ESGOTH 3
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A story
by: Momo
Entertainment
Main concept and characters: The Pokémon Company
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Early
Summer Girls
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La
casa del Campione di Unima, la sua dimora in cui viveva quando non si
occupava delle faccende da Campione ed era semplicemente il solito
vecchio, saggio Nardo dall'aria bonaria, si trovava nella cittadina
rurale di Venturia, nella parte continentale della regione.
Era un posticino tranquillo, fondato da una comunità di
pionieri
puritani i quali pregavano tre volte al giorno e digiunavano il
venerdì, convinti che il loro rigore e l'assidua pratica
dell'agricoltura avrebbero nobilitato il loro animo laborioso una volta
giunti al cospetto di Dio.
La calma della vita agreste e la ridotta affluenza di persone la
rendevano un idillio per l'allenamento, vi erano boschi di larici in
cui si potevano fare straordinari incontri con Pokémon
selvatici
abbastanza potenti, campi di diversi ettari per lottare in
libertà e soprattutto nessuna mollezza che inebetisca gli
allenatori, come avviene nelle grandi città.
La casa dell'uomo che veniva additato come il più forte
della
regione dava di sicuro nell'occhio, la ragione per cui avesse deciso di
costruirla in stile orientaleggiante era ignota a molti contadini del
luogo.
Le altre abitazioni consistevano quasi tutte in larghi casolari muniti
ciascuno del proprio ranch e di un fienile per conservare il grano, di
un silo e di uno o più recinti in cui i Miltank e i Mareep
pascolavano placidi.
Questo tipo di allevamento era principalmente volto alla sussistenza
degli abitanti locali, tuttavia l'innata estroversione della ragazzina
dai capelli viola le aveva fruttato una mutuale amicizia con i vicini,
fra di loro si era instaurata una simpatia tale per cui avevano deciso
di omaggiarla con un paio di bottiglie di latte Mumu fresco, munto
quello stesso mattino che lei aveva passato ad allenarsi in una vasta
distesa erbosa.
Quel delizioso premio, si disse, sarebbe di sicuro andato a genio ai
suoi due draghi perennemente affamati; le era costato di lasciar
giocare con i suoi Pokémon i bambini di quella coppia di
mezzadri, con la preoccupazione che si potessero ferire anche solo
accarezzando la scagliosa pelle di essi.
Tante volte lei si era tagliata facendo le coccole ai Druddigon di suo
nonno, sebbene lui la ammonisse di continuo sulla
pericolosità
della loro Abilità, Cartavetro.
Quel ricordo nostalgico la distraeva da qualcosa di più
reale,
un timore molto più sensato che una piccola Allenatrice
sopravvissuta ad un attacco di un team assetato di vendetta poteva
avere nel suo animo: Iris non riusciva neppure a sentire il sapore
vellutato del latte sulla lingua se ripensava cosa aveva vissuto solo
due giorni prima.
Immaginava terrorizzata la metamorfosi della bianca bevanda in sangue
rosso e viscoso, che le entrava in bocca e lei lo ingoiava, riluttante,
finché esso non le corrodeva lo stomaco e le interiora si
contorcevano per liberarsi da quel flagello tossico.
E allora, mossa dall'angoscia insopportabile si sventrava l'addome come
fa un macellaio con l'agnellino immolato e sperava che il veleno che
ora traviava la sua mente tanto da spingerla a quelle macabre fantasie
non avesse inquinato pure il cuore di Georgia.
Alla giovane vennero i brividi. Si fermò a circa cento metri
dal
sentiero in terra battuta che conduceva al giardino antecedente la
dimora del Campione, osservando davanti a sé.
Che strano. C'erano delle persone lì davanti, parecchie
persone stazionavano lì.
La ragazzina si mise a scrutare quel gregge di individui come se il suo
sguardo possedesse poteri telecinetici e riuscisse a rimuovere la loro
presenza dal paesaggio.
Già destavano leciti sospetti con il loro andirivieni
frettoloso, come i Durant nei formicai si acquattavano dietro i loro
furgoncini e ne uscivano con in mano attrezzatura audio-visiva
parecchio ingombrante e, a quanto pareva, nessuno aveva avuto la
brillante idea di coprire i giganteschi loghi delle reti televisive
stampati sulle vetture.
Giunta alla realizzazione di non avere assolutamente voglia di
un'intervista lampo che mettesse ancor più in ridicolo
l'esito
sfortunato della loro missione, Iris si decise a fare un giro
più lungo per entrare a casa di Nardo passando dal cortile
sul
retro, dove si trovava l'onsen.
Aveva sentito parlare alla televisione degli eroi che nelle altre
regioni avevano salvato la comunità da catastrofi naturali,
sventato i piani di organizzazioni temibili e catturato i
Pokémon Leggendari come se fosse il loro hobby.
Per lei invece, la nipote acquisita di un Capopalestra, era stato un
dono del cielo il solo essere sopravvissuta, in che modo potevano i
media nazionali considerare la sua missione un fallimento?
Poi speculare sul dolore altrui le sembrava la peggior forma di
mercificazione: se quegli eroi da fumetto senza un minimo di sentimenti
avevano come passatempo salvare la Terra, che si divertissero pure nel
farlo tutte le volte che volevano.
Lei era una ragazza normale, con limiti e debolezze, e così
erano anche le sue compagne.
E non c'era bisogno di ammetterlo in ogni canale perché gli
abitanti di Unima se ne rendessero conto.
Fu sicura di aver eluso la barricata di giornalisti solo una volta
entrata all'interno, non appena l'Emolga di Camelia le venne incontro
come a suggerirle che le due diciassettenni erano sveglie.
Abituata ormai a trattare tutti i Pokémon delle sue amiche
come
fossero i suoi, le fece una carezza sulla testina, facendole abbassare
le orecchie.
Una volta giunta nella loro stanza, Iris cercò di spiegare
la
situazione meglio che poté, non tralasciando di aggiungere
la
sua opinione più onesta che mai.
«Avete visto fuori? Ci sono giornalisti per tutta Venturia, e
indovinate chi cercano?
Si è sparsa la voce di quello che è successo alla
Lega, non ci voleva.
Adesso il Team Plasma ci ha veramente fregate, anche se non ci ha
uccise...»
«Grazie Iris che ci sei tu a tirarci su il morale, altrimenti
qui ci saremo già suicidate tutte.»
Quell'acida interruzione distolse l'attenzione della giovane dal
condividere la sua depressione con le altre, sebbene non si aspettasse
davvero tanta indifferenza di fronte a una notizia del genere.
Rotolò la testa in direzione opposta e diede un occhio a
cosa stessero facendo le sue compagne durante la sua assenza.
Lei si era svegliata relativamente presto quel giorno, aveva il bisogno
impellente di uscire a prendere una boccata di aria fresca dopo quei
giorni di lutto e reclusione, per la mancanza delle due compagne
più vecchie le tre rimanenti allenatrici si erano lasciate
allo
sbando.
O almeno, a quanto sbando si potessero lasciar andare sotto la
supervisione rigida di Nardo.
Iris non rispose e si accostò alle due, senza contenersi
molto
nella curiosità: in effetti era una settimana che Camelia
ripeteva come un mantra di dover assolutamente fare una manicure alla
sua ragazza, volente o nolente ella fosse.
Pur di rendere duttile al suo proposito la sua dolce metà
trovava in ogni occasione il modo migliore per sminuirla e farla
sentire in colpa con frasi del tipo "Anemone potrebbe pugnalarmi un
giorno o l'altro con quegli artigli che si ritrova".
Dall'altro lato però era da altrettanto tempo che doveva
sorbirsi lei in maniera un po' meno plateale le lamentele della rossa
riguardo la scarsa cultura della sua fidanzata, del fatto che non
riuscisse a tenere una conversazione con lei senza che quella non la
pregasse di evitare i suoi insulsi riferimenti alla matematica e alla
fisica, agli anime e ai manga.
Per questo perfino una di poche parole come Anemone riusciva ormai ad
esaurire il suo buon senso, quando le domandava se fosse possibile che
l'altra non sapesse cosa volesse dire un qualcosa che neppure lei aveva
mai sentito nominare, ma si trovava costretta a darle ragione per
evitare di sentirsi dare dell'ignorante dal genio di turno.
Dunque la situazione che le si presentava non poté non
strapparle un genuino sorriso.
Sapeva dell'esistenza di un Capopalestra artista dalle strane tendenze
pseudo-astrattiste con un tocco di dadaismo, ma nel suo piccolo
riteneva un vero capolavoro quello che la sua compagna modella aveva
dipinto sulle unghie della sua ragazza con una mano ferma da fare
invidia.
Non solo le aveva colorato le unghie con delle adorabili sfumature di
smalto rosa, viola ed immancabilmente azzurro, le aveva anche
ricostruite e limate.
Senza dubbio la più giovane si stupì di come la
sua anima
di ragazza cedesse così facilmente al senso del dovere per
concentrarsi su tali frivolezze come lo smalto, ma avrebbe barattato la
sua integrità morale per avere anche per sé una
manicure
così carina.
E fu al settimo cielo quando Camelia acconsentì,
aspettandosi una risposta negativa.
La restante mezz'ora passò tranquilla.
Niente invasione di domicilio da parte di paparazzi muniti di
fotocamere dai flash abbaglianti, niente discussioni amareggiate sullo
stato della loro compagna assente, le due Capopalestra riferirono che
Nardo aveva accertato il suo ritorno presto o tardi quel giorno, Iris
fece assaggiar loro il latte regalatole dai vicini e tutte concordarono
sul quanto si mangiasse bene lì.
«Dai, amore, voglio sentirti dirlo un'altra volta, davanti ad
Iris, per favore...»
La rossa si era messa in una sottospecie di posizione di preghiera,
congiungendo le mani per ottenere compassione, mentre Iris la guardava
stranita, in senso comunque buono.
«Ma fammi un piacere, - Camelia era così intenta
nel suo
lavoro con il pennellino in mano da non degnarla neppure di contatto
visivo - se penso che hai un fetish per queste cose mi viene mal di
stomaco.»
«Ti prego... - Anemone insistette - È tutta prima
che me
lo hai detto giusto, se lo rifai anche adesso sarà la cosa
più bella che tu abbia mai fatto per me... Insieme alle
unghie,
ovvio.»
«Okay, ma non mi ricordo bene...» La mora fece una
pausa dal suo lavoro per pensare.
Intanto le due ragazze di colore la fissavano con alte aspettative.
«Allora... Il volt è l'unità di
misura... - la
ragazza si sforzò un poco, poi riprese - ...del potenziale,
che
è... - rallentava ogni volta che era incerta sul passaggio
successivo, abbozzava quello che voleva dire con le labbra ed Anemone
le faceva cenni per continuare, tutta esaltata - uh, il prodotto fra...
La costante kappa-zero, che è nove per dieci alla nona
newton
per metro quadro su coloumb, e il diviso, cioè, scusa,
intendevo
il rapporto fra la carica e la distanza e tutto questo fa venire fuori
joule su coloumb che da... Sì, il volt.»
Ci furono alcuni istanti di silenzio dettati dall'ammirazione, mentre
la ragazza che aveva parlato così scioltamente di una
materia a
lei del tutto sconosciuta come l'elettronica era bloccata in una specie
di trance intanto che rifletteva su ciò che aveva detto.
Aveva formulato una frase, ma se le avessero chiesto di spiegare cosa
fossero il potenziale, il joule o i newton per metro quadro su coloumb
avrebbe fatto scena muta.
Tuttavia non ebbe motivo di disperare, visto che la sua insegnante
privata la stava abbracciando con una forza esagerata, neanche avesse
pronunciato chissà che confessione d'amore.
«Da quando stiamo insieme sei diventata il triplo
più intelligente.» Fece quella, convinta.
«E tu almeno dieci più presentabile.» La
risposta di rimando della mora la fece sussultare.
«E io almeno cento più... Niente, accendo la
tv.»
Iris premette il tasto sul telecomando e gettò lo stesso in
disparte, pur di troncare sul nascere una scena degna della
più
smielate commedie romantiche.
Certo, non aveva nulla contro qualche dimostrazione di affetto anche
fra ragazze innamorate.
Ma per Giove, che non fosse sotto i suoi occhi di innocente single di
quindici anni.
Il Campione aveva concesso alle sue ragazze di tenere la televisione
nella loro stanza alla stregua di un padre conservatore del millennio
passato, considerandola una macchina che distrugge l'immaginazione,
rattrappisce il cervello dei giovani e porta solo brutte
novità.
«Ma perché qui la tv è sempre
sintonizzata sul canale delle news?»
Iris prese un sorso di latte, a cui aveva aggiunto un cucchiaino di
Baccacao in polvere per renderlo ancora più gustoso e dolce.
«Infatti, - Anemone aveva fatto accomodare Camelia fra le sue
gambe, divaricandole dietro di lei - guardiamoci un anime, ne
dovrebbero essere usciti di belli nella stagione estiva.»
La voce in sottofondo sovrastò ogni rumore presente nella
casa,
tanto che Iris recuperò pure il telecomando per alzare il
volume: dalle immagini che comparivano sullo sfondo intuirono che si
parlava, purtroppo, di Unima.
Quello era un telegiornale nazionale che copriva gli eventi di tutte e
sei le regioni del mondo Pokémon, abbastanza famoso da
attirare
gli ascolti indipendentemente dalla qualità dei servizi.
Lo studio con il grosso banco coperto da schermi su schermi venne
inquadrato prima nel suo aspetto generale, poi la telecamera
puntò dritta al cronista, impeccabile nella sua giacca e
cravatta abbinate l'una all'altra.
Non avendo seguito tutta la trasmissione, alle ragazze giunse solo
questo spezzone del discorso.
«...che deriva dalle passate attività con il
famigerato Team Plasma.»
Ammutolirono tutte, lasciando che il servizio vero e proprio
cominciasse: furono mostrati loro immagini riprese da diverse
angolazioni delle quattro sale dei Superquattro, ognuna appariva
distrutta in parte, con calcinacci sul pavimento, cavi spezzati e altri
danni ingigantiti dallo zoom eccessivo.
«Quando sembrava che il panico di due anni fa fosse stato
debellato con la cacciata di Natural Gropius Harmonia -
partì
una voce narratrice, con estremo pathos - il Team Plasma rinasce dalle
sue ceneri, come il simbolo che ora lo rappresenta, l'Araba
Fenice.»
Passarono poi in rassegna una serie di graffiti su di un muro
diroccato, rappresentavano tutti un corpo informe attorno al quale
fiamme rosse divampanti si alzavano, abbastanza stilizzate nel disegno,
mentre la carcassa che ne era circondata veniva carbonizzata.
«In questi ultimi mesi sono stati segnalati alcuni casi
isolati
di vandalismo da strada, che non hanno preoccupato le
autorità
fino al fatale assalto alla Lega Pokémon di
mercoledì
sera; purtroppo in quell'occasione le forze di difesa della regione non
hanno potuto impedire danni irreparabili alla millenaria
struttura...»
«Ma dai! - lo riprese Anemone, indicando lo schermo con fare
sdegnato - Sono delle cavolo di statue, un po' di colla e si risolve
tutto!
Grazie telegiornale, adesso sembra che le "vandale" siamo
noi!»
Nonostante la reazione esagerata, la rossa aveva ragione
nell'evidenziare la frivolezza di quel commento: la plebe tende sempre
a cercare un colpevole ed ora la collera generale si sarebbe riversata
sui servizi di protezione, e più specificatamente su di loro
e
su di Nardo.
«Pensate che adesso la Polizia Internazionale
interverrà sul caso?» Domandò Iris.
«Probabilmente sono solo i notiziari a fare scandalo su
quattro
lampadine rotte... - Camelia le rispose così, essendo la
più esperta nel settore - Adesso che si inventeranno?
Chiamano Ghecis e gli fanno chiedere scusa in mondovisione?»
«...ma l'ex Capo del Team Ghecis Harmonia - il telecronista
proseguì il suo discorso capitando proprio a fagiolo alla
fine
della precedente affermazione della modella - nega il proprio
coinvolgimento nell'imboscata dell'altra notte e in tutte le
attività illecite intraprese a partire dallo scioglimento
del
clan.»
«Basta, io non voglio più vivere in questa
regione.»
La scena rappresentata si spostò in un'ampia aula per
conferenze, addobbata con festoni e decorazioni nere e bianche, la
bandiera di Unima sventolava alle spalle della tribuna oratoria.
Un vociare confuso diffondeva un brusio eccitato: i tecnici mostrarono
il pubblico seduto sulle tribune, uomini e donne vestiti con il
bicolore regionale e il fervore patriottico nelle loro espressioni.
Iris, Camelia ed Anemone erano tutte e tre originarie di Unima, forse
per la terza potevano esserci varie ipotesi sulla provenienza della sua
famiglia natia, però comunque conoscevano la loro terra come
un
Allenatore conosce la propria squadra.
Dunque non potevano fare a meno di essere in ansia per chi stava per
presentarsi sul palco.
