ReggaeFamily
Capitolo
tredici: Don't
stay
La
mattina seguente la trascorremmo in spiaggia; salimmo a bordo di un
pulmino e il viaggio fu abbastanza breve.
Ci
ritrovammo su una distesa di sabbia chiara e quasi deserta; essendo
martedì, c'erano poche persone che avevano deciso di recarsi
al mare. Probabilmente molti avevano da lavorare e avrebbero optato
per il fine settimana.
Sistemammo
le nostre cose e ci stendemmo sui teli, chiacchierando tra noi e
attendendo il momento in cui avremmo potuto fare il bagno. Io non ero
certa di volerlo fare, ancora avevo il ciclo e non mi andava di
rischiare.
Trascorsi
il tempo ad ascoltare musica e parlai poco con il resto del gruppo;
Marco stava intrattenendo una conversazione con l'autista del
pulmino, Simona blaterava insieme a Nicolò, Gabriella parlava
con il cellulare e Giorgio faceva lo stesso, cercando invano di
telefonare ai suoi genitori. In quel luogo non c'era campo e non
sarebbe stato facile per lui mettersi in contatto con la sua
famiglia.
Viola,
invece, chiacchierava con Giovanna e Marta, mentre mia sorella rimase
in dormiveglia con le cuffie alle orecchie per tutto il tempo,
interrompendosi soltanto per fare il bagno insieme a qualche
componente della compagnia.
Ci
fu una scena esilarante durante la mattinata, anche se per Tamara ci
fu ben poco da ridere.
Si
era alzata per andare a fare il bagno e Marco cercava di attirare la
sua attenzione per dirle qualcosa, ma lei non gli prestava
attenzione. A quel punto lui aveva afferrato una delle sue pantofole
e l'aveva sollevata, per poi mollarle un sonoro colpo sulla gamba.
Tamara
si irrigidì sul posto, poi prese a sbraitargli contro: «Ma
che cazzo fai? Sei scemo?! Perché non te la sei pestata in
culo quella ciabatta? Idiota, mi hai fatto male!».
«Scusa,
non l'ho fatto apposta... non pensavo di colpirti così forte!»
si giustificò lui in un borbottio confuso.
«Sì,
scusa un cazzo! Mi hai lasciato il segno, razza di deficiente!»
strillò ancora mia sorella, massaggiandosi furiosamente la
parte posteriore del ginocchio sinistro.
«Scusa,
non incazzarti... non volevo...»
«Ma
vaffanculo!» concluse lei, per poi dirigersi a passo di marcia
verso la riva.
In
effetti la scenetta poteva risultare divertente, dato che a me
comparve un sorriso spontaneo mentre assistevo a quello scambio di
battute, ma Marco si era rivelato come il solito coglione.
Il
tempo trascorse abbastanza in fretta e ci ritrovammo in un chiosco
sulla spiaggia per il pranzo.
Consumammo
i nostri panini, insalate e patatine fritte con voracità,
finché a Tamara non capitò un piccolo incidente.
«Allora...
devo condire l'insalata, vediamo un po'...» disse, frugando in
una ciotola piena di bustine di sale, olio e altri aromi e condimenti
vari. «Sarà olio?» proseguì, cercando di
leggere su una delle bustine. «Qui c'è scritto Olitalia,
quindi è olio!» esclamò infine, per poi aprire il
contenitore e svuotarne il liquido dentro il piatto che le stava di
fronte.
Poco dopo notai che emetteva
un grugnito contrariato e schifato, così le chiesi:
«Cos'hai?».
Era seduta di fronte a me ed
era illuminata da una forte luce, così potevo scorgere almeno
un po' la sua espressione e i suoi gesti.
«Ho
sbagliato... ci ho messo l'aceto anche questa volta»
sbottò con un moto di rabbia e disperazione. «Che
schifo!»
Scoppiai a ridere. «Non
ci credo! Ormai è una tradizione del campo, a quanto pare»
commentai.
