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Capitolo 4
“Ci è voluto un avvenimento decisamente grave, per distoglierti
dall’organizzazione di questo maldetto Torneo Tremaghi,” commentò
Piton, acido.
Non aveva dubbi che il motivo della convocazione del Preside fosse
discutere dell’apparizione del Marchio Nero alla Coppa del Mondo di
Quidditch.
“Un avvenimento terribilmente grave e importante, sì,” annuì Silente.
“Come a sua volta è terribilmente importante il Torneo Tremaghi…”
Piton sbuffò e borbottò qualcosa riguardo ‘quello stupido circo’.
“Ti sarà presto chiaro il perché, Severus,” continuò il vecchio mago.
“Dimmi cos’hai sentito.”
“Non molto,” dovette ammettere Piton. “Ha sorpreso tutti, e neppure
Lucius ha idea di chi possa esserci dietro. A parole, molti sarebbero
lieti del Suo ritorno, ma nessuno è così stupido da non aver paura
della punizione del Signore Oscuro. Difficilmente Lui sarebbe
compiaciuto di quello che hanno fatto…di quello che abbiamo fatto…per
evitare Azkaban.” Scosse la testa: “Non riesco a ipotizzare chi avrebbe
potuto compiere un atto del genere.”
Un gesto folle, teatrale, per scatenare il panico e promettere morte.
Riusciva solo a immaginare Bellatrix, a impugnare la bacchetta che
aveva evocato il Marchio.
“Un servo fedele che si è ricongiunto al suo signore,” disse Silente.
“Non credo affatto che Minus si sarebbe infiltrato alla Coppa del Mondo
per evocare il Marchio Nero. Rischiare di affrontare tutto il
Ministero per scagliare in cielo la propria dichiarazione di lealtà al
Signore Oscuro non mi sembra coerente con il carattere dell’uomo che ha
passato tredici anni da topo,” gli rispose Piton, sarcastico. “Quanto
al fatto che Minus abbia intenzione di tornare dal suo vecchio
padrone…devo ancora esserne convinto.”
Aveva dovuto accettare la versione dei fatti di Lupin, Potter e Black,
alla fine. Il pensiero ancora gli rovesciava lo stomaco.
Silente sospirò: “Purtroppo, Severus, che Peter Minus si sia
ricongiunto a Tom Riddle è una certezza. Non abbiamo ragioni di
dubitare delle profezie di Sibilla Cooman.”
“Cosa?!”
Silente gli raccontò della predizione della veggente, ascoltata per
caso da Harry Potter.
Piton si alzò in piedi con orrore. Di nuovo. Un’altra Profezia, Potter
coinvolto, il potere del Signore Oscuro in gioco. Perché la Storia si
ripeteva e giocava con lui? Ancora una volta Piton si era intromesso,
aveva impedito ai suoi vecchi amici di uccidere Minus…
“Hai aspettato mesi, a dirmelo?” sibilò a Silente, lieto di poter
indirizzare su di lui la sua collera, almeno per un po’.
“Prima saresti stato nelle condizioni di ascoltarmi, Severus?” gli
chiese il Preside, trafiggendolo con lo sguardo al di sopra delle dita
intrecciate. Poi continuò, con noncuranza: “Ho cominciato subito a
muovermi, anche se ti non ho detto nulla, non preoccuparti.”
“Facendo cosa?” lo interrogò Piton, misurando a grandi passi l’ufficio.
“Organizzando il Torneo Tremaghi,” sorrise il vecchio.
Piton lo fulminò con lo sguardo: “Oh, bene. Hai messo in piedi un
programma di scambi interscolastici. Siamo a cavallo di una scopa.”
“Il Torneo sarà un’ottima occasione di rinsaldare i legami della
comunità magica internazionale. Avremo un disperato bisogno di alleati
molto presto, temo,” replicò Silente, grave. “Tom Riddle ha già messo
in moto i suoi piani, a meno che non mi stia sbagliando di grosso a
interpretare i fatti. Vuoi aiutarmi, Severus? Minus è fuggito e non ha
altri compagni, oltre al suo vecchio padrone. Una dipendente del
Ministero, Bertha Jorkins, è scomparsa. Le ultime notizie di lei ci
dicono che era in Albania. Un babbano, Frank Bryce, è scomparso nel
paese in cui viveva il padre di Tom Riddle. Cosa ti suggeriscono questi
avvenimenti?”
