Martedì,
21 agosto 2012
Dopo
che ieri ho dormito praticamente tutto il giorno, non c'è da
stupirsi se alle 5 del mattino sono già sveglio; Asia sta
dormendo nell'altro letto: alla fine mi ha fregato; abbiamo discusso
perché io volevo che se ne andasse a casa ma lei si è
impuntata per restare e, a quanto pare, ha aspettato che mi
addormentassi e poi si è messa a dormire pure lei,
fregandosene di ciò che volevo. Non è che non apprezzi
la sua dedizione ma non voglio pesare su di lei, e poi non mi piace
avere qualcuno intorno quando sto male, anche se al momento, a dire
il vero, mi sento bene.
È
insopportabile non sapere quando potrò alzarmi dal letto e non
poter muovere la gamba ma non ho dolori: mi staranno drogando per
bene.
Mi
tiro su a sedere, combattuto tra la curiosità di guardare
com'è messa la mia gamba e la paura di farlo; ieri non ne ho
avuto il coraggio, temo che mi faccia troppa impressione, anche se
comunque sarà tutta bendata; è il pensiero dei drenaggi
a bloccarmi di più: ricordo ancora quelli di mamma ed erano
disgustosi; mentre cerco di
decidere se spostare coperta e lenzuolo, arriva Ester per sostituire
la sacca della flebo.
“Già
sveglio?” mi chiede a bassa voce, per non disturbare Asia.
“Eh...
ieri non ho fatto altro che dormire” sussurro io.
“Si
vede che ne avevi bisogno” sorride lei accarezzandomi il viso.
“Si
vede che Orietta mi ha dato la dose che serve a stendere un cavallo”
ribatto ridacchiando.
Ester
ride piano, accende la luce che c'è sopra al mio letto e si
occupa di sostituire la flebo. “Già che sei sveglio
proviamo la febbre” mi dice prendendo il termometro da una
delle tasche del suo camice.
“Ok,
da' qua!”
“Come
va la gamba? Ti dà fastidio?”
“Non
mi fa male, però è una rottura non poterla muovere!”
“Aspetta,
te la sposto un po' per darti sollievo”; e prima che possa
decidere se fermarla oppure no, lei mi ha già scoperto ed io
la vedo. Chiudo gli occhi d'istinto, poi li riapro e la
osservo attentamente: è tutta fasciata, dalla caviglia fino a
sopra il ginocchio, ci sono due drenaggi, uno all'altezza della
caviglia e uno all'incirca a metà tibia, che finiscono in due
sacche di plastica trasparenti, e poi un tutore rigido per tenerla
ferma.
“Ma
quel sangue lì poi me lo rimettete dentro?” domando ad
Ester, schifato.
“Può
darsi, di solito sì, viene recuperato” mi risponde
sollevandomi piano la gamba e mettendovi sotto un cuscino.
Io
faccio una smorfia di disgusto e mi tolgo il termometro che ha
suonato. “Ho ancora la febbre” dico poggiandolo sul
comodino.
Ester
mi ricopre, poi prende il termometro e lo guarda: “Più o
meno come ieri, niente di preoccupante”; mi sorride e comincia
a scrivere sulla cartella clinica.
“Senti,
ma quand'è che mi portate la sedia a rotelle?”
“Cosa
c'è fratellone?!” esclama Asia che dev'essere stata
svegliata da noi che ci siamo dimenticati di parlare a bassa voce.
“Hai già voglia di andartene in giro a far casino?!”
“Quello
sempre!” rido io mentre lei si alza e viene a darmi un bacio.
“Allora, Ester?”
“Prima
devono darti il consenso Abele e la Lisandri. E lo sai benissimo.”
“E
che palle!” sbuffo io. “Posso avere da mangiare, almeno?
È dall'altro ieri che mi tenete a digiuno!”
“Ma
se ieri sera hai cenato!” interviene Asia.
“Cenato!
Una minestrina e un succo di frutta non li vorrai mica considerare
cena!” ribatto.
“Leo,
devi portare pazienza” mi dice Ester poggiandomi una mano sulla
spalla. “Non puoi mangiare adesso, tra qualche ora devi fare il
prelievo. Dopo, vedrai che ti porteranno la colazione”.
Non
sono molto dotato di pazienza, si sa.
E,
quel po' che mi era rimasta prima dell'operazione, sta per esaurirsi
alla svelta.
Verso
le 7:30 viene Ulisse a farmi il prelievo, a controllarmi i battiti e
a misurarmi la pressione e di nuovo la febbre (che si mantiene
stabile sui 37,5); e finalmente, alle 8, arriva la colazione!