L'uomo dalla folta chioma verde nonostante l'età avanzata fu
accolto con un fragoroso scroscio di applausi, mentre si sollevavano
striscioni e urla in suo onore.
Quel bizzarro individuo vestiva quale un monarca orientale, una tunica
riccamente ricamata con i motivi rossi, arancio e d'oro della fenice,
dell'arabesco e della Mano di Fatima: l'ultima, segno di fortezza e
coraggio, figurava in un ingombrante pendente tempestato di gemme.
Ghecis alzò una mano e la puntò verso il suo
pubblico, il
quale subito tacque e fu come risucchiato nella spirale ipnotica delle
parole di quell'oratore provetto.
«Cittadini, - decise di pausare per un secondo, l'atmosfera
si
era fatta bollente - è facile lodare la regione di Unima
davanti
agli abitanti di Unima.
Non lo è, quando bisogna difenderla dallo squallore e dal
degrado di cui ci accusano le altre regioni.
Nel secolo in cui viviamo, la nostra terra non è
più una
penisola di selvaggi vestiti di pelli che allevano Pokémon
ed
ignorano le vicende del mondo esterno.
I nostri padri, i nostri antenati che combatterono nella guerra fra i
due eroi al fianco di Reshiram e Zekrom, essi posero le basi per la
vita in comunità, cessarono le ostilità, la
guerra civile
che aveva devastato la regione e straziato la popolazione per anni ed
anni...
Eppure io, ormai anziano, io che credevo di aver visto tutto, oggi vedo
con i miei occhi a che aberranti gesti e malevole intenzioni si sono
lasciate andare le nostre generazioni!»
Gridò e si prese la fronte in una mano, con la testa bassa
in segno di delusione.
Nessuno fiatò.
«Secondo me ci crede tutti scemi...»
Commentò Iris, senza ostacolare l'ascolto.
«Questo atto, oserei dire, blasfemo, questa irrispettosa
blasfemia di... Dissacrare un edificio come la Lega Unima, simbolo
delle lotte Pokémon di generazioni di Allenatori concordi
uniti
sotto il saggio governare dei sapienti... - si interruppe, ma poi
tuonò, battendo il pugno - È
imperdonabile!»
«Okay, ci crede definitivamente scemi.»
Si rispose da sola, riprendendo a fare un altro po' di coccole ad
Emolga.
Invece di tirarla ulteriormente per le lunghe, Ghecis decise di
sfoderare subito il suo asso nella manica, la sua argomentazione
vincente.
«Ho sentito dire da fonti, direi, "attendibili", che la mia
persona sia responsabile di tale ingiuria.
Secondo questa tesi, l'unico collegamento plausibile risiede
nell'associare il nome del Neo Team Plasma, a quello
dell'organizzazione che io stesso, ripeto, io stesso ordinai di
sciogliere.
E non posso spiegare la rinascita di questo aborto, il quale pretende
di essere il figlio degli ideali innocui e puri della vecchia
organizzazione, se non domandandovi, come starete facendo anche voi,
amici: chi sono i membri di codesta malfamata organizzazione?»
«Le tue scaldaletto, tesoro, molto semplice.»
Gli ribatté la mora, salace come non mai.
Le altre due risero divertite, era in quelle situazioni eccessivamente
esagerate che le battute della loro compagna diventavano
particolarmente efficaci.
Dopo un leggero sussurrare del pubblico generato dalla domanda spinosa,
l'uomo si pronunciò.
«I membri di tale organizzazione sono, in fede vi dico, gli
scarti, gli inetti, i rifiuti umani della nostra
società!»
Chiunque, sia fra i presenti in quella sala, sia gli spettatori da casa
rimasero basiti, alla modella, del tutto risoluta a non ascoltare una
parola che uscisse dalla bocca di quel delinquente, cadde il pennellino
dello smalto e per sbaglio si rovesciò un bicchiere.
«Le tendenze del nuovo millennio indeboliscono i giovani e li
portano sulla cattiva strada.
Si atteggiano con superficialità e dimenticano i veri valori
che hanno reso grande questa regione.
E mi sento in dovere, cari signori, di portare esempi concreti in
sostegno della mia teoria: gli immigrati, i disabili, i poveri, i figli
della strada, i neri, i gay e le minoranze deboli in generale
rallentano lo sviluppo della regione e danneggiano il buon sangue dei
suoi cittadini.»
In quell'esatto momento la storia dell'umanità si
bloccò.
Vi furono mille secoli di involuzione del tutto compressi in pochi
secondi, quelle parole erano la vera blasfemia che distruggeva il
labile orgoglio del genere umano.
Ghecis Harmonia, il quale si faceva portatore delle verità
incommensurabili della regione, un aristocratico definito di buona
famiglia si era messo a spergiurare contro le fasce più
deboli
della popolazione, quelle più pregiudicate ed emarginate, ma
che
in toto non nuocevano affatto alla società nel modo che
sosteneva lui e che comunque rappresentavano pur sempre una parte della
popolazione.
Le tre ragazze rimasero senza parole, senza commenti.
Era come un'esecuzione pubblica, ognuna si sentiva piena di vergogna
per ragioni non meritevoli del loro rimorso, offese davanti a tutti, in
diretta nazionale.
Ogni sillaba di quel discorso era sbagliata. Chiunque lo avrebbe potuto
notare.
Ma quel bastardo senza gloria volle comunque perseverare nel suo
seminar zizzania.
«Con la mia candidatura a Campione, entro il mese prossimo vi
garantisco che la nostra amata Unima sarà libera da queste
piaghe, la nostra società imparerà ad isolare ed
eliminare questa categoria di individui deviati, e la giustizia e la
felicità trionferanno.
Ora ci troviamo tutti in un regime di terrore, in cui regna lo ius
omnia e la legge non è più pietra miliare. Ma io,
Ghecis
Harmonia, mi propongo di cambiare la situazione.
Il vostro consenso, concittadini, sarà la chiave per una
regione
più giusta, più bella, più
grande!»
Ed una marea di battiti di mani esaltati, di grida infervorate, di
febbrile eccitazione si diffuse fra la folla e il sovrano
già
pregustava la sensazione della corona d'alloro sulla sua testa, mentre
ringraziava con falsa umiltà i suoi nuovi sostenitori.
La ragazzina dalla pelle color caramello, i capelli viola, proveniente
da un villaggio sconosciuto e il cui orientamento sessuale era ancora
da definirsi pienamente, andò ad abbracciare le sue due
compagne, non riusciva neppure a far uscire dalle labbra il disgusto
abominevole che quell'individuo le procurava.
Non era preoccupata per sé. Non lo era.
Lo era bensì per le persone diversamente abili, straniere,
omosessuali, di colore e in condizioni economiche precarie che lei
conosceva, con cui si svegliava, mangiava, si allenava e andava a
dormire tutti i giorni.
Le stesse persone che le avevano insegnato ad abbattere le sue barriere
mentali per non finire a predicare l'odio come individui
così
rivoltanti.
Iris aveva paura, quasi quanta gliene aveva data il pensiero che esse
stesse potessero morire sotto l'attacco del Neo Team Plasma, per
Anemone, Camelia, Catlina e Camilla.
Quel giorno di luglio, Unima aveva subito un duro, durissimo colpo alla
sua dignità.
❁
Quando,
circa mezz'ora dopo, comparvero sulla soglia della loro camera la
leader insieme alla giovane che da due giorni infestava le loro
più nefande preoccupazioni, tutte e tre fecero del loro
meglio
per nascondere i volti di pietra, scolpendovi sopra dei sorrisi il
più accoglienti possibile.
E, tutto sommato, non si dispiacquero troppo di fingere la loro
felicità: rivedere Catlina tutta intera, viva, vegeta, ma
soprattutto sveglia dal coma, riscaldò i cuori congelati di
tutte.
Ma non solo. La biondina, nonostante fosse reduce da una dolorosa
lobectomia, appariva in pace con se stessa e con l'universo intorno a
lei: non si dimostrava recidiva agli abbracci e ai baci gioiosi delle
due Capopalestra, anzi, si sporgeva sull'orlo della sua sedia a rotelle
per contraccambiarli, al settimo cielo all'idea di lasciare quel tetro
ospedale una volta per tutte.
Era un ciclone di affetto e calde interazioni che non poté
non
far intenerire la protagonista, la quale si ripromise di aiutare la
loro amica nei momenti di precarietà fisica, il tutto di
propria
spontanea volontà, imparando come soccorrerla qualora le
fossero
venuti, per esempio, altri attacchi di epilessia, adesso aveva imparato
il nome di quella malattia.
Poi le propose, cercando sempre di non assillarla troppo, di farsi
rifare le unghie di nuovo, mostrandole il variopinto design di una
galassia blu scuro, piena di brillantini che sembravano stelle, che
sfoggiava con fierezza sulle sue.
«Se ve lo chiedono - fece Camelia, andando alla ricerca della
base trasparente - io non sono una delle candidate al posto di
Campionessa. Io sono la loro estetista.»
Scatenò così un altro momento di spensierata
ilarità per il gruppetto di nuovo riunito.
Se c'era una cosa di cui Iris era certa, essa risiedeva negli istanti
in cui le cinque sorridevano tutte assieme, nasceva una specie di
magia, un arcobaleno illuminava la loro stanza buia ed i brutti
pensieri si volatilizzavano come le bollicine frizzanti nella Gassosa e
nel Lemonsucco.
Perfino Nardo, il quale non osava mettere piede nei locali adibiti alle
ragazze neanche a pagarlo, volle dare il bentornato alla biondina,
sinceramente grato di poterla contare fra i suoi Superquattro ancora,
sperava per un altro po' di tempo, prima che la malattia peggiorasse.
Per lui, i suoi dipendenti alla Lega erano come dei nipotini, il
trattamento che destinava loro era lo stesso.
«Invece, - disse, più serio - desidererei delle
spiegazioni per quanto riguarda la signorina dal cellulare
inesistente...»
«Ti darò tutte le spiegazioni, - Camilla gli si
parò davanti, sicura e grintosa com'era da lei - quando tu
ci
dirai, una volta per tutte, quando potremmo avere la nostra
sauna.»
Tutte le allenatrici in kimono espressero il loro supporto alla
protesta della Campionessa.
«Credevi ce ne fossimo dimenticate?» Gli
ripeté la donna, mettendolo alle strette.
«Non mi pare il caso, comunque, di parlarne adesso. - L'uomo
dalla folta chioma arancione diede loro le spalle - La Professoressa
Zania mi ha chiesto un appuntamento in privato con voi, per discutere
la situazione del Neo Team Plasma senza che i media creino altro
panico.»
Partì una lunga espressione vocale di generale malcontento,
le
pupille che volavano al cielo, chiedendosi perché dopo tanti
tormenti alle giovani non spettasse neppure un giorno di pausa.
Dopodiché una sfilza di occhioni miserevoli pregavano il
vecchio
Campione di concedere loro un premio, una ricompensa che le spronasse a
fare bene il loro lavoro, come quando avevano scacciato i ladri dal
centro commerciale.
Infine si stabilì un compromesso: Nardo le avrebbe lasciate
libere un altro giorno per svagarsi, a patto che non tornassero a casa
ubriache o deturpate in alcun modo.
E, cosa più importante, avrebbe assunto lavoratori
professionisti per completare la sauna una volta per tutte, ovviamente.
Tutte applaudirono e i Pokémon fecero festa, con questo
allettante proposito riuscirono a distrarsi dalle loro manicure per
concentrarsi su ciò che la Professoressa aveva da dire.
In concomitanza con il congedo di Nardo, entrò nella stanza
una
giovane donna in camice da laboratorio, dai lunghi capelli nero pece e
la frangetta corta sorretta da due mollette. Sorrideva timidamente, al
suo fianco un piccolo Munna fluttuava come un palloncino, Catlina lo
cercò di attirare con dolcezza verso di sé per
accarezzarlo, appassionata com'era di Pokémon Psico.
La ricercatrice era leggermente impacciata nei movimenti, ma le ragazze
non glielo fecero notare.
«Ciao ragazze, - si presentò - Sono Zania Yumei e
sono una
collega della Professoressa Aralia, che immagino conosciate
bene.»
Tutte annuirono ed essa proseguì.
«Insieme a lei e ad altri studiosi mi sono offerta volontaria
per
aiutare il Campione sulla questione del Neo Team Plasma, mettendomi a
disposizione per evitare la catastrofe degli anni scorsi.
E credo di avere qualcosa che possa interessarvi.»
Zania estrasse un pc portatile e le ragazze fecero spazio sul tavolo,
radunandovisi intorno: esso rappresentava una schermata verde, in cui
un diagramma rappresentava alcuni valori inseriti in dei grafici.
«Come sapete, fino a poco tempo fa il Team Plasma, quando
ancora
era guidato da Natural Harmonia, voleva persuadere gli allenatori a
liberare i loro Pokémon.»
«È vero, - constatò la rossa - era
questo il tema dei loro discorsi in pubblico.»
«Ecco, quando l'anno scorso il Team è stato
sciolto sotto
ordine di Ghecis, alcuni allenatori che in precedenza avevano liberato
i loro Pokémon, li hanno ritrovati... Diversi.
Questi Pokémon abbandonati venivano recuperati in orde
radunate tutte nello stesso posto.
Quando rientravano in contatto con i loro vecchi allenatori si
dimostravano molto aggressivi, intrattabili e disobbedienti.
In questi mesi ho voluto fare delle analisi su alcuni campioni di
questi Pokémon "liberati".
Quelli che vedete sullo schermo sono i valori basilari che regolano la
vita di un essere vivente: battito cardiaco, frequenze nervose,
pressione sanguina...
Ed i risultati delle analisi su questi Pokémon sono
aberranti.»
«Poverini.» Commentò la nobile di
Sinnoh,
paragonando la propria situazione di malessere a quella di tali
creature innocenti.
«È ovvio che ci fosse qualcosa sotto. - Zania
cambiò interfaccia ed si fece più cupa -
Così ho
chiesto ad Aralia di analizzare il sangue, o qualsiasi tessuto
connettivo questi esemplari possiedano, ed ho scoperto questo.
Tutti i Pokémon liberati sotto ordine del Team Plasma sono
stati drogati con una neuro-tossina artificiale.»
Seguì un breve silenzio di riflessione. Ora era chiaro come
mai
quei farabutti predicassero la parità fra uomini e
Pokémon ed il ritorno allo stato naturale di questi ultimi,
e
razzolassero male utilizzandone loro stessi per lottare senza il
bisogno di allenarli.
C'era sotto un veleno, un veleno letale.
«E che cosa fa questa tossina?» Domandò
subito Camilla.
«Non possiamo saperlo esattamente, questa tossina non si
trova in
natura. - Zania sospirò - Andarlo a scoprire...
Significherebbe
fare esperimenti ed iniettarla su altri Pokémon sani e allo
stesso tempo negare le cure a quelli intossicati...
La legge della nostra regione proibisce la vivisezione.»
L'etica morale poneva un ostacolo ai chiarimenti della scienza, ma
nessuna di loro fu così cinica da voler aggirare un
tabù
tanto indecoroso.
A quel punto una domanda sorse spontanea alla più piccola
fra le Allenatrici.
«Che il Neo Team Plasma la utilizzi ancora questa
droga?»
«Spiegherebbe perché i Pokémon di
quelle pazze in
tutina ci abbiano attaccate senza pensarci due volte.»
Aggiunse
la mora.
Zania mostrò loro una mappa della regione, con le
città
principali segnalate da puntini gialli connessi da segmenti dello
stesso colore, per rappresentare i percorsi e le strade che le univano.
Indicò con l'indice un'area definita, a sud del territorio
ed ingrandì su di essa.
«A differenza degli altri clan malavitosi, il Team Plasma non
ha
mai posseduto un vero e proprio quartier generale. I suoi membri si
spostavano di città in città accompagnati da uno
dei
Sette Saggi.
Quindi, anche sul dove andare a localizzare dove nasca questo
fantomatico contrabbando risulta un problema...»
«Aspetta, - le fece la mora, spostandosi col cursore su una
parte
differente della mappa - ci sono due posti a Unima dove gira un sacco
di droga: a Sciroccopoli ed ad Austropoli.
Non guardatemi male... N-Non ne faccio uso o cose del genere, sono solo
informata...»
Ci tenne a discolparsi, tanto contraria era agli stupefacenti che
facevano impazzire la sua generazione. Quell'informazione inoltre,
innescò la risposta repentina della sua fidanzata, la quale
se
la sentì di esprimere il suo umile parere.
«Già. Se la droga gli arriva da altre regioni non
può di certo passare per via aerea.
Il servizio cargo nazionale infatti vieta il trasferimento di questo
tipo di merci.
O arriva nei container, e ne dubito, visto che la frontiera
è
quasi impossibile da passare ora che i Saggi sono in libera
circolazione, oppure...»
«Via nave. - Concluse Camilla - È l'unico modo per
raggiungere Kanto, Hoenn o Sinnoh.»
