ReggaeFamily
Here
comes the Night
[Shavo]
«Andiamo
al Buts?» mi chiese Leah all'improvviso.
Aggrottai
le sopracciglia. «Adesso?»
«Sì,
perché no?»
«Forse
perché sono le due del mattino e domani dobbiamo alzarci
presto per andare in città a visitare quel museo, ricordi?»
le feci notare con le idee sempre più confuse. Quella ragazza
mi avrebbe fatto perdere il senno prima o poi.
«E
allora? Oh, Shavarsh! Immagina quanto sarà romantico: io e te,
noi due soli soletti, sulla spiaggia, due cuori e una coperta...»
blaterò con pungente ironia nella voce, mentre percorreva la
mia spalla con una mano.
«Ma
non era due cuori e una capanna?»
«Se hai voglia di
costruire un riparo per la notte, fai pure. Io mi accontento di una
coperta che ho adocchiato nel mio armadio» borbottò
Leah.
Sospirai. Perché mi
ero preso una sbandata per una ragazza così simile a Daron?
Certe volte aveva delle idee assurde, faticavo già a starle
dietro.
«Allora
ci diamo una mossa?» strepitò ancora lei, strattonandomi
leggermente per un braccio. «O vuoi lasciare che io vada laggiù
tutta sola, in balia degli agenti atmosferici e delle intemperie
della notte?»
«Se qualcuno volesse
aggredirti, desisterebbe subito perché gli riempiresti la
testa di fesserie» ribattei con finto tono irritato.
«Che stronzo!»
Mi guardai attorno: nella
hall, oltre a noi due, c'era soltanto lo stagista che si stava
probabilmente intrattenendo con un videogioco sul computer. Riportai
gli occhi su quelli vispi e luminosi di Leah, poi annuii lentamente e
mi lasciai sfuggire un sospiro rassegnato.
«Oh, ti adoro!»
Leah mi abbracciò di slancio, poi mi lasciò andare e si
precipitò a recuperare la coperta che ci avrebbe tenuto
compagnia al Buts. Non ero certo di come sarebbero andate le cose,
probabilmente saremmo morti assiderati, o forse ci saremo beccati un
malanno. Eppure la faccenda si faceva intrigante: io e Leah da soli
sulla spiaggia, sotto la luna, con il fruscio delle onde e tutto il
resto...
Scossi il capo e cercai di
darmi un contegno. Fortunatamente i miei amici si erano dileguati in
fretta e furia, non appena eravamo rientrati dalla capitale in
seguito al concerto di quei due pazzi: John aveva asserito di essere
molto stanco, mentre Daron aveva borbottato qualcosa a proposito di
una faccenda da risolvere. Il chitarrista era sempre nei casini,
ancor più da quando eravamo giunti in Giamaica.
Sobbalzai
leggermente quando Leah si materializzò nuovamente al mio
fianco; aveva un sorriso
enorme e stringeva tra le mani una grande coperta in lana che doveva
pesare almeno un quintale.
«Se morirò
stanotte, dovrei almeno lasciare un testamento» commentai,
mentre ci avviavamo verso l'uscita laterale situata ai piedi della
palazzina dipinta di bordeaux.
«Quanto sei tragico!
Allora il tuo basso lo lasci a me?» cinguettò la ragazza
in tono allegro.
«Quale dei tanti?»
«Il più bello e
il più costoso.» Mi indirizzò un ghigno. «Così
potrò rivenderlo e farmi un sacco di soldi!»
«Che donna venale!»
la accusai scherzosamente.
Quando giungemmo alla fine
della passerella in legno che conduceva sulla spiaggia, ci guardammo
intorno e Leah indicò verso la scogliera.
«Saliamo nel punto
panoramico dell'altro giorno!» esclamò.
«Cosa? Ci romperemo
l'osso del collo, non si vede niente qui!» protestai.
«Shavarsh, ti hanno
mai detto che sei ipocondriaco?» mi ignorò, avviandosi a
passo spedito verso la parete rocciosa che si stagliava
nell'oscurità.