Io
ho una fame che mi mangerei tre cornetti, ma ovviamente devo
accontentarmi di qualche biscotto secco, di uno yogurt magro e di un
succo di frutta. Cerco di fare opera di convincimento su Asia per
mandarla al bar a prendermi cornetto e caffellatte ma Ulisse si è
raccomandato di evitare cibi grassi e caffeina, quindi non riesco a
corromperla.
“Sai...
Ieri mi è venuto in mente il tipo da cui hai comprato quello!”
mi dice lei a un certo punto, indicando il mio braccialetto di cuoio
col tao.
Io
sorrido, ripensando a quella giornata, e bevo un altro sorso di succo
di frutta. “Watanka!” esclamo ridendo.
“E
com'è che era, il suo motto? Non mi viene in mente!”
“Così
sia detto, così sia fatto, così sia scritto.”
“Te
lo ricordi per intero!”
“E
certo! Quel tipo era troppo figo!”.
Me
la ricordo bene quella giornata: il compleanno di Asia. Sono passati
solo quattro mesi ma sembra così lontana, quasi come se
appartenesse ad un'altra vita; è stato l'ultimo giorno in cui
la nostra famiglia è stata davvero unita e felice: pochi
giorni dopo mamma è peggiorata, l'hanno ricoverata per
l'ennesima volta in questo maledetto posto e non è più
tornata a casa; ed è come se quel giorno io lo avessi sentito,
ciò che stava per accadere e, contrariamente al mio solito, in
cui le bancarelle le snobbo, ho voluto cercare appositamente qualcosa
da comprare, come ricordo; anche mamma deve aver sentito lo stesso,
perché ci ha scattato una marea di foto, come non faceva più
da tempo.
Il
telefono di Asia comincia a squillare e interrompe i miei ricordi. “È
papà” mi dice lei prima di rispondere, ma subito dopo
cade la linea; lui richiama e di nuovo cade la linea. “Vado in
corridoio. Qua prende male”.
Io
finisco la mia colazione e intanto rimango all'erta cercando di
sentire cosa lei gli dica, ma purtroppo si è allontanata e non
riesco a sentire; non so ancora niente dell'operazione, la Lisandri e
Abele ieri non si sono visti (e anche se si fossero visti ero così
rincoglionito che dubito avrei capito quello che mi avrebbero detto)
e questa cosa comincia ad innervosirmi.
“Che
voleva papà?” domando ad Asia appena rientra.
“Sapere
come stavi.”
“E
non poteva chiamare me?!”
“Pensava
che stessi ancora dormendo.”
“Mi
state nascondendo qualcosa?”
“Ma
Leo, di che parli?”
“Dell'operazione.
Non sono riusciti a togliere il tumore? Nessuno mi ha ancora detto
niente. E ieri non ero abbastanza lucido da fare domande.”
“Ma
sì che l'hanno tolto, stai tranquillo!” mi dice
prendendo il vassoio della colazione dal tavolino del letto e
poggiandolo sulla scrivania. “Papà adesso va a lavoro,
viene prima di sera.”
“Sì
sì, va bene... Io spero solo che prima di sera venga qualcuno
a parlare con me dell'operazione!”
“Ma
sì, devi avere pazienza, vedrai che tra un po' arriva la
dottoressa Lisandri... oppure il dottor Abele”.
Arrivano
tutti e due insieme, un paio d'ore dopo; e, sebbene fossi impaziente
di poter parlare con loro, vederli insieme non mi piace molto:
l'ultima volta che è successo ero proprio qui, seduto in
questo letto, dopo la biopsia, e mi hanno detto che probabilmente
avevo un osteosarcoma.
“Buongiorno
Leo” mi salutano entrambi, quasi in coro; Asia è andata
al bar a prendersi un caffè (già il secondo di questa
mattina) ed io non so se sentirmi sollevato, o meno, dal fatto di
essere da solo con loro.
“Buongiorno”
rispondo con tono abbastanza fermo, considerate le circostanze.
“Come
ti senti?” mi domanda la Lisandri.
“Bene.”
“Sei
riuscito a dormire bene stanotte?”
“Sì,
anche se alle 5 ero già sveglio” rispondo mentre lei
prende la mia cartella clinica e comincia a scorrerla con gli occhi,
in silenzio.
“Allora
Leo, l'intervento è tecnicamente riuscito” mi dice il
dottor Abele con la sua voce pacata e rassicurante. “Abbiamo
asportato tutta la massa tumorale e siamo riusciti a ricostruire
perfettamente la tibia.”
“Nessuna
brutta sorpresa?” gli chiedo io, scettico.
“C'è
stata una complicazione che non ci aspettavamo, ma siamo riusciti a
risolvere anche quella.”
