Un uomo dai ricci capelli biondi misurò a passi lunghi la
distanza tra gli imponenti tronchi. Il completo color corteccia lo
rendeva quasi invisibile nella luce mattutina.
L’uomo si passò una mano sul volto, sul tatuaggio
romboidale che solcava la guancia, e rivelando tra i capelli una ciocca
scura, nera come il carbone.
Davanti a lui, a guidarlo, una guardia cittadina sfrecciava spedita
sotto il poco peso della corazza in cuoio che portava sul petto.
Detesto dover cambiare
il corpo di sicurezza. Quello nuovo da sempre un prurito sotto la pelle.
Ma non potevo nemmeno
continuare ad usare quell’elfo, dopo settant’anni
che in giro si vede sempre lo stesso individuo senza una ruga in
più, anche i più tardi cominciano a farsi domande.
Gli occhi verdi incorniciati dalla pelle ambrata si posarono a terra,
quando la schiena che li precedeva si fermò bruscamente.
- … Quindi, secondo lei, è possibile che al
tribunale ci siano posti vacanti? – terminò la sua
frase la guardia, voltandosi verso l’uomo che lo seguiva.
- Si, certo. Tutto è possibile. È questo il
posto? –
- Come? –
Ti prego, è
l’alba, non essere così dannatamente stordito.
- Il corpo, è qui? –
- Oh, sì, certo! Il corpo è dietro
quell’albero. -
Grazie!
L’uomo si diresse nella direzione indicatagli, percorrendo il
perimetro del grosso tronco che gli ostacolava la strada per
raggiungere la cosa nascosta sotto una spessa coperta dalla parte
opposta.
Tre guardie dai volti più anziani di quella che lo aveva
scortato fin lì controllavano che nessuno dei pochi curiosi
rimasti potesse avvicinarsi alla coperta.
L’uomo biondo estrasse dalla tasca interna della giacca un
documento piegato, vergato su carta pregiata, mostrandolo ai tre uomini
senza dire una parola. Così, nel medesimo silenzio,
varcò il perimetro che avevano creato, per andare ad
inginocchiarsi accanto alla protuberanza celata alla vista.
Con mani salde prese gli angoli superiori della coperta, ripiegandoli
verso il fondo, in modo da mostrare cosa si nascondesse sotto di questi.
Davanti alle iridi brillanti comparve un viso cadaverico dagli occhi
sbarrati di terrore. Le pupille del morto erano strette come aghi,
nonostante non un singolo raggio di sole li riuscisse a raggiungere.
Sul petto della salma, all’altezza del cuore, uno squarcio
carbonizzato si apriva tra le sue carni.
Accanto al petto, integra, riposava una valigia in pelle aperta, con i
documenti che conteneva accuratamente riposti al suo interno.
Quella documentazione
non mi interessa. Ho letto il rapporto sul contenuto di quella borsa e
non mi servirà a nulla rovistarci di nuovo.
I referti medici che mi
hanno lasciato sono abbastanza chiari… Ma sono stati redatti
dai mortali, quindi è meglio che ricontrolli tutto.
L’uomo posò il proprio pollice sulle labbra
esangui del cadavere disteso insolitamente composto a terra, sollevando
quello superiore in direzione del naso.
Un bianco, sporgente canino fece la sua comparsa nella chiostra di
denti.
Il dito dell’ispettore biondo si sollevò, ma il
labbro non parve intenzionato a tornare alla propria posizione
originale.
Drago. Quasi sicuramente
è un drago.
L’altra
possibilità sarebbe ammettere che quest’uomo ha
speso una fortuna da un buon dentista per farsi impiantare questa roba.
Ora, però, la
cosa importante.
L’indice e il medio dell’uomo si fecero strada
nella ferita del cadavere, trascinando nella loro discesa scaglie di
carne carbonizzata. Toccato il fondo del taglio, l’ispettore
ritrasse la mano, pulendo le dita annerite sull’erba su cui
si era inginocchiato. Il suo volto si contrasse per una frazione di
secondo in un’espressione tra il preoccupato e lo stupito.
- Ci sono problemi? – La voce della giovane guardia che lo
aveva scortato fin lì ruppe il silenzio di quella mattina.
L’ispettore biondo si rialzò in piedi, sbattendosi
i pantaloni dal terriccio che vi era rimasto attaccato.
- Signore? – ritentò il giovane.
L’uomo dai capelli ricci alzò un dito verso il
cielo, intimandogli di fare silenzio.
L’apparato del
drago è completamente perforato.
Chi ne
può conoscere così bene la posizione?
Un drago, o un medico.
C’è
una sola ferita… un colpo rapido e preciso.
Intanto, un
po’ di anatomia dei draghi. Sia in forma umana che da
rettile, i draghi posseggono un organo cavo accanto al loro cuore. Lo
scopo di questa sacca è quella di produrre e conservare una
secrezione estremamente infiammabile se esposta all’aria. Le
fiamme che possono eruttare non sono altro che la vaporizzazione di
questa secrezione nel loro fiato. Ed è anche per questo che
ho sempre mirato a questa sacca, quando ho dovuto uccidere dei draghi.