«Almeno stavolta non è
colpa mia» borbottò Marco.
Poco dopo aver finito di
pranzare, educatori e istruttori si accostarono a noi e Lucrezia
annunciò: «Un signore ha offerto un Maxibon a tutti voi,
ragazzi».
«Cosa significa?»
domandò mia sorella perplessa; era riuscita a mangiare quasi
tutta l'insalata e aveva fatto in modo di buttare solo lo strato
superiore. Doveva essere già sfinita per le cose negative che
le stavano capitando durante quella giornata.
«Significa
che ha detto di avere una nipote non vedente o qualcosa di simile...
e quindi ha insistito per offrirvi qualcosa. Ha detto che gli fa
piacere vedervi così carini e uniti, così sereni...»
proseguì Giovanna in
tono allegro.
«Ma sul serio?»
feci io basita.
«Che problemi ha?»
rincarò Tamara.
«È stato
gentilissimo!» si commosse subito Viola.
Poco dopo un cameriere
arrivò da noi tenendo in mano un vassoio stracolmo di gelati.
Tutti ne prendemmo uno e cominciammo a mangiarlo con estremo piacere.
Certo che situazioni come
quella potevano capitare solo a noi...
«Sono stanchissima»
sbadigliai, mentre il pulmino si fermava nel parcheggio del
residence.
«Dormi» mi
suggerì Marco.
«Non penso proprio. Ho
bisogno di una bella doccia, sicuramente mi farà bene.»
Avevamo trascorso qualche
ora del pomeriggio nuovamente in spiaggia e verso le cinque e mezza
eravamo ripartiti verso la nostra momentanea abitazione.
Quando il mezzo si fu
fermato, Marco fu il primo ad alzarsi e aspettò che anche noi
lo facessimo. Era in piedi nel corridoio tra i sedili e si era
rivolto verso gli ultimi quattro sedili dove ancora io, Tamara e
Viola eravamo sedute.
La mia compagna di stanza
era posizionata su quello centrale che dava direttamente sul
corridoio. Si chinò in avanti per infilare qualcosa dentro la
sua sacca e andò quasi a sbattere con la fronte sulle parti
basse del ragazzo.
«Vivi,
guarda che mi stai per mettere la faccia dove
non batte il sole...» le fece notare lui con ironia.
Viola si rimise seduta e
raddrizzò la schiena, senza scomporsi troppo. Sorrise appena
e, con estrema serietà e naturalezza, affermò: «Scusa,
volevo solo controllare che non fosse ammuffito».
Calò il silenzio per
un istante, poi io e mia sorella scoppiammo rumorosamente a ridere,
cominciando a elogiare la nostra amica come se non ci fosse un
domani. Era stata epica la sua affermazione, ma soprattutto il modo
in cui l'aveva pronunciata.
Marco parve confuso.
«Scusate, perché state ridendo? Non ho capito...»
farfugliò.
«Ma sul serio non ci
arrivi?!» sbottò Tamara, contorcendosi sul sedile per il
troppo ridere.
«Non ho sentito!»
obiettò lui.
Sospirai. «Viola
voleva controllare che le tue parti basse non avessero la muffa»
ripetei, per poi piombare nuovamente nell'ilarità più
profonda. «Ah Vivi, sei un fottuto genio! Sto morendo!»
«Che stronze!»
ci accusò Marco irritato.
«Rimarrà nella
storia!» osservò mia sorella.
Marco prese a borbottare tra
sé e sé, avviandosi lentamente verso l'uscita del
pulmino. Io e le ragazze continuammo a ridere come pazze e, una volta
all'esterno del mezzo, raccontammo tutto a Giovanna e Marta.
Le due si unirono
all'ilarità generale e si complimentarono con Viola per la
geniale trovata.
Lei
sorrise ingenuamente. «Eppure non l'ho detto con
malizia» si giustificò.
«Ed è per
questo che sei stata fantastica!» le assicurai, guidandola
verso la nostra stanza.
Non vedevo decisamente l'ora
di buttarmi sotto la doccia.