“E
sarebbe?!”; ecco, lo sapevo che non mi dovevo fidare!
“Dagli
esami non era emerso, ma il tumore aveva intaccato anche buona parte
del muscolo, e abbiamo dovuto asportare anche quello.”
“Il
muscolo?!” esclamo afferrando d'istinto il lenzuolo e
stringendolo. “Mi sta dicendo che la mia gamba non tornerà
più come prima?!”
“No
Leo, assolutamente. La parte di muscolo restante andrà a
compensare quella che non c'è più e con la fisioterapia
si sistemerà tutto.”
“Dice
sul serio?” gli domando deglutendo.
“Sì.
Non ti mentirei mai, davvero”.
Lo
guardo negli occhi e decido di fidarmi. “Mi aveva detto che il
giorno dopo l'intervento mi sarei potuto alzare dal letto e usare la
sedia a rotelle. Può dirlo anche agli infermieri, così
me la portano?”.
Il
dottor Abele mi fa un sorrisetto e poi si scambia uno sguardo
d'intesa con la Lisandri che nel frattempo ha messo via la mia
cartella. “Ti avevo anche detto che questo lo avrebbe deciso la
dottoressa Lisandri, dopo aver valutato il tuo stato di salute, o
sbaglio?”
“Sì,
l'aveva detto” sbuffo io alzando gli occhi al cielo.
“E
allora ti lascio a lei, se non hai altre domande da farmi.”
“No,
non ne ho” gli dico, per poi ripensarci subito: “Anzi,
aspetti! Quanti punti mi avete
dato?”
“Vuoi
sapere quanti punti ti abbiamo messo?” chiede lui divertito.
“Sì.”
“Quarantacinque.”
“Quarantacinque”
ripeto, piuttosto impressionato. “Così tanti?!”
“È
normale in interventi come questo, te lo assicuro. Altre domande?”
Io
ci penso un attimo e... no, non ho altre domande: “No grazie.
Va bene così. Per il momento.”
“Certo,
per il momento” mi
sorride lui. “Se ti venissero in mente, manda pure qualcuno a
chiamarmi e appena posso verrò. D'accordo?”
“D'accordo,
grazie” dico mentre lui se ne va, dopo aver salutato. “Allora,
che mi dice?” domando alla Lisandri. “I miei parametri
sono buoni. L'ha letto, no?”
“Sì,
l'ho letto” mi risponde lei con un sorrisetto divertito. “Hai
ancora la febbre, però.”
“Ester
mi ha detto che non è preoccupante!”
“Sì,
non è preoccupante” sospira lei. “Ma è pur
sempre febbre.”
“Vabbè,
non è mica alta! La posso avere questa carrozzella o no?!”
“Facciamo
che prima ti visito e poi ne riparliamo” mi dice indossando il
fonendoscopio. “Va bene?”
“Va
bene” sbuffo io sfilandomi la maglietta dalla testa e
confinandola al braccio con la flebo.
“Direi
che qui è tutto a posto” annuncia la Lisandri
togliendosi il fonendoscopio quando ha finito di farmi tossire,
respirare e trattenere il respiro.
“Direbbe
o dice?”
“Dico”
sospira annuendo.
“Allora
mi fa alzare?!”
“Con
calma, Leo. Ti prometto che oggi ti faccio alzare, ma adesso devi
avere un po' di pazienza.”
“Pazienza!
Ancora pazienza!”
esclamo io alzando la voce. “Non fate che ripetermelo tutti! Io
sono stufo di avere pazienza! Ho bisogno di alzarmi da questo cavolo
di letto, altrimenti impazzisco!”.
Lei
incrocia le braccia e mi guarda con aria seria, arricciando un po' le
labbra: “Ho detto che ti faccio alzare. Ma non adesso. Ci sono
delle cose da fare, prima. Se mi lasci parlare, ti spiego tutto,
altrimenti te ne starai lì ad aspettare e basta, senza sapere
perché, e pensando, come tuo solito, che lo faccia per farti
un dispetto!”; io sostengo il suo sguardo, ma non dico niente;
che stronza, scommetto che ci gode ad avere il coltello dalla parte
del manico! “Quindi?” mi chiede dopo qualche secondo.
“Vuoi ascoltarmi o preferisci che vada via?”
“L'ascolto!”
sbuffo io muovendo in aria una mano.
Lei
sorride compiaciuta e si toglie gli occhiali, come se io non fossi
già abbastanza teso. “Prima di tutto, bisogna
controllare la ferita e rifare la medicazione. Tra poco ti mando
Ulisse”; cazzo, la medicazione! Al solo pensiero sudo freddo.
