Nel
villaggio era
tutto tranquillo: le donne tessevano e chiacchieravano tra loro,
mentre i bambini correvano e giocavano tra loro, nonostante fosse
vietato a loro di restare alzati fino a tardi.
Il
loro capo, un
anziano echidna di nome Pachacamac, scrutava il suo prezioso
villaggio.
Stava
dritto in piedi, reggendosi al suo fedele bastone mentre con sguardo
fiero osservava la sua gente dalla cima del tempio di pietra.
Le
sue orbite, poi, si soffermarono su una giovane echidna seduta
qualche gradino più sotto, con gli occhi azzurri persi nel
cielo
dell'orizzonte, ancora colorato di buio per la notte; ma ancora poche
ore e la dolce creatura avrebbe potuto vedere un'alba mozzafiato da
lassù.
Lei
era una bellissima ragazza dagli occhi azzurri, limpidi e puri, e con
lunghissimi e morbidi capelli beige; alcune ciocche erano coperte da
bandane bianche.
Semplici,
i suoi vesti: un top di grezzo lino bianco, leggero e pulito, ed una
gonna verde e dorata dalla fantasia geometrica. Non aveva vere e
proprie scarpe, solo delle bende di lino bianco messe come specie di
sandali, che le proteggevano la pianta dei piedi. Gli unici pezzi
preziosi del suo outfit erano un collare ed un diadema; ambedue erano
d'oro e con una pietra preziosa al centro.
Il
dolce venticello fresco della notte le ventilava i capelli color
ambra, agitandoli un poco.
Sul
viso color pesca aveva un'espressione triste e malinconica da giorni,
ormai.
Il
vecchio guardò sua figlia: una ragazza così
vitale, eppure così
priva d'energia.
Le
sue spalle cadenti, le ginocchia vicine al ventre e il suo costante
silenzio... tante piccole cose cose che la facevano sembrare,
stupidamente, una creatura arresa.
Il
capo echidna sospirò nel vedere la sua unica figlia in
questo stato,
ma come biasimarla; sua madre, ovvero la nonna della ragazza, la
precedente e grande regina della tribù, era venuta a mancare
solo un
paio di giorni prima. Di conseguenza, Pachacamac aveva ereditato il
trono, il suo bastone e le sue responsabilità, e niente lo
onorava
di più.
Ma
per Tikal non c'era nessun aspetto positivo nella morte di sua nonna,
nessun guadagno.
Nessuno,
nemmeno suo padre, poteva capire l'immenso dolore che provava: sua
madre era morta per metterla al mondo e la persona che quindi l'aveva
cresciuta, educata ed amata era proprio sua nonna, non quel
guerrigliero e assente padre, ma quella favolosa matriarca qual era
sua nonna; un'echidna saggia e caritatevole che le ha insegnato ad
amare e rispettare ciò che il mondo fa nascere e crescere,
ciò che
in esso vive e ciò che vita non ha, la potenza della natura
e la sua
energia. Le ha insegnato il valore della pace e la disgrazia della
guerra; le ha insegnato a temere il sangue versato e le fiamme
dell'odio.
Le ha
insegnato davvero tante, troppe cose, che ha imparato solo crescendo
ed alcune non le sono nemmeno ancora chiare.
E nel
mezzo della sua confusione adolescenziale, dei suoi conflitti privati
col padre, delle sue domande, insicurezza ed incertezze... lei l'ha
lasciata.
Adesso
è da sola. C'è solo suo padre.
Tsk.
Suo padre.
Tikal
era sicura che la stesse fissando, quel vecchietto arzillo, ma lei
non si sarebbe voltata nemmeno per controllare se i suoi sospetti
fossero veri. Se lui avesse avuto qualcosa da dirle, le avrebbe
parlato, altrimenti avrebbe continuato a tacere, lei di certo non
avrebbe iniziato una conversazione.
Tra
le tante cose che sua nonna le aveva insegnato era di proteggere la
sua famiglia e di rispettare il padre e la madre: quindi se ne stava
zitta e si teneva i suoi pensieri per sé.
Lei
sapeva cosa suo padre volesse da lei: una guerriera.
Lui
voleva una figlia spietata ma ubbidiente, sanguinaria ma rispettosa,
forte tanto quando basti per distruggere un'orda di nemici, ma non
abbastanza per superarlo, e probabilmente anche abbastanza
intelligente da studiare qualche tattica a tavolino, ma comunque
pendere dalle sue labbra.