«Siete piuttosto unite - commentò la Professoressa
- per essere...»
«Avversarie? - la interruppe Catlina, che aveva trovato
ottima
compagnia in quel docile Munna così aperto alle coccole -
Sì, lo sappiamo, ce lo dicono tutti.»
Nessuna di loro aveva davvero capito se ciò fosse un
qualcosa di
bello o una stranezza riprovevole, tanto da spingere Anemone a chiedere
conferma, essendo ormai entrate in confidenza con la donna e non
necessitando più di onorifici e formalità.
«Secondo lei è sbagliato il fatto che non ci
odiamo ancora
a vicenda? Stiamo cominciando a preoccuparci, visto quello che ha detto
anche Ghecis in tv...»
Zania ripose il computer e si sentì un po' a disagio in
quella
piccolissima comunità: non le pareva di aver mai visto delle
Allenatrici così legate, da quando tre Allenatori che lei
ben
conosceva avevano cominciato il loro viaggio dalla cittadina di
Soffiolieve...
Non le sembrava affatto corretto utilizzare quelle ragazze
così
simpatiche, così fragili, per combattere dei criminali al
posto
della polizia o degli altri codardi, che solo al sentir pronunciare la
parola "Team Plasma" se l'erano data a gambe.
Stava per andarsene e riferire a Nardo quanto quella missione fosse
pericolosa ed infattibile, quando, di punto in bianco, Iris si
alzò in piedi ed attirò l'attenzione di tutte.
«Ma allora è facile! Basta andare ad Austropoli,
comprarci
un po' di quella droga e lasciarla alla Professoressa, così
può analizzarla senza far soffrire gli altri
Pokémon.»
La ragazzina dai capelli viola subì su di sé
quattro occhiate completamente confuse.
Alla fine però, Camilla smorzò un ennesimo
sorriso e si alzò pure lei, parlando dritta alla donna.
«Uhm. Si potrebbe fare.
Anche entro oggi se vogliamo, tanto non avete allenamenti, ragazze,
vero? - E fece l'occhiolino al gruppo affinché ricordassero
chi
aveva disdetto la loro sessione di fatica giornaliera - E poi non
dobbiamo neanche spendere i soldi del trasporto, possiamo andare in
macchina mia.»
«Se hai la macchina - la riprese Camelia - perché
non l'abbiamo usata fin da subito?»
«Ovvio che non potessimo usarla... - La bionda si
coprì la
bocca con la mano, in segno di imbarazzo - Mi hanno ridato la patente
questa settimana.»
«C-Come!? Ti sei fatta ritirare la patente? Hai preso sotto
qualcuno?» Sbottò la rossa.
«Cosa importa, erano solo un paio di multe per eccesso di
velocità, devo abituarmi che qui si guarda prima a destra e
poi
a sinistra...» Si difese la Campionessa.
Non le pareva il caso di drammatizzare sulle proprie piccole mancanze
quando crimini molto peggiori accadevano in giro per la regione.
E, se proprio non si fidavano di lei, non c'erano stati né
morti
né feriti, poteva giurarlo sulla triade divina di Dialga,
Palkia
e Arceus.
«Ve la sentireste? - domandò preoccupata la
ricercatrice -
È pericoloso e potreste rischiare ancora di più
di quanto
non avete già fatto con l'attacco alla Lega...
Avete già pensato a come fare? Avete un piano?»
Subito Iris le pose una mano sulla spalla, trasmettendole sicurezza
attraverso i suoi occhi nocciola.
«Un piano ci verrà in mente lungo la strada. Le
posso assicurare che ce la faremo.
Alla fine, siamo noi le Campionesse della regione, mica quel Ghecis
Harmonia.»
❁
Il
fuoristrada cachi guidato dalla Campionessa sfrecciava imperterrito
verso la piazza centrale: nonostante le numerose vetture dai colori
accesi che affollavano la strada, il procedere ad una
velocità
sostenuta amplificava il senso di libertà in ciascuna delle
ragazze, potevano sentire il vento fra i capelli e godersi la vista sui
cartelloni pubblicitari senza incombere nell'impiccio dei finestrini.
L'aria cittadina non trovava lo spazio fra il pesante odore di fritto
emanato dal cibo comprato pochi minuti prima ad uno dei tanti fast-food
seminati ad ogni angolo, anch'essi avvolti nello stesso contenitore di
carta unta con cui erano brillantemente impacchettati i loro hamburger
e le loro bevande frizzanti.
Iris alzò le pupille verso l'alto, mentre succhiava la
cannuccia
con tanta veemenza da far sembrare che la sua anima fosse stata
assorbita sul fondo del bicchiere in plastica; Austropoli non era come
tutte le altre città, la capitale della regione disponeva
perfino del suo zodiaco personale.
Era uno spettacolo singolare; se ne poteva discutere la valenza
estetica, visto che non erano le sfumature del cielo o la forma delle
nuvole a renderlo, se non bello, almeno notabile.
Grattacieli sempre più imponenti si sfidavano a quale fra
questi
colossi di cemento avrebbe per primo bucato la volta celeste, un
esercito di torri di Babele spuntava dal suolo e spostava la
prospettiva dall'orizzonte verso l'alto.
Li rivestivano cartelloni pubblicitari dai pixel grandi come lo schermo
di un televisore, gli ultimi prodotti per la cura dei
Pokémon
litigavano per il loro spazio vitale con gli ultimi modelli di
Interpoké e le collezioni primavera-estate dei
più
rinomati stilisti.
I cartelli stradali, le persone formicolanti sulle strisce pedonali,
gli uffici e i negozi ghermivano di vita a quell'ora: se ciò
fosse il degradante ritratto della globalizzazione che annichilisce
l'uomo o il benevolo volto del progresso è un'opinione del
tutto
soggettiva.
Camilla rallentò progressivamente di fronte al semaforo,
incolonnandosi in una fila piuttosto lunga di vetture parallela ad
altre tre o quattro identiche. Si fece infilare in bocca dalla sua
coetanea, la quale le sedeva accanto, una patatina fritta coperta di
salsa rossa, leccandole la punta del dito in segno di implicita
dimostrazione di affetto.
«Okay. - Iris si protrasse in avanti, verso l'incavo fra i
due
sedili anteriori - Voi quattro avete già trovato il Team
Plasma
una volta, potete farlo di nuovo.
Qual è il piano, allora?» Disse con voce intrisa
d'impaziente aspettativa.
La sua domanda, per quanto lecita fosse, si disperse nel rumore
fastidioso del traffico.
Si guardò intorno, ma le altre non le diedero l'impressione
di
non averla ascoltata, bensì di non avere la risposta giusta
da
darle.
«Niente piano, va bene.»
«Una cosa è un centro commerciale, una cosa
è una metropoli di sei milioni di persone.»
L'affermazione semplicistica di Anemone si ridusse a ciò,
mentre
ella mangiava tranquilla un medaglione di pollo dorato, torturandosi i
bordi sfilacciati dei jeans strappati con le unghie così ben
curate.
«Finché restiamo qui bloccate in coda mi sa che
fanno in tempo a cambiare regione.»
La mora allungò il braccio davanti al petto della ragazzina,
seduta verso la portiera di destra, e mentre imponeva alla sua ragazza
a suon di pizzicotti di smetterla di riempirsi di cibo-spazzatura,
l'autista spense il motore.
I tempi di attesa di fronte ad un incrocio di Austropoli si misuravano
in lustri, apparentemente.
Camilla e Catlina intanto presero a discutere anche in maniera
piuttosto accesa sulla direzione da prendere una volta superato il loro
purgatorio stradale, indicando punti nella cartina con un una potenza
direttamente proporzionale alla loro convinzione sul dove si dovesse
svoltare.
Percependo il classico momento in cui la sua presenza non serviva a
granché, Iris prese in mano il telefonino e, intenta a non
farci
nulla di particolare, toccò l'icona lampeggiante dei
messaggi.
Le capitava di rado un buco libero nelle loro intense giornate di
allenamenti per appartarsi ed intrattenere una conversazione, ma le
faceva piacere ripassare gli ultimi argomenti di pettegolezzo avuti
lungo la settimana, una frivolezza che si sarebbe potuta concedere solo
a quell'età.
Fece scorrere lo schermo velocemente, ai suoi occhi giungevano solo
mozziconi di parole, emoticon colorate, un gruppo di qualche mese prima
dal quale non era ancora stata rimossa, cancellare le chat le faceva
male ad una parte indistinta del cuore, era come eliminare un ricordo,
uno futile, ma pur sempre un ricordo.
Tutt'un tratto però, le capitò di vedere un
messaggio in
particolare che cominciava con "ciao, sei libera sabato sera". La data
non risaliva a meno di tre giorni prima, cosa che la
incuriosì.
Subito diede un'occhiata al mittente, o meglio, alla mittente.
Sebbene le sue labbra si fossero curvate in un sorriso compiaciuto, la
assalì di nuovo il brutto pensiero fatto prima di
raggiungere la
chiassosa città, riempiendola di ansia.
Quel numero poteva appartenere ad una persona morta.
Morta dissanguata, o di infezione, più probabilmente.
«So - alzò tantissimo la voce, facendosi sentire
anche
dagli altri automobilisti forse - come trovare il Neo Team Plasma. Ho
un piano, io.»
Dopo che la sua mossa le aveva permesso di non venire trascurata
ancora, Iris per la prima volta tergiversò nel regalare per
la
milionesima volta la sua gentilezza a prezzo stracciato alle sue
compagne.
Riguardare quel messaggio aveva risvegliato un'insofferenza ai
trattamenti subiti nel corso di quei due mesi, nessuna delle quattro
ragazze più grandi era esclusa da questo astio recondito.
Era inutile che la più piccola continuasse a ripetersi in
testa
"vi odio" e "vi detesto" se non dava mai le prove concrete, non poteva
aspettarsi che esse capissero sempre tutto da sole.
«Aspettate… ma perché dovrei?»
Non si risparmiò, viaggiò nel tempo fino alla
notte del
temporale, alla giornata in cui sarebbero dovute andare in spiaggia,
fino allo spiacevole episodio dei Magazzini Nove.
«Non vi ho mai sentite dirmi "grazie" o farmi vedere che ci
tenete un minimo.
E poi mi lasciate sempre da sola con le scuse più stupide,
pensate che io non ci stia male…
Non dico starvi simpatica, so che non ce la faccio, ma almeno non
trattatemi come se non fregasse niente! Scusate… ma non
è
giusto… io non vi ho mai fatto niente…
Voglio che almeno mi chiediate scusa, me lo dovete tutte!»
Fu quasi contenta di essere riuscita a schioccare per cinque secondi,
ma il loro esame di coscienze non durò troppo.
«Ma questo sarebbe un ricatto?»
Le fece Camelia, fissandola in cagnesco attraverso le ciglia allungate
dal mascara.
«Un po' è vero… Non hai tutti i torti.
Io ti chiedo scusa da parte di tutte, davvero, non pensavo stessimo
ferendo i tuoi sentimenti…»
Credette di averla scampata liscia la rossa, per quanto fosse sincera e
ricercasse sempre il perdono altrui Iris la riprese subito, con tono
ancora più concitato.
In fondo le dispiacque di non comprendere a fondo le accuse rivolte a
lei, ma come mai la ragazzina avesse deciso di parlare dei propri
problemi con loro in una situazione così inadatta le
sfuggiva.
«No! Non ha senso che me lo diciate così, per
farmi stare zitta!»
«Iris, - La cercò di tranquillizzare anche
Catlina, per
nulla favorevole a cominciare una lite nel bel mezzo di una missione -
se vuoi possiamo parlarne dopo, quando torniamo…»
«O "scusa" me lo dite sinceramente e mi promettete che d'ora
in
poi almeno ci provate a rispettarmi, altrimenti io scendo qui e me ne
vado una volta per tutte, ci si vede.
Non mi faccio problemi, eh.»
Ed in gesto di accesa provocazione, si slacciò la cintura ed
accavallò le gambe abbronzate quasi del tutto scoperte da
pantaloncini corti.
Quella era la sua soluzione finale, dopodiché non avrebbe
mai e
poi mai rimesso piede a casa di Nardo, si sarebbe ritirata dalla
competizione ed avrebbe sperato di non incontrare quelle quattro
neppure per caso per la strada: non avrebbe retto l'affronto.
Era incredibile come ogni singolo momento di negligenza fosse riemerso
a galla d'improvviso e le facesse provare anche più furore
di
quando tali episodi si erano realizzati nella realtà.
La ragione di ciò non fu il fatto che Iris non riuscisse
più a contenersi. Ne era ben capace.
Si era temprata ed era ormai indifferente alle prese in giro e alle
mancanze di tatto.
«Okay, ciao allora.»
La mora le sorrise, ondeggiando la mano ed indicandole il marciapiede
con il pollice.
Le altre rimasero zitte a guardarla, con i loro classici sguardi vuoti,
senza significato.
Iris non osò piegare il proprio orgoglio, per quanto fosse
stato abusato, alle pretese di quelle…
Come poteva definirle? Il termine "compagne" a quel punto le faceva
venire le afte sulla lingua.
Aveva trovato l'emblema di tutto quello che odiava incarnato in esse.
Potevano calmare i suoi bollori con abbracci e carezze quando lei le
supplicava e cercare di coinvolgerla nelle loro pazzie, ma quando si
trattava di dimostrarle di cosa fossero capaci, erano capaci solo di
esigere, e mai di desiderare.
Avrebbero fatto bene a sperare che la regione fosse piena di ragazzine
sottomesse ed emotive con le quali rimpiazzarla, ma che fossero
abbastanza docili da non stufarsi del loro trattamento da zerbino entro
una o due settimane.
La giovane si posizionò con le scarpe sopra il sedile,
pronta ad uscire con un balzo.
Georgia quindi aveva avuto ragione per tutto il tempo.
Ora doveva sbrigarsi, prima che il prossimo complimento le azzerasse di
nuovo il buon senso.
«Buona fortuna e addio, Campionesse.»
Fu teatrale nella sua uscita, ma non per questo sollevata dai suoi
tormenti.
A questo punto, la storia delle precoci Campionesse si sarebbe potuta
concludere qui, con la sfortunata dipartita della più
giovane e
la rottura definitiva dell'equilibrio iniziale.
Sarebbe stata, più che una prosa, una vera tragedia, il
finale
che non lascia spazio all'immaginazione o a un seguito, solo un enorme
punto di domanda aperto sotto ai titoli di coda.
Purtroppo però, per garantire una narrazione il
più
oggettiva ed impersonale possibile, non ci è possibile
parlare
di "e vissero felici e contente" o di frasi ad effetto strappalacrime.
Non finché l'automobile di Camilla non aveva ancora passato
il semaforo nonostante la luce verde.
La donna pestò il freno con tale allerta da riuscire a
vedersi i
punti della sua povera patente rosa calare di almeno una decina, mentre
lo schiamazzo dei clacson impalati dietro di lei la esortava ad
investire il bizzarro individuo che si era lanciato come un kamikaze
davanti al suo parabrezza.
L'Allenatrice dai capelli violetto scivolò inevitabilmente
in
avanti, vista la sua posizione instabile, ed insieme al suo cuoricino
spezzato avrebbe dovuto ammendare pure il naso dalla sua bella
morfologia, così piccolo e delicato, se Anemone non si fosse
subito adoperata come airbag umano.
Iris sospirò: non trovava la forza di arrendersi ed
accettare il
fatto che il destino gliele ponesse ogni giorno sotto i suoi occhi
innocenti, settimanalmente le toccava con mano, ed era proprio giunta
l'ora di rinnovarle l'abbonamento mensile al finire con il viso contro
un paio di morbidi, grandi e prosperosi seni.
«Scusate! Scusate!»
Il tizio che avevano rischiato di investire rimase accanto alla
vettura, gesticolando in maniera maniacale.
«Non compriamo niente, grazie ed arrivederci.»
Provò a liquidarlo la Campionessa, ma egli non si decideva a
sparire.
«Non sono qui per questo! - L'uomo rise, sistemandosi un
ciuffo
azzurrognolo in cima al capo platinato, poi consegnò alla
leader
un biglietto - Voi siete le Allenatrici scelte da Nardo: il mio capo mi
ordina di riferirvi questo messaggio, ascoltate bene:
Dirigetevi entro oggi alla sala congressi del Palazzo del Governo,
avete l'indirizzo nel biglietto da visita; c'è da discutere
su
questioni importanti, e come potremmo farlo senza di voi?
Vi consiglio inoltre di non riferire la faccenda ad esterni,
sapete… Sono affari di Stato.
Capito, signorine?»
Le cinque annuirono basite. Solo Camilla si sforzò di dare
un
consenso vocale, esortando inoltre il bizzarro ceffo in camice da
laboratorio a sbloccare il traffico prima che toccasse loro una multa.
Dunque l'albino sparì dalla loro vista, lasciandole confuse
come un Basculin in mezzo al deserto.