“Gli dico anche di toglierti i drenaggi.”
“Oh
davvero?! Di già?! Fantastico!”; beh, almeno una bella
notizia!
“Nel
frattempo direi che arriverà l'ora di pranzo...”
“Può
dire a quelli della cucina di mandarmi del cibo vero? Sto morendo di
fame!”
“Leo,
non decido io i pasti dei pazienti. C'è un protocollo anche
per questo. E nel post-operatorio i pasti devono essere più
leggeri.”
“Eh
però poi non venitemi a dire che dimagrisco troppo!”
“Non
dimagrirai, tra un paio di giorni tornerai a un'alimentazione
normale.”
“Tanto
poi ci pensa la chemio! A proposito, quand'è che ricomincio?
Così almeno me ne faccio una ragione!”
“Non
mi sembra il caso di parlare della chemio, adesso.”
“Certo!”
sbotto io facendo una smorfia di disappunto. “E ti pareva!”
“Leo,
non ho tutto il giorno. Devo andare anche dagli altri pazienti. Posso
continuare?”
“Continui!”
esclamo tamburellando nervosamente con le dita, sul tavolino mobile
del letto.
“Hai
perso molto sangue durante l'intervento, quindi è necessario
reintegrarlo con una trasfusione”.
La
trasfusione: questo l'avevo messo in conto e non mi fa nemmeno tanto
effetto.
“Va
bene, e dopo mi posso alzare?!”
“Dopo,
se non avrai avuto nessun effetto collaterale e se i parametri vitali
saranno buoni, ti potrai alzare e andare un po' in giro con la sedia
a rotelle.”
“Ok.
Ma mi rimettete quel sangue là?” le chiedo indicando le
sacche dei drenaggi che sporgono dalla coperta.
“No,
non sarebbe sufficiente. Te ne servono almeno due sacche.”
“Due?!”
“Almeno
due, per oggi. Domani valutiamo. Ne
hai perso ben più di un litro. Mi sorprende che tu abbia tutte
queste energie per discutere!”
“Quelle
ce le ha sempre!” esclama Asia entrando.
“E
mi sa che hai ragione, Asia!” le risponde la Lisandri
voltandosi verso di lei, per poi aggiornarla su tutte le cose che ha
appena detto a me.
Per
tutta la mattina, provo a convincere Asia ad andarsene a casa, almeno
per un po', ma stavolta si è proprio intestardita e non se ne
vuole andare; quando arriva Ulisse, col carrello per la medicazione,
ci provo di nuovo ma lei ancora una volta si rifiuta.
“Non
vorrai mica stare qua a guardare?!” protesto io sgranando gli
occhi.
“Se
non vuoi posso aspettare fuori.”
“Certo
che non voglio! Quello che voglio è che te ne vai a casa, o a
fare un giro, o dove ti pare!”
“Gli
dia retta, pé 'na volta che c'ha ragione!” interviene
Ulisse. “Se vada un po' a riposà, che stanotte non ha
chiuso occhio!”
“Non
hai dormito?” le domando sorpreso mentre lei mi sorride
imbarazzata.
“Sì
che ho dormito!”
“Avrà
dormito cinque minuti sì e un'ora no!” ride Ulisse
guardandomi. “Ogni volta che entrava Ester a controllarte, se
alzava pure lei!”.
E
Asia, a questo punto, non può più negare l'evidenza:
“Ok, non ho dormito moltissimo, ma non sono stanca! E poi non
mi va di lasciarti qua da solo!”
“Da
solo?!” esclamo
io allibito mentre Ulisse se la ride.
“E
c'ha ragione pure mò! Le sembra forse che sta da solo?! Semo
tutti alla corte di sua maestà il re Leone, qua! E su, faccia
la brava signorina, se ne vada a casa un pochetto e tornasse
stasera!” insiste lui mentre Asia comincia a tentennare. “Ci
pensiamo noi, al re della foresta!”
“Sei
sicuro?” mi domanda Asia con tono apprensivo, corrugando le
sopracciglia.
Io
annuisco sorridendo: “Te lo sto dicendo da ieri sera, mi pare!”
“Va
bene. Torno più tardi con papà” mi dice lei
afferrando la sua borsa e dandomi un bacio. “Ma per qualsiasi
cosa chiamami. Giura.”
“Giuro”
rido io sollevando la mano destra.
“E
cerca di non far impazzire tutti quanti, nel frattempo!”
“Non
se preoccupi!” esclama Ulisse. “Se comincia a rompere...,
lo addormentiamo di nuovo... e semo a posto!”
“Ok,
ci conto!” gli dice Asia sorridendo; poi mi dà un altro
bacio e se ne va.