Aveva
già tentato a farla approcciare con diverse armi come la
lancia, la
spada e persino l'arco ma aveva sempre e solo ricevuto rifiuti.
Educati, ma freddi e decisi.
Anche
se le aveva detto di essersi arreso, Tikal in cuor suo sapeva che il
padre non aveva ancora gettato la spugna ed ogni tanto elencava con
nonchalance tutti gli aspetti favorevoli alla guerra e alla forza
bruta delle armi, e di quanto essa coprisse d'onore.
“Ti
stai solo coprendo di ridicolo.”
avrebbe voluto dirgli Tikal, un bel giorno in cui si stufò;
e invece
riuscì solo a dirgli che la guerra copre solo di sangue. Il
freddo
capo si limitò ad alzare le spalle e a continuare la sua
giornata
come se nulla fosse, probabilmente pensando che non ce l'aveva fatta
quel giorno, ma il dì dopo avrebbe tentato di nuovo.
Una
delle qualità che suo padre aveva, e che la ragazza aveva
dovuto
ammettere, era la pazienza.
Tuttavia,
non aveva un cuore di pietra: Tikal sapeva che suo padre l'amava
sopra ogni altra cosa, voleva bene al suo unico tesoro dopotutto.
Sicuramente lui voleva solo il meglio per lei, tuttavia Tikal non
capiva come quello che suo padre le stesse facendo potesse giovarle
in qualche modo. Lei proprio non riusciva a guardare con i suoi
occhi, e forse, si diceva tra sé e sé, era meglio
così.
Quello
che sapeva, poi, era che suo padre ci teneva davvero alla sua
tribù
e a tutto il suo popolo.
Lui
non era cattivo, Tikal aveva visto un sacco di volte le sue azioni
benefiche verso gli altri abitanti; aveva visto azioni buone e
gentili da parte sua.
Si
ricordò di quella volta che suo padre, al suo decimo
compleanno,la
portò all'interno del tempio, dove si inginocchiò
davanti a lei e
l'abbraccio forte, dandole poi in regalo il diadema indossato da sua
madre: una bellissima coroncina dorata con una grande pietra azzurra
al centro. Lui osservò sorridendo che era lo stesso azzurro
dei suoi
occhi, “E' come se fosse destinato a te.” le disse,
genuinamente
felice. A vedere suo padre così, la giovanissima Tikal non
poteva
far altro che sorridere entusiasta a sua volta.
“Perché
è quello che sei.” le disse dolcemente Pachacamac,
prendendo
delicatamente la coroncina dalle manine curiose della bambina.
“Tu
sei una principessa. E, quando arriverà il tempo, una
regina.” le
narrava, mentre le sistemava il diadema sulla fronte.
“E
io sarò sempre lì accanto a te quando ne avrai
bisogno.” la
rassicurò, guardandola dritta negli occhi. Poi si
rialzò in piedi e
mostrò alla bambina la vista del villaggio da quella cima.
“Quando
loro ti considereranno una principessa, io ti considerò una
regina;
quando loro ti considereranno una regina, per me sarai una
divinità.”
Poi,
indicando l'interno del tempio, le disse: “E io
pregherò ogni
giorno affinché tu, mio tesoro, cresca e sia felice, e
supplicherò
gli dei affinché io possa vedere l'alba del tuo impero, o
regina.”
Al
solo pensarci, Tikal iniziò a sorridere di nuovo dopo
giorni. Non
capiva se suo padre le avesse mentito, o se stesse mantenendo quelle
promesse a modo suo, ma di una cosa ne era certa: lei gli voleva
bene, eccome.
Si
toccò la sua preziosa coroncina, passando le dita sulla
superficie
liscia della bellissima pietra con un leggerissimo tocco.
Era
la sua principessa.
Dei
sussulti si sentirono per tutta la tribù. Il cielo si
schiarì
improvvisamente, emanando un'insolita, sinistra luce blu elettrico
che illuminò tutto del medesimo colore abbagliante.
La
gente indicava il cielo, meravigliata e spaventata.
Tikal
alzò di scatto lo sguardo e vide la più
appariscente e magica
cometa che i suoi occhi azzurri avessero mai scrutato. Ed era anche
la più vicina; avrebbe potuto cadere a terra in qualsiasi
punto in
qualsiasi momento.