Piton si affacciò alla finestra. Un servitore, una donna scomparsa dove
si diceva che il Signore Oscuro si fosse rifugiato e un uomo scomparso
invece in Inghilterra. Qualcosa si muoveva, e verso di loro.
“Sparizioni e omicidi di babbani. Guerra,” sussurrò con voce amara. Si
voltò di scatto: “Ed è per questo che dovremmo cercare chi ha evocato
il Marchio, scoprire chi altri sono i suoi alleati, oltre a Minus! Non
pensare al Torneo Tremaghi, raddoppiare il numero di ragazzini a cui
badare e avere Karkaroff da tenere d’occhio!”
Gli occhi di Silente brillarono: “Al contrario, voglio proprio
l’opportunità di tenere sott’occhio Karkaroff, e Madame Maxime. Un suo
ex-seguace e una figura che potrebbe fungere da intermediario con i
giganti.”
“I giganti?” ripeté Piton.
“Si sono schierati con Voldemort, l’ultima vota, lo ricorderai. Sto
mettendo le mani avanti, pensando a Madame Maxime, ma,” e si picchiettò
una tempia con l’indice, “sai quanto amo pianificare a lungo termine.”
Piton roteò gli occhi: “Dovrò sorvegliare Karkaroff e tenerlo lontano
da Potter, presumo…”
“Te ne sarei grato. Ma non intendo addossare questo compito solo sulle
tue spalle,” rispose Silente.
Piton tornò stancamente a sedersi: “Ah, no? E chi altro dovrebbe
prendersi questo fastidio?”
“Voglio al castello qualcuno di cui mi fido, che conosca Voldemort e i
suoi Mangiamorte, che sappia cosa aspettarsi,” cominciò Silente.
“Qualcuno che possa insegnare ai ragazzi ad essere pronti a tutto…dovrà
insegnare Difesa Contro le Arti Oscure, visto che siamo di nuovo a
corto di membri del corpo docente…” e di nuovo lanciò a Piton
un’occhiata penetrante.
Piton distolse lo sguardo, una fitta di furia che lo pungeva al cuore.
“Albus, vuoi deciderti a dirmi chi vuoi assumere o ti diverte così
tanto tenermi sulle spine?” ringhiò.
Il Preside sorrise brevemente e prese a vezzeggiare Fanny, la fenice:
“Ho già preso contatti con Alastor Moody.”
Piton dovette fare uno sforzo per dominarsi.
“Alastor ha un conto in sospeso, con Karkaroff. L’ha cercato e
inseguito per mesi e non ha apprezzato che Igor abbia ottenuto il
rilascio in cambio di informazioni importanti per il Wizengamot,”
continuò Silente.
“No,” disse Piton, piano. “Come non ha apprezzato che io sia stato
assolto. Moody odia i Mangiamorte scampati ad Azkaban.”
“È così.”
“Quindi anche me. Anche io sono un Mangiamorte, non lo hai dimenticato,
vero?”
Silente lo fissò, serio: “So che non lo sei più. Hai smesso di esserlo
quando sei venuto a chiedermi di proteggere Lily.”
“Smettila! Non parliamone…”
Non poteva sopportare il pensiero di Lily proprio lì, nell’ufficio di
Silente, l’unico luogo in cui si era concesso di piangerla di fronte a
qualcun altro.
“Ho piena fiducia in te, Severus. L’ho testimoniato davanti al
Wizengamot, l’ho detto ad Alastor e lo ripeterò a chiunque, ogni volta
che sarà necessario,” gli disse il vecchio mago. “Anche a te, finché
non ne sarai convinto.”
Piton lo sbirciò con la coda dell’occhio, tenendo il capo voltato. Una
parte di lui voleva ribattere che il Preside non aveva davvero fiducia
in lui, ma in se stesso: aveva fiducia di manipolarlo e dirigerlo nella
direzione che serviva ai suoi scopi, come aveva sempre fatto. E
un’altra parte di lui desiderava disperatamente credergli.
“D’accordo. Va bene,” rispose infine con tono seccato. “Sopporterò il
torneo Tremaghi e Malocchio
Moody.”
Silente gli sorrise, gli occhi che brillavano.