La
mezzora che segue non è per niente, ma proprio per
niente, piacevole; tanto per
cominciare, oltre alla medicazione alla gamba, c'è da rifare
pure quella all'inguine, e sebbene l'incisione lì sia ormai
quasi guarita e Ulisse sia molto bravo a non farmi male, mi dà
comunque fastidio dovermi sorbire pure questa medicazione, dato che
già tremo al pensiero di quell'altra; e in più, data la
zona, sto in tensione per tutto il tempo, col timore di rimanere
scoperto.
Finito
lì, Ulisse mi toglie il tutore e comincia a sbendare la gamba
mentre io resto sdraiato e distolgo volutamente lo sguardo.
“Che
c'è? Non la voi vedé?”
“No.”
“C'hai
paura che ti fa impressione?”
“Sì.”
“Tanto
sei già a letto, no?! Pure se svieni che ce fa?!”
esclama lui ridacchiando, facendomi sorridere.
“N...
non ho voglia di vedere com'è ridotta la mia gamba per colpa
di questo cazzo di tumore!”
“E
invece la dovresti guardà, pure se è brutta. Perché
adesso il tumore non ce sta più qua dentro, te l'hanno tolto,
e la ferita c'è per 'sto motivo qua. E poi che voi fà?
Prima o poi la dovrai guardà... e vedrai la cicatrice... e te
sembrerà molto brutta. Se invece ora guardi la ferita, che è
brutta davero, dopo la cicatrice te sembrerà quasi bella!
Comunque... non te facevo così fifone!”.
Sarà
che non mi va affatto di fare la figura del fifone, sarà che
il suo discorso in qualche modo mi ha convinto, fatto sta che prendo
un bel respiro, mi metto seduto e decido di guardare: è
proprio come dice lui.
È
brutta davero.
Per
un attimo, sembra che il mio corpo sia indeciso tra il vomitare e lo
svenire, poi resiste ad entrambe le cose ed io riesco a guardarla
ancora: è gonfia, rossa, cosparsa di punti metallici e con i
due tubi dei drenaggi conficcati dentro.
Mi
viene da piangere.
"Tutto
bene?" mi chiede Ulisse prima di cominciare a pulire la ferita.
"Credo
di sì" rispondo con un nodo in gola. "Certo che è
brutta davero!" dico con un sorriso tirato.
"Oh
Leo!" esclama lui ridendo. "Nun te se pó sentì!".
Io
rido e poi torno serio: "Grazie per aver convinto mia... AHIA!
Fai piano!"
"Guarda
che sto a fà piano! Più piano de così e sto
fermo!"
"Sì
ma potresti... AHIA CAZZO!"
"Su,
e porta pazienza! Ancora un po' e avemo finito!"
"Ancora
con questa pazienza?! Non ti ci mettere pure tu!"
"Perché?!
Chi è che ce s'è messo?!"
"Tutti
quanti! Tutti a dirmi di avere pazienza!"
"Eh...
perché bisogna che te metti un po' calmo. Ma che me stavi a dì
prima? Mi stavi a ringraziare..."
"Sì..."
dico mentre trattengo il respiro e stringo gli occhi perché mi
sta facendo ancora malissimo. "Per aver convinto mia sorella ad
andarsene."
"Ah!
Di niente. Ormai te conosco, a te! Il Leone vuol stare da solo, a
leccarse le ferite!"; annuisco e accenno un sorriso mentre lui
comincia a tamponare la ferita per asciugarla: la parte peggiore
della medicazione è finita. "Però te devi pure un
po' controllà! Io non lo so com'è che la tua ragazzetta
non tà mannato a quel paese, ieri! T'ha guardato in un modo
che io me sò detto: mò questa glie dà 'nà
pizza in faccia!"
"E
cosa dovevo fare?!" esclamo io storcendo le labbra. "Lasciare
che stesse lì a guardarmi vomitare?!".
Lui
mi rivolge uno sguardo comprensivo e non mi risponde. "Adesso
togliamo i drenaggi" dice cambiandosi di nuovo i guanti. "Stammi
a sentire, non te la voglio raccontà, ho sentito pure signore
de 'na certa età tirare giù tutti i santi del
paradiso!"
"Ah
grazie! Adesso sì che sono proprio tranquillo!"
"Dato
che sò due, decidi te se vuoi che te do un po' di tempo dopo
il primo o se preferisci che vado dritto!"
"Ma
che cavolo di scelta è?! Ho già capito che fa comunque
un male boia!"
"Io,
te consiglio de farmi andá dritto!"
"Ok,
fai come ti pare, ma fai! Più ne parliamo peggio sto!"
"Va
bene, famo così: prendi un bel respiro e conta piano fino a
tre".
