Capitolo
36
(LA
CLIENTE)
Danny
era estremamente grato di essere finalmente uscito dalla casa-laboratorio di
Mordecai, e con Uther lo spiava appena di sottecchi mentre camminavano
affiancati lungo la via quasi deserta, si stava godendo appieno tutto quanto:
dalla luce solare del tramonto estivo al caldo tepore d’essa sulla pelle, e
persino i rumori e gli odori di quel lato antico della città di Tairans che un tempo era stato più propriamente un
quartiere-ghetto ebraico, semplicemente perché persino quelli erano
inequivocabili segni di vita che scorreva tranquillamente attraverso le ore,
dimenticandosi sovente di contarle magari.
Rimase
piacevolmente stupito anche dalla domanda che gli rivolse Uther dopo un poco, giusto
perché gli dava segno che ora anche lui si preoccupava almeno di quel tanto di
verificare che tutto fosse abbastanza a posto relativamente alla loro effettiva
situazione di potenziale pericolo.
«Nessun
sentore di mezzi lupi, a parte te naturalmente, nelle vicinanze?»
E
Danny sogghignò appena tra sé e sé, perché naturalmente l’inspirare a pieni
polmoni l’aria esterna gli aveva chiaramente permesso di verificare anche
quello, e il risultato faceva parte appieno, viste le circostanze, del modo in
cui si stava godendo quella sorta di passeggiata.
«No.
A quanto pare non ci hanno ancora trovato.» rispose, con una certa dose di
soddisfazione.
«Ed
è perché siamo estremamente in gamba quando si tratta di seminare mezzi lupi,
oppure perché sono mezzi lupi con una capacità di seguire le tracce da due
soldi?» si informò Uther, con fare rilassatamente discorsivo, ma un sorrisetto
sogghignante sulle labbra.
Danny
sorrise di nuovo un poco. «Forse… semplicemente entrambe le cose.» commentò con
distratta tranquillità.
Nel
quieto silenzio che seguì, mentre continuavano a camminare con calma affiancati,
Danny si ritrovò a pensare alle ultime rassicuranti parole che aveva loro
rivolto Mordecai mentre li congedava: a riguardo di come avrebbe approfondito
ulteriormente la faccenda di ciò che gli avevano raccontato, si sarebbe fatto
venire alcune idee e avrebbe sviluppato alcune accurate analisi, e si sarebbe
recato da loro l’indomani per parlarne ancora e meglio. Si sentiva piuttosto
rinfrancato, anche se era difficile stabilire esattamente per che cosa al
momento: forse perché avrebbero avuto almeno un’altra opinione dalla loro,
oltre che un’altra persona che potesse concentrarsi sul problema con una certa
esperienza lucida e calma, o forse perché dopotutto e banalmente non sarebbe
più stato l’unico “esperto in fatto di mezzi lupi” nella faccenda lì presente a
Tairans, o ancora perché l’incontro fissato per
l’indomani con Mordecai non gli avrebbe richiesto di ritornare in quella stanza
piuttosto buia e dalle pareti e soffitto cosparsi di ritratti. Rabbrividì al solo
pensiero, e Uther parve accorgersene.
«Ancora
mi sembra incredibile… che dopo tutto quello in cui siamo incappati come ‘4 di picche’, tu possa essere così impressionato da dei…
ritratti.» osservò, come se gli avesse letto nel pensiero, o come se avesse
giusto intuito il motivo di quel suo rabbrividire inquieto.
Danny
lo guardò per un breve momento. «Anche a me, a dire la verità. Ma era come… una
sensazione per contrastare la quale non riuscivo a fare niente. Forse è solo
come ha detto Mordecai. Forse è solo una questione puramente istintiva da mezzo
lupo…» commentò infine, alzando le spalle.
Gli
sembrava quasi superfluo, ora, starne a ricercare troppo motivo e significato,
quando non doveva più subirla nel presente o nell’immediato futuro.
«Anche
se… a ripensarci…» aggiunse tuttavia «Preferirei credere che Mordecai sia solo
una specie di visionario, o che stesse mentendo, magari semplicemente per
prenderci in giro o qualcosa del genere.»
Uther
emise un leggero verso divertito. « È quello che ho
pensato all’inizio. E comunque non è da escludere del tutto. Ma… dopo un po’ ho
avuto la sensazione che facesse sul serio. Anche se probabilmente ci sono molti
modi per poter creare quell’effetto di luci e tutto il resto, e chi inganna le
persone per mestiere recitando la parte a dovere per farsi pagare, beh, di
solito sa abbastanza il fatto suo da risultare credibile. Però… se così fosse,
sarebbe strano che tu ti sia sentito così a disagio, no? Insomma, ne abbiamo
visti di tizi e tizie che si presumevano chissà cosa, e aldilà dello
scetticismo di cui abbiamo sempre fatto tesoro nelle nostre… già, sortite da ‘4
di picche’… beh, tu stesso hai detto che non avevi
mai provato nulla del genere prima. A meno che non sia solo l’effetto postumo
di quella roba che ci ha dato da bere il falso Mordecai. O forse quello vero
non ci ha narcotizzato ma ci ha dato qualcosa che ha aumentato in qualche modo
la nostra soggezione, e tuttavia non quadrerebbe col fatto che ti sei sentito
così già prima di bere il secondo tè, oppure che io non mi ci sia affatto
sentito a quel modo.»
Danny
ora lo stava fissando, sinceramente incuriosito. Raramente aveva sentito Uther
dilungarsi così tanto in qualche discorso, e non poté fare a meno di
sospettare, visto il comportamento dell’altro negli ultimi giorni, che ci fosse
qualcosa sotto.
Uther
registrò il suo sguardo con un solo breve e fugace spostamento delle pupille.
«Ma comunque, visto che si presume ci dovrebbe dare una mano, sarebbe meglio
decidere una volta per tutte se pensiamo che sia un visionario completo oppure
qualcuno che sa quello che fa.» osservò allora semplicemente, permettendo a
Danny di cogliere il punto.