Piton lasciò l’ufficio del Preside rimuginando su quello che lo
aspettava. Avere a che fare con Moody non sarebbe stato facile: se solo
gli fosse stato possibile, lo avrebbe evitato in ogni modo. Da
Karkaroff non sapeva che cosa aspettarsi. Non era certo un amico come
Lucius Malfoy, quando erano giovani, e alla caduta del Signore Oscuro
aveva dato in pasto al Wizengamot il nome di Piton (tra gli altri), per
evitare la condanna. Forse pensava che Piton non lo sapesse. Anche lui
avrebbe avuto vita dura con Moody.
La mente di Piton ritornò all’articolo del Profeta sull’apparizione del
Marchio Nero. La foto era in bianco e nero, ma lui non aveva avuto
nessuna difficoltà a ricordare il bagliore verde delle stelle che lo
componevano, la luce terribile che diffondeva attorno come miasmi
infernali, come radiazioni: l’aveva visto, ed evocato, un numero
sufficiente di volte sufficiente a non scordarlo mai più.
Ripensò all’incontro con Lucius a Malfoy Manor, il giorno prima. Certe
questioni erano troppo delicate per essere affidate alla pergamena e
troppo segrete anche per le stanze riservate del club di Diagon Alley.
“Non so proprio che cosa dirti, Severus,” aveva riposto il padrone di
casa. “Per quel che ne so, noi eravamo tutti lì. Non
so proprio chi ci fosse in quel boschetto. Forse è stato Sirius Black,”
aveva aggiunto con una mezza risata.
L’avvenimento era ancora fresco nella sua mente, ma Malfoy on aveva
intenzione di mostrarsi preoccupato davanti a nessuno.
Piton aveva grugnito qualcosa e Malfoy aveva sospirato con superficiale
partecipazione: “Un vero peccato che sia fuggito. Ma dovevi per forza
dare di matto davanti a Caramell?”
“Te l’ha detto McNair?”
“Già.” Malfoy scosse la testa. “Io non faccio che mettere buone parole
per te, e tu…” lo aveva rimproverato, cogliendo l’occasione per
cambiare argomento.
“Puoi smetterla anche adesso,” aveva ringhiato Piton. “Davvero non mi
interessa.”
L’altro aveva sorriso: “Come ha fatto a fuggire, Black, a proposito?”
“Non lo sa nessuno.”
“Di sicuro non da solo,” aveva speculato Malfoy giocando col suo
bastone da passeggio, lo sguardo pensieroso al soffitto. Poi si era
scosso: “Ma certo! È stato Silente! Ecco perché sei così indispettito!”
“Che vuoi dire?” aveva chiesto Piton, guardingo.
“Sono sempre stato convinto che il traditore in seno al vecchio fosse
Peter Minus, ero sicuro di averlo visto con il Signore Oscuro. Ma poi
Black venne arrestato e Silente non fece nulla per tirarlo fuori…”
aveva risposto il biondo con l’aria di chi sta finalmente mettendo
insieme i pezzi.
“Sapevi che era stato Minus a consegnare i Potter al Signore Oscuro, e
non me l’hai mai detto?” gli aveva chiesto Piton a voce bassa.
Malfoy si era stretto nelle spalle: “Ti importava? Era una voce che
girava, ad Azkaban e nelle celle del Ministero. Niente impediva però
che anche Black fosse un traditore: avrebbe potuto voler vendicare il
fratello…Ma se Silente ha fatto in modo che fuggisse, allora è ancora
uno dei suoi,” concluse.
“Quindi non è stato lui ad evocare il Marchio Nero alla Coppa del
Mondo,” aveva commentato Piton, la mente chiusa, il viso neutro.
Sperava.
“Forse è stato Black ad uccidere Regulus,” aveva continuato ad
ipotizzare Malfoy.
“Temo proprio che Regulus sia incappato in qualche Auror da solo…”
aveva borbottato Piton. “O forse è stato punito dal Signore Oscuro.
Dubito che lo sapremo mai.”
Malfoy si era accigliato: “Credo lo avremmo saputo, se il Signore
Oscuro avesse dato ordine di uccidere uno dei nostri…”
“Davvero? Io ho scoperto dopo tredici anni di non essere l’unica spia
del Signore Oscuro,” aveva ribattuto Piton.
“Hai ragione, era il caos. Ma era la nostra guerra, la nostra crociata,
e attraverso la sua visione tutto sembrava chiaro.”
“Ora mi domando se non l’abbia evocato tu, il Marchio, in un impeto di
nostalgia,” aveva borbottato Piton.
