki.
Per nulla intimorito dalla sua altezza, dalla cicatrice e dalla benda
nera, tese le braccine con un gorgoglio, gli afferrò una
ciocca della frangia e tirò per farlo avvicinare ancora di
più.
– E così – Harlock liberò i
capelli, con qualche difficoltà: quel bimbo aveva una presa
d'acciaio e una tenacia impressionanti, per essere ancora tanto piccolo
– Tu saresti il mio figlioccio, eh?
Guardò Yuki.
– Ti somiglia.
Come sempre, le sue parole, il suo tono e il suo atteggiamento non
riuscivano a esprimere neppure un’infinitesima frazione
dell’emozione che provava. Come sempre, Yuki doveva aver
capito lo stesso, perché glielo porse, rossa in viso e con
gli occhi lucidi.
– Vuoi tenerlo un po’, Capi… Harlock?
Erano passati quindici anni dall’ultima volta che aveva preso
in braccio un bambino così piccolo, eppure il ricordo di
Emeraldas che gli metteva per la prima volta Mayu fra le braccia
riaffiorò vivido e intenso nel sentire il peso e il calore
di quell’esserino passare dalle mani di Yuki alle sue.
Proprio come allora, qualcosa emerse prepotente dalla parte
più profonda della sua anima e seppe con assoluta certezza
che quello era l’inizio di qualcosa che sarebbe durato tutta
la vita.
In fondo, non
c'è bisogno d’un vero e proprio legame di sangue
per sentirsi parte d’una famiglia... dico bene, amico mio?
Guardò verso la croce. Proprio in quel momento, il pianto
disperato d’un altro bambino echeggiò fra i rami
insieme alla voce di Tadashi.
Aveva un tono stranamente supplichevole e Harlock si sporse a guardare
oltre il ciglio della collina.
L’eroico Primo Ministro del Governo Federale Terrestre
arrancava lungo l’altura, un fagottino rosa strillante che
gli si dimenava fra le braccia. Mayu s’affacciò a
sua volta e ridacchiò.
– Mirai ha proprio deciso di farlo ammattire. Poveraccio,
scommetto che non era questo, il futuro che immaginava!*
– Mayu!
– In effetti, nessuno di noi se l’aspettava
– Il Dottor Zero s’inerpicò lungo
l’ultimo tratto della salita, si diede un paio di colpetti
sulle spalle, posò a terra la borsa che portava a tracolla e
si stiracchiò – Io e Masu avevamo quasi perso le
speranze, ormai... vero, Mi?
La gatta saltò fuori dalla tasca del suo camice, si
strusciò contro la caviglia di Yuki e andò ad
acciambellarsi al sole con uno sbadiglio indolente.
– E invece... bang! Due in un colpo solo! –
Yattaran arrivò a tutta birra, per nulla stanco per
l'ascesa, e prese a correre in circolo attorno a Yuki – E
alla prima botta, anche! Quello scemo non è un uomo,
è una doppietta di precisione!
– Yattaran! – Yuki era rossa come un peperone
– Ma che dici?!
– Avrei dovuto scommettere di più sul loro primo
anno – Maji aiutò Mime a superare una lieve
sporgenza e allargò le braccia – Lo quotavano otto
a uno, un punto in più in caso di gemelli; con appena cento
crediti sarei stato a posto per... ops!
Yuki girò lo sguardo dall’uno all’altro
dei suoi ex sottoposti, paonazza.
– Avete fatto scommesse su... su questo?
Yattaran sogghignò.
– Eh, se solo sapessi!
– E chi ha vinto? – Mayu evitò per un
soffio uno scappellotto dietro la nuca e si rifugiò dietro a
Yattaran – Qualcuno ha fatto jackpot?
Maji si limitò a guardare Mime che, con assoluta
nonchalance, tirò fuori dallo scollo della tunica una
fiaschetta di metallo e bevve un lungo sorso che la fece risplendere
come una stella.
Si misero tutti quanti sul bordo della collina ad aspettare Tadashi,
che arrivò dopo altri sei o sette minuti buoni, rosso in
viso, sudato e così rigido da sembrare ingessato.
– Oh, insomma, Mirai, sta’ buona – la sua
espressione impacciata e preoccupatissima mentre cullava la figlioletta
era davvero comica – Cosa c’è? Hai fame?
Hai freddo? Hai mal di pancia? Accidenti, ma
quand’è che inizierai a parlare?!
La sollevò in alto, se la poggiò contro la
spalla, le massaggiò la schiena e lo stomaco,
provò a distrarla con versi e smorfie: niente.
