ReggaeFamily
Capitolo
dodici: Heaven
And Hell
L'attività
di musicoterapia ci servì davvero; dopo la prima parte,
facendo un conteggio dei voti che ognuno di noi aveva ricevuto,
furono proclamati i vincitori, ovvero io, Marco e Tamara.
Dovemmo
cantare un altro brano e trovare una citazione di nostro gradimento
da dedicare al resto del gruppo; questo mi portò a riflettere
ancora di più su ognuno dei miei compagni d'avventura, finché
non mi resi conto che, a prescindere da tutto ciò che
inevitabilmente ci divideva, eravamo legati dalla speranza di non
arrenderci e di fare dei nostri limiti un punto di forza.
Perciò
dedicai loro un brano reggae cantato da una ragazza molto talentuosa,
il che fece piovere su di me ulteriori complimenti che sentivo di non
meritare. Non avevo mai studiato canto, non possedevo nessuna tecnica
e la mia performance non era stata granché. Ciò che
davvero volevo comunicare era un messaggio chiaro: volevo che nessuno
si arrendesse, che tutti guardassero al futuro anche se i loro occhi
non potevano scorgere ciò che si palesava nel loro cammino, di
pensare sempre positivo e amare la vita.
Perché
è lei, la vita, il dono più prezioso che ogni essere
possiede.
Ripensarci
mi faceva sorridere e rendere conto di aver scaricato un sacco di
ansia e malumore; ero molto grata a Maria Vittoria e Alfonso. Quando
ci avevano annunciato che sarebbero tornati per un'altra attività
con noi, ne ero stata subito entusiasta e già non vedevo l'ora
che ciò accadesse.
«Lau,
ci sei?» Tamara attirò la mia attenzione e mi riportò
bruscamente alla realtà.
Eravamo
in camera mia, ci eravamo tornate da poco, e stavamo aspettando che
Viola si decidesse a entrare in doccia.
«Sì,
ripensavo a prima... comunque non sono stata così brava con
quella canzone, esagerati» borbottai.
«Macché.
Sempre a sottovalutarti, che palle! Piuttosto, vi devo raccontare di
Marco!» saltò su mia sorella.
«E
adesso come facciamo? Io devo lavarmi! Venite a farmi compagnia in
bagno?» ci propose Viola, raccattando qualcosa da mettersi.
«Ci
sarà un caldo bestiale dentro quel bagno... e se lasciassimo
la porta aperta? Tanto se arriva qualcuno ce ne accorgiamo io e
Tami!» suggerii. Non avevo nessuna voglia di farmi una sauna
proprio in quel momento, ero già pronta per andare a cena.
«Okay!
Dai Tami, comincia a raccontare!» la sollecitò Viola,
avviandosi a tentoni verso la sua meta.
Marta
scese precipitosamente le scale in legno, producendo un baccano
infernale. «Voglio sentire anch'io!» esclamò,
piazzandosi accanto alla soglia del bagno.
Tamara
andò a sedersi sul coperchio del water e io mi posizionai di
fianco a Marta, pronta a scoprire cosa avesse combinato Marco.
«Allora...
l'altra sera non avevo voglia di andare a dormire, dopo essere andata
via dalla vostra stanza. Così sono scesa e sono andata verso
la stanza dei ragazzi. Lì ho trovato Marco che studiava per i
test d'ammissione, fuori in veranda.»
«Non
capirò mai come fa a studiare al buio e a quegli orari
improbabili...» commentai perplessa.
«Non
chiederlo a me...»
«E
quindi? Arriviamo al dunque!» si agitò Marta curiosa.
«Quindi
mi sono seduta con lui e ho cominciato a giocare con i suoi capelli.
Poi siccome avevo freddo, lui mi ha offerto la sua giacca e si è
messo anche lui a giocherellare con qualche mia ciocca. Ma fin qui
tutto okay, nella norma. Anzi, stavamo ridendo perché in
lontananza si sentiva qualcuno fare karaoke, gente disagiata
s'intende! Erano stonatissimi!» proseguì mia sorella.
«MI
sembra di averli sentiti, è vero!» concordò Marta
in tono divertito.
«Non
era solo questo il racconto, vero?» intervenne Viola, la voce
ovattata per via del getto dell'acqua sotto il quale si era infilata
poco prima.
«No,
aspettate, questo è niente!» Tamara sospirò.
«Ieri, dopo che Lau e Vivi se ne sono andate dalla nostra
stanza, io non avevo molto sonno. Così ho avvisato Giovi che
sarei andata da Marco, sicura di trovarlo immerso nello studio o
comunque sulla veranda della stanza dei ragazzi. Sono scesa e, come
sapete, c'era abbastanza fresco ieri sera, così l'ho trovato
con una coperta enorme e pesantissima addosso...»
Risi.
«Di quelle matrimoniali in lana che ci sono anche nel nostro
armadio?»
«Sì,
esatto. Una di quelle. Stava studiando ed era seduto per terra, così
mi ha offerto un pezzo di coperta e anche io mi sono seduta sul
pavimento. Come al solito abbiamo cominciato a parlare e dire
fesserie, mentre giocavamo l'uno con i capelli dell'altra. Niente di
che, no?»