La
giovane echidna scattò in piedi, badando però a
non togliere lo
sguardo da quell'insolito fenomeno.
“Incredibile!”
sussurrò stupito suo padre dietro di lei, con gli occhi
incollati al
cielo.
Lei
non si curò dello stupore del padre, né dei
bambini che piangevano
impauriti attaccati alle gonne delle madri, né degli uomini
che
gridavano, superstiziosamente, alla disgrazia.
Tutto
quello che sentiva era una strana forza entrare in lei sin
dall'attimo in cui la luce di quella misteriosa stella cadente aveva
illuminato la sua pelle.
Era
come se una potentissima entità le stesse dando un'energia
tale da
giurare di poter volare.
Tikal
ne rimase rapita da quella gloriosa sensazione. Ne era così
attratta
e allo stesso tempo cercava di respingerla; più essa si
intensificava, più Tikal sentiva il peso di essa aumentare.
Si
sentì schiacciare dalla sua potenza, tanto da farle mancare
il
respiro per qualche attimo.
Fortunatamente,
quando la comete si apprestò a sparire all'orizzonte,
allontanandosi
sempre di più alla giovane principessa, quest'ultima
poté di nuovo
inalare a pieni polmoni. Sussultò forte, realizzando di
poter
respirare di nuovo.
Tutto
quello era surreale. Era davvero una cometa? E se fosse stato uno
spirito, per impossessarsi in quel modo di Tikal?
La
giovane echidna era combattuta. Qualsiasi cosa fosse, però,
sentiva
dentro di sé che doveva stare alla larga da lei, per
sempre.
L'istinto le
diceva che era pericolosa.
“Tikal,
tutto bene?” le chiese suo padre preoccupato, scendendo di
qualche
gradino, per avvicinarsi alla figlia.
“Sto
bene papà, grazie.” rispose lei, ansimando un po'.
Si girò un
attimo per adocchiare suo padre mentre le si approcciava. I suoi
occhi stupiti e preoccupati fissavano attenti la traiettoria della
ormai lontana cometa.
“Quella...”
iniziò a dire lui, ma non riuscì a finire la
frase.
La
cometa doveva essersi schiantata da qualche parte, oltre le montagne,
perché essa era sparita dal cielo e si era sentita
un'esplosione.
Soprattutto, si era vista: da dietro le montagne all'orizzonte si
sprigionò un'ondata di luce bianca, accecante. Tikal e suo
padre
dovettero chiudere gli occhi per un paio di secondi.
Era
finita? I due echidna fissarono l'orizzonte, attenti a nuovi
movimenti.
L'aria
iniziò ad alzarsi; i panni appesi nel villaggio sbattevano
con
sempre più forza, mentre le foglie danzavano violente fino
in cima
al tempio. I capelli della principessa echidna si scompigliarono
selvaggi.
Questi
piccoli segni insospettirono e preoccuparono padre e figlia, e poi
arrivò: l'impatto aveva causato una forte onda d'aria, era
solo
questione di tempo affinché arrivasse al villaggio.
Una
nube di polvere, foglie e qualche ramo arrivò al villaggio
con una
velocità spaventosa.
Colpì
tutto: i tetti delle modeste casette non ressero ed alcuni pezzi
volarono via.
I
genitori avevano buttato a terra i propri figli e li avevano coperti
con i loro corpi per proteggerli, temendo che potessero volare via,
soprattutto gli infanti. La folata di vento sollevò inoltre
un bel
po' di polvere. Gli adulti tossivano mentre i bambini gridavano e
piangevano.
Panni,
scodelle, strumenti e giocattoli di vario tipo vennero scagliati
metri e metri più in là.
L'ondata
arrivò violenta anche in cima al tempio, solo che non c'era
molto da
spazzare via, tranne un paio di persone.
Quando
Tikal aveva visto quel tornado di polvere arrivare, non aveva fatto
altro che prepararsi all'impatto coprendosi il viso, tuttavia non
aveva calcolato che fosse così violento. Quando la folata
l'avvolse,
temette di venire spazzata via, giù dall'alto tempio. Si
ritrovò,
senza saperlo, a gridare.
La
ragazza allora si buttò a terra.
“TIKAL!”
gridò Pachacamac, e si buttò a terra accanto alla
figlia,
stringendola forte con un braccio che le circondava le spalle,
protettivo. La ragazza si strinse a suo padre, cercando di non
respirare la polvere.