– Va avanti così da quando siamo usciti
– rise Mayu – Un vero strazio!
– Avanti, Mirai... smettila, ti prego!
Le urla aumentarono d’intensità e il povero
Tadashi si guardò attorno, smarrito come neanche il primo
giorno nello spazio. Per metà impietosito e per
metà divertito, Harlock partì in suo soccorso.
Affidò il suo biondo, sorridente omonimo a Mayu e
s’avvicinò a Tadashi.
Passò il braccio sotto al suo, prese la bambina, le fece
poggiare la testa nell’incavo del suo avambraccio e la
cullò adagio canticchiando quella vecchia canzone. Il pianto
s’arrestò di colpo; la piccola lo
guardò attenta coi suoi grandi occhi
castano–verde, l’ascoltò rapita per
qualche minuto e s’addormentò, i pugnetti chiusi
sotto il mento e l’aria beata.
Mayu sbuffò dal naso, le lacrime agli occhi mentre si
sforzava di non scoppiare a ridere in faccia a Tadashi, che osservava
lui e la bambina a bocca aperta.
– Ma tu guarda – Tadashi si ficcò le
mani in tasca e gli rivolse lo stesso broncio indispettito di
quand’era un ragazzino – Se vuoi te la regalo,
Harlock.
Yattaran rise.
– Eh, l’ho sempre detto, io: il Capitano ci sa
proprio fare, con le donne! Da zero a cent’anni, sono tutte
innamorate di lui!
Yuki posò una mano sulla spalla di Tadashi.
– È perché lui è tranquillo
– ridacchiò – Mentre tu, quando prendi
in braccio Mirai, hai la faccia di uno che stia cercando di
disinnescare una bomba a orologeria.
Tadashi incrociò le braccia sul petto.
– Per forza: ha un caratteraccio impossibile, quella bambina!
Mi chiedo da chi abbia preso!
Yuki, Mayu, Mime, Maji, Yattaran e il Dottore si guardarono
l’un l’altro, fissarono prima lui e poi Mirai e
scoppiarono a ridere. Il broncio di Tadashi si fece più
pronunciato.
– Bé? Che vorrebbe dire questa pantomima?
– Che i frutti non cadono mai lontano dall’albero,
Tadashi – ghignò Harlock – E dato che
Yuki è una persona calma e posata...
– Oh, no, Harlock! – Tadashi si grattò
la nuca – Non ti ci mettere pure tu!
Li squadrò tutti con aria offesa, poi non riuscì
più a trattenersi e scoppiò a ridere anche lui.
Anche Harlock si sorprese a sogghignare mentre osservava incantato il
visetto tondo di quei due bambini in cui già si vedevano,
fusi in un’incredibile, magnifica mescolanza, i tratti dei
genitori.
Proprio come semi...
volano verso il futuro portando dentro di sé il legame con
il passato, il ricordo dell’amore che li ha generati.
Si sentì commosso e pensò una volta di
più che quello era il vero miracolo, la vera
immortalità per un essere umano.
E noi abbiamo il dovere
di fare da ponte fra passato e futuro, di nutrirli, guidarli e
proteggerli finché non prenderanno il nostro posto. Un giorno, i semi che oggi abbiamo sparso diventeranno dei grandi alberi, e noi potremo riposare alla loro ombra...
– Aaah! Che vedono i miei occhi?! – un grido
poderoso quanto stridulo lo strappò dai suoi romantici
pensieri – Mayu! Harlock! Disgraziati! Come osate toccare i
miei piccoli con quelle manacce sudicie?!
Per nulla affaticata dagli anni e dalla salita, Masu posò a
terra un cesto da pic-nic grande quanto lei, schizzò fra
Maji e il Dottore e andò a piantarglisi di fronte, gambe
larghe e mannaie in pugno.
– Non lo sapete che i neonati sono delicatissimi? –
le due lame, sfregate una contro l’altra, sferragliarono ed
emisero sinistre scintille – Filate a lavarvi quel lerciume
di dosso o giuro che vi faccio a fettine sottili sottili, vi metto a
marinare tutta la notte in acqua e limone e poi vi cucino alla marinara
col peperoncino di Cayenna!
– Tutte le donne sono innamorate del Capitano, da zero a
cent’anni – Yattaran stese la tovaglia, si sedette
sull'erba accanto al cesto e tirò fuori dalla bisaccia che
portava alla cintola il modellino d’un incrociatore Federale
– Con un’unica eccezione...
– Già – il Dottor Zero
s’accomodò accanto a lui a gambe incrociate,
aprì la sua borsa colma di bottiglie, ne stappò
una e si concesse un’abbondante sorsata – La stessa
eccezione alla regola che vuole che lui non fugga mai di fronte al
nemico.