Faccio
come mi dice ma appena arrivo al due, Ulisse mi toglie il primo
drenaggio. "Porca puttana!" urlo mentre gli occhi mi si
riempiono di lacrime e un attimo dopo mi ha già tolto anche il
secondo: "Cazzo!"; mi lascio ricadere con la schiena sul
letto, praticamente distrutto, e cerco di asciugarmi gli occhi prima
che lui si accorga che ho pianto.
"Coraggio
re Leone, adesso te bendo, do un occhio anche alla mano, e poi te
lascio tranquillo!"
"Non
è vero, dopo torni per la trasfusione!" sospiro io
fissando il soffitto.
Questa
giornata è peggio di quella di ieri: almeno ieri dormivo ed è
passata quasi senza che me ne accorgessi!
Questa
fa davvero schifo.
Anche
il pranzo fa schifo: minestrina insipida e merluzzo lesso stracotto;
e purè di patate, che per fortuna è mangiabile e quindi
lo tengo per ultimo.
Sto
proprio mangiando il purè mentre messaggio su WhatsApp con i
miei amici e con Matteo, quando, del tutto inaspettata, arriva
Giulia.
"Cosa
fai qui?!" le domando stupito, restando con la forchetta a
mezz'aria; ha indosso quei suoi pantaloncini indecentemente corti, ma
dopo la brutta mattina che ho passato non ce la faccio proprio a
innervosirmi per questo, anzi: la visione delle sue bellissime gambe
non può che migliorarmi l'umore.
"Ciao
anche a te!" esclama lei avvicinandosi.
“Ciao...”
le sorrido tirandola verso di me e dandole un bacio sulle labbra.
“Ho
voluto farti una sorpresa, anche se non ero sicura che l'avresti
presa bene!”
“L'ho
presa benissimo!” le dico spostandomi verso destra per farle un
po' di posto nel letto. “Vieni qui!”.
Giulia
fa il giro del letto e viene a sedersi alla mia sinistra. “È
buono?” mi chiede indicando il purè.
“Prima
del tuo arrivo era l'unica cosa decente di questa giornata!”
esclamo passandole un braccio intorno alle spalle e dandole un altro
bacio sulle labbra che però stavolta diventa subito
appassionato.
“Mi
è mancato baciarti” sorride lei quando ci stacchiamo; in
effetti, tra una cosa e l'altra, era passato qualche giorno dal
nostro ultimo bacio.
“Anche
a me. Tanto. E non solo quello” dico poggiandole una mano sul
ginocchio e iniziando a risalire fino al bordo dei suoi pantaloncini.
Lei
ridacchia e infila una mano sotto la mia maglietta, percorrendomi la
schiena, facendomi rabbrividire di piacere. “Sembra che tu sia
in forma oggi”; io non le rispondo e la bacio di nuovo mentre
comincio ad accarezzarle il seno; certo che, tra la flebo attaccata
al braccio e la mano bendata, non è proprio il massimo della
comodità. “Leo!” esclama lei staccandosi dal bacio
e spostandomi la mano. “Ma sei matto?! E se entra qualcuno?!”
“Sì,
sono matto!” sbuffo io ricominciando a mangiare il purè.
“Lo diventerò sul serio qua dentro. Giuro.”
“Oh,
ti hanno tolto i drenaggi!” nota lei.
“Sì,
non mi ci far ripensare!”
“Ma
non sei contento?”
“Diciamo
che non è stato un bel momento.”
“Ti
ha fatto male?”
“Eh...”
annuisco io, corrugando la fronte. “Lo sai..., mia mamma faceva
un purè buonissimo...” le dico mentre ripulisco il
piatto con la forchetta. “E quando non stavo bene... me lo
preparava sempre”.
Giulia
mi sorride, guardandomi con dolcezza e intanto gioca coi miei due
braccialetti rossi: “Mi dispiace non averla conosciuta.”
“Ti
sarebbe piaciuta.”
“Beh,
se come dice tua sorella... tu sei uguale a lei, mi sarebbe piaciuta
di sicuro!”
“Tu
le piacevi” le dico sorridendo.
“Come
fai a dirlo, se non ci siamo mai viste?!”
“Diceva
che grazie a te... lei poteva godere di un altro dei miei sorrisi.”
“Cioè?”
“Di
un sorriso nuovo..., diverso, che non avevo mai avuto prima.”
“Non
me l'hai mai detta questa cosa!” sorride lei un po'
imbarazzata.
“Beh,
adesso la sai.”
“E
che sorriso sarebbe?”
“Quello
che ho quando sono con te.”
“E
che sorriso hai quando sei con me?”