Danny
notò allora che Uther sembrava decisamente più propenso ad accogliere
finalmente la prospettiva di chiedere aiuto a qualcuno in generale, e
soprattutto a qualcuno che non avesse fatto parte dei ‘4 di picche’;
e sperò intensamente che non fosse quello
ad essere solo un effetto postumo del narcotizzante. L’altra opzione, era che
semplicemente Uther avesse apprezzato le prime impressioni a riguardo di
Mordecai, il che, se da un lato poteva rendere molto più facile collaborare col
necromante, dall’altro lato non lo entusiasmava
particolarmente, se non altro perché in fondo continuava a preferire aspettare
l’arrivo di almeno Kumals.
Danny
sospirò appena e alzò brevemente le spalle, commentando solo «Se non altro,
almeno non dovrò tornare là dentro, non a breve perlomeno.»
Uther
si limitò ad emettere un piccolo sornacchio divertito a mo’ di commento.
Dopo
qualche altro minuto di silenzio, Danny esclamò di punto in bianco «Ecco chi mi
ricorda!»
Uther
gli gettò uno sguardo sorpreso, alzando appena le sopracciglia, tra l’ironico e
il complicemente divertito. «Chi? Mordecai?»
Danny
lo guardò con quell’ingannevole convinzione, data da eccessivo entusiasmo, che
chiunque a cui ci si stia rivolgendo stia automaticamente capendo
immediatamente di che cosa si sta parlando. Annuì in fretta per confermare, e
aggiunse con una certa vittoriosa soddisfazione «Quel personaggio di quella
serie… ‘Buffy the Vampire Slayer’*…
come si chiamava, accidenti…?»
Uther
sbatté appena le palpebre, continuando a fissarlo con un sorrisetto ancora più
divertito ma anche più significativo, e di colpo Danny parve imbarazzato come
se avesse realizzato qualcosa.
«Beh…
ne ho vista qualche puntata dal Conte…» spiegò Danny, passandosi una mano
dietro la nuca, decisamente meno entusiasta «Sai, lui mira a collezionare tutta
la filmografia, bibliografia e via dicendo che tratti di vampiri… Non poteva
mancargli quella serie televisiva… Anche se la sua opinione in proposito è che
tratti del vampirismo in maniera troppo puerile per la maggior parte del
tempo…»
«Stai
cercando una giustificazione, Danny?» gli chiese Uther, sogghignando appena
sotto i baffi.
Danny
gli lanciò un’occhiata e crollò le spalle, prima di borbottare «Hum… sì, decisamente sì.»
Uther
ridacchiò appena e sommessamente, e dopo qualche istante e un lieve sospiro, disse
solo una parola «Doc.»
Danny
lo spiò come se sospettasse di aver sentito male. «Come?»
Uther
fece una vaga smorfia di tenue sorriso, tra il rassegnato e il dolentemente
ironico. «Mi sembra di ricordare che il personaggio a cui ti riferisci si
chiamasse Doc. A meno che non mi confonda con la serie di ‘Ritorno al
futuro’**» aggiunse, fingendo brevemente una scherzosa espressione riflessiva
come se il dubbio fosse davvero così significativo.
Danny
rimase per lunghi istanti in silenzio, guardandolo fisso e trattenendosi solo
in parte dallo sbattere le palpebre per lo stupore e, probabilmente, per lo
sforzo di cercare di comprendere meglio dallo studio dell’espressione
dell’altro quanto stesse cercando di prenderlo in giro.
Alla
fine Uther sospirò di nuovo e ammise a sua volta «Anch’io ne ho viste diverse
puntate di quella serie.»
Danny
continuò comunque a cercare sospettosamente qualche accenno di ironia bugiarda
nella sua espressione, pur sapendo che quando Uther voleva mentire, anche solo
a scopo ludico, lo sapeva fare perfettamente.
Ed
Uther aggiunse, senza attendere la domanda ma come se l’avesse perfettamente
intuita dalla sua espressione «Me le ha propinate Kumals,
sostenendo che avessero un contenuto potenzialmente istruttivo.»
Danny
aggrottò un poco la fronte, in un incerto e ancora più sospettoso sforzo di
concentrazione interrogativa. «Qualcosa di… ‘istruttivo’?» ripeté, perplesso.
Uther
gli gettò un’occhiata con un sorrisetto di compunta rassegnazione piuttosto
divertita, continuando a camminare con le mani in tasca. «Quando mi sono
rifiutato di vederne altre puntate e ho insistito nel chiedere a Kumals che cosa ci fosse mai da poter “imparare” guardando
quella roba, mi ha detto… ‘Chiaro! E’ pieno di
vampiri. Ed ecco, rappresenta benissimo come non sono i vampiri. Sono molto peggio!’»
Danny
osservò la smorfia sempre rassegnata ma ora anche abbastanza infastidita di
Uther, e non sapendo se tutto quello gli faceva più venir da ridere o da
abbandonarsi ad una nuova incredulità riguardo a Kumals
e al suo pretendere di aver visto dei “veri” vampiri, si risolse a dire «Non fa
una piega, almeno secondo Kumals. Io non ho mai visto
dei vampiri “veri e propri” comunque… ma a me Kumals
ha detto che non potrei nemmeno averne sentito l’odore, dal momento che
sostanzialmente non ne hanno alcuno, non proprio, tutt’al’più riflettono gli
odori di ciò che sta loro intorno…»
Uther
alzò appena le spalle. «Non so nemmeno se esistono i vampiri, al di fuori delle
affermazioni di Kumals. Potrebbe essere solo uno dei
suoi modi di scherzare...»
Danny
sorrise un poco tra sé e sé, tutto sommato affettuosamente. «Potrebbe
tranquillamente essere così.» commentò semplicemente, prima di lasciar cadere
un silenzio che, con sua stessa sorpresa, suonò decisamente più confortevole di
tutti gli altri che c’erano stati tra lui e Uther negli ultimi giorni.