«Sei seria?» si
sorprese Viola in tono schifato.
«Serissima»
confermò Tamara.
«Non ci credo»
intervenni io.
«Credici, perché
è così. Non si è voluta lavare neanche oggi. Vi
rendete conto?»
Marco rise brevemente. «Che
schifo!»
«Puoi contarci! In
camera nostra c'è una puzza terribile, un misto tra quella di
maneggio e altri odori non meglio classificati» raccontò
mia sorella. «Senza contare che Simona sgancia delle bombe
rumorose e puzzolenti ogni tre secondi.»
«Smettila, ti prego!»
si rivoltò Viola.
«Cioè,
fammi capire... Gabriella davvero
si è rifiutata di fare la doccia? Domenica siamo andati al
maneggio, ieri in piscina e oggi al mare... cristo, mi viene la
nausea e non ti invidio per niente!» sbottai contrariata,
avvertendo un moto di repulsione farsi largo nel mio stomaco.
Ci trovavamo tutti e quattro
sdraiati sul letto mio e di Viola; avevamo cenato da circa mezzora e
poi ci eravamo spostati nella nostra stanza per stare un po' insieme
a poltrire e chiacchierare.
Io
mi ero sistemata all'estrema sinistra del materasso, Tamara era alla
mia destra, accanto a lei c'era Marco e infine Viola. Eravamo
completamente immersi
nell'oscurità, ma questo non ci importava più di tanto
perché la luce attualmente non ci era di alcuna utilità.
«Io non capisco come
faccia» sospirò Tamara, ponendo fine alla disgustosa
conversazione basata sulla poca igiene di Gabriella.
«Domani ho l'esame,
speriamo bene» raccontò Marco.
«A che ora parti?»
si informò Viola.
«Ho il treno alle
nove...»
«Andrà bene,
non fai che studiare da giorni» lo rassicurò Tamara.
«Chissà...»
Io nel frattempo ricevetti
un messaggio in cui Danilo mi augurava la buonanotte e sorrisi per il
fatto che erano soltanto le undici di sera. Risposi con calore e
abbandonai il cellulare sul comodino, ascoltando le chiacchiere dei
miei amici.
A un certo punto, giusto per
fare la cretina, presi a tormentare mia sorella, dandole dei colpetti
sulla schiena e fingendo di volerle saltare addosso.
«Uffa, smettila...
lasciami tranquilla, sono comoda e vorrei dormire...» biascicò
lei.
«Non dormirai in
camera mia!» esclamai, cominciando a farle il solletico.
Lei prese a dibattersi e
così ebbe il via una rumorosa lotta tra noi due; era
divertente sentire le sue proteste e i gridolini che lanciava ogni
volta che le solleticavo un punto qualsiasi del corpo.
«Sei ipersensibile!»
commentai.
«Anche
tu se è per questo! Ora ti faccio vedere» sghignazzò
Tamara, per poi restituirmi il favore.
«Smettetela di fare
casino, dai!» si lamentò Viola con il sorriso nella
voce. «Altrimenti Marta ci sgrida!»
«Tami, basta, oddio...
muoio... okay, hai ragione, hai vinto! Basta!» protestai, per
poi ritrovarmi nel punto del materasso in cui, fino a poco prima, era
stata lei. Questo significava che Marco era alla mia destra, sentivo
chiaramente la sua presenza e questo mi metteva un po' a disagio.
«Così impari!»
ribatté mia sorella con ironia, per poi abbandonarsi sul letto
e rannicchiarsi su se stessa, occupando il mio precedente posto.
Io feci di tutto per
rimanere rilassata il più possibile, ma era chiaro che
ritrovarmi sdraiata accanto a Marco nell'oscurità mi
procurasse sensazioni contrastanti. Da un lato avrei voluto scappare
via all'istante, per paura che lui allungasse anche un solo dito su
di me; dall'altro, invece, volevo metterlo alla prova, ero curiosa di
scoprire cosa sarebbe successo. Lo conoscevo troppo bene, e forse per
questo avrei dovuto allontanarmi immediatamente da lui.