Era tutto intricato, ma l'unica soluzione fattibile per iniziare almeno
a sciogliere un capo di quel groviglio fu decidere se andare alla
misteriosa conferenza o proseguire nel loro intento precedente, ossia
procurarsi la droga ed acciuffare il Team Plasma.
Le due operazioni sarebbero costate alla polizia due o tre giorni di
lavoro, alle nostre eroine avrebbe richiesto il doppio, se non il
triplo del tempo.
E già l'indomani avrebbero di sicuro dovuto faticare negli
allenamenti il quadruplo pur di recuperare anche quella giornata persa,
Nardo purtroppo era fatto così.
Una coincidenza giocò tuttavia a loro favore, quando ogni
speranza sembrava esser stata abbandonata.
Camelia si permise, sfrontata com'era, di sfilare dalla tasca
posteriore il telefonino della ragazzina distesa di traverso, mentre
quella dimenava le gambe per impedirle di rapinarla a mani basse.
La mora, d'altro canto, era conscia di quanto i suoi trucchetti
viperini aggiungessero carburante alla frustrazione infiammata della
sua vittima, ma non aveva altra scelta.
Avevano una missione, dopotutto. L'aveva Iris, come ce l'avevano lei e
le altre tre.
«Zero tre zero quattro?» Domandò alla
sua fidanzata, sbloccando il touch screen.
«No, il contrario. - La rossa si rivolse poi alla ragazzina
distesa su di lei - Dovresti cambiare password, ormai questa la
sappiamo tutte.»
«Anche lo facessi - le rispose, sollevandosi dal suo soffice
supporto e rimettendosi seduta - non smettereste di spiarmi il
telefono.»
Subito però l'atmosfera mutò, portando
l'accusatrice dalla parte dell'imputato.
Iris non poteva prevederlo in alcun modo.
«Ma… questo numero chi è?»
Le domandò la modella, non esitando a mettere a disposizione
di
tutte il contenuto della conversazione, (di una sola battuta, ad essere
pignoli).
«E perché ti chiede di uscire sabato?»
Anche Anemone si accigliò, assumendo la stessa
perplessità confabulante della sua compagna.
«Ma ti ha messo pure un cuore… un cuore,
dico…»
La indicò la biondina, neanche ci fossero fotografie o
filmati pornografici all'interno di quella chat.
Le quattro giovani saffiche potevano aver formulato un'unica ipotesi, e
Camilla, ancore inebriata dai dolci baci sulle cosce della sua amica di
letto, le formulò il quesito finale.
«Iris. Parla chiaro.
Ti senti con un ragazzo per caso?»
Silenzio di tomba. Poi ad Iris sembrò che le fosse venuto un
embolo.
«Ma se sono due mesi che sono bloccata qui con voi, cavoli!
Mi avete pure minacciata di morte se anche provavo a pensare ai maschi
neanche fossimo in un convento, non sono così scema da farmi
altri problemi oltre a quelli che ho
già…»
Ad interrompere la più giovane fu sempre il desiderio di
chiarimenti della bionda. Non credeva di essersi persa così
tanto del carattere di Iris, quando in realtà era convinta
fermamente di conoscerla come le sue tasche.
«Allora chi era? È tuo dovere dircelo, che tu ci
voglia bene o male.»
Questa sbuffò, riguardando il riquadro contenente il testo,
e si spiegò una volta per tutte.
«Questo messaggio me lo ha inviato la leader del Neo Team
Plasma. Ecco, l'ho detto!
S-Si chiama Georgia Korishima e ha quindici anni come me, ci siamo
incontrate quando voi mi avete piantata in asso quando dovevamo andare
in spiaggia.
E sapete una cosa? Non era niente male come persona, se ieri l'altro
non avesse cercato di ammazzarmi!»
Aggiunse seriamente dispiaciuta ed in assoluta sincerità:
non
mirava a far sentire le compagne in colpa, solo non riusciva a
dimenticare i bei momenti trascorsi con un'amica che riusciva a capirla
al volo e condivideva le sue stesse passioni.
O almeno sperava, visto che la stima che la teppista le aveva giurato
di serbare nei suoi confronti si era rivelata una farsa, magari i
giochi arcade e le lotte le facevano pure schifo, per quanto ne sapeva.
«Se ti consola, - Anemone disse - noi non proveremo mai ad
ucciderti.»
Le altre tre ragazze annuirono, compiaciute da quell'affermazione.
Non credeva che fossero scema, più scema, ancora
più
scema e relativamente la più scema, erano solo affette da
una
classica forma di dabbenaggine e compassione tipica dei membri anziani
di un gruppo.
«…Confortante.» Rispose loro, atona.
«Però non ha più l'immagine sul profilo
- e fece
vedere loro il riquadro vuoto, in cui una sagoma bianca senza volto si
contrapponeva a uno sfondo bigio, blando e spersonalizzato - e non
è online… da quando ci siamo scontrate alla
Lega.»
Decise di sua spontanea volontà di sorvolare sul sanguinoso
squartamento a cui aveva assistito. Non lo aveva causato lei, non lo
avrebbe augurato neppure al peggiore dei suoi nemici, ma sperava nel
fatto che vedere una ragazzina uguale a lei soffrire in quel modo
atroce l'avrebbe resa insensibile ad altre eventuali carneficine.
Non era stata uccisa, quindi in teoria ne era uscita più
forte.
«Aspetta! Quindi tu hai avuto per, tipo, più di un
mese il
numero di una criminale ricercata in tutta Unima e non ci hai detto
niente?! Ma di che droghe ti fai?!?»
La mora prese la notizia piuttosto male, non trovando la minima
coerenza fra il discorso precedente pieno di spergiuri e denunce dei
loro difetti e quella mancanza inspiegabile di fiducia che la ragazzina
si permetteva di custodire anche dopo tutti i monologhi a effetto
placebo pronunciati da ella.
Le due litiganti fecero per iniziare una di quelle faide a base di
graffi e schiaffi innocui sulle mani, senza la vera intenzione di farsi
del male a vicenda, Camilla quindi intervenne.
«Non è importante adesso. Parlando di droga,
piuttosto,
credo di avere un'idea che potrebbe funzionare: se hai il suo numero di
cellulare, Iris, puoi telefonarle e provare a
contrattare…»
«Camilla, questa era la mia idea! - Iris si batté
la
fronte - Secondo me comunque non ci risponderà mai,
figuriamoci
poi se ha voglia di parlare con noi.»
«Tanto vale la pena di fare un tentativo, a meno che non sia
diventata irraggiungibile.»
Catlina era girata di centottanta gradi, per comunicare con le ragazze
sedute dietro.
La modella e la pilota diedero il loro consenso mendicante un cenno
convinto all'unisono.
Insicura sulle proprie azioni, mentre Camilla accostò nel
primo
posto di parcheggio libero e gratuito, Iris premette sull'icona della
cornetta verde.
Il loro coretto si zittì, con il lento tubare della chiamata
al vivavoce affinché potessero tutte sentire.
«Sta suonando.» Fece Iris, sottovoce.
Nessuna di loro credeva che qualcuno avrebbe per davvero risposto: non
vi erano dati certi, né tantomeno probabili; che serial
killer
terrebbe mai il cellulare acceso in modo da diventare rintracciabile
dalla polizia in men che non si dica?
Eppure, dopo qualche minuto di insistenza, qualcuno doveva essersi
stancato dello squillo assillante della suoneria e aveva avuto
l'audacia temeraria di far scorrere il dito sul tasto verde.
Si scambiarono diverse onomatopee per auto-invogliarsi a fare silenzio,
stupefatte della fortuna appena avuta: ora il problema rimaneva cosa
dire alle loro peggiori avversarie.
Niente "pronto, chi parla?" o convenevoli.
Quelli si adattavano alla borghesia, non al gergo di chi si trova
costretto ad unirsi ad un'organizzazione criminale, spinto da
chissà che squallido passato.
Sentirono un grugnito secco e insospettito, a tal punto che non
sembrava neanche una voce femminile quella che aveva risposto, ma un
automa senza sentimenti.
«Uhm?» Se ne uscì, alle sue spalle un
certo rumorio di sottofondo.
Le cinque protagoniste caddero ancora più nel panico,
biasimarle
non è possibile, data la repentinità con la quale
il loro
tuffo nel vuoto le aveva fatte atterrare su un letto di piombo.
Si scambiarono sguardi terrorizzati, spingendo la mano della
Campionessa che reggeva il cellulare alla bocca delle diverse
giovani, alla ricerca della coraggiosa che parlasse prima che la
chiamata fosse terminata.
Il fardello toccò a Camelia, essendo lei la più
sfacciata doveva provare a dire almeno qualcosa.
Il tempo correva contro di loro, la recluta avrebbe presto perso la
pazienza.
«T-Team Plasma…?» Si avvicinò
al microfono, con aria incerta, attendendo un riscontro.
Dall'altro capo del filo, partì una richiesta deittica ad
una delle seguaci lì presenti.
«Ohi, ci vogliono! Mi senti? Ci sta una tipa, ci sta una
cliente.»
Clienti? Il Neo Team Plasma vendeva merce via telefonica adesso? Che
razza di scherzo era?
Ma le nostre eroine non si persero d'animo e la modella seppe
già come attaccare bottone.
«Si dice… - disse, un po' presuntuosa - Che avete
della… roba, piuttosto buona...»
Ci fu un breve silenzio, in cui tutte si stupirono dell'astuzia
dimostrata dalla giovane: ora le reclute avrebbero percepito il loro
agire da latitanti e si sarebbero sentite meno intimidite dal rivelare
loro qualche succoso segreto.
Andò così. La seconda delle due si fece avanti.
«Avete sentito bene. - Ringhiò, già
ubriacata del
profumo di soldi - Dateci un luogo e un tempo…»
La sua compagna la bloccò subito nella sua precipitosa
imprudenza, afferrando l'apparecchio e gridandovi contro qualcosa del
genere, più farcito di intercalari e volgarità.
«E chi ci dice che non siete della polizia e volete beccarci
in bomba? Non siamo stupide, oh!»
«Hey, - l'altra seguace parlò con la
contrabbandiera, in
tono abbastanza amichevole - guarda che la leader ha salvato 'sto
numero con un cuore. Deve essere una cliente affezionata, 'sta "Iris".
Di solito faceva sempre fuori i numeri di quelli che compravano,
così se le scrollavano la rubrica poteva farla franca coi
debiti
e non entrare nei casini.»
Inutile riferire che la ragazzina dai capelli violetto sorrise
soddisfatta della sua operazione di spionaggio involontaria. Dopotutto
la sua amicizia con Georgia non si era rivelata poi così
tanto
vana. Stava per iniziare una trattativa in suo nome.
«Giusto, giusto! - Anemone partì a parlare,
più
disinvolta ed infervorata nella parlata gangster che lei si era
immaginata esistere solo nei thriller - Siamo state mandate per conto
suo.
Quindi vi conviene dirci dove ci si becca e darci la maria, non abbiamo
tutto il giorno razza di sfigate del…»
Prima che potesse sputare chissà quali altre
assurdità,
la sua ragazza le mollò un leggero colpo dietro la nuca,
incredula di come quella che definiva una persona intelligente in grado
di ricordare formule di lunghezza chilometrica si riducesse a quelle
cadute di stile.
«Calma, calma… - La recluta levò un
respiro
affaticato, confusa da quante persone stessero attivamente partecipando
ai loro affari in incognito - Più o meno, dove
state?»
«Austropoli, zona Nord. - Camelia si sentì in
dovere di
specificare dove la sua fidanzata aveva creato solo imbarazzo - Questo
pomeriggio.»
«Buon per voi, siamo al primo vicolo di Via Stretta passando
dalla piazza.
Fatevi trovare là fra un'ora e non provate a farvi seguire.
Spegnete i telefoni e copritevi la faccia.»
«Vi faremo un test, state scialle, sarà facile
facile, infatti la risposta ve la diciamo noi subito.
"Ghecis Harmonia rex Unovae", ditelo chiaro, una volta sola.
Capito? Non ripetiamo.»
Pur sapendo di non poter essere viste, le giovani annuirono comunque.
«A posto, ci si vede, alle quattro.
Fatevi trovare, o vi denunciamo, abbiamo il vostro numero, ricordatevi,
eh.»
La recluta infine buttò giù, non dubitando della
fedeltà ai loro giuramenti, le sue minacce erano state
più che convincenti.
Finita la chiamata, Camilla restituì il cellulare ad Iris,
la
quale tirò un sospiro di sollievo nel riceverlo allo scopo
di
liberarsi di tutta l'adrenalina accumulata.
Georgia, in conclusione, non era più la proprietaria del suo
telefonino e ciò la preoccupò.
Era finito in mano a quelle bestie umane, adesso lo usavano per le loro
attività illecite e lei vi trasse alcune ipotesi alquanto
sgradevoli sul cosa potesse esserle successo.
«Alle quattro, allora.»
Camilla si sistemò il ciuffo scomposto, osservandosi sullo
specchietto retrovisore.
Intanto sulle strade si erano radunati sempre più pedoni,
l'ora
di punta si stava avvicinando mentre il sole scottava il cofano
dell'auto rendendolo incandescente, il cemento era così
caldo da
poterci friggere un uovo sopra.
«E l'appuntamento alla sala congressi? - Domandò
Catlina,
rigirandosi fra le mani il biglietto da visita finemente decorato di
arabeschi e stampato con gran classe - Abbiamo solo un giorno, e
già mi sta venendo mal d'auto.»
Gestire in parallelo due operazioni così complicate
implicò la più pericolosa delle decisioni, quella
che
già due volte aveva messo nei guai le Allenatrici,
dimezzandone
la forza ed esponendole a perdite anche gravi.
Computarono alcuni paradossi, come nell'enigma della capra, del cavolo
e del lupo da portare dall'altra parte di un fiume immaginario senza
che una mangiasse o sbranasse l'altra.
La macchina di Camilla le avrebbe trasportate sul posto grazie al
navigatore satellitare fino ai
bassifondi della città, per poi sfrecciare via nella parte
benestante, fra gli uffici amministrativi, per il loro singolare
colloquio e, in qualità di guida, stabilì
ciò.
«Adesso vi dirò una cosa ovvia e degna dei
peggiori film del Pokéwood: dobbiamo dividerci.»
❁
Le
giovani generazioni, essendo nell'età della scapigliatura e
in
balia della spirale bohémien, almeno una volta sentono
l'impellente desiderio di associare con concretezza il loro caos
interiore ad un qualcosa di empirico, che lascia il segno.
Le due Capopalestra e la loro amica della Lega camminarono in gruppo
compatto per quella via imbarbarita dalla fervente attività
nella quale stavano per infilare anche loro il naso.
Un oggetto, un gesto, un luogo... Specialmente l'ultimo.
Inspirare attraverso i propri polmoni l'aria di degrado rinvenibile
soltanto nei bassifondi riempie i ragazzi di una sorta di squallido
timore reverenziale: possono ammirare le macchie sul manto candido
della civiltà, ma senza per forza doversi sporcare le mani.
«E basta! Questi sono lividi…»
Lì c'era l'eco, data la desolante vuotezza della zona,
altrimenti la voce della biondina non si sarebbe affatto sentita.
Infatti non ci volle molto alla sua compagna modella per ribatterle con
tutta calma.
«Cat, non dire stupidate, quelli sono succhiotti.»
Intanto che si dirigevano al luogo dello scambio, Catlina aveva avuto
modo di pentirsi a dir poco amaramente di aver voluto indossare una
maglia così scollata, quel giorno.
Non era nulla di osé, ma il fatto che non riuscisse a
nascondere
con efficacia i segni cutanei dell'amore di Camilla l'aveva gettata in
una pruriginosa situazione con le altre due.
Difettando di realismo, non avrebbe mai rimproverato alla sua amante di
averle stampato con le labbra la propria dichiarazione di
proprietà sulla sua pelle chiara.
«Ma non devi vergognartene, - Anemone le si
stagliò
accanto, cercando di sembrare rassicurante - anche io ne sono piena,
solo che non si vedono.»
«Vi ho detto che sono i segni delle botte che ho preso dalla
recluta del Team Plasma!»
Si continuò a difendere.
Una volta venute a conoscenza dell'odio infondato di coloro che stavano
per incontrare e restie al voler correre ulteriori rischi legati alla
mobilità, avevano deciso di mettere da parte la sedia a
rotelle
almeno per quel pomeriggio e di utilizzare i poteri psichici di
Gothitelle come esoscheletro al fine di permettere all'Allenatrice di
Sinnoh di deambulare da sé.
L'impressione del movimento delle gambe sembrava apparire in completa
autonomia, o almeno è quello che speravano i loro nemici
avrebbero creduto alla cieca.
«Hai preso proprio delle brutte botte… - Camelia
non si
perse la sua bella occasione di prendere in giro quella vergine pudica
- ...sul collo e sulle tette, poverina.»
E le fece una carezza faceta sulla testa, battendo poi sulla visiera
del cappello che le avevano chiesto di mettere per nascondere
l'antiestetico bendaggio presente fra i folti capelli.