La seguii in fretta.
«Qualche volta me lo dicono, sì. Ma la mia è solo
prudenza!»
Leah
si arrestò di botto, e per un attimo temetti che avesse scorto
qualcosa tra le ombre; fui costretto
a ricredermi quando si voltò verso di me, mi sorrise con fare
condiscendente e poi si allungò per baciarmi. Rimanemmo
sospesi in quell'attimo per pochi secondi, infine la ragazza staccò
le sue labbra delle mie e mormorò: «Adesso stai zitto,
cammina e basta».
Fui costretto a obbedire,
anche perché Leah prese la mia mano e mi guidò
sapientemente lungo il ripido sentiero che conduceva alla piattaforma
che affacciava direttamente sul Buts.
«Forse riusciremo a
salutare i gatti oggi, mi sa che l'altra volta Daron li ha
spaventati» disse Leah, una volta raggiunta la nostra meta.
«Probabile!»
«Hai visto, Shavarsh?
Non ti sei fatto male, siamo entrambi sani e salvi!» mi prese
in giro all'improvviso, mentre gironzolava per la piccola
piattaforma. Non appena avvistò un punto che le parve
abbastanza comodo per noi due, stese l'enorme coperta e ci si
inginocchiò sopra, lanciandomi un'occhiata per incitarmi a
fare lo stesso.
«Simpaticona. E se
fosse andata diversamente?» la punzecchiai, affrettandomi a
raggiungerla.
«Non rompere. Vieni
qui.» Leah batté sulla coperta accanto a sé, poi
si ricordò di qualcosa e cominciò a richiamare i suoi
amati gatti.
«Ma che nomi sono?»
chiesi perplesso.
«Che
hanno di male i nomi dei miei tesori? Il più vecchio si chiama
Beasty, non ti piace? E Fake non è delizioso?» Leah era
eccitata come non mai per le
stupidaggini che stava dicendo.
Scoppiai a ridere. «Che
stupida che sei! Il mio preferito è Rasta» commentai.
«Rasta si chiama così
perché ha il pelo molto lungo e folto. Per questo gli si
creano dei dreadlocks naturali» spiegò con orgoglio la
ragazza.
Incredulo, notai che un
gatto era finalmente uscito dall'insenatura sulla roccia e mi
scrutava con occhi gialli e indagatori che brillavano nell'ombra.
«Fake, ma ciao!»
saltò su Leah, allungandosi verso il gatto completamente nero
per accarezzarlo. «Shavarsh, gli piaci. Se ti osserva e non
scappa, significa che gli stai simpatico. Avvicinati» mi
incoraggiò Leah.
Mi inginocchiai sulla
coperta e mi accostai a lei, strisciando lentamente per non
spaventare la bellissima creatura che avevo di fronte. Daron sarebbe
impazzito per quel gatto, ne ero certo: adorava quegli animali, ma i
gatti neri erano senza dubbio i suoi preferiti.
Allungai una mano con
cautela e carezzai delicatamente il pelo nero e lucido di Fake,
trovandolo incredibilmente morbido e pulito. «È molto
curato per essere un randagio» osservai con ammirazione.
«Questi cuccioli si
lavano più di te, mio caro!» mi sfotté Leah.
«E tu che ne sai?»
ribattei, lanciandole un'occhiata in tralice.
Leah
scosse la testa e, all'improvviso, mi spinse all'indietro,
facendomi cadere con la schiena sulla coperta. Fake fu spaventato da
quel movimento brusco e si dileguò come un fulmine all'interno
della sua amata cuccia naturale dalle pareti di pietra.
«Ma che fai? Il tuo
micio si è spaventato a causa tua!»
Leah si chinò su di
me per far sì che i nostri occhi si incrociassero. Rimase in
silenzio per un po', scrutandomi nel profondo e con estrema serietà.
«Sai che c'è?
Non m'importa» sussurrò.