Dopo
una decina di interminabili secondi, l'aria si calmò. La
polvere
iniziò a posarsi. Tutto si fece più limpido,
tanto da permettere a
Tikal e suo padre di vedere come si era trasformato il loro villaggio
là sotto: un quadro si Salvator Dalì.
Poi,
Tikal ritornò lo sguardo su suo padre.
“Cos'era
quello, papà?” chiese, con la voce ancora
tremante. Non pensava
davvero che Pachacamac sapesse cosa fosse quella cosa, ma
trovò
curioso il fatto che l'anziano echidna, invece di risponderle subito,
ci stava pensando su. Le sue sopracciglia corrugate in un'espressione
seria e stranamente calma portarono la povera principessa a sfiorare
l'idea che, in fondo, lui sapesse qualcosa che a lei sfugge. Certo,
non sarebbe la prima volta.
“Non
lo so, Tikal.” rispose alla fine il capo.
“Ma
ho tutta l'intenzione di scoprirlo!” detto questo,
lasciò le
braccia della figlia alla quale si era aggrappato per proteggerla, e
si mise al centro delle scale.
“Gente!”
urlò da lassù alle persone ancora scombussolate,
“Non abbiate
paura! Mentre risistemeremo il nostro villaggio, chiedo ad un gruppo
di valorosi volontari di controllare la zone per assicurarsi che sia
sicura, o ad intervenire nel caso di problemi. I coraggiosi che si
mettono a disposizione si uniscano qui, ai piedi del tempio. Grazie,
al lavoro!” disse, cercando di essere il più
rassicurante
possibile.
Poi,
con passo veloce, si apprestò a scendere i gradoni in fretta.
“Padre!”
chiamò Tikal dietro di lui. Con un piccolo scatto, lo
raggiunse
subito e gli posò una mano sulla spalla per fermarlo.
“Non
ora Tikal” rispose lui, senza neanche voltarsi
“Devo riunire i
nostri giovani e chiamare il mio fidato consigliere di
guerra.”
“Voglio
essere una volontaria!” esclamò Tikal, decisa. Il
padre,
ovviamente, non se l'aspettava.
Si
voltò sorpreso e brontolò: “No, non
puoi!” le ordinò.
“Cos-!
Perché?!” chiese, anzi, urlò la
ragazza, frustrata.
“E'
troppo pericoloso per te.” rispose il vecchio capo.
“Anche
essere una guerriera è rischioso, ma non ti sei mai fatto
problemi.”
gli rinfacciò la giovane.
“Sì
ma hai sempre rifiutato le armi e i miei allenamenti, ricordi figlia
mia?!” rispose scocciato Pachacamac “Come posso
lasciarti andare
fuori adesso,impreparata, con un potenziale pericolo?”.
E poi
sospirò, agitando lievemente la testa.
“Sei
troppo preziosa. Non voglio che ti faccia male, mi capisci vero? Se
resti qui, sarò sicuro che non ti succederà
nulla.” le spiegò,
piano.
Lei
capiva il suo punto di vista, ma non era più un pulcino nel
suo
nido. Voleva volare.
Ed
era bene iniziare con piccoli saltelli.
“Tikal.”
disse alla fine suo padre “Puoi andare a fare un giro, va
bene? Ma
solo fino al lago, non un passo di più. Se trovi qualcosa di
pericoloso, o semplicemente 'strano', tu torna di corsa al villaggio
e chiamami. Intesi?”
Tikal
sorrise, vittoriosa ma umile. Annuì, sapendo che quello era
il
massimo dell'accordo che potesse ricavare da suo padre in quel
momento.
“Bene.”
confermò Pachacamac, poi si voltò nuovamente
verso il villaggio.
“MAYA!”
urlò, chiamando la sua consigliera di guerra. Scese i
gradoni di
corsa, lasciando Tikal da sola sulle scale di marmo.
Piccoli,
graziosi passi toccavano leggeri la finissima erba verde della
radura.
Una
leggera e piacevole brezza le rinfrescava la fronte e le ventilava i
capelli color caramello.
Tikal
giocava nervosa con i braccialetti dei polsi.
Stava
in guardia ad ogni possibile elemento fuori posto, ma fino ad allora
sembrava tutto in regola.