Nessun tipo di delicatezza e di sensibilità avrebbe
impedito, si
disse, alla mora di trattenersi una delle sue freddure, le fosse
cascato il mondo in testa quella le avrebbe sempre e comunque riso in
faccia.
«Bene, ci siamo.»
Tutte e tre cambiarono subito pensiero una volta svoltato l'ultimo
angolo, quello che divideva Via Stretta da tutte le altre Avenue di
Austropoli.
Si fermarono un attimo e, stringendo i pugni come a voler arraffare al
filo invisibile di forza che rappresentava il loro legame, procedettero.
Oltre alle truppe ausiliarie nelle Poké Ball, Anemone, ancor
prima di mettere piede in quella discarica a cielo aperto, aveva messo
a disposizione i suoi Pokémon volanti in qualità
di
vedette, i tre uccelli sorvolavano la zona e coprivano le spalle delle
ragazze.
Più che per gentile disposizione d'animo, la rossa aveva
concesso loro quel piacere un po' per mettersi in mostra; contava
infatti sull'allenamento disciplinato della sua squadra per proteggere
la sua fidanzata e quasi quasi ci sperava in qualche attacco da poter
sbaragliare.
Quell'ambiente di ghetto le metteva una carica incredibile, non sapeva
spiegarsi il perché.
Mordendosi le labbra per non pensare al pericolo, trovarono subito
strano che in quel tugurio non ci fosse anima viva, proprio l'area che
doveva essere piena di gente aveva intenzione di lasciarle
così,
nelle grinfie di una banda di malfattori.
Beh, se due persone e basta sono sufficienti a creare una "banda".
Sembravano gatti neri. Una sedeva a terra, addossata ad una rete in
ferro battuto, rotta in alcuni punti, dava su un campo da basket
cementato; l'altra vi si era appoggiata mollemente.
Come chi ha paura di beccarsi il malocchio incrociando le creature di
compagnia delle streghe, Anemone, Camelia e Catlina si fermarono ad
alcuni metri di distanza.
Non sentendosi certe nel procedere per induzione e quindi azzardare il
fatto che ogni individuo vestito di nero con pendagli in oro posticcio
facesse parte del Team, provarono a seguire le istruzioni.
«Che scemata unica, chissà che non siano loro e si
chiedano "ma cosa vogliono queste sceme che parlano arabo"?»
Camelia aveva intenzione di sottrarsi in ogni modo a questa figura
irrimediabile. Non voleva allungare il suo curriculum di esperienze da
suicidio un mese prima del TRUF.
«Frega niente, lo dici con noi. Dai Cami, fammi questo
piacere…» La supplicò la rossa.
«Comunque questo è latino. - La corresse la
più
grande, poi ritornò seria al massimo - Ho la frase da dire
qua
sul telefono, pronte a dirla?»
Attraverso i suoi occhioni verde giada rivolse uno sguardo un poco
sfiduciato alle due, che ricambiarono con molta empatia quel sentimento
di essere semplicemente spacciate.
Non avevano altra scelta, alla fine, e si rassegnarono alla loro
missione.
Gli andarono vicino ed un membro di quella coppia, incappucciata, con
lo sguardo basso, le rivolse queste parole.
«Quis reget Unovam regionem et suis civites ac suis honores
praestat?»
Dopo un respiro profondo ed aver deglutito a forza, le nostre eroine
risposero.
«Ghecis Harmonia rex Unovae.»
«Stupida, dovevi dirlo con noi, io ti ammazzo!»
A dirla tutta, a pronunciare questa solenne formula furono solo le due
povere ingenue; Camelia aveva sì partecipato alla loro
ansia, ma
pur avendo davanti a sé il supporto bibliografico con su
scritto
ciò che doveva dire non aveva comunque aperto bocca.
Per questo se la stava ridendo sonoramente in disparte, una volta che
la sua ragazza, ormai presa da quell'atmosfera l'avrebbe anche
picchiata per quel tiro mancino, sempre in senso figurato.
Era troppo facile lasciar fare il lavoro sporco agli altri, non era
mica giusto, pensava quella.
Tuttavia le due randagie non sembrarono turbate dalla mancanza di
rispetto per il loro motto.
Quella accovacciata si alzò, con movenze lente e
scoordinate,
sembrava tirata su da fili, come un pupazzo rotto ed abbandonato in un
cassonetto.
Si tolse il cappuccio. Da esso sbucava una coda di cavallo alta, che
sfociava in una serie di sfumature tendenti al gradiente rosso,
partendo dall'arancio e dall'ocra. Il resto del manto era biondo sporco
e pieno di forfora, alle radici faceva capolino il colore castano
naturale di quella ragazza, se fosse stato possibile definirla tale.
La sua compare non era diversa. Aveva il suo stesso taglio e la sua
stessa tinta, forse ancora più rovinata della sua (aveva
infatti
i capelli nero pece e li aveva sfibrati tutti per decolorarli).
La femminilità sembrava essere colata via da quei due corpi
secchi, dai visi smunti, quattro linee di ombretto e di fondotinta in
croce; una aveva un piercing arraffato alla sua narice come un'amo da
pesca, attraverso i lobi dell'altra ci sarebbe potuta passare una
moneta.
Erano agghindate come vittime sacrificali, secondo quello stile tribale
per cui il loro sovrano dimostrava tanta passione.
E tutto quel nero non rendeva certo giustizia alla carenza di igiene di
quel postaccio in cui erano segregate.
«Cacchio, io ti conosco, a te… Te sei una modella,
t'ho visto una volta in un reality…
Voi altre due però, boh, cioè, chi
siete?»
La prima parlò, attraverso le palpebre sbarrate
esibì un sorrisetto sornione, deformando la bocca.
«Queste sono Capopalestra e una dei Superquattro. - La
riprese la
seconda, approcciandole anche lei con una camminata scimmiesca - E sono
anche tre drogate luride, a quanto pare.»
Ridacchiava alla sua stessa battuta, vicino a lei due esemplari di
Grimer.
Nessuna delle giovani osò ribellarsi a quelle accuse
infondate.
Erano lì per far scena e la loro bella pantomima non doveva
venir smascherata per nessuna ragione al mondo.
La cosa che faceva storcere il naso fu il perché, nonostante
le
avessero riconosciute, ai membri di rango più basso al
gruppo
eletto non fosse pervenuto l'ordine di eliminarle.
«Bada come parli, - le fece l'aviatrice, stizzita - siamo qui
per conto di terzi.»
«'Sta Iris è il vostro capo?» Le reclute
non la smisero di far loro domande per un po'.
Magari erano pure più agitate delle false acquirenti.
Camelia stava già per lacerarsi la faringe a suon di risate.
«S-Sì… Oh, sì, è
lei il nostro capo,
la nostra "boss", la nostra mittente, proprio una tosta come
lei!»
E né la nobile né la sua compagna poterono
impedirglielo:
davvero le credevano subalterne di una bambina proveniente da una landa
sperduta con complessi di inferiorità allucinanti?
Si trattennero comunque, piuttosto nolenti, annuirono anche.
«Sbatte se siete Allenatrici o Capopalestra o quel che siete.
Siete qua per la roba, no?
Io sono R. Questa è la mia socia, Z.»
«Aspetta… ma quindi i vostri nomi si scrivono,
tipo, come le consonanti?
O a lettere, "Erre" e "Zeta"? Come fate per la Scheda Allenatore, per
la carta di identità…?
E quando finite le lettere dell'alfabeto? O ci sono solo ventisei
reclute, anche se dubito?»
Iniziò a domandar loro Anemone, assai confusa da quegli
strani
pseudonimi: N, R, Z… cosa gli era saltato in mente a quel
pazzo
di Ghecis? Questo sistema di nomi era la manifestazione del male puro.
Ovviamente nessuno si degnò di rispondere a quelle sciocche
domande.
C'erano questioni molto più importanti di cui discorrere in
quel momento.
Z, quella più sciatta, predispose davanti alle allenatrici
un
bidone della spazzatura vuotato e capovolto, da usare come banco per
esporre la sua mercanzia; ci distese sopra una vecchia felpa bucata per
non insozzare la stessa e la sua compare vi aprì sopra una
ventiquattr'ore.
Fu quasi simile alla dischiusa di uno scrigno del tesoro,
perché
il valore di ciò che la misera valigetta conteneva poteva
eguagliare la bramosia di chi ricercava tali rarità: buste
di
plastica erano piene di polveri bianche, gialle e grigiastre, siringhe
e aghi sterili ancora impacchettate nei contenitori medici, poi carte,
filtri, scatolette di metallo per oltrepassare indenni i controlli.
Potevano scommetterci mettendo la mano sul fuoco: il Team Plasma non
era più l'organizzazione che il vecchio leader aveva
lasciato.
Quello era acqua passata.
Ora il Neo Team Plasma, il suo discendente, spacciava droga di ogni
genere a delle ragazze, fra cui due minorenni.
«'Sta roba - partì la seguace - è la
migliore di
tutta Austropoli. Non è solo per le persone, sorelle.
Questa roba la dai ai tuoi Pokémon e quello ti vince la Lega
in quattro regioni diverse, oh.»
Le "sorelle" dovettero tacere tutto il loro stupore. Non erano
più le giovani pulite di buona famiglia.
Ora dovevano calarsi nella loro parte, meglio di delle attrici,
dovevano recitare il ruolo delle tossicodipendenti, solo per comprare
per sé un po' di quel ben di Dio.
Faceva fatica Camelia soprattutto, lei era a dir poco schifata. Le era
giunta voce di alcune sue colleghe, le cui carriere erano state
stroncate da scandali che coinvolgevano proprio quelle sostanze
stupefacenti.
Non le avrebbe mai considerate come alternativa per combattere lo
stress lavorativo, meglio piangere e soffocare nella tristezza
piuttosto che soffocare nel vero senso del verbo.
R in seguito prese in mano una sacca di nylon, sventolandone il
contenuto con orgoglio.
«Polvoenergia purissima. È cocaina naturale per i
Pokémon, una volta la vendevano in tutti i mercati, ma da
quando
hanno cominciato a usarla nelle lotte è praticamente
scomparsa.
La fai tirare a un tuo Pokémon e quello ti passa da sbornia
totale a che ha più energia di non so cosa.»
«Sono sessanta Pokédollari al grammo. Abbiamo pure
la coca normale per voi perdenti, eh.»
Non era una strategia di marketing molto astuta quella di rinfacciare
ai clienti il loro vizio capitale, ritennero tutte, ma non erano
possibili i commenti.
Soprattutto perché quella Polvoenergia non era quello che
cercavano.
«Che altro avete?»
La rossa lanciò uno sguardo di intesa alle compagne, facendo
notar di essere per nulla interessate a quell'articolo.
Le reclute Plasma dunque si spicciarono a cercare un qualcosa di
più leggero, se così si può dire.
Una aprì e rovesciò sulla sua mano il contenuto
di una
scatoletta di metallo, una poltiglia verdastra dall'odore piuttosto
acre.
L'altra invece adibì una serie di rettangoli di carta,
piccoli
cilindri bianchi e cominciò a sistemare un grumo di quella
roba
su una di esse, arrotolandogli la carta tutt'attorno, per fare una
dimostrazione.
«Noi due - iniziò a presentare Z, ponendo il
braccio sulla
spalla dell'altra in segno di complicità - abbiamo la
Vitalerba
migliore della città. Mica come quello schifo che ti vendono
a
nord!
E non dovete neppure farla fumare per forza, ci stanno
Pokémon
senza bocca, basta respirare il fumo e, tipo,
cioè… ti
manda all'altro mondo…»
«Sentite, non è quello che cerchiamo,
cioè, che il nostro capo cerca.»
La biondina troncò quella pubblicità spicciola
sul
nascere, risistemandosi quell'ingombrante cappello che per nulla si
addiceva al suo stile, la faceva sembrare una poveraccia a suo parere.
Rammentarono di avere solo un pomeriggio per completare il loro
obiettivo, non potevano aspettare che le due spacciatrici ci
arrivassero da sole, bisognava trovare la droga. Quella droga.
Era una strana ingiustizia il non poter sbattere loro in faccia le cose
come stavano e dover lavorare solamente per allusioni. Una situazione
da veri drogati.
«Sentite. - La modella si atteggiò più
minacciosa,
avvicinandosi e incupendo la voce - Gira voce che voi abbiate una
cosa… Una cosa grossa. Che non si trova da nessun'altra
parte.»
«Cosa spari, sorella…» Si
allarmò R, sempre mantenendo un'aria di indifferenza.
«Non fare la finta tonta, fattona sfigata - Anemone decise di
disattivare il freno alla sua lingua - sappiamo che avete una droga che
è peggio dell'hashish, ti sballa di brutto.
Ti rende insensibile al dolore e ti fa diventare, tipo, super
forte…
Quindi poche storie e usciteci la roba buona!»
La top model ebbe il fortissimo impulso di strapparsi i capelli dalla
frangia, tanto imbarazzata si sentiva. In quei pochi istanti nei quali
la pazza con cui si era fidanzata aveva sparato tali scemenze tutte
d'un fiato riconsiderò da capo la propria relazione.
Altro che fine estate, le sarebbe servita pazienza per superare almeno
il mese corrente.
Rettifica: le sarebbe servita se nelle teste bacate delle due reclute
non fosse improvvisamente suonato un campanello, dopo tutto quel tempo
speso a ciarlare.
Si guardarono un attimo, circospette. Non si aspettavano una richiesta
del genere, a quanto pare.
Controllarono la totale assenza di eventuali testimoni. Poi Z
ridiventò ancora più seriosa.
«R, queste qua vogliono il Sangue del Drago.»
Silenzio. Neanche il loro respiro emetteva suoni, per quanto la
tensione fosse percepibile.
«Che nome stupido per una droga.» La mora
alzò le spalle.
«Sapete che se vi beccano con questa nel sangue alle analisi
finite in galera per la vita?»
Quando mai le spacciatrici tentano di dissuadere le clienti
dall'acquisto, che strano.
«Non solo a voi, ma anche ai Pokémon, -
precisò la
sua collega - vi squalificano da tutte le gare, questo è
peggio
del doping.»
Le tre non si lasciarono intimorire. Mica dovevano farne uso, erano
innocenti al cento per cento davanti ai controlli.
«E secondo voi perché siamo qua?» La
rossa gli lanciò un'altra provocazione.
Intanto Catlina estrasse una mazzetta abbastanza spessa dal suo
portafogli, implorando il perdono dei suoi genitori per aver usato i
soldi del suo vitto mensile per comprare della droga.
«Siamo disposte a pagare: quanti volete? Duecento,
trecento?»
Erano esterrefatte. Quei due topi di fogna stavano vedendo
più
denaro concentrato fra le mani di quelle tizie dalle tette enormi di
quanto ne avessero mai incontrato da quando si erano inserite nel giro.
Però si trattava di allenatrici autorevoli. Magari volevano
solo
gabbarle. Avevano qualche telecamera nascosta all'interno del seno, o
un microchip, o gli volevano affibbiare un cimice.
E poi erano vestite troppo bene, profumavano pure di pulito.
Magari quelle non erano le guardie del corpo della loro boss, quella
Iris.
Magari si trattava delle sue amanti, semplici membri del suo harem,
delle sue escort personali con cui si intratteneva alle feste,
inconsciamente scelsero quell'ipotesi.
Inoltre sapevano che a drogarsi non sono solo i figli della strada e
gli straccioni depressi.
Addirittura le superstar facevano largo uso dei loro prodotti, certo,
avevano dei negozianti migliori, ma quando bisogna staccare la spina
della ragione non c'è norma sociale che tenga.
Z quindi si decise: trafficò per un attimo con la
combinazione e
rivelò la valigetta avere un doppio fondo, piuttosto spesso.
Poi
prese a togliere carte, rimuovere sacchetti, fino al cuore di quella
matriosca.
C'era un cubo. Il cubo a sua volta era composto da tanti piccoli
cubetti, ciascuno diviso in altrettante fratture sempre più
minuscole. Era la Spugna di Menger del vecchio principe Harmonia, ne
erano sicure.
Il tutto era grande quanto una Pokéball. Infatti una delle
due
reclute premette sul centro, dove per definizione doveva esserci stato
il vuoto lasciato dal quadrato mancante in realtà vi era un
pulsante nero, camuffato con l'ambiente,
E dentro là eccola, la preziosa fiala, neanche cento
millilitri, il cosiddetto Sangue del Drago.
Nelle loro teste, Catlina, Anemone e Camelia esultarono "missione
compiuta".
Stavano per completare la transazione e andarsene a bere un bel
cappuccino, quando Z ritrasse la mano, un gesto che causò
nelle
ragazze grande sconforto, ma ancor più grande sorpresa.
La stessa fece segno alla socia, la quale aprì una delle
buste
precedentemente mostrate loro e versò un po' di quella
farina
bianca su del loro tavolo. Con un pezzo di plastica la divise
meticolosamente in alcune strisce lunghe e sottili in un batter
d'occhio.