– A questo punto – Maji sollevò un dito,
serissimo – Ci sarebbe da dubitare che Masu sia una donna.
– Secondo me, non è neanche umana.
– Piantatela di dire corbellerie, cialtroni! – Masu
si girò a fronteggiare il trio – Soprattutto tu,
Dottore da strapazzo! È così che vegli sulla
salute dei nostri nipotini? Ma io quelle bottiglie te le spacco tutte
in testa, hai capito?!
Il Dottore s’alzò, si mise davanti alla borsa e si
rimboccò le maniche.
– Non provarci nemmeno, vecchia megera! Mi sono costate un
occhio della testa e le due in mezzo sono per il Capitano: devo
mantenere la promessa d’offrirgli da bere e pagare la
scommessa su Yuki e Tad... ops!
Yuki sgranò gli occhi.
– Dottore… Harlock! Anche voi?!
Il Dottore prese una bottiglia, la stappò e
ridacchiò.
– Non te la prendere, Yuki! Scommettere su tutto è
una nostra tradizione, lo sai – tirò fuori una
pila di bicchieri di carta e li riempì – E a tal
proposito, propongo un brindisi a Taro, Kiddodo e Doskoi.
Calò il silenzio mentre ognuno prendeva il proprio bicchiere.
Harlock sollevò il suo.
– A Taro, Kiddodo e Doskoi, allora –
guardò in alto e poi verso la tomba – A tutte le
vittime di quell’incubo… e a tutti coloro che
hanno dato la vita per farlo finire.
– Prosit.
– Prosit.
Vuotò il bicchiere d’un fiato. Era un vino
delizioso, ma gli lasciò un gusto amaro in bocca.
Erano morti davvero in tanti… non solo per salvare lui,
certo, ma anche
per quello.
Abbassò il bicchiere.
Vi onorerò
vivendo al massimo delle mie possibilità, giorno dopo giorno, non come l'eroe
che avrei voluto essere, ma come me stesso.
– Che fai, pirata da strapazzo? Cerchi già di
traviare la mia figlioccia con le tue pessime abitudini?
Alla testa del suo gruppetto d’ufficiali, Zero gli rivolse un
cipiglio minaccioso. Harlock lo ricambiò con un ghigno sprezzante.
– Senti chi parla – guardò con
ostentazione l’orologio e restituì il bicchiere
vuoto al Dottore – Sarà almeno mezz’ora
che t’aspettiamo, soldato da operetta.
Cos’è, ti sei perso per l’unico sentiero
che porta quassù?
Gli tese la mano libera. Lui l’afferrò, la
strinse proprio dove le sue nocche erano più ammaccate e
prese Mirai dalle sue braccia.
– Eccoti qui. Spero davvero che il futuro sarà radioso per la
tua generazione, piccola.
Un
giuramento.
Non c’era bisogno di parole né della comunione
mentale generata da una macchina per capirlo: bastava il suo sguardo in quel momento, lo stesso di quando aveva stretto al petto la famiglia che non aveva saputo proteggere e non avrebbe mai più riavuto.
Harlock gli diede una pacca sulla spalla.
– La nostra è vissuta in mezzo alle guerre, ma
saprà regalare la pace alla sua, ne sono sicuro –
serrò le dita attorno al suo omero e ridacchiò soddisfatto
quando trovò il nervo sovrascapolare – Detto questo, non osare
mai più ignorare una mia domanda.
Zero sobbalzò e si liberò con una scrollata.
– Non mi sono perso io
– grugnì – Ho perso un
uomo.
Grenadier gli mollò una poderosa manata sulla schiena ed
esplose in una risata.
– Io te l’avevo detto, Zero: ci vuole il
guinzaglio, con quel rompiscatole!
Eluder si strofinò il mento.
– Davvero? Quando non è con te, di solito
è affidabile e molto puntuale, quindi magari non
è lui che dovremmo tener sotto controllo.
– Fino a prova contraria, io sono qui e lui no. E poi non
è affatto vero che ho una cattiva influenza!
Semmai sei tu che...
Rai si mise in mezzo.
– Non cominciate nemmeno, ragazzi – le sue braccia
corte e la sua statura non lo aiutavano certo a tener separati quei
due – E soprattutto non urlate, che ho un mal di testa
infernale!
– Forse avremmo dovuto andarlo a cercare a casa –
Marina si torse le mani – Non vorrei che gli fosse successo
qualcosa.
Tetsuro fece capolino da dietro la sua schiena e si tolse il
cappello.