Mai
avrebbe pensato di camminare così ansiosamente in quelle
tranquille
terre che conosceva dall'infanzia.
Si
avvicinava sempre di più alla meta a lei consentita, e tutto
stava
andando liscio come l'olio, grazie al cielo.
In
testa aveva un pensiero, come una mosca ronzante, riguardo a quella
cometa: si chiedeva quanto dev'essere stata grande per creare una
reazione del genere, e chissà dove fosse finita, ma
soprattutto si
chiedeva cosa suo padre temesse davvero.
Perché
non la voleva lasciar andare? La ragione aveva qualcosa a che fare
con l'impatto del corpo celeste? Se sì, quale pericolo
temeva
Pachacamac che non ci fosse già? E poi, quale pericolo
poteva
portare un po' di vento?
Le
veniva davvero difficile trovare una risposta plausibile. L'unica che
le veniva in mente era che suo padre sapesse più di quanto
dicesse.
Tuttavia, Tikal non aveva prove, solo una serie di sospetti e
sensazioni. Se solo una divinità o uno spirito onnisciente
potesse
mandarle una visione, o anche un segno, le basterebbe uno
qualsiasi...
All'orizzonte
vide l'orlo della sua terra: dovete sapere che Tikal e il suo
villaggio erano su un piano rialzato rispetto al lago, molto simile
ad una ripida scogliera.
Più
si avvicinava ai confini, più riusciva a vedere la distesa
d'acqua
lucente.
Camminò,
questa volta più tranquillamente, e si fermò solo
quando i suoi
piedi furono a pochi centimetri dal vuoto.
Rimase
immobile per qualche secondo con il vento tra i capelli e l'odore di
lago nelle narici, osservando l'alba dai colori rossastri e rosati.
Le
onde del lago sembravano agitate alla deriva, ma non c'era da
stupirsi, dopotutto.
C'era
una sentiero, non molto più a destra di Tikal, che l'avrebbe
portata
sulla spiaggia di sassi, tuttavia non le passò nemmeno in
testa di
usufruirne. Che senso aveva, dopotutto? Non aveva incontrato nulla
fino ad allora, e il lago era a soli pochi metri di distanza e da
lassù lei poteva osservare i dintorni, e non c'era nulla.
La
sua misera missione era completata: aveva esplorato il possibile, era
tempo di tornare indietro.
Stava
per voltarsi per tornare al villaggio, quando i suoi occhi
catturarono l'immagine di un essere violaceo.
Si
bloccò immediatamente.
Chi
era e cosa ci faceva lì?
La
analizzò a fondo: era una ragazza, senza dubbio. Una strana
gatta
lilla con ancora più strani vestiti viola.
Strana.
Solo
quella parola sarebbe bastata per descriverla, e solo quella parola
sarebbe bastata per farne rapporto al grande capo.
Era
proprio quello che suo padre le aveva ordinato di fare. Adesso doveva
solo correre al villaggio, sperando che quella straniera non la
notasse, e raccontare tutto al papà.
E
poi? Non sapeva, probabilmente Pachacamac sarebbe andato al lago con
la cavalleria, sperando che nel frattempo la gatta non si fosse
spostata.
Tuttavia,
Tikal non aveva nessuna intenzione di fare tutte quelle cose elencate
da suo padre.
Strano
è solo diverso. Il diverso non è sempre male. Le parole di sua nonna le
rimbombarono nella testa d'improvviso.
Le
sembrava a dir poco assurdo, ma non aveva mai visto uno stile
così...unico. Sembrava essere venuta da un altro mondo...
Tikal
scacciò quei pensieri. Ridicolo,
pensò.
Si
convinse che era solo una viaggiatrice lontana, o una pellegrina di
qualche città dall'altra parte del mondo.
Fu in
questo momento che all'echidna dagli occhi azzurri venne in mente
l'idea di parlarle.
Osservarla
non le bastava più: doveva addirittura instaurare una
conversazione.
Suo padre l'avrebbe uccisa per questa scelta azzardata.
Tuttavia,
Tikal non pensò fosse una brutta decisione. Certo, sapeva
che non
doveva rivolgere la parola agli estranei perché potrebbero
essere
pericolosi e bla bla bla, però c'era qualcosa nella
straniera che
tranquillizzava la giovane echidna...
Non
lo sapeva neanche lei, era come se la ragazza avesse un'aurea di
gentile forza, di cui Tikal se ne era affascinata.