Poi fece qualche passo indietro, esponendo contenta la preparazione
sopraffina alle tre Allenatrici.
«Prima di darvi il Sangue del Drago però, - R si
dipinse
un sorrisetto demoniaco in volto - lasciate che noi del Neo Team Plasma
vi dimostriamo la nostra gratitudine, non ci capitano tutti i giorni
affari come questo…»
«Su! - Le invitò l'altra, ancora più
insistente - Cosa aspettate? Offre la casa.»
Le giovani rimasero come paralizzate. Le avevano colte alle spalle,
come nell'assalto alla Lega.
Allarme rosso.
Allarme rosso. Erano finite in trappola.
«Allora, non volete favorire? »
«Dai, non abbiate paura… - Infine la recluta
cambiò
tono, suonando inaspettatamente molto aggressiva - Perché
così ci dimostrate di non essere tre deficienti che volevano
solo provare a fregare il Neo Team Plasma.»
❁
Gettando
di tanto in tanto l'occhio attraverso lo specchietto retrovisore,
Camilla, oltre al riflesso dei suo ciuffo scompigliato dal vento,
riusciva a scorgere ben poco dello sguardo di colei che adesso le
sedeva accanto, nel sedile del passeggero.
Iris non aveva più aperto bocca e non sapeva spiegarsi il
perché.
Fallendo nel concentrarsi esclusivamente sulla guida, la Campionessa si
domandò more geometrico le ragioni che avessero spinto la
sua
piccola amica a scoppiare in quel modo, a traboccare di astio in un
momento che richiedeva la loro unità, ma alla fine era
chiaro
che la ragazzina aveva deciso di tenersi per sé molti pezzi
della storia.
Come per esempio il fatto di essere stata costretta a cercare amicizie
esterne al loro circolo pur di trovare un briciolo di accettazione.
Come era potuto succedere?
Negligenza, sillabò nella sua testa. Che non fa mai male,
sia
chiaro, è naturale per gli uomini sovrascrivere i dati nel
database perfetto del nostro cervello ed eliminarne; però,
indubbiamente, tale colpa non era mai trascurabile per gli esseri
più giovani.
Camilla comprese il concetto, ricordandosi di essere stata anche lei
un'adolescente.
Una farfalla non può rimproverare ad una larva qualche
contumelia quando anch'essa ha dovuto patire la strettezza del bozzolo
e l'inadeguatezza agli occhi degli altri.
Perciò la bionda sorrise per tutto il tragitto verso la zona
finanziaria, guadagnandosi in risposta diverse occhiate confuse dalla
sua compagna, che si domandava il motivo di quella
tranquillità.
Ma neppure quando parcheggiò e cominciarono a salire i
gradini in marmo ella le rivolse la parola.
Il complesso era un capolavoro di architettura contemporanea, i
materiali sembravano leggerissimi ma al contempo resistenti, il clima
soleggiato divergeva la luce al di sotto dei portici e creava disegni
con le ombre, il tutto alimentato ad energia sostenibile, ovviamente.
Nonostante il Palazzo del Governo fosse un posto abbastanza affollato,
un paio di credenziali minime bastarono alle due per oltrepassare l'ala
destinata al pubblico ed accedere ai locali amministrativi attraverso
corridoi bianchi, quadri astratti e uomini in giacca e cravatta.
Intanto si interrogava sul perché avessero deciso di
convocarle
inviando come araldo quel buffo individuo suicida; era comunque
abituata, dopo cinque anni, a ricevere incarichi burocratici
nell'interesse della regione, era parte dei doveri del Campione.
Dunque immaginò si trattasse di qualche formalità
legata
all'acquisizione dei titoli, un corso accelerato per dirigere le
imprese di lotta, una o due conferenze sulla direzione della Lega.
Insomma, un mucchio di cose inutili, ma dalla bella organizzazione
strutturale.
Riferì ciò che aveva pensato alla ragazzina, che
ancora
si limitò ad annuire, muta: suppose che le sarebbe toccato
ascoltare anche per lei, non essendo quella molto disponibile a sentire
discorsi su argomenti che non conosceva né era in vena di
provare a comprendere.
Fece un sospiro sonoro, ma non si scompose.
Una delle tante impiegate dalla stretta gonna a tubino le
scortò
infine all'interno di un'ampia sala irradiata dalla luce naturale,
dalle ampie finestre il cielo azzurro si sposava perfettamente con la
colorazione minimalista del luogo, che tuttavia non poteva essere
più azzeccata: bianco e nero.
Uno alle pareti, l'altro sul tavolo e sulle sedie, era presente
addirittura un quadro piuttosto grande del mito della fondazione, con
Reshiram e Zekrom pronti a rilasciare tutta la loro potenza, intenti ad
usare le loro mosse peculiari per imporre il loro predominio sulla
regione.
Le due Allenatrici si accomodarono vicine l'una all'altra per prendere
parte alla seduta, sui loro posti le immancabili bottigliette d'acqua
che Iris non osò neppure aprire.
Accavallò le gambe, conscia che i suoi vestiti estivi non
fossero all'altezza di un incontro tanto importante, e si mise a
guardare altrove, verso l'esterno, dove faceva caldo.
Li dentro si gelava a suo parere, l'aria condizionata le aveva
riportato alla mente i Pokémon di tipo Ghiaccio, la bufera
di
neve e la sensazione di freddo legata alla sua sconfitta contro Georgia.
Chissà se avrebbe mai potuto chiedere sue notizie, si tenne
il dubbio per evitare di peggiorare la situazione.
Chissà se questa atroce domanda l'avrebbe potuta porre
direttamente a Ghecis Harmonia, già che c'era.
Non le fecero aspettare molto, non lasciarono loro tempo di assorbire
il disagio che aleggiava in quell'ampia stanza dal pavimento cerato: le
porte si spalancarono ed apparve, in maniera piuttosto plateale, il
tizio che le aveva guidate lì in carne ed ossa.
Si misero ad analizzarlo meglio, ora che non trovavano altro con cui
distrarsi. Era un uomo di età verde, molto curato
nell'aspetto,
non capivano però che cosa avesse a che fare con il Governo
di
Unima uno con tutta l'aria di essere uno scienziato od un ingegnere.
Stringeva con galanteria le mani a tutti i partecipanti alla riunione,
seminando il suo buonumore come una malattia contagiosa e la sua
affabilità aveva in breve conquistato il locale, era seguito
da
un esemplare di Klingklang mansueto.
La bionda lo credette solo un intermediario, un segretario del partito:
costui tradì le sue aspettative, andando a prendere posto a
capotavola, poi iniziò a parlare con lei ed Iris, quindi
calò un solenne silenzio.
«Ah, puntualissime, le nostre allenatrici! Ma…
sbaglio o ne manca qualcuna? Non importa!
Sarete ben liete di riferire il contenuto della convocazione di oggi
alle vostre compagne, dico bene, Campionessa Kuroi?»
Camilla diede educatamente il suo consenso, ma le sfuggì
come
mai quel tizio si riferisse solo a lei. E poi, chi lo conosceva? Voleva
qualcosa da lei o voleva qualcosa da loro?
«Ottimo, ottimo! Lasciate che mi presenti: sono il Professor
Acromio e mi occupo prevalentemente di studi nella ricerca del
potenziale dei Pokémon, sebbene io abbia anche un posto di
tutto
rispetto anche qui alla sede governativa della nostra
regione.»
L'eclettismo di quell'uomo poteva forse spiegare la sua bizzarria,
tuttavia sembrava ancora esserci del marcio in quella faccenda. Non
avevano mai sentito parlare di costui, tantomeno Nardo aveva mai
menzionato loro un suo collaboratore nei rami alti dell'amministrazione.
Dovettero aspettare di ricevere il succo del discorso, non c'era altra
scelta.
«Prima di tutto, - proseguì il Professore, sempre
molto
vivacemente - vi voglio ringraziare non solo per essere giunte qui con
un preavviso dell'ultimo minuto, ma soprattutto per il vostro lavoro
svolto finora: io, personalmente, ho ritenuto un atto molto coraggioso
da parte vostra il voler intervenire nell'attacco alla Lega, non tutti
gli Allenatori si assumerebbero una tale
responsabilità…»
Non era possibile che si fossero scomodati solo per far loro questo
encomio spicciolo.
Comunque non è che le cinque avessero concordato di
lanciarsi
fra le braccia del pericolo solo per una decisione condivisa. Non era
una decisione, ma un obbligo.
Erano loro a dover difendere la regione, in qualità del
titolo
per cui concorrevano, non avevano alcuna possibilità di
tirarsi
indietro, quindi quei ringraziamenti erano piuttosto inutili.
«…ma vi sarà di sicuro giunta voce
della terribile
situazione in cui si trova la nostra regione: da un anno il tasso di
criminalità si è alzato del due virgola nove
percento,
con ripercussioni sul commercio e sull'industria competitiva, i
Pokémon selvatici sono in diminuzione mentre il traffico di
droga ha raggiunto anche le zone più sensibili del
Paese…»
«…l'Apocalisse è vicina,
moriremo tutti e io ho fame, potete dirmi qualcosa che non so?
Voglio andare a casa, che noia.»
La ragazzina dai capelli violetto fece ruotare le sue iridi verso il
soffitto, stremata da quegli artefici retorici privi di un qualsivoglia
senso.
Se voleva sorbirsi i moralismi di qualcuno sul quanto Unima fosse
ridotta male, suo nonno era un maestro, magari era anche più
interessante di quel saltimbanco, il quale continuava ad elencare
numeri, percentuali e conseguenze che la crisi aveva fatto abbattere
sulla regione come le dieci piaghe dell'Antico Testamento.
Chissà se ci sarebbe stata anche un'invasione di Sewaddle,
prima o poi.
Camilla invece ascoltava con attenzione, appuntandosi i punti
più importanti nella sua mente, lasciando la pagina della
sua
testa ancora vuota, però.
Se le avessero dato una penna era sicura l'avrebbe mordicchiata come un
Patrat affamato.
«…e come voi potete capire, non solo voi ragazze,
ma tutti
i gentili ospiti di questo concilio, quattro ragazzine così
giovani, totali novizie in questo campo non possono permettersi di
essere esposte a una tale minaccia, come quella del Neo Team Plasma!
È inaccettabile.
È il frutto di una scelta affrettata, incosciente di quello
che ormai possiamo definire l'ex-Campione Nardo.»
«Uh?»
Iris si risvegliò immediatamente dalla sua trance distratta.
Cercò di riprendere subito il filo, apparendo un po'
confusa: ma Acromio non poté essere più chiaro.
«Non è possibile che delle ragazzine, ripeto,
delle ragazzine si assumano il controllo della regione.
Sono ancora troppo inesperte per prendere in mano le redini in una
situazione così delicata…
Non è assolutamente plausibile che Unima subisca ulteriori
danni, non credete?»
Gli intendenti borbottavano fra di loro, ma nessuno ebbe il coraggio di
fare una qualsiasi affermazione. Allora il Professore
continuò,
a cuor leggero.
«Quindi, Campionessa Kuroi e… - rimase a fissare
per una
manciata di secondi la più giovane, che distolse lo sguardo,
infastidita - come ti chiami tu, tesoro?»
Oh, sperava costui che lei gli rispondesse, ora che aveva provato a
chiamarla "tesoro"!
Iris rimase in silenzio, impallidì, per quanto la sua
carnagione
scura le premettesse, a quell'appellativo, costringendo la leader a
spiegarsi per lei.
«Iris. Calfuray Iris.»
«Iris, sì, certo! - Quindi Camilla era la
"Campionessa
Kuroi", mentre a lei rimaneva la scelta fra "tesoro" o "Iris" - ho
un'importante, importantissima, fondamentale richiesta da fare a voi,
in rappresentanza anche delle vostre colleghe assenti.»
A questo punto estrasse un foglio bianco, in carta raffinata, una penna
stilografica.
Lo porse loro, facendolo strisciare sul tavolo, e le fissò
ognuna negli occhi, con una fiducia che credeva insormontabile.
Poi sorrise, e finalmente avanzò la sua richiesta, la quale
credeva irrefutabile.
«Firmate qui, e ritiratevi definitivamente dalla competizione
per diventare Campionesse.»
Quelle parole impattarono così forte nell'atmosfera del
momento
da fermare la respirazione delle due allenatrici, che si fissarono a
vicenda, sconvolte.
Non osarono toccare la penna, ma non avanzarono neppure qualche
critica: volevano sapere cosa il Governo, ammesso che quel patto fosse
legale, avesse pianificato.
«Vi prego di non pensare tutto questo come un affronto alla
vostra dignità; ampliate il vostro orizzonte e cercate di
guardare al bene comune: nessuna delle quattro aspiranti Campionesse
potrebbe reggere il confronto contro tutti i problemi che abbiamo, fra
cui soprattutto la minaccia del Neo Team Plasma.
Serve una guida salda, esperta, che ha un progetto concreto.
E, se permettete, il nostro Consiglio ha già nominato un
futuro
candidato alla carica, assieme al suo partito, del tutto legalizzato.
Ci libereremo della delinquenza e garantiremo alla vostra generazione
un futuro più roseo.
Ah, ovviamente mi auguro che voi avevate tenuto un piano di riserva nel
caso non foste riuscite a diventare Campionesse! Confido nella vostra
previdenza, mie care.
Ora dovete solo firmare e siete libere di andare.»
Ognuno di noi abbraccia con l'animo due Stati: uno è grande
e
davvero pubblico, in cui sono contenuti sia le divinità sia
gli
uomini, non prendendo in considerazione questa città o quel
villaggio, ma misurando i confini della propria regione con il sole.
E l'ordine appena imposto loro proveniva appunto da questo stato, dai
suoi più alti rappresentanti, coloro che in teoria
dovrebbero
mirare al benessere di tutti il meglio possibile.
Iris pregò fosse così; il suo amore per la patria
era
l'unica scusa che mai l'avrebbe spinta a gettar via la più
grande occasione della sua vita.
«Ma non era quello che volevi dieci minuti
fa?» Una vocina la martellò
sulla coscienza.
La soppresse. Si sarebbe risposta da sola "certo che no".
Voleva ben altro.
Se fosse diventata lei il capo assoluto (ma contava che anche Catlina,
Camelia ed Anemone non avrebbero esitato) pensava di estirpare lei
stessa il male e di bonificare le paludi del degrado.
Più lavoro, più istruzione, più
servizi, più modernità. Per uomini e
Pokémon.
Non era forse questo il sogno condiviso da tutti?
Perché non poteva essere per definizione una di loro ad
avverarlo?
Ma c'era un territorio più ristretto, tuttavia non meno
influente di quello disegnato sulle cartine e sugli atlanti geografici:
quello dell'interiorità. Lo spazio che un individuo occupa
si
estende non oltre il limite da dove la sua ombra riesce a stagliarsi,
però è piccolo perché è
estremamente
concentrato.
E la somma delle parti costituiva l'intero. Un governante non
può vedere il suo regno come una grossa macchia indistinta
di
plebaglia spersonalizzata.
Ognuno degli Allenatori, degli Allevatori, dei bambini, delle madri e
dei padri, dei ricercatori, degli attori, dei dipendenti salariati e
degli studenti meritava di esprimere se stesso, di far sentire la
propria voce, ma a quanto pareva il Consiglio aveva avuto la brillante
idea non di tapparsi le orecchie e basta, ma di staccargli la spina al
microfono, direttamente.
Uno spirito di altruismo fece straniare la ragazzina di Boreduopoli da
tutti quegli aspetti che riguardavano lei e solo lei: aveva forse perso
un mese ad allenarsi per niente? Poco le importava, ne avrebbe buttate
via tonnellate di tempo della sua vita. Si sentiva meno importante
così? Già lo era poco di suo.
A motivarla e a portare all'esaltazione il suo buon senso era
effettivamente la persona che Acromio, il Governo, che i sostenitori di
quel partito volevano incoronare di alloro gettando invece il giovanile
volto delle sue compagne nel fango solo per il non avere una fondazione
alle spalle…
Il discorso alla televisione… non aveva nulla a che fare con
il
Team Plasma, no… Nero e bianco, ideali e
verità…
le girava la testa solo a pensarci.
Quelli non erano i pensieri ai quali una quindicenne doveva darsi.
«…Mi permette una domanda?»
Camilla portò il palmo della mano all'altezza della tempia,
come
una scolara timorosa di interrogare l'istruttore, il quale nascondeva
la canna per le botte dietro un sorriso smagliante.
«…Chi sarà il nuovo
candidato… - deglutì, era nervosa - alla carica
di Campione allora?»
Ma questa era un quesito del tutto retorico: la risposta era
già
stata scritta negli annali della storia, mentre lo scienziato si
toccò puntiglioso il ciuffo, in segno di sormontante
autorità.
Senza davvero volerlo, Iris sedeva sull'orlo della sedia, la plastica
le irritava le gambe, l'aria fredda aveva intirizzito le sue spalle e
quel freddo si era esteso anche al suo cuore.