Dopotutto,
l’inattendibilità voluta di Kumals quando decideva di
prendersi gioco di qualcuno di loro poteva benissimo essere un punto sul quale
concordare senza bisogno di spendervi troppe parole.
***
Una
volta accomiatati i suoi due ospiti, Mordecai tornò nella stanza più ampia del
piano terra della sua casa, che fungeva sia da sala ricevimento dei clienti che
da laboratorio e cucina, e si lasciò cadere su una delle poltrone radunate
attorno al tavolino con una leggera dose di abbandono e un po’ meno di quella
compunta precisione chirurgica con la quale solitamente eseguiva ogni
movimento.
Pur
se non aveva nemmeno gettato un’altra occhiata nella confusione di oggetti che
regnava ancora per la stanza, provocata dal “fantoccio” che aveva avuto anche
la malaugurata idea di imprigionare i suoi due nuovi conoscenti nonché amici e
colleghi di Kumals, si sarebbe detto che il lungo e
tutto sommato comunque calmo sospiro rassegnato che emise dopo un poco fosse
dovuto proprio a tutto quello.
Dopo
essersi limitato ad osservare per qualche lungo silenzioso momento semplicemente
il tavolino davanti a lui, emise un altro genere di sospiro, più breve e
paziente, e si raddrizzò meglio con la schiena sulla poltrona, che avvicinò nel
contempo al tavolo. Una volta assunta quella posizione più elegantemente
composta, si tolse gli occhiali dalla montatura sottile, e iniziò a pulirne
meticolosamente le lenti con un fazzoletto che si era tratto dal taschino della
giacca del suo completo. Gli occhi chiusi e un’indecifrabile espressione di
tranquilla meticolosità dipinta sul volto, sarebbe stato incerto dire se si
stesse rilassando e recuperando calma e concentrazione, oppure ordendo chissà
quali complicati piani.
Quando
ebbe risistemato occhiali e fazzolettino da taschino accuratamente ripiegato al
loro posto originale, riaprì gli occhi, lo sguardo calmo e concentrato con un
che di professionale e abituato, apparentemente rivolto a nulla in particolare.
Sollevò quindi le braccia, piegandole, e appoggiò le mani aperte e a palmo in
giù sulla tovaglia del tavolino, dicendo solo, apparentemente rivolto solo al
quieto silenzio della stanza che lo circondava – silenzio che eppure sembrava
vibrare di qualcosa di sottile in attesa, che pizzicasse l’aria appena e con la
grazia di un delicatissimo suonatore di qualche strumento a corda lieve come
una sorta di arpa: «Molto bene.»
Come
se quelle parole costituissero in realtà una specie di formula magica, davanti
a molti dei ritratti che ricoprivano le pareti e il soffitto della stanza le
lucine iniziarono a riaccendersi, qualcuna fiocamente e timidamente, qualcuna
più energicamente, altre con un ché di compassata lentezza elegante.
«Prima
di tutto… avrei bisogno di rivolgervi una domanda. E prima di tutto vorrei
parlare con chi saprebbe darmi una risposta.» annunciò allora Mordecai, la voce
tranquilla e perfettamente piana, eppure anch’essa, come se fosse perfettamente
adattata all’atmosfera di quella stanza tanto da appartenervi per qualità
innata, lievemente vibrante di qualcosa che poteva solo a malapena sembrare
un’emozione pacata, ma soprattutto un’acuta e sensibile intelligenza accorta.
Il suo sguardo era ancora rivolto dritto davanti a sé, come se non stesse
guardando nulla di particolare, o come se stesse fissando dritto dritto nei suoi stessi pensieri, o forse in qualche mondo
altro.
Alle
sue parole, quasi tutte le lucine che si erano accese o che si andavano
accendendo parvero emettere qualche bagliore lievemente diverso, come una sorta
di risposta, o come se fossero state pervase da una specie di incuriosita
attenzione.
Sebbene
non le stesse affatto guardando, Mordecai annuì lentamente e brevemente, in
qualche modo con un che di grato e gentile, come se le sue aspettative di mutuo
rispetto avessero trovato la soddisfazione che si aspettava, con fiducia ma
anche una certa severità paziente e ferrea.
«La
domanda è questa: che cosa sta succedendo qui?»
Le
lucine davanti ai ritratti vibrarono di nuovo di una diversa moltitudine di
accendersi o spegnersi, di accentuarsi o affievolirsi, come se tra quella folla
d’esse si fosse diffuso una sorta di intenso chiacchiericcio. Mordecai rimase
fermo e in silenzio, perfettamente calmo e impassibile come una sfinge, o come
un gatto infinitamente paziente capace di attendere per ore prima di decidersi
a spiccare il balzo decisivo su una preda adocchiata. Pareva si fosse
dimenticato del tempo che scorreva, o che per lui avesse perso di importanza,
come se si basasse su altri calcoli tutti suoi. Se qualcuno glielo avesse
chiesto – e una volta Kumals lo aveva fatto con la
sua intrattenibile curiosità piena di candore apparente – Mordecai avrebbe
risposto solamente: ci vuole una pazienza quasi inimmaginabile con chi non
appartiene più del tutto e interamente al mondo dei viventi.
Dopo
lunghi minuti di svariate danze di lucine lungo le pareti e il soffitto della
stanza, che avevano disegnato un susseguirsi di sfumature luminose e
chiaroscuri sui lineamenti sempre immobili di Mordecai, qualcosa sembrò
cambiare nel loro agitarsi. Iniziarono a spegnersi: qualcuna più nettamente e
d’improvviso, qualcuna affievolendosi molto lentamente, qualcuna con una
singolare indecisione di riaccendersi e spegnersi, ma indubbiamente quelle che
rimanevano accese erano sempre di meno. Mordecai non parve cogliere la cosa con
nessuna reazione anche solo della sua espressività facciale: era ancora
semplicemente come se attendesse con infinita pazienza e nulla lo potesse turbare,
né tantomeno stupire; o forse, si aspettava che sarebbe accaduto esattamente
quello.
