... rieccoci, non
eravamo scomparse! Scusate se andiamo un po' a rilento, ma gli impegni
della vita quotidiana incombono. Nonostante
tutto ci
portiamo avanti con la storia, grazie di avere la pazienza di seguirci
^___^
Un posto in cui
tornare
IV
Capitolo
Il risveglio su Marte o sulla Isaribi negli ultimi anni era sempre
stato frenetico. Quando lavorava per la CGS non aveva avuto molta
scelta: se non si fosse alzato e messo a lavoro immediatamente, avrebbe
rischiato di venir punito o malmenato. Quando poi si era unito a
Tekkadan, soprattutto i primi tempi, la paura di venire schiacciati da
Gjallarhorn li aveva sempre tenuti in allerta e quindi non aveva potuto
far altro che svegliarsi di tutta fretta per uscire a combattere o ad
allenarsi insieme ad Akihiro o alle Turbines. Tuttavia, anche nei
momenti in cui non c’erano urgenze, aveva sempre trovato qualcosa da
fare, qualcuno con cui chiacchierare. In fondo, solo il poter parlare
liberamente con i suoi compagni, senza avere nemici alle costole o a
fare da cane da guardia, era per lui un buon motivo per svegliarsi.
In quel momento, invece, non aveva nemmeno la forza di muovere un solo
muscolo. Aprì gli occhi a fatica e tutto ciò che vide fu un colore
bianco quasi fastidioso, causato dalla luce elettrica che lo costrinse
a socchiudere gli occhi abituati da troppo tempo all’oscurità. Era
stordito, sentiva come un macigno al posto del cervello e faticava
anche solo a ricordare il proprio nome. Riuscì a muovere la testa,
inclinandola su un lato e così, pian piano, quell’ambiente ovattato e
tiepido cominciò a prendere le forme di un soffitto, delle pareti e di
un tavolino accostato al muro. Nel mettere a fuoco quei dettagli, primi
frammenti di ricordi presero ad affacciarsi alla memoria: la Hotarubi
sotto i piedi del suo mobile suit, lui che prendeva la mira, il Super
Galaxy Cannon che veniva spazzato via, il salto nel vuoto, i mobile
suit nemici che gli sparavano contro e poi le fiamme, il dolore su
tutto il corpo, l’aria che gli mancava… la paura di…
… quel suono, basso e cadenzato, che avvertiva però chiaramente, lo
riscosse: era il suo cuore che batteva ancora una volta. Trattenne a
stento le lacrime che sentì salirgli agli occhi. Ora gli era tutto
chiaro, prima la trasparenza non gli aveva fatto notare il vetro che lo
circondava: si trovava all’interno di una nanomacchina medica. I suoi
compagni lo avevano recuperato. In qualche modo ce l’avevano fatta.
D’un tratto, vide una figura avvicinarsi e quella testolina bionda
dissipò ogni dubbio. Soltanto lui sarebbe stato così folle da aspettare
il suo risveglio. “Ya.ma.gi.” Pronunciò e la voce gli uscì con un
sibilo.
“Guarda si è svegliato! Ha appena detto qualcosa…”
Spalancò del tutto gli occhi, rendendosi conto che quella era una voce
femminile e che la persona che aveva di fronte non era Yamagi
Gilmerton, bensì una donna con indosso la divisa di Gjallarhorn.
“Finalmente!” Esclamò qualcun altro, premendo il pulsante per aprire la
nanomacchina.
“Dove sono? Chi siete?” Si agitò il ragazzo, provando, senza successo,
a sollevarsi. Era ancora molto debole.
“Calmati…” Gl’intimò la figura che si era avvicinata poco prima. Era un
giovane uomo dai capelli viola e lui era sicuro di non averlo mai visto
prima. “Io sono Gaelio Bauduin e tu ti trovi sulla nave di Arianrhod.
Quel nome l’aveva già sentito e qualcosa lo ricondusse alle sette
stelle di Gjallarhorn. Il suo presentimento divenne brutalmente reale.
“Non è possibile…” Balbettò.
“Ti ho recuperato io, altrimenti a quest’ora saresti già un detrito
dello spazio. La distruzione del portello del cockpit è stata la tua
salvezza, la mancanza di ossigeno ha spento le fiamme.” Gli disse quel
Gaelio, accennando un sorriso quasi gentile.
Già. Cominciava a ricordare l’esplosione, visualizzò chiaramente la
cabina di comando squarciata e un brivido gelido lo scosse. Aveva
mancato l'unico colpo che avrebbe potuto sconfiggere Gjallarhorn,
spazzarne via la flotta e determinare la vittoria di Tekkadan. Preso
dalla rabbia per aver fallito, si era lanciato contro di loro, ma era
riuscito soltanto a farsi abbattere.
Il cuore prese a battergli velocissimo, preso all’improvviso dal dubbio
che il suo attacco non fosse stato sufficiente a difendere la Isaribi e
gli altri mobile suit.
“Che cosa è successo? I miei... i miei compagni, dove sono? Cosa gli
avete fatto?”
“I tuoi amici se la sono data a gambe, anche se non so se questo
dovrebbe renderti felice. Con tutta probabilità stanno cercando di
tornare su Marte.” La voce di Gaelio ora sembrava priva di inflessione.