“Lo
sai...” dico allontanando il tavolino e ricominciando a
baciarla; restiamo a baciarci per un sacco di tempo, non saprei dire
quanto, so solo che a un certo punto io non resisto più e
allungo di nuovo la mano sul suo seno.
“Leo!”
mi richiama di nuovo lei staccandosi dal bacio.
“Ma
dai, lasciami fare...” mormoro continuando ad accarezzarla e
cominciando a baciarla sul collo.
“Ma
se entra qualcuno?!”
“Non
entra nessuno a quest'ora, fidati!”.
Ecco,
le ultime parole famose, ovviamente!
“Ohi
Leo! Stai in bella compagnia, a quanto vedo!” ride Ulisse
entrando e facendoci sobbalzare.
“Bussare
no, eh?!” protesto io.
“B...
buongiorno!” dice Giulia alzandosi di scatto dal letto e
arrossendo come non mai; a me scappa da ridere, ma mi trattengo.
“Signorina...”
la saluta Ulisse sorridendo mentre lei sbianca nel vedere la sacca di
sangue che lui ha in mano. “Non voglio èsse scortese,
eh! Ma l'orario di visita è passato da mò e qua c'avemo
da fare...”
“Sì,
vado via subito!” esclama Giulia recuperando la sua borsa che
però, per l'agitazione, lascia cadere per terra.
“A
meno che preferisci fà il vampiro e succhiare il sangue
direttamente dal collo della tua ragazzetta!” mi dice Ulisse
ridendo e appendendo la sacca di sangue all'asta della flebo.
Io
rido, ma Giulia diventa praticamente bordeaux e va via di corsa,
accennando un saluto e senza neanche darmi un bacio.
“Hai
traumatizzato la mia ragazza” gli dico mentre lui mi porge il
termometro. “Di nuovo?!”
“Sì,
bisogna registrà tutti i parametri prima, durante e dopo”.
Sono
stufo.
Prevedo
che questi giorni post-operatori saranno infiniti; sono appena
all'inizio e già non ne posso più. Oggi mi son già
sorbito: controllo di febbre, pressione e battiti non so quante
volte, il prelievo, la visita della Lisandri, tre medicazioni, la
rimozione dei drenaggi e una colazione e un pranzo schifosi; senza
contare che sono ancora bloccato a letto, costretto ancora a fare
pipì nel pappagallo e che adesso mi tocca pure un altro buco,
nell'altro braccio, dato che l'ago che ho già per la flebo è
troppo sottile per la trasfusione.
“Aò,
e che è quella faccia?” mi domanda Ulisse mentre mi lega
il laccio emostatico e comincia a disinfettarmi l'incavo del braccio
sinistro.
“Niente...”
“Non
c'avrai mica paura? Hai passato ben di peggio!”
“Lo
so benissimo! Non ho paura, ho solo le palle girate, lasciami stare!”
“E
perché c'hai le palle girate? Perché ho mannàto
via la tu' ragazzetta?”
“Per
tutto quanto!”
“Leo,
lo sai che...”
“Non
dire che devo avere pazienza! Fai quello che devi fare e basta! Non
mi parlare!”
“Mamma
mia, aò! Annamo bene...! Guarda che faccio come ho detto a tua
sorella, che te riaddormento così te ne stai buono!”.
E
nonostante io abbia le palle davvero girate, non posso che
sorridere: “Scusa, non ce l'ho con te, è solo che...”
“Lo
so, non te preoccupà! Pronto? Vado?”
“Vai”.
Trasalisco
nel sentire l'ago penetrare, ma in un attimo è già
passato e chiedo ad Ulisse di prendermi il pc che è sulla
scrivania, per potermi guardare The Walking Dead, dato che
devo trascorrere tre ore sdraiato e fermo; lui resta un po' con me,
per assicurarsi che non abbia reazioni allergiche, poi stacca il
turno e arriva Laura, che passa ogni tanto a verificare come sto, a
controllare ancora i parametri, e a mettere la seconda sacca quando
la prima è finita; finalmente finisce anche la seconda, Laura
mi ricontrolla tutti i parametri (e che palle, adesso basta però!),
mi portano un budino alla vaniglia, che con la fame che mi ritrovo mi
sembra quasi buono, e poi arriva Carlo.
“Carletto!”
sorrido quando lo vedo. “Dov'eri sparito?! Sono giorni che non
ti fai vedere!”
“La
Lisandri mi ha affidato altri pazienti! Però adesso mi ha
mandato da te. Contento?”
“Eh,
dipende... ti ha mandato per dirmi che mi posso alzare?!”
esclamo puntando l'indice verso di lui.
“Mi
ha mandato per controllare se ti puoi alzare.”