Dopo
qualche altro tempo, una sola lucina rimase accesa, mentre tutte le altre si
erano definitivamente spente. Mordecai rimase comunque fermo per svariati altri
minuti, come se stesse cercando di vincere assolutamente e con larghissimo
vantaggio una sorta di gara a chi dimostrava la maggior assenza di
sollecitudine o impazienza, o qualsiasi altro genere di emozione.
Solo
dopo lunghi altri minuti, finalmente Mordecai si mosse di nuovo. Si alzò dalla
sedia, e si girò su se stesso, camminando con calma
fino al piano cucina che occupava una piccola parte del lungo bancone, e una
volta raggiuntolo iniziò a scaldare l’acqua per preparare un tè. Quella che in
altro contesto sarebbe sembrata un’azione assolutamente ordinaria, per qualche
motivo che probabilmente aveva molto a che fare con un’impalpabile lieve
sensazione che chiunque fosse entrato nella stanza non avrebbe potuto fare a
meno di percepire, o forse anche per la meticolosa estrema tranquillità e
precisione con cui Mordecai la stava eseguendo, aveva un che da rituale
particolarmente importante e segreto. Quando Mordecai constatò che l’operazione
sarebbe risultata un poco più impegnativa del previsto per via della confusione
disseminata dal fantoccio che per settimane aveva messo a soqquadro la sua
abitazione pretendendo di essere lui, uno dei suoi sopraccigli si incrinò
appena, intaccando solo per un fugacissimo istante la sua espressione per il
resto neutra ed estremamente nonché impassibilmente tranquilla.
Una
voce si udì nella stanza alle sue spalle, poco dopo quella minima perturbazione
della sua espressione, e la commentò come se chi parlava avesse potuto
coglierla perfettamente nonostante lui desse le spalle al resto della stanza. «Davvero
sgraziata creatura, quella che deve aver scombussolato con tanto caos insensato
la sua casa.» disse la voce, come se avesse perfettamente inteso, e non avesse
dubbi su questo, che cosa stava infastidendo Mordecai.
Questi
inclinò appena un angolo delle labbra, in un sorriso leggero e colmo di un
sentimento ambiguo, tra la distanza imperturbabile e il sincero affetto, lo
sguardo diligentemente abbassato sull’acqua disposta sulla fiamma all’interno
di un contenitore, sebbene non vi fosse alcun bisogno del suo intervento per i
prossimi minuti, finché l’acqua non fosse giunta alla temperatura di
ebollizione.
«Ero
sicuro che anche lei avrebbe trovato riprovevole questa confusione, signorina Azaziel***.» si limitò a rispondere Mordecai, la voce così
tranquilla che pareva stesse parlando in qualità di esperto ad un corso di come
esprimersi il più neutralmente possibile.
Dopo
lunghi istanti di silenzio, la voce si fece udire di nuovo. Era una voce
femminile, piuttosto bassa d’intonazione, e dal suono ottuso come se provenisse
dall’altra parte di una qualche parete frapposta, e il ritmo delle parole aveva
qualcosa di indefinibilmente singolare. Per il resto, tuttavia, sembrava una
voce d’impronta arguta e colloquiale.
«Per
quello che ne posso ritenere, quella creatura capace di tanta maleducata
intromissione ha meritato in pieno ogni cosa che le è accaduta.»
Di
nuovo un angolo delle labbra di Mordecai si inclinò in un lievissimo accenno di
sorriso, troppo fugace e minimale per poterne cogliere appieno la corretta
sfumatura, che era tuttavia diversa dalla precedente, e aveva qualcosa di più
familiare, appena divertito, e tuttavia severo. «Suvvia, Azaziel.
Non spetta certo a lei dare certi giudizi.» osservò molto cortesemente.
Dopo
un altro lungo silenzio, la voce replicò con un lieve accenno di ironia «Oh, e
a chi spetterebbe dunque? Conosco la sua risposta, Mordecai. ‘A nessuno.’
direbbe certamente lei. E qualcosa come ‘ogni volta che sprechiamo un giudizio
è come dunque se rubassimo qualcosa che non ci appartiene’. Ma dal momento che
è qualcosa che non appartiene a nessuno, come sarebbe possibile rubarlo?»
Mordecai
non rispose, ma il silenzio sembrò tuttavia calare con naturalezza, come se
fosse esso stesso una risposta in qualche modo. Si limitò a finire di preparare
il tè, prima di girarsi di nuovo su se stesso con due
piattini in mano, ognuno recante la sua tazza e il suo cucchiaino e una zolletta
di zucchero bianco.
C’era
una figura seduta ad una delle sedie del tavolino, ma Mordecai evitò
accuratamente di guardarla direttamente come se fosse sua precisa intenzione,
sebbene dovesse pur intravederla almeno con la coda dell’occhio, mentre si
avvicinava e appoggiava le due tazze una proprio
davanti alla figura e una davanti alla sedia sulla quale poi lui stesso si
accomodò con garbata eleganza di movimenti calmi.
La
donna non si mosse di un solo millimetro.
Che
fosse una figura femminile si poteva appena dedurre solo da alcuni tratti della
sagoma intuibili al di sotto dell’abito: un prodotto di sartoria che sembrava
risalire a fine ‘800 o forse primi ‘900, foggia inglese e stile vittoriano,
completamente nero e inequivocabile nel suo essere un vestito da lutto, adatto
per partecipare in modo adeguato in quell’epoca e in quella latitudine del
globo ad un funerale se si era una delle parenti più strette di chi era
defunto. La pesante stoffa nera ricopriva completamente la figura celandola
completamente, poiché le mani erano coperte da un’accoppiata di guanti e il
capo da un cappellino dotato di un velo di pizzo nero che spioveva a tendina da
tutta la lunghezza della circonferenza della tesa, la lunga gonna si
drappeggiava fino al pavimento, e da sotto i lembi di quest’ultima spuntava
appena la punta di scarpe chiuse. Il tutto dava l’impressione di essere stato
acquistato in blocco in piena era vittoriana da un negozio inglese dalla
rinomata clientela elegante e generosamente rifornita nella cultura oltre che
nel portafoglio; e il tutto era della stessa identica tonalità di nero profondo
e indiscutibile.