Feci per afferrarla per le
spalle e attirarla a me, quando lei si rimise a sedere e frugò
nella sua borsa. Ne estrasse un barattolo di disinfettante e se ne
versò un po' sulle mani, poi me lo passò e ridacchiò.
«I gatti sono
meravigliosi, ma bisogna sempre pulirsi le mani dopo averli toccati»
spiegò in fretta, strofinandosi forte i palmi per pulirli a
fondo.
La imitai e per qualche
secondo ci dedicammo a quell'operazione. Poi Leah ripose il
disinfettante in borsa e la vidi rabbrividire all'improvviso.
«Adesso basta, ho
freddo» dichiarò, stendendosi sulla coperta accanto a
me. Si mise su un fianco e mi si accostò, poi afferrò
un lembo della coperta e la sistemò su di noi. Feci lo stesso
con il lembo opposto e in un attimo ci ritrovammo avvolti nella lana
come se insieme formassimo un unico bozzolo.
«Ora
va meglio?» chiesi, mettendomi a mia volta su
un fianco e abbracciando Leah.
«Decisamente.»
La ragazza si stiracchiò tra le mie braccia e sbadigliò.
«Meno male che hai accettato di venire qui con me.»
«Che avrei potuto
fare? Mi hai praticamente obbligato» scherzai, baciandole
delicatamente la fronte.
«Sei proprio senza
speranze...»
«Colpa tua che mi fai
quest'effetto» la accusai, per poi ridacchiare.
Leah sbuffò e mi
voltò le spalle. «Ora sono offesa.»
La strinsi forte e feci
aderire la sua schiena al mio petto, lasciandole leggeri baci sui
capelli, fino a raggiungere la pelle dietro il suo orecchio sinistro.
Sospirò e si premette
maggiormente contro il mio corpo. «Così però non
vale, Shavarsh» mormorò.
«Ah no?»
Sorrisi. «Il mio nome ha un suono davvero bello se sei tu a
pronunciarlo. Non l'avrei mai detto» ammisi.
Lei rise e si voltò
di nuovo nella mia direzione, posandomi una mano sulla guancia. «E
io non avrei mai creduto che un ragazzaccio come te potesse rivelarsi
così sdolcinato.»
«Ehi!»
Leah
posò le sue labbra sulle mie e pose fine a quel botta e
risposta, baciandomi con dolcezza e trasporto allo stesso tempo,
insistendo subito per approfondire quel contatto; accettai di buon
grado e la presi tra le braccia, facendo combaciare perfettamente i
nostri corpi e sentendo di stare davvero
bene in sua compagnia. L'avevo conosciuta da poco, eppure era come se
fossero trascorsi secoli da quel primo, disastroso incontro.
Quando ci separammo per
riprendere fiato, poggiai la fronte contro la sua e dissi: «Qualcosa
mi fa pensare che tu abbia dormito altre volte quassù. Dico
bene?».
Leah mi regalò un
sorriso che riuscii appena a scorgere nell'oscurità della
notte. «Lo faccio sempre quando sono qui con Alan e le sue
amanti del momento. Mi rilassa.»
Avevo un po' di timore a
porle quella domanda, ma mi imposi di non essere sciocco e domandai:
«Sei sempre stata sola qui?».
La ragazza scoppiò
improvvisamente a ridere e mi mollò un leggero pugno sul
petto. «Sei geloso, eh? Oddio, questa è bella!»
«Non è
divertente» le feci notare, sentendomi leggermente in
imbarazzo.
«Okay, okay! Scusa, è
che hai fatto una faccia...» Leah tornò seria. «No,
sono sempre stata qui con i miei gatti.»
«Allora mi sento
fortunato!» esclamai in tono allegro, in modo da sminuire la
mia domanda di poco prima. Dentro, tuttavia, mi sentivo rincuorato
dal fatto che quel momento apparentemente banale che stavamo
condividendo, fosse in realtà qualcosa di speciale e unico per
entrambi.