Analizzò
meglio la gatta: non sembrava nemmeno avere un'espressione feroce,
solo pensante. Sì, sembrava confusa, per lo più.
E se si fosse
persa?
Guardava
l'orizzonte come pochi minuti prima faceva Tikal con l'alba, come se
volesse assistere a quello spettacolo con la principessa echidna.
La
normalità nello strano.
Sua
nonna le diceva sempre di cercare le cose che ci accomunano,
piuttosto che quelle che ci distinguono. In effetti, ammise Tikal,
non aveva più l'ansia che aveva provato quando i suoi occhi
avevano
trovato la giovane ragazza.
L'echidna
notò, inoltre, una specie di gioiello sulla fronte a forma
ovale e
piuttosto piccolo, ma il suo color magenta brillava lucente e faceva
la sua porca figura.
Tikal,
d'impulso, toccò la sua bellissima pietra azzurra sulla
fronte, come
se se la fosse appena ricordata e sgranò gli occhi: e se la
straniera una persona importante, o dell'alta aristocrazia? E se
addirittura fosse come lei, una specie di...principessa?
Sì,
doveva assolutamente parlarle: ormai le era cresciuta un'insaziabile
curiosità.
La
straniere non sembrava avere armi: non in mano, non attaccate al
corpo o addosso ai vestiti. Sembrava pulita.
Quindi,
che male poteva farle? Tikal era in cima a una scogliera di quasi 50
metri e senza armi come l'arco e le frecce non era attaccabile.
Inoltre, se la ragazza lilla avesse voluto attaccarla corpo a corpo,
prima di raggiungere o anche solo trovare il sentiero che l'avrebbe
portata là sopra, avrebbe impiegato abbastanza tempo da
permettere
all'echidna di scappare al villaggio e chiamare i rinforzi.
Sembrava
filare tutto nella mente di Tikal. Cosa sarebbe potuto andare storto?
Blaze
era ancora immersa nei suoi pensieri quando sentì una voce
in
lontananza.
“EHY!”
qualcuno gridò.
Con
stupore, Blaze si voltò di scattò, ma non vide
nessuno dietro di
lei. Scrutò l'immensità della prateria, ma tutto
quello che vide fu
un mare d'erba verde. Se l'era solo immaginato?
Ancora
confusa, sentì la stesse voce femminile chiamarla:
“EHY! SONO QUA
SOPRA!”
A
Blaze bastò seguire il suono per individuare la fonte: con
il naso
per aria, la principessa gatta stava osservando una giovane echidna
color beige con lo sguardo curioso, ma cauto.
Blaze
non si stupì di venir trattata come un potenziale pericolo.
A
giudicare dalle vesti dell'indigena, la gatta lilla doveva essere
proprio fuori luogo (oltre che tempo, ma questo ancora non lo sa): un
primitivo top bianco e una semplicissima gonna tendente al verde. Non
aveva nemmeno delle vere e proprie scarpe.
Blaze
sperava di non averla spaventata troppo: le dava l'impressione che
non fosse abituata a vedere vestiti sfarzosi del genere, pantaloni al
posto delle gonne e tacchi.
A
parte questo, la micia lilla era davvero sollevata di aver trovato
qualcuno.
“CHI
SEI?” gridò la ragazza da sopra alla scogliera.
Blaze alzò un
sopracciglio. Non sapeva cosa pensare: come poteva essere
così
diretta con lei, quella ragazza? Inoltre non voleva davvero dirlo
subito il suo nome. Quell'echidna non era l'unica che stava parlando
con una completa estranea: anche la principessa gatta si trovava
davanti a qualcuno che aveva appena incontrato. Tuttavia, decise di
essere onesta e di conquistarsi la fiducia della ragazza.
“BLAZE,
BLAZE THE CAT! E TU?”
“IO
SONO TIKAL! PIACERE!” rispose lei.
“PIACERE,
TIKAL!”
Ci fu
un attimo di silenzio un tantino imbarazzante, in cui l'echidna
sembrò pensierosa.
“COSA...COSA
CI FAI LAGGIU'?” chiese lei. Blaze aggrottò le
sopracciglia,
confusa: non capiva se l'avesse chiesto per semplice
curiosità, o se
ci fosse un motivo particolare, del tipo che non doveva essere
'là
sotto'. Siccome non sapeva nemmeno lei cosa ci facesse lì,
raggirò
la domanda per capire meglio cosa stesse succedendo.