Ero
sempre più curiosa e preoccupata. «Appunto, e...?»
la incitai.
«E
niente... oddio, aspettate che ancora non ci credo. Okay,
riprendiamoci, ehm...»
«Oddio,
Tami, non farci preoccupare!» disse Viola.
«Tranquille,
ora proseguo! In pratica a un certo punto ha cominciato a lasciarmi
carezze sui capelli e il viso, poi si è mezzo sdraiato su di
me usandomi come cuscino... io non sapevo cosa fare, ero sinceramente
basita, ma ho cercato di non darlo a vedere. Il top è stato
quando mi ha dato un bacio sulla testa. Sono rimasta immobile e...»
«Cosa?!»
strillammo noi tre all'unisono.
«Dimmi
che non è vero!» esplose Marta, scoppiando a ridere.
«Giuro!
E poi... poi me ne ha dato un altro e io lì ho capito che
dovevo andarmene a letto. Anche perché, poco dopo, mi ha
afferrato il mento ed era come se volesse sollevarlo verso di lui,
per...»
Mi
presi la testa tra le mani in preda alla disperazione. «Non è
possibile, che stronzo! Che pezzo di merda!» esclamai
indignata, non riuscendo a credere che davvero Marco fosse arrivato a
tanto.
«Credici!
Nel frattempo avevo i brividi per il freddo e lui mi ha chiesto: “Sei
sicura che stai tremando per il freddo?”. Credeva forse che
stessi tremando per l'emozione di averlo vicino? Ma è proprio
un povero illuso! Vi giuro che a quel punto gli ho detto che volevo
andare a letto e gli ho chiesto di riaccompagnarmi in camera mia.
Meno male che non ha fatto storie!»
«Che
squallore, ragazze, non ci credo... ma vi rendete conto che questo
deficiente neanche due mesi fa voleva ricostruire con me un
rapporto d'amicizia o d'amore e
ora ci prova spudoratamente con mia sorella?! Mi fa schifo! Ma si può
davvero cadere così in basso?» sbottai adirata. Ce
l'avevo con lui, ma ancor di più con me stessa per aver anche
solo rimpianto di non aver costruito qualcosa con lui in passato.
Solo ora mi stavo rendendo
conto che avevo sprecato davvero il mio tempo e le mie energie,
stando appresso a un coglione senza cervello, un pezzente che
ragionava solo con ciò che regnava all'interno delle sue
fottute mutande.
Ero veramente incazzata, ma
sentivo anche una gran pena nei confronti di quel ragazzino stupido e
insensibile; mi faceva pena perché era semplicemente vuoto e
senza una morale, si dava tante arie ma alla fine rimaneva soltanto
un involucro senza cuore né riguardo per il prossimo, un
narcisista egoista ed egocentrico che non badava a niente quando si
trattava di ottenere qualcosa che poteva procurargli piacere.
«Questo è
davvero troppo, vi giuro! Io me ne vado, devo cercare Giovi. Adesso
riderò ogni volta che me lo ritroverò di fronte, che
penuria!» blaterò Marta, per poi lasciare la stanza.
A quel punto anche io
scoppiai a ridere, rendendomi conto che non avevo nessuna voglia né
intenzione di innervosirmi per un essere spregevole come Marco.
Il fatto che uscissi con
Danilo non aveva niente a che vedere con lui ora, perché a
quel punto non avrei potuto lasciarmi andare con Marco neanche se
avessi voluto; mi faceva schifo, ribrezzo, mi disgustava in una
maniera che non sapevo descrivere neanche a me stessa.
Tamara e Viola risero con me
per un bel po' di tempo, e alla fine riuscii a vedere il lato
tristemente ironico della faccenda; non dovevo pormi dei problemi,
l'unico che stava facendo una grossa figura di merda era solo e
soltanto Marco.
Dopo un po' riuscimmo a
riprenderci dalle risate e io mi sentii molto più libera e
rilassata.
«Vivi, ma... hai
finito?» chiesi alla mia compagna di stanza, quando il getto
dell'acqua si interruppe.
«No, devo ancora
insaponare il corpo» rispose lei con semplicità.
Tamara si lasciò
sfuggire un sospiro. «Ma Viola, sei lì dentro da almeno
venti minuti!» esclamò.
«Ordinaria
amministrazione...» bofonchiai, avviandomi verso il mio letto
alla ricerca del cellulare.
«Ragazze! Muovetevi,
tra un quarto d'ora si va a cena!» gridò Giovanna dal
piano di sotto, dopo essersi posizionata sotto la finestra della mia
stanza.
«Arriveremo in
ritardo, sappilo» la avvertii. «Viola è ancora in
doccia.»
«Viola, sbrigati!»
strillò ancora l'educatrice.
Scoppiai ancora una volta a
ridere e finii di sistemarmi, ripensando solo vagamente a ciò
che avevo appena appreso da mia sorella.
Marco era davvero pessimo,
come potevo essermi legata così tanto a lui in passato? E come
avevo potuto permettergli di giocare con me?