“Vai,
controlla, Laura ha detto che i miei parametri sono buoni. Mi è
pure calata la febbre!”
“Sì,
questo me l'ha detto, però prima di dirti se ti puoi alzare ti
devo visitare.”
“Ancora?!”
sbuffo portandomi una mano sulla testa. “Oggi mi state
rivoltando come un calzino!”.
Quando
vedo entrare Laura con la carrozzella, quasi non ci credo: finalmente
mi posso alzare! Che poi, alzare è una parola grossa,
diciamo che, aiutato da Carlo e Laura, riesco a spostarmi dal
letto alla carrozzella; adesso devo solo capire come funziona e poi
potrò uscire da questa stanza e respirare di nuovo un po' di
libertà.
“Allora,
dove andiamo?” mi domanda Carlo afferrando le maniglie della
sedia a rotelle.
“Come
sarebbe a dire dove andiamo?!” esclamo io voltandomi
indietro verso di lui. “Dove... vado!”
“La
Lisandri mi ha detto di restare con te.”
“E
perché?! Non ho mica bisogno della balia!”
“Leo,
ieri hai subito un intervento importante e...”
“E
vabbè, ho capito! Ma cosa crede che possa succedermi se me ne
vado un po' in giro da solo?!”
“Io
ho ricevuto quest'ordine, quindi da solo non ti posso lasciare
andare, mi dispiace.”
“Ok...,
ok! Andiamo! Però faccio da solo, non serve che mi
spingi!”
“Guarda
che non è così semplice, all'inizio!”.
Ovviamente
io mi impunto, ma lui ha ragione, è proprio un casino: mi
riesce quasi meglio giocare a basket piuttosto che guidare
quest'affare; ma, dopo aver evitato per un soffio di investire un
paio di dottori e qualche paziente, avere urtato un carrello degli
infermieri ed essere quasi andato a sbattere contro una colonna, ce
l'ho fatta! Certo, non sono proprio agilissimo, però sono
riuscito ad arrivare indenne fino al bar.
“Prendiamo
un gelato?” domando a Carlo sfoderando il sorriso più
convincente possibile.
“No,
Leo. Io sono in servizio e non posso, e tu devi evitare i cibi
grassi.”
“A
me piacciono i gusti alla frutta! Quelli mica sono grassi!”
“Non
so se la Lisandri sarebbe d'accordo.”
“Eddai
Carletto! Dopo una giornata come quella di oggi, ho bisogno di
zuccheri!”; lui non sembra ancora del tutto convinto,
probabilmente per paura della Lisandri: “Dai! La strega mica lo
viene a sapere!” esclamo strizzando un occhio.
“Una
coppetta piccola!”
“Ma
io preferisco il cono!”
“Vuoi
che ci ripensi?”
“No,
no, e va bene... Però ti fa male frequentare la strega! Stai
imparando a fare i ricatti come lei!”.
La
giornata è ormai finita.
Sono
stato a letto per quasi tutto il giorno ma mi sento lo stesso
stanchissimo.
Ho
cenato seduto al tavolo, e questa è stata una bella conquista,
nonostante la cena ovviamente non avesse sapore, ma subito dopo mi
hanno fatto tornare a letto.
Alle
19 è venuta Giulia e ho dovuto insistere per farla sedere
accanto a me, promettendole più volte che stavolta avrei
tenuto le mani a posto; più tardi sono venuti anche Asia e mio
padre e sono andati via poco fa; Asia voleva di nuovo fermarsi a
dormire qui, ma sono riuscito a convincerla del fatto che preferisco
davvero di no.
E
adesso dovrei dormire, il mio corpo lo sta implorando, ma il pensiero
che arrivi subito domani, e un'altra giornata come questa, mi fa
venire voglia di restare sveglio il più a lungo possibile.
Sposto
il lenzuolo e guardo la gamba: beh, almeno i drenaggi non ci sono
più, non devo più vederli e soprattutto non dovrò
di nuovo sopportare il dolore assurdo di quando Ulisse me li ha
tolti.
Anche
il tumore non c'è più.
Non
so perché, ma faccio davvero fatica a convincermene.
Forse
perché dopo aver vissuto per due mesi sapendo che era lì,
adesso mi fa strano pensare che non ci sia più.
Forse
perché so che anche se il tumore non c'è più, la
guerra non è mica finita qui, che la Bestia non se ne va tanto
facilmente, che dovrò ancora farci a pugni e che il più
delle volte, probabilmente, mi toccherà incassare.
Però
questa battaglia l'ho vinta e dovrei esserne contento, eppure non
riesco a tranquillizzarmi.
Proprio
non ci riesco.
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