La donna
continuò a restare così completamente immobile che sarebbe potuta benissimo
esserci in realtà una statua di cera al di sotto di quell’abito, tanto più
perché era un’immobilità che aveva qualcosa di non esattamente adatto ad un
vivente. Solo uno sguardo particolarmente acuto e preciso sarebbe forse stato
in grado di scovare il particolare che rendeva quell’immobilità così
innaturale, perché era assai difficile riuscire a scorgere, al di sotto dello
spesso strato di stoffa confezionata per non essere troppo sconvenientemente aderente,
la totale assenza a livello del busto dei movimenti prodotti dalla respirazione.
Mescolando
lentamente il tè nella sua tazza dopo avervi immerso la zolletta di zucchero,
con lo sguardo sempre abbassato sulla tazza e mai rivolto alla figura seduta
quasi perfettamente di fronte a lui, Mordecai rimase ancora un poco in un
quieto silenzio, in qualche modo grave e riflessivo, prima di parlare di nuovo.
«Lei
sa bene, signorina Azaziel, quanto io tenga in grande
considerazione il nostro discorrere a proposito di qualsiasi argomento possa
essere di comune interesse. Tuttavia, in questo momento c’è una questione a
proposito della quale mi premerebbe in modo particolare confrontarmi con lei,
avendo, come sempre ho, grande stima della sua opinione su qualsiasi faccenda,
e in particolar modo quando si tratta di un argomento come quello di questa
portata.»
Dopo
qualche momento, la figura mosse un braccio con lenta calma, portando la mano
guantata alla tazza, prendendola per il manico e sollevandola per portarsela al
volto. Se qualcuno avesse guardato direttamente la tazza, avrebbe notato uno
strano fenomeno e avrebbe sospettato di avere le allucinazioni, ma a giudicare
dal suo contegno si sarebbe detto che il signor Mordecai, nonostante non stesse
in effetti fissando direttamente il movimento, fosse perfettamente consapevole
di quello che doveva pur stare cogliendo con la coda dell’occhio, e che lo
trovasse perfettamente consueto. L’immagine della tazza vibrò e, mentre la mano
guantata della donna la prendeva e sollevava, si sdoppiò effettivamente, come
se fossero di colpo diventate due tazze perfettamente identiche: una rimase al
suo posto sul piattino, mentre l’altra, che pareva uscita dal corpo della
prima, seguì il percorso verso il viso velato della donna, stretta nelle sue
dita guantate e ottimamente piegate in modo da impugnarla secondo un certo
costume di etichetta, il dito mignolo dritto e sporto all’infuori.
La
donna tenne sospesa la tazza per qualche momento di fronte al suo viso, poi la
riappoggiò sul piattino, senza che si udisse nemmeno un accenno del tintinnio
che comunemente produce questo gesto.
Se
qualcun altro avesse assistito a quella singolare scena, avrebbe potuto dedurre
due cose. La prima apparteneva alla categoria di cose che può capitare di
vedere forse a qualcuno nel corso della sua vita e, salvo la possibilità di
decidere fermamente di avere le traveggole, bisogna in qualche modo venire a
patti col fatto di averle pur viste, che piaccia o meno: quella figura
ammantata di nero si era portata al volto non la tazza vera e proprio poggiata
davanti a lei, bensì una sorta di fantasma della tazza stessa. La seconda era
una valutazione molto più semplice di cui prendere atto: la tazza da tè era
completamente vuota. E così Mordecai stesso l’aveva servita alla sua ospite,
ovvero senza versarvi del tè. Questo, non certo perché Mordecai fosse solito
giocare scherzi o essere volutamente maleducato con i suoi ospiti, tutt’altro:
sapeva bene che cose come fissare direttamente la figura di certi suoi ospiti,
od offrire loro vero cibo o bevanda, era quanto di più maleducato e indelicato
si potesse fare nei loro confronti.
Da
dietro il pizzo nero che celava completamente il volto della figura provenne il
suono di un piccolo e delicato schiocco di labbra, tipico di chi gusta qualcosa
con piacere. E poco dopo la signorina Azaziel disse
«Mordecai, lei vuole lusingarmi? Mi offre il mio tè preferito e così tanti
complimenti, quando sa perfettamente che anch’io adoro conversare con lei e la
avvertirei di ogni eventuale pericolo che potrebbe toccare da vicino lei, i
suoi interessi, o le persone a cui tiene.»
Mordecai
sorrise leggermente ed in modo talmente sussiegosamente composto da risultare
pressoché ingessato. Tuttavia, dalle piccole rughe che si intravidero
discretamente ai lati dei suoi occhi, si sarebbe detto un accenno di sorriso
estremamente sincero.
«Lei
mi conosce, signorina Azaziel. Non è certo perché
dubito della sua leale amicizia nei miei confronti che ci tengo ad essere
particolarmente gentile con lei, in queste nostre conversazioni. Ma temo, da
quello che ho appreso nelle ultime settimane, e dalle informazioni che lei
stessa ha potuto raccogliere, che la situazione sia sempre più complicata e
pericolosa. Il disegno che si sta disvelando, mano a mano che un evento si
aggiunge ad un altro, e che molti altri accadono al di sotto della superficie
della spudorata eloquenza già da prima che io, o qualcun altro che possa darvi
la giusta attenzione e il giusto peso, ne veniamo a conoscenza, lascia
intendere che saremo messi di fronte a un pericolo serio e grave. E mi rendo
perfettamente conto in tutto questo che lei, signorina Azaziel,
sta compiendo da settimane un notevole sforzo nel rimanere così concentrata
sugli eventi che si stanno muovendo su questo piano dell’esistenza al quale
anch’io appartengo. Così come mi rendo perfettamente conto che nulla la
costringerebbe a farlo, tanto più considerando quanto per lei sia stancante.»