“No, te l’assicuro. Certo non posso negare di chiedermi, talvolta, dove
saremmo arrivati se Lui non fosse caduto…”
“Saremmo davvero arrivati da qualche parte?” aveva chiesto Piton,
alzandosi.
“Perché no? Se avessimo continuato a combattere fino alla calma, se
avessimo oltrepassato la tempesta…”
“E la vita sarebbe continuata così? Battute di caccia al babbano, come
alla Coppa del mondo, e incontri con il Maestro, le sgomitate per
mettersi in luce…”
“Alla Coppa del Mondo ci siamo…lasciati trasportare,” aveva ammesso
Malfoy. “Ci siamo sentiti di nuovo giovani, ardenti, pronti a
combattere con gioia, con euforia, per plasmare un nuovo mondo.”
“Me ne vado, prima che tu ti metta a declamare. Non siamo più giovani
menti da plasmare. E alla Coppa del Mondo avete solo fatto la figura
degli etilisti spaventati dall’avanzare del tempo,” lo aveva interrotto
Piton, strappandogli un sorriso amaro.
Il professore di Pozioni era passato a salutare Narcissa: “Tuo marito è
nostalgico. So che succede più sovente quando tu sei arrabbiata con
lui.”
“Ci conosci troppo bene, Severus,” aveva risposto Narcissa.
Il motivo dell’irritazione della donna lo aveva svelato Draco.
“Professore!” aveva esclamato allegro quando aveva visto Piton. “Padre
le ha raccontato della Coppa del Mondo? C’erano quattro babbani che…”
“Non voglio più sentire una parola, su quella notte!” lo zittì sua
madre. “Tuo padre ha agito in maniera impulsiva e sciocca! Coinvolgere
il mio bambino nei tafferugli…”
Draco era arrossito: “Ma…madre…”
“Draco,” era intervenuto Piton. “Quello che è successo alla Coppa del
Mondo non è un argomento di cui sia saggio parlare, in assoluto. Se te
ne sentirò fare menzione a scuola te ne pentirai.”
Il ragazzino se n’era andato scornato e Piton aveva rassicurato
Narcissa: “Il Torneo Tremaghi fornirà un diversivo sufficiente.
Dimenticheranno questa storia in un lampo.” Non era riuscito a
trattenersi dal chiedere: “Tu dov’eri?”
“Sono tornata a casa per lasciare i miei uomini a godersi i
festeggiamenti. È la prima e l’ultima volta che permetto a Lucius di
portare Draco con i suoi amici,” aveva riposto Narcissa. Poi aveva
fissato Piton intensamente: “Le voci durante il primo anno di scuola di
Draco…la fuga di Sirius…ora questo. Sta succedendo qualcosa, Severus?”
“Non ci pensare, non ci pensate,” aveva risposto lui. “Distogli tuo
marito da quel ridicolo stato d’animo, fallo infuriare: fagliela pagare
in qualche modo!”
“Che amico che sei!” aveva riso Narcissa accettando la sua
rassicurazione.
Piton aveva da tempo rinunciato alla possibilità di seguire il suo
stesso consiglio. Aveva mille cose a cui pensare: il torneo, Karkaroff,
Moody e, come sempre e per sempre, Harry Potter.
“Tuo padre ha fatto commenti?” chiese Will, mentre lui e Liam uscivano
dal salotto dei Warrington. “Riguardo…be’, lo sai.”
Seguì l’amico verso le scale, un po’ sorpreso che avessero saltato
l’usuale saluto al padrone di casa. Normalmente una visita allo studio
di Damian Warrington era d’obbligo, ma era anche piuttosto anomalo che
Liam lo invitasse due volte in meno di un mese. Durante tutte le estati
precedenti quasi tutti i loro incontri erano avvenuti a casa di Will.
Liam si strinse nelle spalle, le mani in tasca: “Ha letto il Profeta, e
mi ha chiesto cos’era successo. Ma non ha detto granché.”
Liam aveva raccontato sommariamente della notte della Coppa del Mondo,
in piedi davanti a suo padre, seduto dietro la scrivania a scrutarlo
attento, il bastone posato su una copia della Gazzetta del Profeta col
Marchio Nero in prima pagina. Liam aveva aspettato sempre più teso,
mani e mascella contratte, che il vecchio gli chiedesse con chi si
trovava suo figlio durante gli scontri, se fosse stato dove sarebbe
dovuto essere, se era stato l’anello debole della catena…
Ma Damian Warrington lo aveva fissato in silenzio e poi congedato con
stanchezza, senza critiche o lodi o richieste di alcun genere.