«Certo,
devi sentirti privilegiato!» chiarì lei, conferendo alla
sua voce un che di altezzoso che mi
fece scoppiare a ridere.
Poco dopo tornammo in
silenzio. Proprio quando stavo per romperlo, un grido stridulo
proveniente dalla spiaggia sotto di noi ci fece sobbalzare. Rimanemmo
immobili a fissarci, tendendo le orecchie per capire cosa stesse
succedendo.
Riconobbi due voci: una
maschile e una femminile. Discutevano tra loro con fare concitato, e
impiegai davvero poco a comprendere che si trattava di Daron. Il
chitarrista era in compagnia di una ragazza.
Ma cosa ci faceva al Buts in
piena notte?! Probabilmente se il mio amico avesse visto me e Leah in
quel momento, si sarebbe posto la stessa identica domanda e avrebbe
commentato dicendo che avremmo potuto anche starcene belli e
tranquilli in albergo. E forse non avrebbe avuto tutti i torti, ma
non stavo poi così male su quella scogliera, avvolto in una
coperta con Leah tra le braccia.
«Ma questa è la
voce di Lakyta» sibilò la ragazza accanto a me,
aggrottando la fronte con fare contrariato.
«Lakyta?» chiesi
perplesso.
«La cameriera che
lavora su in terrazza» rispose Leah.
«Stiamo a sentire cosa
hanno da dirsi» ghignai, mentre ci scambiavamo un'occhiata
complice colma di malizia.
«... Daron, insomma!
Cosa ti costa?» stava dicendo la cameriera.
Nonostante cercassi di
concentrarmi, mi fu impossibile capire cosa stesse dicendo il
chitarrista: tendeva a mangiarsi la maggior parte delle parole e
parlava a voce troppo bassa per essere udita chiaramente.
«È solo sesso!»
strillò ancora Lakyta. «Chissà quante donne ti
sei fottuto, ora vuoi rifiutare proprio me?»
Leah cominciò a
sghignazzare e affondò la faccia nella coperta per evitare di
fare rumore. «Che squallida!» continuava a ripetere.
L'interlocutrice di Daron
gridò: «Allora?! Dai, Daron! Neanche questo ti fa
effetto, eh?».
Chiusi gli occhi come se
temessi di ritrovarmi improvvisamente di fronte la scena
raccapricciante che sicuramente si stava svolgendo sulla spiaggia.
Avvertii Leah che appoggiava la testa contro la mia spalla, e
rimanemmo in silenzio ad ascoltare ancora.
«Mi spoglio e tu
rimani lì a sorridere come un idiota?» si rivoltò
per l'ennesima volta Lakyta, squarciando il silenzio della notte con
la sua voce estremamente stridula e fastidiosa.
Improvvisamente calò
una quiete assoluta e io riaprii gli occhi, leggermente confuso. Se
n'erano forse andati?
Leah ridacchiò.
«Adesso vado a dare un'occhiata» disse con aria
terribilmente maliziosa, per poi sgusciare via dalla coperta e
avviarsi carponi verso il bordo della piccola piattaforma su cui ci
trovavamo.
Stranito, la seguii, morso
dalla curiosità e dal fatto che Leah fosse assolutamente fuori
di testa e facesse tutto ciò che io non avrei mai fatto.
Quando ci affacciammo per
sbirciare, rimanemmo estremamente basiti dalla scena che si presentò
ai nostri occhi: la cameriera, completamente nuda, era inginocchiata
ai piedi di Daron e gli stava facendo un servizietto in cui, ne ero
certo, doveva avere molta esperienza. Il chitarrista sussultava
appena, e a un tratto lo sentì commentare con voce rotta:
«Almeno ti rendi utile e stai zitta».
Trascinai Leah verso la
coperta e, incapaci di trattenerci, scoppiammo a ridere, soffocandoci
quasi con la faccia contro il tessuto ispido. Non ci potevo credere,
Daron ne aveva combinato un'altra delle sue! E non capivo perché
proprio lì, proprio quella notte, sotto i nostri occhi e alla
portata delle nostre orecchie.