«Mi pare ovvio, Campionessa Kuroi: al potere
salirà, entro
la fine di agosto, il partito nazionalista-liberale - e qui si
infiammarono gli animi - guidato dal suo nuovo re Ghecis Gropius
Harmonia.»
Non potevano mica lamentarsi: quel colpo di scena era prevedibile,
almeno quanto il fatto che il partecipare a quella riunione era stata
una fregatura vera e propria.
Però ciò non le autorizzava comunque a prenderla
alla leggera. C'era un complotto alle loro spalle.
In realtà c'era sempre stato, solo che loro erano state
troppo
occupate a colorarsi le unghie e a dibattere dei loro drammi
adolescenziali per accorgersene.
Mentre le future Campionesse di Unima sperperavano il loro tempo ad
inseguire dei teppisti da quattro soldi e ad attaccar battaglia contro
le forze dell'ordine, il pretorio di Ghecis, quell'uomo era riuscito a
riscattarsi dalla sua infima posizione di ricercato salendo la scala
sociale fino ad ottenere un consenso popolare, un vero e proprio
partito di orientamento… che orientamento era quello?
Oltre alla sete avida di potere quel depravato non sembrava incarnare
alcuna saggezza, pur essendo vecchio, pur essendo un eletto, a quanto
si divulgava sui giornali egli vantava di provenire dalla casata reale
dal sangue da cui discesero i due eroi gemelli della leggenda.
E fosse stato solo quello, sarebbe stato un reato, ma un reato
passabile.
Il fatto era che tutti quei bei manichini in tartan grigio, quegli
impresari e quei senatori dalle facce di cera ignoravano che quella non
era la prima, ma la seconda volta che quell'uomo viscido e senza
principi ascendeva all'Olimpo di prepotenza.
«Quindi, - Acromio si fece sottile, già pregustava
l'ottenimento della sua vittoria - una firmetta
qui…»
Ma che cosa importava a cinque ragazze? Non avevano niente di meglio da
fare?
Uscire col fidanzato? Studiare per gli esami? Andare a fumarsi una
canna?
«Io non firmo proprio niente!»
Lo stridio della sedia strascicata indietro con uno scatto repentino
gracchiò insopportabile nelle orecchie di tutti i presenti,
costringendoli a dedicare la loro scialba attenzione alla persona che
ritenevano meno degna di essa.
«Ragazzina… - l'uomo ribadì,
innervosito leggermente - non ci pensi al futuro del tuo
paese?»
Ormai però la giovane dai capelli viola si ergeva sulla
punta
dei piedi, batté i palmi chiari delle mani facendo risuonare
la
superficie del tavolo e quei tonfi amplificavano l'acutezza della sua
voce, rendendo ineludibile ciò che onestamente aveva da dire
in
merito già da un bel po'.
Solo che voleva assicurarsi di essere ascoltata, quella volta.
«Appunto perché ci penso non firmerò
questo contratto.»
«Cosa fa? - Si chiedevano gli altri, sbalorditi da tale
insolenza - Ma è pazza?»
«Un po' teatrale… non trovi?» La
canzonò lo scienziato, senza mostrare traccia di
vacillamento.
«Se ci ritiriamo dalla competizione farete salire Ghecis al
potere, ma siamo pazzi?!
Io, per quanto mi riguarda, non lascio Unima a marcire nelle mani di
quel… quel tizio.
Uno che ha provato l'anno scorso, l'anno scorso dico, a risvegliare i
Leggendari per il suo tornaconto personale, che vende la droga per
comprarsi le elezioni e che manda ad ammazzare cinque Allenatrici
neanche ventenni da altrettante Allenatrici neanche ventenni!
E io dovrei prendere ordini da una persona del genere?! Dovrei
chiamarlo "Campione"?
Perché è questo che fa un Campione ora: si
comporta come
un tiranno e vuole fare pulizia etnica delle persone che a lui non
vanno bene solo perché non gli possono offrire supporto!
Ghecis Harmonia pensa solo ai ricchi e ai potenti; ma ai gay, ai
diversamente abili, ai bisognosi e alle persone di colore chi ci pensa?
Ma perché invece di predicare l'odio in televisione non
provate
ad aiutare chi si trova in difficoltà? E perché
invece di
rubare denaro non condividete quello che avete per migliorare la
regione?
Potreste anche parlare con la popolazione dei vostri progetti al posto
di discuterne da bravi egoisti solo in segreto!
Questo non lo dico come aspirante Campionessa, ma come persona umana
che vive da quindici anni in questa regione…»
Dopodiché le andò via il fiato. Iris dovette per
forza
fermarsi e respirare per sedare il bruciore che le aveva tappato la
gola: tuttavia anche se le sue corde vocali le avessero concesso altro
tempo non avrebbe aggiunto molto altro.
Aveva centrato il punto senza troppa falsa retorica. Aveva espresso
chiaramente cosa pensava.
Intanto Camilla aveva abbassato l'occhio non nascosto, coprendo l'altro
con il ciuffo e la mano simultaneamente, non riuscì ad
individuarvi una visibile reazione.
Presa dalla foga momentanea e dallo stress cumulato in quel giorno, non
aveva davvero pensato alle conseguenze di quello sbotto repentino. In
primis ne era stata orgogliosa.
Farsi mettere i piedi in testa e una mazzetta di banconote in bocca era
il modo migliore per farla sentire una debole, una perdente e nessuna
di tali apposizioni si adeguava alla sua, per quanto precaria, sempre
presente autostima.
Immaginò quindi che magari neppure al resto della gente
piacesse poi così tanto.
Lei era umana e non considerava alieno a sé nulla che
concernesse gli uomini.
Ghecis Harmonia, il Neo Team Plasma, quell'Acromio, non erano
definibili "umani", a parer suo.
Infatti il professore attraversò la sala avvolta nella
costernazione, probabilmente qualcuno dei magistrati si sentiva pure un
po' toccato da quelle parole gridate in un normale pomeriggio afoso.
Passò oltre l'imponente quadro e si piazzò
accanto alla
piccola seccatrice, la costrinse a voltarsi sempre con deliberata
gentilezza e le parlò con un tono molto più
freddo e
distaccato di quello usato per convincerla a firmare la resa.
«Signorina Calfuray… lei dispone per caso di
conoscenza
approfondita della politica e dell'economia del Paese?»
Tale domanda spiazzò non poco Iris, che
indietreggiò intimidita.
«N-No…»
«Ha forse frequentato gli alti ambienti della Lega? Ha
qualche qualificazione come Allenatrice?
Ha mai sostenuto un Esame di Lotta?»
Si fece più veemente nella sua inquisizione, non
guadagnandosi
alcuna risposta affermativa che permettesse all'avversaria di
riscattarsi dalla propria posizione di inferiorità.
«No, ma questo è
perché…»
«Ha presente il codice civile e penale? Sa la differenza fra
socialismo e capitalismo? Conosce la storia della regione a partire
dalla fondazione? Lei possiede questo tipo di competenze?»
Tuonò, alla fine. Dopo rimase silente, aspettando che la
poco
temibile pulce ammettesse definitivamente di non essere altro che una
sempliciotta, una qualunquista ed un'ignorante sulle questioni di
attualità.
Ella sospirò, senza scomporsi.
«…No.» Concluse.
«La sua ostinazione, se permette, è immotivata ed
indubbiamente dettata da una recondita forma di frustrazione. Un
complesso di inferiorità molto aggravato, oserei dire
clinicamente.
È un atteggiamento tipico di chi è impotente, la
storia ci insegna così: lotta di classe e rivoluzione.
Lei vuole difendere gli inetti facendosi loro portavoce: l'ho visto
anche dal suo profilo educazionale.»
Ora Acromio reggeva il coltello dalla parte del manico ed era pronto a
piantarglielo dritto nel petto.
«Signorina, lei no ha terminato la scuola dell'obbligo, dico
bene?»
Iris non mosse un muscolo; era sicura che se lo avesse fatto la sua
mano avrebbe d'istinto raccolto il bicchiere o la bottiglia dell'acqua,
l'avrebbe agguantata e con salda stretta gliela avrebbe frantumata sul
cranio.
Perché quell'argomentazione era il ricatto peggiore con cui
avrebbero potuto incastrarla e lei non poteva negarne la
veridicità.
Se solo avesse avuto un altro nome, un'altra faccia, se solo fosse
stata qualcuno di più influente e rispettabile!
Ma il problema risiedeva in chi era, non in cosa pensasse o nel come lo
avesse argomentato: finché era Iris nessuno le avrebbe mai
potuto prestare fiducia lì.
«È vero.»
Tornò a sedersi, quietando l'ondata di patriottismo che
l'aveva investita.
Non parlò più. Credeva di aver perso del tutto la
capacità di comunicare, di rimanere civile ed educata, di
saper
far valere la sua opinione.
Si sentiva già ingabbiata nella dittatura, nel
totalitarismo, in
cui dopo la libertà di espressione e di associazione se ne
va
via anche quella di pensiero, facendole il lavaggio del cervello, fino
a vedersi costretta a lanciare fiori ed intonare inni al più
crudele individuo sulla faccia della Terra.
Camilla non si pronunciò invece.
Lo scienziato le chiese cosa pensasse. Lei stette zitta.
Le ripropose la sua offerta e lei lo ignorò.
Quindi quello le domandò ancora se davvero non avesse nulla
da
dire e lei, dopo un secco "no comment", si levò in piedi e
fece
segno anche alla sua compagna di uscire.
I tre quarti d'ora da dedicare alla riunione al Palazzo del Governo
erano finiti per loro.
Nessuno si prodigò nel trattenerle, poiché
chiaramente
nessuno aveva voglia di stare a discutere con delle bambine cocciute,
maleducate e vestite con pantaloncini corti e maglietta senza maniche.
Camminarono per un po' mute entrambe, prive di parole per descrivere la
situazione, i dialoghi e le circostanze a cui avevano dovuto far fronte
giocando ad armi impari.
Ghecis aveva dalla sua il Parlamento, una folla sempre più
numerosa di seguaci, i mass-media, un esercito di ragazze assassine ed
un brillante segretario di partito come il professor Acromio.
Perfino Camilla sapeva che neanche un suo intervento in
qualità
di Campionessa poteva in alcun modo interferire con la legislazione
proibitiva e arzigogolata di Unima, così soggettiva e
ristretta
nei suoi parametri d'azione.
Una morsa di angoscia prese d'improvviso la più giovane,
mentre si dirigevano all'auto.
Ella si strinse al corpo della leader, sorprendendola, avvolgendovisi
con le braccia e nascondendo il volto coperto di vergogna sulla sua
spalla, non raggiungendo in altezza la schiena per liberarsi del suo
sguardo.
In quel momento le sembrò davvero che non avesse altra
scelta, se non firmare il proprio ritiro.
«Ho fatto una figura da stupida, mi sono messa contro il
Governo,
ci ho messo tutte nei casini, Camilla, io… - Voleva
aggiungere
che le dispiaceva, ma non riuscì a pronunciare le parole -
io…»
Prima di poter anche solo lasciar che la sua mente navigasse fra le
fetide acque di quel pensiero nefando, come a volerla strappare a quel
gorgo di pessimismo in cui l'associazione criminale voleva trascinarla,
a farle da ancora di salvezza fu la fermezza con cui Camilla le prese
il viso fra le mani e se lo portò a contatto coi suoi occhi,
la
decisione che ci mise nella sua successiva affermazione.
E se lo diceva la Campionessa di Sinnoh, un'esperta di mitologia,
autodidatta, leader improvvisata piuttosto bene e soprattutto amica di
vero cuore, non ci trovò alcunché di marcio.
«Iris, non dire queste cose, per favore.
Sei stata grande.»
❁
Si
comprarono un gelato alla fine. Non perché ne avessero
davvero
voglia, ma più che altro per placare quella fame pindarica
di
soddisfazione materiale che una giornata dovrebbe garantire ai viventi,
pure quando tutto va male.
Lei e Camilla rimasero a chiacchierare insieme, sedute sul cofano
dell'auto pur di non sporcare gli interni, sebbene ci avessero
già mangiato dentro a pranzo.
D'estate, ogni turista medio si accodava davanti alle bancarelle,
pronte ad ostentare la loro produzione artigianale di Conostropoli,
creando una gran calca di fronte all'uscita delle gallerie d'arte.
Erano circa le cinque; la piazza principale, che un nome ce l'aveva, ma
era così altisonante e pretenzioso che oramai nessuno lo
utilizzava al posto del più intuitivo "quella della
fontana",
invece di svuotarsi si riempiva ancora di più.
Allora decisero di andare a recuperare le tre compagne. Senza fretta.
Quella giornata era andata anche peggio dell'altra secondo lei, tutto
quanto finiva sempre in balia del caso e delle circostanze
più
incoerenti ed imbarazzanti quando uscivano in missione.
Da quel pomeriggio in poi aveva stabilito in aggiunta che non si
sarebbe mai più incolpata se la situazione si fosse rivelata
del
tutto a discapito delle sue poche risorse di adattamento.
L'uomo primitivo ci aveva messo millenni ad imparare come camminare
eretto sulle gambe o a sopravvivere ai predatori, mentre a loro era
stata concessa un'esistenza sola.
Camilla accostò in un'area gratuita, poco lontana da dove
aveva
congedato le due Capopalestra e la sua amica d'infanzia,
cosicché le avrebbero viste più facilmente.
Accesero la radio ed aspettarono quiete, sicure che, dopo un pandemonio
come quello odierno, niente di sconquassante fosse in agguato dietro
gli angoli putridi di quelle strade.
Dopo un po' la leader cominciò a interrogarsi sul magari
fare
loro uno squillo, ma Iris la distolse, in riferimento all'episodio del
centro commerciale. Solo perché erano leggermente in ritardo
non
significava si fossero dimenticate del loro dovere, quella era una
mancanza di fiducia.
Attesero ancora un po', e proprio quando la bionda fu sul punto di
perdere la pazienza, la ragazzina non poté non dirsi
soddisfatta
delle sue intuizioni: poteva essere che avesse lei imparato a conoscere
le abitudini delle sue compagne meglio della Campionessa attraverso i
litigi e la frustrazione?
Infatti lungo il marciapiede scorse una testa del colore del metallo
arroventato e altre due figure al suo fianco comunque non meno visibili.
Gli fece un gesto di riconoscimento con la mano per invitarle ad
avvicinarsi, soprattutto però a velocizzare il passo.
«Ma perché ci mettono così
tanto…»
Sì, perché in effetti stavano camminando
piuttosto piano.
Anzi. Guardandole bene le sembrava che le gambe non seguissero un
andamento lineare nell'incedere, bensì descrivessero una
deviazione prima di toccar terra, come se avessero paura che il cemento
crollasse sotto i loro piedi, per questo oscillavano un po' ed ogni
tanto un robotico zoppicare balenava in quell'andamento incerto.
Appena le tre giovani le arrivarono davanti, Camilla uscì
alla
svelta sbattendo con vigore la portiera e la più piccola del
gruppo si allarmò in anticipo, non capendo bene il motivo di
questa foga.
Le sue tre amiche erano arrivate ed ora il gruppo era riunito.
Solo che un'aria strana aleggiava fra loro, in mezzo allo smog dei tubi
di scappamento.
Era un qualcosa di naturale, vagamente dolce, con un retrogusto di
silicone, artificioso e zuccherino. Sembrava un profumo da donna,
tuttavia abbastanza pungente da risultare intollerabile dopo i primi
dieci secondi.
Camilla si guardò intorno e controllò che non
fosse la
sua camicia ad esserne impregnata, come se un campanello di allerta le
fosse risuonato nella sua testa già abbastanza confusionaria.
«Hey… tutto a posto?»
Le fece la rossa, sorridendo in una maniera talmente tanto stinta,
quasi le dolessero le labbra nel compiere quella semplice azione,
curiosa anche lei di cosa stesse sospettando la leader.
«Più o meno. - Camilla esitò nel
risponderle - Voi sembrate fin troppo contente…»
Andava alla ricerca di un contatto visivo qualsiasi con ognuna delle
tre, ma sembrava che i loro occhi avessero di meglio da guardare, e
dato che i panorami tanto spettacolari in quel ghetto non abbondavano
di certo, immaginò che effettivamente ci fosse un qualcosa,
ma
che solo loro tre potevano vedere.
Forse, l'unica a non essere immersa in quella sonnolenza inebetente era
la biondina che pareva, al contrario, più sveglia del
solito,
tenendo la mora per un braccio, intanto che quella abbassava lo
sguardo, piuttosto cupa in volto.
Alla ragazzina non passò neppure per l'anticamera del
cervello
di analizzarle così. Piuttosto, vide che Camelia ed Anemone
avevano finalmente deciso di cominciare a tenersi per mano come vere
fidanzate anche per la strada. Lo trovò assai carino, e
glielo
fece notare.