Invece rimasi lì e
tentai di stare tranquilla, di non pensare male, di godermi quel
momento di pace con i miei amici.
Ben presto, però,
dovetti ricredermi.
Eravamo
rimasti in silenzio e ognuno pareva immerso nei propri pensieri. Io
avvertivo una certa tensione, un'elettricità sinistra
nell'aria, anche se non capivo se fosse solo un'impressione mia o se
fosse reale.
Un istante dopo avvertii un
movimento alla mia destra, poi una delle mani di Marco si posò
sul mio fianco. Mi irrigidii sul posto e cominciai ad avvertire i
battiti accelerati del mio cuore. Cosa stava facendo? Perché
mi stava toccando?
Imperterrito, allungò
anche l'altro braccio e lo incastrò intorno alla mia vita,
cercando di trascinarmi più vicino a sé.
Don't
stay!
Io opposi resistenza,
cercando di mantenere il controllo. Nella mia mente volteggiavano
mille pensieri sconclusionati, non sapevo come fare a tenerli a bada.
Danilo
è più importante di lui.
Esco
con Dani, mi piace davvero...
Marco,
perché mi fai questo?
Togli
quelle mani.
Non
muoverti, non lasciarmi andare.
Laura,
riprenditi, che ti succede?
Non
togliermi le mani di dosso...
Spostati,
Laura, allontanati. Ora. Subito.
Mi agitai e cercai di
indietreggiare, di schiacciarmi contro il corpo immobile di mia
sorella che fingeva di dormire.
Don't
stay!
«Dai...»
sussurrò Marco.
Non
ascoltarlo, non ascoltarlo, non ascoltarlo.
È
così dannatamente difficile...
È
così dannatamente attraente...
Il mio corpo reagiva a
quella vicinanza, il mio corpo mi stava tradendo e stava tradendo
Danilo. Avvertivo chiaramente un calore intenso farsi largo tra le
mie cosce e invadere ogni cellula di me, rendendomi così
sensibile a ogni singolo respiro che Marco produceva. Anche se non
eravamo stretti l'uno all'altra, era palese che qualcosa stava
capitando.
Laura,
cosa cazzo fai? Spostati!
Don't
stay!
Non
ci riesco, ci riesco, non ci riesco, ci riesco...
Marco fece leva con le
braccia e riuscì a trascinarmi contro di sé. Mi
ritrovai con il viso a pochi centimetri dal suo, il cuore a mille, il
respiro accelerato e il corpo in fiamme per quell'improvviso e
maledetto contatto.
Marco chinò appena il
viso e per poco non lo affondò nel mio petto.
Don't
stay!
A quel punto mi riscossi
bruscamente, rendendomi conto di cosa stava succedendo e di cosa non
doveva assolutamente succedere. Stavo frequentando Danilo e non
volevo rovinare il nostro rapporto per colpa di un coglione
qualsiasi, per colpa di uno stronzo che il giorno prima aveva provato
spudoratamente a baciare mia sorella.
Lo spinsi via con forza e,
senza fare tante storie, mi voltai di spalle e costrinsi Tamara a
tornare al suo posto, asserendo di dover usare il cellulare che era
in carica e il filo non era abbastanza lungo per arrivare fin dov'ero
io.
Lei infine cedette e ci
scambiammo nuovamente di posto.
Don't
stay! Forget our memories, Forget our possibilities...
Dentro mi sentivo una vera
merda. Faticavo a regolarizzare il respiro e avvertivo una forte
agitazione emotiva e fisica scuotermi nel profondo.
Cosa
cazzo ho fatto?
E mentre mi torturavo con
quell'interrogativo, un fastidioso desiderio continuava a farsi
strada dentro di me, tra le mie cosce e in tutto il mio corpo.
Un desiderio colmo di
patetica frustrazione.
Just
give me myself back and... Don't stay!
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