“Mamma,
mamma!”.
Era
avvolta dall’oscurità, si sentiva leggera e
inconsistente e la
voce dei suoi figli pareva provenire da lontano. Avrebbe voluto
ignorarla, lasciarsi andare all’oblio perché
sapeva che se avesse
riaperto gli occhi, avrebbe provato dolore. Ma era anche consapevole
che, finché un alito di vita fosse stato presente in lei,
avrebbe
risposto alla loro chiamata.
Aprì
gli occhi, a fatica, travolta da un dolore fortissimo e schiacciata
dalla difficoltà di respirare, trovandosi accanto i suoi tre
bambini
in lacrime. Si guardò attorno, erano ancora nella grotta e
le voci
dei contrabbandieri apparivano lontane, anche se ancora presenti.
Sentiva il sangue defluire velocemente fuori dal suo corpo e solo in
quel momento si accorse della mano di Jeremy, premuta sul suo
costato, nel disperato tentativo di fermare il sangue. Era stato Ross
ad insegnarglielo, pensò fugacemente… E a quel
ricordo le venne da
sorridere. Era un bravo papà e lo sarebbe sempre stato anche
in
futuro, qualsiasi cosa fosse successa…
“Mamma”.
Clowance le si gettò addosso, aggrappandosi alle sue spalle.
Debolmente portò una mano ai capelli rossi della figlia,
accarezzandoli piano. “Shhh, non aver paura…
Andranno via”.
“Mammmaaa”.
Bella le batté con la manina sul braccio. E a Demelza
vennero le
lacrime agli occhi. Non li avrebbe visti crescere, diventare adulti,
sposarsi e realizzarsi nella vita… La sua unica consolazione
era
che li lasciava in buone mani e che Ross avrebbe fatto tutto quello
che era in suo potere per loro, perché fossero
felici…
Pensò
a Ross, a tutto il tempo sprecato che avevano trascorso lontani, a
tutto il tempo perso a litigare e all’amore indissolubile che
li
univa… Non lo avrebbe più rivisto, non lo avrebbe
potuto salutare,
dargli un bacio d’addio, non avrebbe avuto occasione di
dirgli
quanto lo amava, quanto si era sempre sentita fortunata per essere
diventata sua moglie, non lo avrebbe visto guarire…
Perché lui
sarebbe guarito, ne era certa. Strinse la mano di Jeremy, la
allontanò dalla sua ferita e lo guardò negli
occhi. Era il suo
ometto e doveva dirgli cosa fare e come muoversi per portare in salvo
lui e le sue due sorelle. Era orgogliosa e fiera di Jeremy, era un
bambino accorto, intelligente e buono, sarebbe diventato un grande
uomo. E poi c’era Clowance, tanto bella quanto raffinata.
Sarebbe
diventata una lady ammirata e corteggiata da tutti, ne era certa.
Infine la piccola e buffa Bella, che rideva e strillava talmente
forte che non faticava ad immaginare un futuro da cantante per lei.
Non li avrebbe visti crescere ma, era strano, era come se potesse
già
vedere il loro futuro. Che si augurava felice, sereno e con la loro
famiglia sempre unita. “Jeremy… Quegli uomini
torneranno alla
loro barca, non staranno qui troppo a lungo…”.
Deglutì, faticava
a parlare, a respirare, a fare qualsiasi cosa. Ma doveva farlo!
“Quando saranno lontani, quando non sentirai più
le loro voci,
prendi Bella e Clowance e scappate, correte a casa da papà,
al
sicuro! Capito? Devi correre forte, non fermarti e non voltarti
indietro finché non sarete a Nampara.
Promettimelo!”.
Jeremy
scosse la testa, mentre Clowance iniziò a piangere
più forte. “Ma
mamma, no! E tu che farai?”.
“Io
resto qui… E voi andrete via! Ti prego, dimmi che lo
farai” –
chiese, quasi implorandolo. Stava morendo, sentiva le forze venir
meno e l’oscurità da cui era appena uscita che la
stava
risucchiando di nuovo. Voleva andarsene sapendoli sani e salvi, col
loro papà.
Jeremy
capì, annuendo, mentre le lacrime continuavano a rigargli il
viso.
“Va bene mamma, lo farò. E poi torno con
papà a prenderti”.
“Certo
tesoro, ti aspetterò qui” – gli rispose,
sapendo bene che anche
Jeremy aveva capito che era una bugia.
Si
voltò verso Clowance che, accanto a loro, le stringeva
assieme a
Bella il braccio. “Devi fare la brava, soprattutto con
papà.