La fiammata che ne scaturisce uccide il drago senza
possibilità di errore.
Come è
successo qui, del resto.
Ha le pupille strette.
Deve essere stato messo davanti a una forte fonte di luce.
Più forte di una lampada ad olio.
È morto di
notte, non ci sono dubbi, quindi, cosa può aver prodotto un
lampo così accecante? Non ci sono segni di uno
sparo…
Mi manca qualcosa.
Qualcosa scappa alla mia
comprensione.
E la Trama non accenna a
volermi aiutare, qui si sono intrecciati troppi destini
perché io possa, nel mio stato attuale, leggere cosa
è avvenuto.
Mi mancano i bei vecchi
tempi.
Ricapitoliamo quello che
so per certo.
Un drago è
stato ucciso.
Draghicidio.
Un solo colpo da arma da
taglio all’apparato del drago.
Qualcuno che sa cosa sta
facendo.
Zona poco frequentata.
Premeditazione?
Possibile.
Non ha rubato nulla.
L’uomo biondo fece alcuni passi, con gli occhi persi verso un
punto lontano.
Una volta che ha portato
a termine il draghicidio, cosa ha fatto?
Se ne è
andato, ma non lontano, era notte.
Drago, umano o elfo?
In ogni caso con le
tenebre non sarebbe riuscito ad andare lontano.
È salito
verso Gerala.
Mi sto avvicinando a
qualcosa.
Da dove è
salito?
- Tu. – disse l’ispettore voltandosi di scatto nel
suo completo marrone e indicando con l’indice affusolato la
giovane guardia che lo osservava – Il montacarichi
più vicino per Gerala, qual è? –
Il giovane rimase ancora per un attimo in silenzio con gli occhi che
saettavano da destra a sinistra e la bocca leggermente aperta,
nonostante non ne uscisse nessun suono.
- Il montacarichi del quartiere medico. – fu la risposta di
una delle guardie poste a controllare la salma. – Dovrebbe
essere a cinque minuti in quella direzione. –
- Ottimo. – disse l’ispettore biondo incamminandosi
nella direzione indicatagli – Potete portare via il corpo,
oramai non ha più nulla da dire. –
Il montacarichi del
quartiere medico.
È davvero
così vicino quell’affare?
Non sono abituato a
muovermi a piedi.
Eccolo lì
davanti, cinque minuti, più o meno.
Una volta salito deve
aver cercato un riparo per la notte… in uno dei quartieri
vicini. Non tutti sono così fortunati da avere una sorella
persa da anni con una casa in quel quartiere, no?
L’uomo passò il palmo della sua mano lungo il
corrimano del montacarichi.
Niente.
Non ha lasciato uno
straccio di prova che mi possa dire con cosa ho a che fare.
Qui a Gerala non ho
ancora finito.
Il marmocchio?
Non
c’è, ottimo, così farò prima.
I ricci biondi scomparvero, seguiti dal corpo e gli eleganti abiti
sottostanti.
Un nero corvo si levò verso il cielo, sbattendo un paio di
volte le ali per prendere quota, superare i ponteggi più
bassi della città e raggiungere lo strato intermedio, colmo
di gente che ne affollava le vie sospese.
L’uomo biondo raggiunse l’ingresso della
costruzione incenerita a passo svelto, mostrando alla guardie poste
davanti a questa la sua documentazione.
Sopra il suo capo, foglie imbrunite sventolavano sotto la leggere
brezza. Sotto le sue suole, le assi della piazzetta sulla quale
l’abitazione si affacciava erano state intaccate dal fuoco,
prima che l’incendio fosse domato.
L’ispettore si fece strada nel corridoio d’ingresso
appena riconoscibile, guardandosi intorno.
L’incendio
è partito dalla stanza di sinistra, quindi dovrò
cominciare dalle cucine, a destra.
L’uomo smosse i rimasugli della porta carbonizzata.
Davanti ai suoi occhi chiari, si presentarono quindici corpi
completamente carbonizzati, sdraiati l’uno accanto
all’altro come se qualcuno li avesse posti così di
proposito.
L’ispettore si chinò su ognuno di loro.
Non un solo drago.
E, tra
l’altro, sono stati tutti strangolati.
Questo non ha senso.
Chi sono?
Camerieri e cuochi.
La dichiarazione del
proprietario del ristorante parlava di tre cuochi e tredici
camerieri… mi manca un corpo. La stanza era prenotata per
quaranta persone… sarà una lunga mattinata.
L’uomo riccio uscì dalla cucina, per dirigersi
verso quel poco che rimaneva della sala da pranzo, occupata da pochi
rimasugli della mobilia in legno e da decine di cadaveri rinsecchiti e
carbonizzati, accartocciati su loro stessi per mimare malamente una
posizione seduta.