Si aspettò un qualche commento aspro per via del suo
comportamento prima di separarsi per i loro compiti, ma Camelia stette
zitta quella volta.
Ecco, quello le instillò un minimo dubbio.
«Eh? - le rispose Anemone - È…
tipo… come se ci sostenessimo a vicenda,
adesso…»
«Già…» la sua ragazza
aggiunse, tossendo un
paio di volte con forza lacerante, causando un leggero tremore al
proprio corpo e costringendo la giovane aviatrice a sostenerla
più saldamente.
«Ci siamo sostenute a vicenda, il Team Plasma non ha potuto
fare niente contro di noi.»
Catlina si sistemò i capelli, scoprendo che una visita nella
zona malfamata di Austropoli li aveva sporcati ed unti tantissimo e pur
sapendosi spiegare il perché, era certa che sia lei, sia le
due
diciassettenni (verso le quali sentiva di aver accresciuto la propria
amicizia) avrebbero innanzitutto cenato, poi si sarebbero lavate.
Mai infatti, neanche dopo gli estenuanti allenamenti di Nardo, si erano
sentite così affamate in vita loro.
«Okay, quindi! - la nobile di Sinnoh alzò
spropositatamente la voce, fu sul punto di gridare per incitare la sua
coetanea a spicciarsi per loro, con il consenso delle altre - Possiamo
andare adesso, speriamo che Nardo ci abbia preparato già la
cena, perché io sto morendo di fame, voi no?»
«Avete trovato il Sangue del Drago?» Chiese Iris,
con molta cautela.
Subito però si ritrovò fra le mani, dopo averlo
afferrato
con una presa degna di un giocatore di baseball, una scatoletta dalla
forma un po' kitsch e per quello abbastanza adatta a contenere il
veleno con cui un pazzo manipolatore intendeva conquistare la regione.
Si sarebbe stupita se lo avesse riposto in un normale contenitore,
dopotutto.
«Non ringraziare… - Ammise Anemone, in un eccesso
di
modestia le tre si strinsero con le braccia sulle spalle - È
stato facilissimo! Ora però andiamo, dai…
è
tardi…»
Fece per entrare in macchina, quando, per sua sfortuna, Camilla le si
parò davanti, con lo stesso atteggiamento di un agente
durante
una perquisizione. La donna contava infatti sul suo sesto senso, grazie
al quale riusciva a percepire la tensione, quando le persone le
nascondevano qualcosa.
Fissò la sua compagna dritta dritta negli occhi, fintanto
che
ella stava ancora in piedi, mentre i suoi Pokémon e quelli
altrui osservavano la scena, avvertendo anch'essi che le loro
Allenatrici non sarebbero rimase impuni.
Camelia, Anemone e Catlina avevano perfino la sclera degli occhi color
rosa geranio.
Sì, proprio quell'esatta tinta, non si era cimentata in
un'iperbole.
«Ragazze, - Camilla le bloccò, per poi esprimersi,
laconica - siete fatte per caso?»
Calò un silenzio che riuscì ad incanalare tutto
l'imbarazzo e lo shock di quei due mesi in circa una manciata di
istanti, Iris rimase così sorpresa da non volersi neppure
sforzare di risultare troppo stupita.
Insomma, tutti i bei discorsi sulla coerenza, sul condurre una vita
sana e pulita di quella mattina?
Bastavano tre ore per convertire tre fanciulle ben educate e morigerate
sulla strada psichedelica della perdizione?
Si accorse solo in quel momento che in realtà Anemone non
stava
reggendo la sua fidanzata per amore, ma perché Camelia,
essendo
astemia come la più casta delle vestali, non doveva aver
retto
neppure una canna mal preparata, ed ora aveva perso tutto il vigore.
Se l'avesse mollata era sicura che sarebbe crollata a terra, priva di
sensi.
«Ci stai accusando… - la ragazza fu presa da un
attacco di
nervosismo e si strinse agli indumenti della leader, esasperata - di
esserci drogate?»
«Per favore, calmati. - la Campionessa si tolse le sue mani
di
dosso, dicendole in tono duro - Catlina, stai urlando.»
«Guarda che - Quella se la prese, stravolgendo del tutto il
suo
personaggio, era il principio attivo della cocaina che le donava una
scarica folgorante di energia che non sapeva come impiegare - io sono
calmissima! E ti dico che sto bene, giuro!»
«Hai avuto un trauma cranico quasi mortale tre giorni
fa!»
Le ripeté la bionda, conscia di non poter ricorrere a mezzi
termini con una persona (anzi, tre) sotto effetto di stupefacenti.
«Infatti. - Catlina tornò subito calma, cercando
di
trattenere la propria tempestività - Adesso non ho
più
male alla testa, grazie alle… "cose" che abbiamo fumato... E
tirato.»
«Vero, la polvere sapeva da zucchero filato alla fragola! -
esultò la rossa, per cercare di difendersi in quella causa
persa
in partenza - Cioè… faceva un male cane quando la
respiravi, tipo, che ti esplodono le narici… Ma dopo due
tiri ti
abitui, eh! Non fa così schifo come dicono.»
Tutto quello che la modella semi-morente, con la faccia bassa e il viso
sbiancato ebbe da aggiungere fu un lamento che sembrava provenire da
uno spettro.
«Mi viene da vomitare…»
Poi l'altra si mise a ridere, senza motivo, mentre la leader fissava la
scena allibita.
Come avrebbe potuto spiegarlo a Nardo? Quell'uomo le aveva beccate
già una volta; non contava l'episodio dell'ubriacatura
inesistente, ma quello del reggiseno non doveva aver insegnato nulla a
quelle ragazzacce.
Al diavolo, le lotte con i Superquattro delle altre regioni, le sfide
con i Campioni di Kanto, Johto ed Hoenn, e le catastrofi nazionali:
fare la leader di quel gruppo era la sfida più ardua ed
estenuante che avesse mai incontrato nei suoi anni di carriera.
E, come se non bastasse, non è che quelle tre avessero retto
male una piccola dose, non essendovi abituate.
No: le giovani confessarono, sempre a cuor leggero, di aver voluto
strafare, che un tiro segue l'altro, che si erano accese prima dei
leggeri spinelli, poi dei veri e propri tronchi d'albero, solo per
poter fare il fantomatico viaggio in un mondo allucinogeno, come i
Pokémon Psico quando distorcono il campo di lotta con
Magicozona.
Dopo l'aver rischiato di perdere la possibilità di
partecipare alla competizione, quella notizia rappresentava il colmo.
Lasciò perdere. Salì in macchina, sbattendo la
portiera, intimando le altre a fare lo stesso.
❁
Partirono,
infine. Le giovani alterate sedettero nei sedili posteriori e nel giro
di qualche isolato caddero addormentate come corpi morti, tutte
stravaccate l'una sull'altra, ogni tanto mugolando per le convulsioni
dovute alla cocaina, che stava risalendo il flusso sanguino fino al
cervello come un salmone che cavalca la corrente di un fiume
torrentizio.
I lampioni cominciavano ad accendersi, insieme ai cartelloni al neon e
ai semafori lampeggianti.
Non che di sera la metropoli dormisse; i club aprivano fino a tardi, la
musica delle discoteche batteva il ritmo martellante di un cuore ebbro
di adrenalina.
Solo la Campionessa di Sinnoh e la ragazzina di Unima poterono godersi
il rumore della sera.
La seconda però, intuì che il suo tacere imposto
per punizione potesse anche finire lì.
Per colpa di esso aveva passato una giornata piuttosto faticosa,
imbrogliata dagli impacci dei potenti e dalle meschinità
della
sorte.
E non riteneva giusto che anche Camilla, che tanto aveva fatto per
tagliare tutti quei cavilli, dovesse patire la stessa costante
frustrazione nei confronti delle sue compagne.
«Stai tranquilla. - Le disse, guardando le auto che
sfrecciavano
sotto il suo naso - Domani ti chiederanno "scusa" una dopo l'altra, ne
sono certa.»
Dopo una pausa di conciliazione, Camilla esalò un sospiro
per
liberarsi da qualunque peso la opprimesse. Il suo profilo disegnato
sullo sfondo di luci colorate evidenziava le sue labbra sottili e le
ciglia lunghe. Iris si mise ad osservare per proprio piacere le sue
braccia lunghe che afferravano il volante con fermezza, davanti alla
linea del suo seno cospicuo, che si intravedeva fra una fila di bottoni
slacciati per comodità.
Fu contenta che ella le avesse risposto. Quando riusciva ad
identificare anche in una donna ventenne tanto virtuosa le sue stesse
ansie e le angherie subite indirettamente dalle compagne, si sentiva in
qualche modo nobilitata.
Camilla era fin troppo umana per ispirarle la brama di idolatria.
Se il coraggio che tale persona le infondeva fosse arrivato nel momento
in cui Acromio le aveva chiesto di levarsi dai piedi per far strada
all'ascesa di Ghecis, altro che firma, con la penna gli avrebbe
infilzato i bulbi oculari.
Fu contenta almeno di aver rifiutato. Di sicuro, una volta riferita la
questione a Nardo, quel moscerino avrebbe fatto meglio a trovarsi un
lavoro stabile in una qualche fabbrica di elettrodomestici o a sparire
una volta per tutte.
Inoltre, quando mai un membro del governo è autorizzato a
chiamare delle minorenni "tesoro" e "cara"? Rabbrividì,
ripensandoci.
Ora che avevano nelle loro mani un campione della droga da analizzare,
sicuramente Zania avrebbe scoperto qualche ulteriore informazione ai
laboratori.
I Pokémon una volta schiavizzati avrebbero smesso di
soffrire, con tutta probabilità.
Ed un'altra macchia nera più visibile sarebbe andata a
sporcare
la fedina penale del capo del Team Plasma, già nera come il
catrame.
Dopo un pomeriggio, la giovane dai capelli violetto finalmente
riuscì a trovare un po' di fiducia per credere in
sé
stessa e nelle proprie parole pronunciate in quella sala riunioni.
A detta sua, dopo quelle esperienze, forse il mondo di pace e
collaborazione, il futuro perfetto di cui parlava lo scienziato si
poteva creare davvero, lo stavano facendo loro.
Sinceramente, era proprio quello anche lei desiderava.
«Sai cosa penso? - La voce profonda di Camilla la scosse dai
suoi
pensieri - Che l'obiettivo del Neo Team Plasma sia più
semplice
di quanto crediamo.
Nel senso: che non sia un qualcosa di estremamente complicato.
Ma che voglia agire a partire dalle nostre più piccole
azioni,
come se potessimo smettere di essergli di ostacolo di nostra
volontà.»
L'automobile ruggente corse a tutto gas verso una delle uscite
secondarie, per evitare di incappare in un controllo della polizia
antidroga ai caselli autostradali.
Era possibile il fatto che cinque giovani ed attraenti ragazze
potessero davvero rappresentare un intralcio concreto per una
società criminale…
Ma intanto, per quel dì, la vittoria era definitivamente
loro.
❁
«Ah…
mi sento malissimo… ho ancora i postumi della
tirata…
E in più, sai cosa, Anemone? Mi sento quasi in colpa. Avevo
giurato a me stessa che non mi sarei mai drogata e invece, sono proprio
una debole.»
«Cami, non è colpa nostra, lo abbiamo fatto per la
missione!
Appena abbiamo cominciato a fumare e a sniffare la coca noi, anche le
altre due reclute si sono strafatte e, credimi, loro erano messe anche
peggio.
Abbiamo avuto la nostra occasione e, prima di collassare, gli abbiamo
rubato il Sangue del Drago!
Direi che siamo state brave. Un piano infallibile, il nostro.»
«Ma non potevamo semplicemente fregargli la scatola e
scappare
via, senza doverci fare un cannone e tre strisce ciascuna?! »
«Dovevamo indebolirle prima, o ci avrebbero attaccate in
gruppo!»
«E se avessimo usato i nostri Pokémon? Siamo
Allenatrici
professioniste, dubito che ci avrebbero stese quelle mezze calzette.
Li avevamo pure schierati per bene prima di arrivare…
possibile che non ci abbiamo pensato?!»
«No, è vero! Siamo proprio tre imbecilli! Dove
andremo a finire?
In un centro di recupero per tossici, ci scommetto, perderemo tutti i
capelli e le tette, poi passeremo al crack, all'eroina, la daremo ai
nostri Pokémon, ci squalificheranno dai tornei e non avremmo
più una vita decente...
P-Però almeno saremo sempre insieme, no? Camelia, sappi che
io
ti amerei lo stesso, se io diventassi una cocainomane di strada tu
faresti lo stesso?»
«Ma se non hai neanche i soldi per comprarti un grammo di
quella roba!
Piuttosto, io mi preoccuperei della tua dipendenza dai
manga… ne
hai pile e scaffali interi nella tua stanza, quando potresti
risparmiare quei soldi per comprarti cose molto più
utili…»
«Hey, io non ti dico come vivere la tua vita!»
❁
Behind
the Summery Scenery #18
1.
Vi rivelo un segreto. Ae c'è una cosa che ODIO è
il self-insert (lascio
qui una spiegazione per i più anglofoni di voi).
E poi l'ipocrisia. Fanculo gli ipocriti, quanto li odio.
Ma in quel caso, ebbene, mi sono macchiata di entrambe le colpe! *cries
in matcha latte* Mi spiego.
Avete
presente come nel secondo capitolo io avessi evidenziato come se fosse
un tratto imprescendibile e non tralasciabile del personaggio che
Camilla ed Iris non si truccassero? Look at this:
"Sul viso non sembrava avere make-up, cosa che la compiacque parecchio,
dato che neppure lei si truccava." [Cap. 2 "Quando tutto è
nuovo
anche tu ti rinnoverai, Momo, 2013, Non mi troverete mai kek, Non mi
pubblicheranno ma double kek]
Ora, se ragioniamo per deduzione, si può evincere che "se i
personaggi non si truccano è perché l'autrice era
contraria, opposta e disgustata dal truccarsi". Che cosa frivola, ma
è la verità.
Ricordo a tutti che ho scritto questo capitolo nel 2013 e non
è
che me la passassi chissà quanto bene quell'anno, non avevo
la
fiducia in me stessa e la voglia di prendere pennello e beauty blender
ed imparare l'arte degli MUA mi mancava.
Flashforward nel 2018: le circostanze della vita mi hanno fatto capire
che girare con una faccia come la mia è illegale in 200
paesi,
quindi mi sono armata di Youtube e di pazienza e... la mia avversione
verso il trucco è sparita.
Lo ammetto, volevo fare la speciale che non è come tutte le
altre ragazze. Ma ho fallito. La vanità e il so
pigmented hanno vinto su di
me.
Quindi,
se adesso è molto più evidente che mi soffermi a
descrivere che marca di ombretto le ragazze stiano indossando e con che
pennello lo abbiano sfumato non è ipocrisia, sono solo io
che
cresco e mi evolvo!
2. Questa è
la manicure che ho descritto. Ve l'ho detto, io non sono come le altre
ragazze.
3. E continuando il discorso dei dettagli idioti: qui continua il
product placement iniziato nel quattordicesimo capitolo!!! Abbiamo
McDonalds, telefoni vari (opterò per lo Xiaomi e l'Oppo,
così non triggero la faida Samsung vs Android vs Huawei,
dato
che nessuno li ha in Italia), la Jeep, telefonia varia, Diesel/Urban
Outfiters... e Amazon Books!
Già, sembra proprio che Amazon.it muoia dalla voglia di
sponsorizzare questa fanfiction, tanto è che trovo la
pubblicità di manga che NON voglio leggere e libri di cui ho
cercato apposta le recensioni negative sia all'inizio, sia IN MEZZO e
pure alla fine dei miei capitoli.
Quando mi sono iscritta ad EFP, nelle Condizioni d'uso ci doveva essere
scritto "l'autore si impegna a leggere Tokyo Ghoul, My Hero Accademia e
Animali Fantastici per cultura personale". Grazie Erika, tu
sì
che sai trattare i tuoi utenti con il rispetto che meritano ❤
4.
In questo capitolo è presente una citazione epicissima ad un
film che ha fatto la storia della cinematografia.
Ovviamente parlo di Alex l'Ariete, ceh. 26:33,
grazie Mighty.
Cioè, due anni fa citavo Catullo, AHAHAHAHAHAH.
5. Prima il sesso, ora la droga. So che avere delle protagoniste pure e
perfette, delle idol praticamente, è bello. Non mi
parerò
il culo parlando di realismo, e non ritengo assolutamente che
personaggi trasgressivi o cattivi siano per forza interessanti.
Nessuno si è lamentato della tirata nelle recensioni, alla
fine
ho espresso nel dialogo come si poteva risolvere la cosa e non penso di
dover sempre dare gustificazioni a tutto quello che scrivo.
P-Però non drogatevi a casa, bambini. Bodrst
perdr la cors della vitt per colpa di guella robacc.
Menzione
speciale anche a questa poop in
cui la visual line (Camelia ed Iris) abbatte la transfobia, yasss
queens *emoji della corona*
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