“BHE...TU
COSA CI FAI LASSU'?” chiese, cercando di capire se ci fosse
una
lato sbagliato su cui stare o no.
Tuttavia,
la sua interlocutrice alzò le spalle. Per un attimo
sembrò
combattuta su cosa dirle.
“HO
VICINO IL MIO VILLAGGIO.” spiegò la ragazza
“DOV'E' IL TUO?”
chiese.
-Oh
diamine!-
pensò Blaze.
Temette che, non appartenendo ad un villaggio, Tikal non si sarebbe
fidata e di conseguenza non l'avrebbe aiutata, e Blaze aveva un
DISPERATO bisogno d'aiuto, anche perché la giovane echidna
era
l'unica persona che abbia incontrato fino a quel momento.
Bhe,
almeno Blaze adesso sapeva che c'era altra gente oltre a Tikal.
Fu in
quel momento in cui decise di giocare la carta delle 'risposte non
precise'.
Magari
sarebbe riuscita ad estrarre informazioni su dove fosse senza
sembrare troppo sospetta. Di certo non poteva chiederle 'dove cavolo
siamo?'.
“ABITO
LONTANO.” rispose vaga. Almeno non doveva mentire
spudoratamente ad
una ragazzina.
Tikal
mostrò un sorriso brillante, come se si fosse rallegrata di
qualcosa.
“AH
SI'? DA DOVE? COM'E'?” chiese, curiosa.
Anche
se lontana, Blaze poté vedere la pura curiosità
negli occhi azzurri
dell'echidna.
“Emh...”
Blaze non sapeva cosa risponderle. Cercò di focalizzarsi su
casa, ma
questo causò solo una forte fitta al cuore. Le uniche
immagini che
le venivano in mente, poi, non erano nemmeno della Sol Dimension;
erano di Sonic, Tails, Amy, Cream e Shadow, le colline verdi e le
graziose casette di...Mobius. Blaze ricordò le mattine in
cui
buttava giù dal letto il riccio blu o guardava senza
speranza il suo
amico importunare un certo echidna rosso, i pomeriggi in cui correva
con lui o giocava con la piccola coniglietta e la riccia rosa, e le
sere in cui guardava le stelle al telescopio con lo sveglio volpino o
all'aperto con Shadow o Sonic. Già le mancava tutto questo.
Blaze
dovette staccare lo sguardo da Tikal, mentre sul viso aveva una
leggera smorfia di dolore. Incrociò le braccia e
fissò l'alba ormai
giungere al termine.
“E'...BELLA...”
disse solamente, presa dalla malinconia.
Non
era di certo quello che Tikal sperava di ottenere, questo la gatta lo
sapeva per certo, tuttavia la bella echidna deve aver visto il gesto
della micia. Non chiese più della sua casa.
“PERCHE'
SEI QUI?” chiese la ragazza.
Ovvio,
voleva sapere perché era nelle sue terre, e persino Blaze
voleva
saperlo.
“UNO
SBAGLIO.” tagliò corto la gatta. Tikal
alzò un sopracciglio,
all'inizio confusa, ma poi sembrò realizzare qualcosa.
“TI
SEI PERSA?” chiese.
“...SI'.”
ammise Blaze alla fine.
“COME
POSSO AIUTARTI?” si offrì la ragazza.
-Grazie
a Dio.-
“HO
SOLO BISOGNO DI SAPERE COME ARRIVARE DALL'ALTRA PARTE DEL LAGO E
OLTRE LE MONTAGNE.” spiegò Blaze. Non le
sembrò di chiedere
troppo, solo basiche indicazioni. Comunque, notò Tikal
essere molto
combattuta.
“CERTO.”
rispose calma quest'ultima, dopo un po' “MA NON TI
CONSIGLIEREI DI
ANDARCI ADESSO.”
Blaze
la guardò stupita e confusa. Tikal sembrava semplicemente
inquieta.
“PERCHE'?”
chiese allora la gatta, portando le mani sui fianchi.
Tikal
la guardò preoccupata.
“NON
L'HAI VISTA...LA COMETA...?”
E
quindi...l'aveva notata anche lei.
“EMH...SI'?”
rispose la gatta, la quale non capiva l'inquietudine della ragazza,
né che cosa le volesse dimostrarle. Sperava solo che
arrivasse
presto al punto.