Per
qualche lungo momento seguì solo il silenzio alle parole di Mordecai; ma egli
attese senza alcun segno di dubbio o inquietudine o impazienza, come se potesse
attendere anche per sempre. Semplicemente attese, come se qualsiasi cosa fosse
successa sarebbe stata da lui accolta semplicemente come tale, e come se anche
se non fosse accaduto nulla e tutto il resto dell’eternità fosse rimasto
congelato in quell’istante comunque non avrebbe rappresentato per lui un grave
problema. Una delle cose che quel genere degli ospiti di Mordecai non tollerava
assolutamente era la mancanza di pazienza; per loro sembrava essere alla
stregua di dimostrare nel modo più infimo e terribile possibile quanto non li
si rispettasse, e su un piano di gravità tale che ‘prenderla sul personale’
sarebbe stato un pallidissimo eufemismo.
Quando
parlò di nuovo, la signorina Azaziel lo fece con tono
particolarmente calmo e attento, e tuttavia c’era in sottofondo una nota di
lieve divertimento cristallino, come se appartenesse alla creatura più
innocente e candida del mondo, e allo stesso tempo impersonale come se fosse lo
stesso tipo di divertimento che avrebbe potuto scorrere sulla superficie di
un’anima genuinamente capace secondo propria natura di uccidere chiunque senza
provare alcun tipo di emozione a riguardo.
«La
ringrazio per la sua cortesia, Mordecai. Ma bando alle formalità, mio caro. Sa bene
che questo genere di cose tendono a divertirmi un poco, a loro modo. È ormai
chiaro che una trama così complicata e articolata non può che essere stata
ordita da qualcuno che sa il fatto suo molto bene. Da più d’uno, in realtà.
Tuttavia, aldilà della mia ammirazione per cotanto ingegno… ecco: questa
confusione che ha fatto qui quella creatura di terracotta e i suoi pasticci… mi
lasciano profondamente turbata. Voglio dire, questo sembra un vero spreco
d’ingegno. E io deploro le sbavature così conclamate e distratte quando si
tratta di un lavoro che andrebbe eseguito nel modo più preciso possibile.»
La
signorina Azaziel tacque, e con molta eleganza
riprese la tazza dal piattino e se la portò di nuovo davanti al viso. Tutto
avvenne esattamente come prima, a riguardo della tazza fantasma e del tè che
non c’era, e per via dell’imperturbabilità di Mordecai, che continuava a non
fissare mai direttamente la figura e sembrava perfettamente abituato a quel genere
di scena. Non meno abituato appariva a quel genere di discorsi, a come
tendevano a perdere il filo e a prolungarsi e diluirsi. La concezione che certi
suoi ospiti avevano del passare del tempo era molto diversa da quella di un
completamente vivente, e così lo era il modo di pensare e di parlare e di
esprimersi, soprattutto a riguardo di un certo filo logico di argomenti. Ma
sapeva bene che la signorina Azaziel aveva voluto a
suo modo rifondare un punto non indifferente, e che in qualche modo gli aveva risposto
esattamente.
Se
da un lato nel ‘detto e non detto’ di quella loro
conversazione Mordecai le aveva indirettamente chiesto se lei fosse disposta ad
aiutarlo ancora da lì in poi con una certa costanza, d’altra parte lei gli
aveva ricordato a chi lo stava chiedendo. Ad una donna che, quando era stata
completamente in vita, e quando ancora non si faceva chiamare Azaziel, era stata capace di uccidere il marito diluendo
con pazienza per molti mesi minuscole dosi di veleno nel tè che gli preparava,
e in seguito di presentarsi al suo funerale immedesimandosi completamente e
senza alcun problema nella parte dell’affranta vedova. La signorina Azaziel, nome col quale aveva scelto di farsi chiamare da
Mordecai, quando era ancora in vita era stata condannata e giustiziata per
quell’assassinio solo diversi anni dopo, quando, dopo aver viaggiato in ogni
parte del mondo fino a esaurire tutto il suo patrimonio, si era presentata in
un commissariato di Scotland Yard a Londra dichiarando tranquillamente di aver
assassinato il marito anni prima e spiegando come lo aveva fatto. Una sola cosa
si era sempre rifiutata di dire: il perché. E una sola cosa aveva sempre
negato: di aver mai anche solo ritenuto di doversene pentire.
Mordecai
aveva appreso l’intera storia solo da una discendente del marito ucciso, una
pronipote che credeva abbastanza in cose non del tutto terrene da rivolgersi a
lui per chiedergli di contattare quella che poi si sarebbe fatta chiamare
signorina Azaziel, per chiederle perché avesse
assassinato il marito. In una sola conversazione con Mordecai, la signorina Azaziel gli aveva perfettamente fatto intendere che se non
lo aveva mai detto quando era ancora completamente in vita il motivo del suo
gesto, di certo non lo avrebbe nemmeno detto in quel momento, né mai. L’unica
cosa che aveva detto che Mordecai poteva riferire alla giovane donna che si era
scomodata così tanto per sapere perché avesse ucciso il marito era stata:
‘Perché se l’era pienamente meritato.’.
Da
quel momento in poi, Mordecai aveva qualche volta invitato di nuovo la
signorina Azaziel per una conversazione semplicemente
perché, come a volte accadeva con alcuni dei suoi clienti non più completamente
viventi, trovava interessante discorrere con lei. Solo in seguito si era
accorto che la signorina Azaziel era particolarmente
brava a celare estremamente bene una notevole e arguta intelligenza, nonché una
grande capacità, che solo pochi non completamente viventi mostravano, di
percepire con particolare sensibilità e acutezza alcune delle cose che
accadevano sul piano dei completamente viventi. Che riuscisse a comunicarle a
lui in maniera del tutto comprensibile era tutt’altra questione, poiché per i
non completamente viventi tradurre in pensieri logici e parole di linguaggio
dei viventi ciò che percepivano era particolarmente arduo. D’altro canto, era
qualcosa che toccava loro fare solamente quando comunicavano con un
completamente vivente, e per tutti coloro che occasionalmente dialogavano con
Mordecai questo poteva avvenire solo ed esclusivamente quando comunicavano lui.