Promettimi che farai pace con lui. E’ l’unica cosa
che vorrei
davvero”.
“Ma…”
– obiettò la bimba.
“Promettimelo.
E’ importante, lui ti vuole bene e tu ne vuoi a lui. Stagli
vicino,
avrà bisogno di te. Parla, gioca con lui, fate le cose
insieme come
una volta, fa la brava e ascoltalo e sarai contenta di nuovo. Aiutalo
con Bella, è la tua sorellina e sarai tu a darle
l’esempio per
aiutarla a diventare grande”.
Clowance
scosse la testa e pianse più forte, capendo appieno il
significato
di quelle parole. “Ti prometto… che ci provo. Ma
mi devi aiutare
tu”.
Avrebbe
voluto risponderle e dirle che le sarebbe sempre stata vicina in
qualche modo, ma sapeva che per Clowance sarebbero state solo parole
vuote. Eppure ci credeva… Sarebbe rimasta in ognuno dei suoi
figli,
negli insegnamenti e nei ricordi e forse, crescendo, in qualcosa, in
qualche scelta, si sarebbero ispirati a lei. “Ti voglio bene,
vi
voglio bene” – sussurrò. Il buio la
avvolse di nuovo, mentre si
sentiva sempre più inconsistente e leggera. Il dolore
scomparve,
tutto scomparve e anche il pianto dei suoi bambini, sempre
più
lontano, divenne intangibile. Li stava lasciando per sempre. E stava
per riabbracciare l’altra sua figlia, Julia. Sarebbe tornata
ad
essere la sua mamma e questa cosa, in un qualche modo,
rasserenò la
sua discesa verso il nulla.
…
“Non
è corretto, non è educato, non è
appropriato e non è gentile!”
– sbottò Prudie, girando lo stufato nel pentolone.
“La cena è
pronta e la signora è in ritardo”.
Ascoltando
quei borbottii, Ross guardò fuori dalla finestra. Era quasi
buio e
in effetti Demelza stava ritardando. “Strano, non
è da lei”.
“Ci
dobbiamo preoccupare?” – chiese Jud, seduto al
tavolo a lucidare
la sua pipa.
Ross
scosse la testa, pensieroso. “Sono andati alla spiaggia, una
cosa
tranquilla. Non credo ci sia da preoccuparsi, ma magari faccio un
salto laggiù per chiamarli”.
In
quel momento, l’abbaiare furioso di Artù
spezzò la calma. Il cane
si avventò sulla porta d’ingresso, guaendo ed
abbaiando in un modo
quasi feroce che non gli era mai appartenuto.
Il
volto di Ross si oscurò e di scattò
andò ad aprire la porta. Artù
gli si avventò contro, prendendolo per i pantaloni e
tirandolo verso
di se. L’uomo si chinò, stranito dal fatto che il
cane si
comportasse a quel modo. Gli accarezzò la testa cercando di
calmarlo, lo strinse a se e solo in quel momento si accorse della
ferita che aveva al costato. Sfiorandolo, il cane guaì dal
dolore,
accucciandosi e leccandosi il pelo. Ross sentì il fiato
mancargli.
Che cos’era successo? Dov’era sua moglie? E
dov’erano i suoi
bambini? “Artù, cosa stai cercando di
dirmi?” – sussurrò al
cucciolo.
Artù,
a quella domanda, parve capire. Si alzò di nuovo,
addentò la stoffa
dei suoi pantaloni e tirò, invitandolo a seguirlo. Ross
annuì.
“Jud, vieni! Credo sia successo qualcosa. Tu Prudie,
aspettaci
qui”. E detto questo, col servo alle calcagna, corse fuori da
Nampara, diretto alla loro spiaggia.
Corsero
come forsennati e nonostante Jud faticasse a stargli dietro, sentiva
l’esigenza di essere veloce. Il suo istinto gli gridava di
fare
presto, che era una corsa contro il tempo. Improvvisamente, forse a
causa della tensione, sentì una fitta fortissima alla testa,
tanto
simile a quelle che lo avevano tormentato nei giorni seguenti al suo
incidente. Si accasciò a terra sfiorandosi le tempie, mentre
per un
attimo si sentì mancare e strane immagini gli balzavano
nella mente
senza un oggettivo senso logico.
Jud
gli fu subito vicino. “Signore?”.
Ross
scosse la testa, tirandosi su. “Non è niente,
seguiamo il cane”.