Il ragazzo ferito socchiuse gli occhi, improvvisamente sollevato. Per
fortuna il suo tentativo non era andato del tutto a vuoto. Un sorriso
gli sfuggì, mentre mormorava “Meno male...”
“Adesso sorridi?! Tu non ti rendi conto, cosa diavolo pensavi di fare
con quel cannone, eh?” Lo aggredì la donna. “Ti ho fermato giusto in
tempo!”
“Julieta, smettila. Non è il momento…” Gaelio l’afferrò per il polso,
ma l’altro aveva già cominciato ad agitarsi.
“Tu! Sei stata tu a colpire il mio cannone?” Gridò, riuscendo con
enorme sforzo a sollevare la schiena. “Tu eri a bordo di quel mobile
suit verde che combatteva contro Mikazuki!”
“Ehi, calmati!” Gaelio gli artigliò braccio destro e spalla sinistra,
bloccandolo. “Cerca di stare calmo o verranno i medici a sedarti! Sei
su una nave nemica, cerca di ficcartelo in testa!”
“Lasciami andare!” Gridò il ragazzo, cercando di divincolarsi. Il suo
sguardo era puro odio. Fece un movimento per cercare di respingere
Gaelio con il braccio libero, quando si rese conto di non avere il
controllo sull’arto sinistro. Confuso, posò lo sguardo sulla parte e un
lampo d’orrore gli attraversò gli occhi: il suo braccio non c’era più.
La presa di Gaelio si allentò. “Julieta… va’ via per favore.”
La ragazza tacque e seguì il suggerimento del compagno, nonostante il
suo cuore fosse attanagliato dai più disparati sentimenti, perlopiù
contrastanti.
“Hai perso un braccio e il tuo corpo era pieno di bruciature.” Sospirò
Gaelio dopo alcuni minuti di silenzio, durante i quali si era seduto di
fianco al ragazzo. “Ti rimarrà qualche cicatrice, ma col tempo ci farai
l’abitudine. Rendono più affascinanti, non trovi?”
L’altro alzò lo sguardo, notando solo allora gli sfregi su quel volto.
Era un tipo strano, quel Gaelio Bauduin. Apparteneva allo schieramento
nemico, quasi sicuramente aveva partecipato alla battaglia in cui era
stato catturato. Ma per qualche motivo non provava astio nei suoi
confronti. Sarà stata la gentilezza che gli stava dimostrando o forse
era lui ad essere ancora troppo debole e sconvolto per ciò che gli era
accaduto e che gli stava accadendo. “Perché mi hai salvato?”
Gaelio sospirò. “All’inizio ho pensato che il tuo mobile suit potesse
tornarci utile, nonostante fosse malconcio. Poi, però, ho visto che
respiravi ancora… non aveva senso lasciarti morire.”
“Respiravo? Ma io non indossavo il casco…”
“Veramente sì… se non lo avessi indossato saresti morto di certo. È
stato di sicuro il tuo istinto di sopravvivenza…”
Il ragazzo guardò Gaelio disorientato. In effetti ricordava di aver
avuto difficoltà a respirare in mezzo alle fiamme e, con tutta
probabilità, l’istinto era intervenuto al posto della ragione,
muovendogli il braccio a chiudere casco e visiera. Era possibile.
Oppure si era attivato un qualche sistema automatico.
“Hai avuto un gran coraggio a gettarti in quel modo sulla nostra
flotta. O la tua era disperazione?” Domandò Gaelio e le sue parole non
avevano un filo di scherno.
“Considerami pure un pazzo. Ma per salvare la propria famiglia si è
disposti a tutto.”
“Siete tutti fratelli, voi di Tekkadan?” Chiese con un po’ di curiosità
il pilota del Gundam Vidar.
“Non di sangue, certo. Però ci proteggiamo a vicenda, guardiamo al
futuro insieme. Siamo amici, fratelli… che importanza ha? È la nostra
famiglia.”
“Famiglia, amici…” Ripeté l’altro e per un istante il suo sguardo si
adombrò nel rivangare il passato.
“Che ne sarà di me? Volete fucilarmi come uno dei ribelli? In quel caso
avresti fatto prima a lasciarmi dov’ero.”
“Questo non spetta a me, deve deciderlo Rustal Elion.”
“E Chi sarebbe?”
Gaelio spalancò gli occhi sorpreso. “Ma… è il capo di Arhianrhod, il
membro più influente di Gjallarhorn. Non conosci il nome del tuo
principale nemico?”
Il ragazzo ferito, nonostante il dolore che ancora si faceva sentire,
non poté fare a meno di scrollare le spalle. “No… per noi tutta
Gjallarhorn è il nemico. Io sono abituato a combattere, dei nomi e
delle questioni politiche sono Orga ed Eugene a occuparsene.”
“Sei un tipo curioso… a me, invece, piacerebbe conoscerlo il tuo nome,
membro di Tekkadan.”
Quell’epiteto lo colpì molto e il ragazzo comprese al volo che Gaelio
Bauduin non l’aveva pronunciato per caso, bensì per convincerlo a
rispondergli. Decise, quindi, di dargli quella soddisfazione. Non aveva
di certo paura.
“Il mio nome è Norba Shino.” Pronunciò con orgoglio.
FINE IV Capitolo
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