Una delle regole fondamentali delle arti di un necromante
era che i non completamente vivi coi quali dialogasse non stessero comunicando
con nessun altro completamente vivente, per evitare che essi diventassero un
mezzo per sapere cose gli uni degli altri tra completamente viventi, o per
dirgliele, o per scoprirle. Era un principio insradicabile nell’arte di
Mordecai, quello di non sfruttare mai i suoi clienti non completamente viventi
per nessuno scopo.
Ma
la signorina Azaziel era ‘la’ cliente. Quella che gli
aveva detto, in una delle loro prime conversazioni, che lei stessa avrebbe
finito per approfittare invece di lui, del suo permetterle di percepire alcune
cose che accadevano nel piano dei completamente viventi. ‘Per non annoiarsi’
aveva detto. E tempo dopo, in una delle altre poche ma importanti occasioni in
cui Mordecai le aveva chiesto opinioni a riguardo di faccende del mondo dei
completamente viventi, poiché chiedere direttamente informazioni non era
qualcosa di accettabile, e in ogni caso sarebbe stato pericoloso considerando
le qualità dei non completamente viventi di finire per forza per storpiare –
volutamente o involontariamente – ogni cosa percepissero in quel piano di
realtà alla quale non appartenevano più in nessun modo, la signorina Azaziel aveva aggiunto ‘Si è mai chiesto, signor Mordecai,
se non sia più lei il mio cliente, che io la sua cliente? Ma vede, lo scambio
diventa dunque paritario. Lei può avere le mie opinioni, e io posso non
annoiarmi.’
In
qualche modo, quelle poche parole sembravano aver sancito tra loro una sorta di
accordo che, sebbene potesse essere reciso da entrambi in qualsiasi momento,
aveva sempre avuto una natura in qualche modo solenne. Così, ogni loro
conversazione pareva un incontro molto educato tra due sfingi che sanno
benissimo che muovendosi potrebbero scatenare potenzialmente una tempesta di
sabbia, che nulla le potrebbe trattenere dal muoversi se solo lo volessero, che
potrebbero decidere di scatenare la tempesta anche solo per capriccio
momentaneo, e tuttavia continuano a non farlo per inspiegabile motivo, e per
altrettanto intangibile motivo continuano semplicemente a dialogare come se,
facendolo, si incantassero reciprocamente l’una del discorso dell’altra.
«Temo
che la situazione si complicherà ulteriormente, purtroppo.» disse ancora la
signorina Azaziel, di punto in bianco. Il suo tono
era talmente scevro di ogni ombra di sentimento che non avrebbe potuto che suonare
inquietante.
Mordecai
nascose perfettamente la sua curiosità, e si limitò a prendere un altro sorso
di tè con aria compassata.
«E
sono sicura che lei ne è perfettamente consapevole, Mordecai.» proseguì la
figura ammantata di elegante nero d’altri tempi.
Dopodiché,
Mordecai la notò alzare molto lentamente un braccio, aprendo la mano e
tenendola sospesa a mezzaria, le dita guantate che si muovevano appena, come se
stessero accarezzando invisibili figure nell’aria. Il tono con cui parlò di
nuovo pareva più assorto, in una concentrazione fredda. «Questo è solo la
superficie. La trama è ben più profonda. Le forze che si stanno concentrando
non sono di quel tipo che possano essere strette nelle maglie della logica
volontà. Non sono ammaestrabili, in nessun senso, in nessun caso. Sarebbe
sciocco pensare il contrario. Ma chi sta ordendo trame per liberarle usa
appieno la sua logica dal punto di vista strategico. E… »
La
mano guantata si spostò seguendo il comando del braccio, girandosi finché non
fu sommariamente diretta verso la terza sedia vuota presso il tavolino.
Mordecai seguì il gesto con la coda dell’occhio con meticolosa attenzione, lo
sguardo attento; nonostante dalla sua espressione compunta non stesse
traspirando molto più che una cortese attenzione, si era dimenticato di
smettere di tenere le dita di una mano attorno all’impugnatura della tazza di
tè, sebbene non stesse più bevendo.
«…è
come se la morte si stesse concentrando. Una nuvola scura all’orizzonte. Di
profondità insondabile. Questo è solo il tuono prima della vera e propria
tempesta. Bazzecole, per dirla in altro modo.» proseguì la signorina Azaziel. «La morte… ha una natura molto profondamente
radicata. La natura di morte, la reca chi sedeva in questa sedia poco fa.
Quella creatura reca due nature doppie, di vita e di morte. Saprebbe
riconoscere a fiuto l’odore della morte, sebbene non saprebbe mai definirla in
parole con una qualsiasi superficiale definizione umana, che non arriva che a
dipingersela con l’immaginazione. E chi sedeva qui ne conosce così appieno la
natura poiché è almeno per metà insito nella sua natura recarla senza ulteriori
fronzoli, snudata nella sua essenza capace di travolgere ogni cosa, e
trasformarla irreversibilmente.»
Mordecai
lasciò andare il manico della sua tazza di tè e appoggiò la mano sul tavolo. La
testa della figura completamene rivestita di nero si voltò verso di lui, come
se avesse percepito un cambio nel suo stato d’animo. E quando gli si rivolse,
il suo tono aveva assunto un ché di compartecipe e lievemente sorridente. «Oh,
non si preoccupi, Mordecai. Non sto dicendo che il mezzo lupo che sedeva qui
potrebbe avere malevole intenzioni nei suoi confronti. Tutt’altro. Quello che
intendevo dire è che, proprio perché la morte è nella sua natura,
inseparabilmente, egli saprebbe districarsi molto bene persino attraverso la
tempesta che si sta addensando sull’orizzonte. Ma è lontano dall’essersene
consapevole. E le sue due nature di vita non passeranno mai del tutto illese.