– Non rispondeva nessuno, ve l’ho già
detto. Avrò suonato per almeno un quarto d’ora, prima di raggiungervi.
Kaibara tirò e
lisciò uno dei suoi lunghi baffi.
– Non credo che corra pericoli, a parte quello di crollare
per la stanchezza – andò ad accomodarsi accanto al Dottor Zero e tirò fuori dal taschino la sua pipa – Anzi, tra il
processo, la stampa, tutte le cerimonie che s’è
dovuto sorbire nell’ultimo mese e quegli altri impegni di cui
non ha voluto dir niente a nessuno, mi sa che è proprio quel
che è capitato. Starà dormendo come un sasso
buttato da qualche parte e non lo sveglierebbe nemmeno un terremoto,
figuriamoci il ronzio della trasmittente o del campanello.
Mayu abbandonò il suo rifugio dietro la schiena di Yattaran, afferrò un bicchiere e lo riempì.
– Se una certa ex-spia, ex-cacciatrice di taglie
l’ha trovato dove le avevo consigliato di fargli la posta,
temo che invece dormirà ben poco, poverino! –
ridacchiò – Io non lo cercherei e non lo
aspetterei per altri due giorni, come minimo.
Harlock si grattò la nuca. “Sorriso
innocente”, aveva pensato?
In quel momento la sua espressione era identica a quella di Tochiro
quando lo prendeva in giro con le sue illazioni maliziose e i suoi
doppi sensi… e pareva proprio godersela almeno quanto lui.
Sospirò. Il sospetto che sarebbe rimasta una bambina ancora
per poco s'intensificò nel vederla porgere il bicchiere a Tetsuro e afferrargli gioiosamente il braccio.
– Come, come? Sylviana e Ishikura…?
– Ehm… Grenadier, lo so che lei ti piaceva,
ma…
– Evvai! – Grenadier levò in alto il
pugno in un gesto di trionfo – Lo sapevo che
quell’asino ce l’avrebbe fatta! Sganciate, gente!
Zero osservò il suo equipaggio metter mano al portafogli tra mormorii di scontento e mise Mirai fra le braccia di Marina.
– Pare che le pessime abitudini del tuo equipaggio e le loro
turpi “tradizioni” si siano trasmesse al mio
– scrocchiò le dita – Come pensi di scusarti, pirata
da strapazzo?
Il cuore di Harlock accelerò il battito,
l’adrenalina cominciò a pompare nelle sue vene.
Si mosse verso la quercia, un ghigno di sfida già a
increspargli le labbra come se fosse la cosa più naturale
del mondo, le membra leggere e le mani che gli prudevano come quando s'erano scontrati la prima volta, quasi vent'anni prima.
– Scusarmi? Io? Devo aver capito male, soldato
idiota – sfoderò la Gravity Sabre e gli fece cenno
di farsi sotto – Forse volevi supplicarmi, in ginocchio e in
tutta umiltà, d’insegnarti una volta per tutte
come si tira di scherma in modo decente?
Zero si fermò a dieci passi da lui, la solita espressione
strafottente e sicura di sé stampata sul viso.
– Oh, vedo che non ti sei dimenticato del nostro piccolo
conto in sospeso – sfoderò la sua arma e si
esibì in un saluto da manuale – Stavolta non
finirà in pareggio, perciò te lo dico fin da
subito: non metterti a piangere, quando finirai col culo per terra.
– Vale anche per te. Non chiamare la mamma quando quella spada ti
volerà via di mano perché non riesci a starmi
dietro.
Harlock sollevò la lama. Zero si mise in guardia.
– Nei tuoi sogni!
Si lanciarono uno contro l’altro.
* Il nome
“Mirai” (未 来) significa "futuro".
E... fine! Finalmente!
Alla fine non ce l'ho fatta e lo zucchero è abbondato, ma un
lieto fine per tutti (o quasi) ci stava, no? :)
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Disclaimer:
fanfic basata sul mondo ed i personaggi di "Capitan Harlock" (Uchu
kaizoku Kyaputen Harokku" e "Cosmo Warrior Zero" (Kosumo Woria Zero),
creati da e © Leiji Matsumoto.
Tutti
i diritti per questi personaggi sono ©
Leiji Matsumoto, Toei
Animation, Enoki Fims e probabilmente un mucchio di altra gente.
Il
loro utilizzo in questa storia non implica appoggio, approvazione o
permesso da parte loro.
Siccome
questa storia è stata pensata e scritta da una fan per altri
fan, prego di non plagiarla, di citarmi come autrice in caso di
pubblicazione altrove e di non ridistribuirla a pagamento. Grazie!
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