Non riuscivo a perdonarmelo,
ma ormai era acqua passata e non potevo certo castigarmi per sempre.
Però, sicuramente,
potevo imparare dai miei stessi errori.
Per cena ci recammo in una
trattoria, la stessa in cui eravamo stati anche l'anno precedente; la
raggiungemmo a piedi, usando il bastone bianco, e devo dire che andò
decisamente meglio rispetto alle altre volte.
Il paese era stranamente
immerso nel buio e presto scoprimmo che c'erano stati dei problemi
con la corrente nelle strade. Fu un'esperienza abbastanza
interessante per tutti, anche per chi solitamente era abituato ad
avere un livello di vista più elevato.
Il tragitto non durò
troppo a lungo, ma io mi sentivo stanca e presto appresi anche non
ero l'unica a sentirmi sfinita quel giorno; anche mia sorella
riusciva a malapena a tenere gli occhi aperti e, se non fosse stato
per l'ottimo cibo che mandammo giù, probabilmente entrambe ci
saremmo addormentate con la testa dentro il piatto o sul tavolo.
A un certo punto ci fu una
scena piuttosto esilarante, per la quale dovetti trattenere le
risate.
Marco era seduto alla destra
di Tamara e i due ogni tanto scambiavano qualche parola, anche se
spesso Nicolò si intrometteva e cercava di attirare
l'attenzione con una delle sue fesserie.
A un certo punto sentii
Tamara dirgli: «Stanotte dormi allora, ti lamenti sempre che
sei stanco e poi...»
Lui rispose: «Tanto
non ci riesco. Le alternative quindi sono due: o mi metto a studiare
o vieni tu a farmi compagnia».
Rischiai di strozzarmi con
un pezzo di pane e attesi la risposta di mia sorella, curiosa di
scoprire come lo avrebbe rimbeccato.
«Marco, non so neanche
se arrivo al residence, figurati se vengo a farti compagnia... non
esiste, ho troppo sonno!»
Esultai
interiormente per la fantastica risposta di mia sorella e mi
ripromisi di farle i complimenti. Quel cretino non si meritava
nient'altro che rimanere da solo a studiare o a fare ciò che
gli pareva. L'importante era che smettesse di importunarci e che
tenesse le mani a posto, per
il resto non erano certo problemi miei.
Decisi di rientrare a piedi
per evitare di addormentarmi sul furgoncino o in attesa di esso, ma
purtroppo dovetti fare il tragitto a braccetto con Marco, il quale
aveva optato per una passeggiata con la scusa di far scemare un po'
l'effetto del vino che aveva bevuto durante la cena.
Come al solito aveva
esagerato e non aveva saputo quando fermarsi, razza di imbecille. Più
ci avevo a che fare, più sentivo un forte senso di repulsione
farsi strada dentro me.
Ma, da qualche parte,
esisteva ancora quella stupida e pedante attrazione, non riuscivo a
scongiurarla del tutto e questo mi mandava letteralmente in bestia.
Mentre
mi preparavo per andare a letto, misi su un po' di musica e nel
lettore del mio telefono risuonarono le prime note di Heaven
And Hell dei Black Sabbath; mi
piaceva molto quel brano, specialmente perché a cantarlo era
Ronnie James Dio. Lo avevo sempre apprezzato molto più di Ozzy
Osbourne come voce di quella band, così lasciai scorrere la
musica e mi ritrovai a canticchiare qualche parola del testo.
Sing
me a song, you're a singer
Il primo verso della canzone
sembrava fatto apposta per rappresentare l'attività di
musicoterapia che avevamo svolto nel pomeriggio. Ma furono altre
parole a colpirmi.
A volte ci sono dei momenti
in cui, nonostante si conosce un brano da un sacco di tempo, ci si
sofferma per la prima volta su una particolarità di esso a cui
non si aveva mai prestato attenzione.
E a me accadde quando Ronnie
cantò:
Well
if it seems to be real, it's illusion For every moment of truth,
there's confusion in life
In poche parole e con la sua
solita capacità di creare delle vere e proprie poesie, aveva
descritto ciò che pensavo della vita e di quanto mi stava
succedendo ultimamente.
Se
ti sembra che qualcosa sia reale, be', non è altro che
un'illusione, aveva detto. E
cosa c'era di più illusorio dei sentimenti e dei pensieri che
ognnuno di noi si creava nella sua mente?
A me era successo con Marco,
mi ero illusa che fosse una persona diversa, che potesse essere
adatta a me, e invece si era rivolato un vero e proprio idiota.
E come potevo essere certa
che anche con Danilo non stessi sbagliando tutto? Forse non avrei
dovuto pensarci, ma le mie esperienze mi avevano insegnato che non
tutto è come sembra, anzi non lo è mai.
E
Ronnie aveva anche detto che per ogni momento di verità
bisognava aspettarsi solo confusione;
come potevo dargli torto? La verità faceva male, era sempre
così, e non sempre era utile a chiarirci le idee.
Per me quelle parole furono
una rivelazione, così andai a letto con l'amaro in bocca e con
la sgradevole sensazione di aver, ancora una volta, sbagliato tutto.
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