Dwight gli aveva detto che un colpo in testa o un trauma emotivo
forte, potevano aiutarlo nella sua condizione. E per un attimo,
mentre correva, immagini sfuocate di un passato che poteva sfiorare
ma non ancora toccare, gli passarono davanti agli occhi. Ma non era
il momento di pensarci, doveva correre, trovare i suoi bimbi e sua
moglie e vedere cos’era successo. Il resto aveva poca
importanza.
Artù
corse lungo la spiaggia, velocemente, incurante della sua ferita.
Ross lo seguì, arrivando fino alla grotta che delimitava la
loro
proprietà. In lontananza vide una barca carica di casse di
legno
allontanarsi e subito entrò in allerta. Chi erano quelle
persone? E
cosa ci facevano lì? E dov’erano i suoi figli e
sua moglie?
Jud,
quasi leggendogli nel pensiero, gli rispose.
“Contrabbandieri!
Dannazione, sono fra le peggiori canaglie”.
Ross
scosse la testa, in quel momento quella faccenda era di secondaria
importanza.
Artù
abbaiò, facendogli segno di seguirlo nella grotta. E Ross
corse,
seguito da Jud, addentrandosi nell’oscurità.
“DEMELZA!” –
urlò – “AMORE, SEI
QUI’?”,
“PAPAAAA’”.
La
voce di Jeremy giunse dal fondo della grotta, disperata. E Ross corse
di nuovo, col cuore in gola. “Jeremy, dove sei? Dove
siete?”.
“Papà,
papà!”.
Alla
voce di Jeremy si aggiunsero anche quelle di Clowance e Bella e Ross
si precipitò nella direzione da cui provenivano.
E
quando li ebbe davanti, sentì il cuore fermarsi. I suoi
bambini
erano il lacrime e Demelza… la sua Demelza… era
in un lago di
sangue. Sentì le gambe tremare, rimase senza fiato e la
testa tornò
a dolergli con un’intensità ancora maggiore.
“Cos’è
successo?”.
Jud,
accanto a lui, lo guardò con l’orrore negli occhi.
“Signore, è…
lei è…?”.
“No!”.
Se Jud voleva chiedergli se era morta, la risposta era NO!
Razionalmente non avrebbe potuto affrontare una verità
diversa.
Jeremy
corse da lui, lo abbracciò. Le sue mani erano sporche di
sangue,
piangeva ed era terrorizzato. “Quei signori hanno sparato
alla
mamma! Papà, si è addormentata, non si sveglia
più” –
singhiozzò il bimbo.
Ross
gli accarezzò i capelli e poi lo affidò a Jud.
Infine si avvicinò
col terrore nel cuore che fosse morta e che lui non le era accanto
per difenderla. Era pallida, piena di sangue, immobile. Lei, il suo
amore, lei, sempre piena di vita…
Si
inginocchiò, strinse a se le bimbe e stavolta Clowance non
oppose
resistenza. “Andate da Jud, così potrò
aiutare la mamma”.
Clowance
annuì senza dire nulla. Prese Bella in braccio, diede
un’occhiata
a sua madre e poi corse a rifugiarsi fra le braccia del servo.
Ross
sfiorò la fronte di Demelza, fredda e marmorea. Poi le
toccò il
polso, cercando in esso un alito di vita. Lo trovò, il
battito era
debole e irregolare ma c’era. Demelza sembrava lontana ed
irraggiungibile ma era ancora con loro e lui l’avrebbe
salvata. La
prese fra le braccia, intuendo cosa avesse provato lei quel giorno,
quando lui era quasi morto nella miniera. Le baciò la
fronte,
sentendosi in colpa per il dolore che le aveva arrecato allora e
provandolo anche lui sulla sua pelle, per la prima volta.
Pregò che
non se ne andasse, pregò che trovasse la forza di resistere
e che
tornasse da lui e dai loro figli. Senza di lei, nulla avrebbe avuto
più senso, pensò, con un tormento nel cuore.
“Amore mio, ti
riporto a casa, resisti. Fallo per me, ti prego”.
Demelza
non rispose, come era ovvio. Ross la sollevò, la strinse
delicatamente a se e guardò Jud e i bambini. Aveva di nuovo
la testa
che gli faceva un male terribile, le vertigini e flash che gli
annientavano la mente con immagini sfuocate. Immagini che
riguardavano lei, loro! Immagini che voleva far sue di nuovo, non
tanto per se stesso ma per tornare ad essere davvero una famiglia.
Lui con lei, coi loro figli, il loro cane e i loro servi.
“Corriamo,
dobbiamo fare in fretta!” – disse a Jud.
Non
c’era tempo da perdere, ogni attimo poteva essere fatale per
Demelza.
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