Quelle erano scene che
soltanto a me poteva capitare di assistere, ma era come se la
vicinanza di Leah accentuasse lo svolgersi di situazioni piuttosto
surreali e incredibili.
Quando riuscimmo a
riprenderci dal momento divertente che la scena in spiaggia aveva
scatenato, rimanemmo stesi sulla coperta per riprendere fiato.
«Mi fa male la pancia
a furia di ridere, cazzo!» esclamò Leah.
«A chi lo dici! Che
schifo, penso che mi rimarrà impressa per sempre, che trauma!»
concordai ancora con il fiatone.
Poco dopo ci avvolgemmo
nuovamente nella coperta, sfiniti. Chissà quanto tempo era
passato da quando ci eravamo recati lassù...
«Shavarsh?» mi
chiamò Leah con un filo di voce.
«Dimmi.»
«Adesso possiamo
dormire? Ti va?»
«Certo, sono
stanchissimo» accettai di buon grado.
«Però imposto
la sveglia del cellulare, altrimenti potremmo rischiare di non
alzarci domani mattina. Inoltre, potremmo prenderci un'insolazione,
dato che siamo ai Caraibi e il sole...»
Le feci il solletico sul
collo. «Chi è l'ipocondriaco ora?» la interruppi
con un sorriso.
«Smettila!» Leah
impostò la sveglia e buttò nuovamente il suo telefono
in borsa, poi si accoccolò al mio fianco e chiuse gli occhi.
Mi chinai su di lei e la
baciai lentamente sulle palpebre, per poi cercare le sue labbra per
un ultimo bacio prima di dormire. «Sogni d'oro, Leah»
dissi infine.
Lei allungò una mano
e tracciò con le dita, senza aprire gli occhi, il profilo
della mia mascella. «Sogni d'oro, ragazzaccio» biascicò.
Poco dopo si addormentò,
mentre io dovetti attendere ancora un po' prima di seguirla nel mondo
dei sogni. Mi chiesi se Daron e Lakyta se ne fossero andati, cosa
avesse spinto il chitarrista ad avere a che fare con quella ragazza,
cosa sapesse lei sul conto del mio amico...
Prima
di scivolare nel sonno, un ricordo mi colpì. Immagini
nitide del mattino precedente, quando io e Leah ci eravamo
risvegliati insieme per la prima volta.
«Shavarsh,
svegliati! Stai per cadere dal letto!» aveva strillato Leah.
Mi
ero riscosso in fretta e avevo aperto gli occhi, ritrovandomi con il
viso a pochi centimetri dal pavimento. «Cazzo» avevo
imprecato, cercando di farmi spazio sul materasso.
Leah
mi teneva stretto, ma sicuramente dovevo essere troppo pesante perché
lei riuscisse a sorreggermi.
«Sei
troppo buffo!» aveva sghignazzato, per poi farmi il solletico
sotto le ascelle.
Nel
tentativo di ribellarmi, avevo preso a oscillare pericolosamente sul
bordo del materasso. All'improvviso mi ero ritrovato a rotolare giù,
per poi finire carponi sul tappeto.
Leah
era scoppiata a ridere e non riusciva più a smettere.
«Bellissima, avrei dovuto fare una ripresa! Perché non
ho mai la fotocamera pronta quando serve?» aveva continuato a
prendermi in giro.
«Non
è divertente! Che risveglio del cazzo» avevo borbottato
in tono contrariato, mettendomi faticosamente a sedere.
Leah
si era messa nuovamente su un fianco, facendo incrociare così
i nostri sguardi. «Buongiorno, Shavarsh!»
«Buongiorno
un cazzo, Leah Moonshift! Adesso me la paghi!»
Così
avevo dato il via a un assalto fatto di solletico, cuscinate e baci
rubati.
Era
stato un risveglio meravigliosamente di merda.
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