“E'
PER QUESTO CHE DEVO ANDARE LI'. MI SERVE LA COMETA PER TORNARE A
CASA.” spiegò la micia.
L'espressione
della giovane echidna cambiò di colpo. Dire che era confusa
era
troppo poco. Sembrava addirittura persa.
Ma
Blaze sapeva che non c'era da biasimarla.
“E'
UNA STORIA COMPLICATA.” disse Blaze per rassicurarla
“MA CREDIMI,
NON HAI BISOGNO DI SAPERLA TUTTA. DAMMI SOLO LE INDICAZIONI, PER
FAVORE.” supplicò.
Tikal
sembrava non essere molto convinta. Blaze sperava solo di non aver
perso l'aiuto della ragazza.
“E'
PERICOLOSA.” disse alla fine, guardando Blaze dritta negli
occhi,
la quale la guardò interrogativa.
“Cos-”
“LA
SUA ENERGIA...L'HAI SENTITA,VERO?” chiese la graziosa
echidna,
preoccupata.
La
gatta sgranò i suoi occhi dorati: quindi non era solo una
sua
sensazione... la cometa conteneva davvero energia!
Blaze
annuì in conferma alla dolce indigena.
“E'
ENERGIA SCURA, NEGATIVA...” spiegò quest'ultima.
Blaze
non capiva di cosa stesse parlando: la potenza che aveva sentito non
era assolutamente negativa, anzi, la riempiva di forza e speranza.
Guardò Tikal: sembrava davvero spaventata e preoccupata
dall'energia
della cometa, come se le avesse fatto del male. Era nervosa.
Pensato
ciò, raggiunse la conclusione che forse la percezione di
tale
misteriosa forza era soggettiva.
“NEGATIVA
O NO” rispose alla giovane indigena, cercando ti tagliare
corto
“NON HO ALTRA SCELTA. NE HO BISOGNO, NON C'E' ALTRO
MODO.” spiegò
alla ragazza, decisa. E poi attese.
Molte
domande passarono in testa a Tikal, Blaze poté vederlo dalla
faccia,
ma aveva probabilmente capito che non sarebbe servito a niente
ottenere spiegazioni.
“NON
PUOI ANDARE DA SOLA.” urlò alla fine
“HAI BISOGNO DI QUALCUNO
CHE TI ACCOMPAGNI.”
“...E
TU PUOI FARLO?” chiese la gatta.
“NON
HO IL PERMESSO DI ANDARE OLTRE.” rispose Tikal scuotendo la
testa
“TUTTAVIA POTREI CHIEDERE A MIO PADRE.” e si mise a
pensare.
Sembrava altamente combattuta.
Guardò
il lago, e poi dalla parte opposta, indecisa, e infine
adocchiò la
micia come se avesse preso una decisione molto importante.
“POTRESTI
VENIRE AL MIO VILLAGGIO... CON ME.” propose alla fine la
brunetta
“TI AIUTEREMO.”
Blaze
alzò le spalle. Non aveva molta scelta e voleva fare
più in fretta
possibile.
“D'ACCORDO.”
accettò.
Tikal
sorrise.
“OK,
ADESSO VIENI SU. TI DICO DOV'E' IL SEN-” non fece in tempo a
finire
la frase.
Blaze
aveva già iniziato a correre veloce verso la scogliera.
Arrivata ai
piedi di essa, saltò e, usando il fuoco sotto i suoi piedi,
riuscì
a prolungare il balzo fino ad arrivare in cima alla scogliera.
Atterrò con eleganza ed un leggero sbuffo vicino a Tikal.
“-tiero...”
sussurrò l'echidna marroncina, finendo la frase di prima.
Guardò a
bocca aperta la misteriosa straniera che aveva appena saltato per una
distanza di quasi cinquanta metri e che si stava spolverando i suoi
strani vestiti come se fosse una cosa da
niente.
Naturalmente
Blaze se ne accorse, e cambiò subito argomento prima ancora
che
iniziasse.
“Allora,
andiamo?” chiese frettolosa, sebbene educata, a Tikal,
cosicché
quest'ultima non avesse tempo di fare domande. Rimasta zitta,
l'echidna annuì solamente.
Fianco
a fianco, le due ragazze si avviarono verso il villaggio di Tikal.
E
già qui, le sorti del destino erano già cambiate.
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