L’unica cosa che una creatura del genere non può proprio tollerare è la
concezione del nostro attuale stare dialogando. Oh sì, l’ho sentita. La sua
natura si contraeva come se questo luogo la stesse lancinando da dentro. Ma mi creda, non l’ho in alcun modo
presa come un’offesa. Fa semplicemente parte della sua natura. La mia era
piuttosto un’acuta curiosità. Non ho mai percepito nulla del genere così da
vicino. Non ho mai visto una natura del genere così talmente da vicino.»
La
signorina Azaziel tacque, e con tranquilla posatezza
di movimenti mosse di nuovo il braccio, stavolta per portarsi nuovamente la
tazza vuota al viso. Quando la ebbe riappoggiata sul piattino, tornò ad alzare
il volto completamente celato dal pizzo nero in direzione di lui. «Signor Mordecai.
Per il rapporto di amicizia che ci lega, le garantisco che avrà la mia completa
collaborazione, per aver a che fare con la tempesta che si sta approcciando al
vostro mondo. Per quanto mi riguarda, può contare su questa mia promessa
pienamente.»
Mordecai
annuì lentamente. «La ringrazio, signorina Azaziel.
Quanto potrà fare, sarà sicuramente estremamente utile e prezioso, come sempre.
Le sono profondamente grato.»
La
testa della figura femminile si mosse in un tenue cenno di assenso. Dopodiché,
la voce proveniente da dietro il pizzo nero aggiunse «La ringrazio per il tè e
per l’interessante conversazione. Come sempre, Mordecai, è un piacere discorrere
con lei.»
Mordecai
annuì di nuovo. Quindi si alzò, raccogliendo la sua tazza e il suo piattino, e
voltò le spalle al tavolino, raggiungendo il lavandino sul bancone per
riporveli, il tutto muovendosi molto lentamente, come se avesse bandito ogni
sorta di fretta dai suoi gesti. Quando, sempre con gran lentezza, tornò a
girarsi, la figura ammantata di nero era scomparsa.
Mordecai
piegò le braccia e incrociò le mani all’altezza del petto, osservando
distrattamente il tavolino. La sua espressione si corrugò decisamente, come se
si fosse repentinamente immerso in accurate e preoccupate considerazioni tra sé
e sé. Le lucine disposte davanti a tutti i ritratti lungo le pareti e il
soffitto della stanza rimasero spente, e il silenzio parve diventare più denso
e assorto su se medesimo, come se una preoccupazione
intenta e inquieta fosse discesa in tutto l’ambiente, come se stesse cercando
di sentire impalpabili rumori rivelatori di qualcosa di maestosamente temibile
che si stesse potenzialmente avvicinando di soppiatto.
Soundtrack:
Don’t
stop (Foster the people) – per la prima
parte del capitolo
Living
dead girl (Rob Zombie) – per la seconda parte del capitolo
Note
per la comprensione (o più che altro, in questo caso, disclaimers):
*BUFFY THE VAMPIRE SLAYER: è una serie
televisiva realmente esistente. E nonostante ne abbia guardato solo alcune
puntate, mi deve essere rimasto impresso il personaggio di ‘Doc’ (uno dei villain che compare nella 5° stagione) per ragioni
misteriose, al punto che quando mi è venuto fuori il personaggio di Mordecai
l’ho immaginato con riferimento all’aspetto di questo personaggio (anche se il
carattere del villain originale non me lo ricordo per
niente, e comunque non credo proprio quello di Mordecai possa corrispondervi),
e peraltro solo facendo qualche ricerca per poter citare correttamente questo disclaimer ho scoperto (non lo ricordavo) che anche
l’originale Doc di Buffy aveva a che fare con la necromanzia… (devo aver associato il suo aspetto a
personaggi necromantici… hem…
vabbhé).
** RITORNO AL FUTURO (in originale BACK TO
THE FUTURE): è una serie di film che… beh, se già non li conoscete… è un cult!
E uno dei protagonisti era l’indimenticabile personaggio di Doc (niente a che
vedere con quello della serie sopra-citata, e se dovessi scegliere tra i due il
mio idolo sarebbe sicuramente questo Doc ;) )
***AZAZIEL: questo nome mi è saltato fuori
da chissà dove nella mia testa, ma mi suonava fin troppo familiare con qualcosa
che dovevo aver sentito da qualche parte… così ho fatto come di consueto le mie
brave ricerche per fornire correttamente eventuali disclaimer.
E stavolta si tratta di una sorta di “disclaimer
parziale”, perché non è esattamente la stessa parola… ma poco ci manca. Troppo
poco per non fare un disclaimer comunque. Anche
perché a quanto pare il mio collegamento inconscio non è troppo casuale…
Infatti ‘Azazel’ è il nome di un personaggio che
compare nei testi sacri ebraici, ma io devo averlo assorbito da ‘Il maestro e
Margherita’ di Bulgakov. Comunque il personaggio di questa storia non ha nulla
a che vedere con quello di Azazel, ne ho solo ripreso
il nome (modificato) perché… perché sì, e basta :p
LA CLIENTE: il titolo, che si riferisce
come avrete capito alla seconda parte del capitolo (la prima è sostanzialmente
giusto un intermezzo), merita un altro onesto mio disclaimer…
dal momento che uno dei film che mi colpì annissimi
fa è ‘The client’ (regia di Joel Schumacher, tratto dal romanzo di John
Grisham), anche se trama e contenuto non hanno niente a che vedere con quello
di questa storia.
Note
dello scribacchiatore: capitolo
lunghissimo, e ci ho pure messo un sacco a metterlo on-line. A mia “discolpa”
dirò che ci ho messo tanto perché rivederne la seconda (e principale) parte è
stato un lavoro un po’… notevole. Ovvero ho litigato con la mia stessa
scrittura di getto per cercare di renderla almeno un po’ meno pesante e
ridondante, nonostante sia volutamente così di base perché… beh, questo è lo
stile della signorina Azaziel in fondo. Spero sia
tutto sommato leggibile, come al solito (e con magre speranze). Al prossimo
capitolo gente!