Finalmente, ho finito.
Quaranta cadaveri, dei
quali venticinque erano draghi. Doveva essere stato un matrimonio misto.
Sono tutti morti
bruciati… tutti tranne la festeggiata del giorno. Queste,
però, non è una ferita lasciata da un coltello,
è troppo larga.
Un paletto. In legno,
visto che non ne rimane traccia.
Manca un cadavere, un
cameriere si è salvato. Un uomo.
Sto facendo passi avanti.
L’assassino si
è fatto passare per un cameriere. Potrei risalire al nome
che ha lasciato, andando per esclusione dopo aver riconosciuto i
cadaveri di là… ma non credo mi sarà
di qualche utilità un nome falso.
Si è fatto
passare per un cameriere e a notte fonda ha pugnalato la sposa, un
drago, nella sua sacca del fuoco. La fiammata provocata è
uscita dal petto ed ha innescato l’incendio.
È lui.
È il mio assassino.
Ora, però,
devo capire come mai tutti gli altri non sono scappati. E i camerieri?
I cuochi?
Io sono un assassino,
sto lavorando con le vittime. Uccido poco a poco i camerieri, i cuochi
sono troppo indaffarati per rendersene conto. Arrivo al termine della
sera che ho ucciso tutti i lavoratori. Con i cuochi devo aver lottato,
oppure li ho attirati uno dopo l’altro in un'altra stanza,
per poi ucciderli man mano.
Ho poi messo i cadaveri
in un’unica stanza, prima di uccidere il mio obiettivo.
Perché?
Perché non
potevo accatastare quei quindici morti in un angolo?
Perché sono
innocenti, forse. Perché non sarebbero morti, se non fossero
stati qui.
Mi dirigo verso la sposa
con un paletto in legno in mano.
Nessuno dei presenti
tenta di fermarmi.
Cosa li trattiene?
Sono quaranta persone,
non posso legarli tutti senza che se ne rendano conto. E sono tutti
vivi.
E la sposa?
Il foro nel suo petto
è pulito, non si è dimenata, nonostante lui
l’abbia colpita da dietro, non potendo essere sul tavolo.
Li deve aver drogati.
Tutti.
Con cosa?
Il cibo.
Ma il cibo, uscito dalla
cucina, viene immediatamente preso da dodici vassoi diversi. Non
c’è il tempo di drogare tutte le porzioni.
L’uomo si sedette sui propri talloni, guardando il volto
irriconoscibilmente sfigurato di quella che doveva essere la sposta,
caduta scompostamente a terra.
Come?
Il bere.
Le bottiglie sono
facilmente accessibili.
Potrebbe funzionare come
modello.
Ora le domande
fondamentali si riducono a una sola. Cosa sto seguendo?
- Il signor Vander? - Un uomo in tenuta elegante comparve da dietro il
muro annerito che separava la sala da pranzo dall’ingresso,
ma subito scomparve, alla vista delle salme.
L’uomo alzò lo sguardo in direzione
della voce, riemergendo dal mare di riflessioni in cui era affogato.
- Arrivo. –
Che nome terribile che
mi hanno affibbiato, anzi, cognome. Questa forma, evidentemente, non ha
nemmeno un nome.
Vander…
comunque meglio di quel Comvia che mi era uscito sui Muraglia, quella
volta.
Bah, che brutti ricordi.
L’ispettore si rialzò dalla cenere, dirigendosi
verso l’impiegato che lo aveva chiamato.
- Cosa c’è? – chiese seccamente
l’uomo biondo, non appena l’elfo che lo aveva
cercato entrò nel suo campo visivo.
Era giovane, magro, le orecchie a punte erano quasi interamente celate
dai capelli lisci lunghi una spanna. Gli abiti che portava indosso non
lasciavano dubbi sul fatto che lavorasse in un ufficio governativo.
In mano, stretto tra le dita, teneva una busta di carta sigillata,
sulla quale svettava il sigillo del Giudice Maggiore.
Cos’altro
hanno trovato…
- Mi manda l’ufficio del Giudice Maggiore Fenter…
ho dei documenti per lei. –
L’elfo porse con uno scatto delle braccia la busta,
abbassando lo sguardo verso terra.
Non ho dimenticato di
nuovo qualcosa, vero?
Due occhi, una bocca, un
naso, due orecchie, i capelli.
Gli occhi sono dello
stesso coloro? Spero di si.
Non credo di essermi
dimenticato qualche piuma della mia forma da corvo.
Devono essere quei
cadaveri a fargli questo effetto.
L’ispettore prese i fogli con un gesto elegante.
- Puoi andare. –
L’elfo non se lo fece ripetere due volte, voltandosi e
correndo oltre l’uscio, quasi scappando da quel ristorante
carbonizzato.
Vediamo
cos’altro hanno per me… |