“Tua madre?” chiese a Will.
“Non pensavo che la cosa l’avrebbe turbata tanto…lasciami solo dire che
era in ansia all’idea che uscissi di casa, oggi.”
“Ma tu non le hai detto niente, giusto?” Liam lo guardò di sottecchi.
“Il meno possibile. Ho cercato di distrarla con il Torneo Tremaghi,”
rispose il biondo. “Fortuna che Elly ne ha parlato…”
Non avevano parlato di molto altro, lui ed Euriale. La ragazza non era
per niente ansiosa di ripensare ai loro giorni in campeggio. Doveva
essersi spaventata davvero, ne aveva concluso Will. Prima avessero
dimenticato la faccenda, meglio sarebbe stato per tutti.
“Come sta Euriale?” gli chiese Liam, aprendo la porta della sua stanza.
“Avete altri…incontri…in programma?”
Will sospirò frustrato: “No. I suoi l’hanno presa peggio che mai. Dice
che non la lasceranno più uscire fino al primo settembre…”
Fece per seguire Liam nella sua camera, ma sbatté il naso contro
qualcosa di duro, percosso da scariche di magia. Si ritrovò sdraiato a
terra nel mezzo del corridoio, a seguito di un crack assordante.
“Cosa cazzo è stato?!” domandò a Liam, che lo fissava interdetto con
ancora le mani in tasca.
Will era sempre entrato senza problemi in camera sua, nonostante il
sigillo elfico sulla soglia.
“Oh!” fece poi, mentre l’espressione perplessa lasciava il posto
all’ilarità. “Il nostro Wallace è diventato un uomo!”
“Eh?”
Liam si piegò in due dalle risate davanti alla faccia confusa e
irritata dell’amico.
“Non ci hai raccontato niente, di te e Will…” disse Isabel a un certo
punto.
Madeline sbirciò Euriale con la coda dell’occhio: lei avrebbe evitato,
la loro amica non sembrava di buon umore. Ma anche Isabel doveva
essersene accorta, perché la sua domanda implicita non aveva affatto il
tono malizioso che avrebbe potuto sfoggiare.
“Uhm?” fece Euriale, continuando a sfogliare la sua rivista. “Ma sì,
che vi ho raccontato di me e Will…” rispose con voce piatta.
“Al campeggio, la mattina dopo. Ma poi non ne ahi più parlato,”
insistette Isabel. “Sai per quanto tempo io non ho fatto altro che
pensare e ripensare a quando io e Liam lo abbiamo fatto la prima volta?”
“Settimane,” intervenne Madeline con vaga esasperazione. “Settimane
intere.”
“Appunto,” fece Isabel. Si arrampicò sul letto dell’amica. “Qualcosa è
andato storto?” chiese gentilmente.
“No,” ribatté Euriale. “Dopo cinque anni che ci conosciamo, ti stupisce
ancora che abbiamo reazioni diverse?”
“Non ne vuole parlare, Isabel,” chiuse la questione Madeline. Decise di
cambiare argomento: “Tuo padre sarà impegnatissimo con il Torneo
Tremaghi…”
“Molto meno, ora, visto che hanno firmato i vari
contratti…l’organizzazione pratica tocca all’Ufficio Giochi e Sport
Magici,” ripose Euriale senza sforzarsi di partecipare alla
conversazione, una volta che le sue amiche si misero a disquisire del
Torneo.
No, non aveva voglia di parlare di lei e Will. La prima sera era stata
perfetta, ma nella sua mente non riusciva più a slegarla da quello che
aveva provato la notte successiva. La confusione, lo spavento, gli
scontri, e poi il senso di potere che aveva percepito nei suoi amici e
in Will davanti agli altri purosangue amplificavano a dismisura le
insicurezze legate alla sua empatia. Quante volte si era sentita a
disagio all’idea di non riuscire a chiudere la mente, a mantenere il
controllo vicino a Will? L’idea di essersi resa volontariamente tanto
vulnerabile di fronte a qualcuno, proprio mentre scopriva quel nuovo
potere, quella nuova sicurezza in lui era estremamente sgradevole. Il
pensiero le scorreva viscido addosso, rovinando tutti i ricordi di quei
giorni: aveva ceduto il controllo, si era resa inferiore.
Si rendeva conto che era una reazione irrazionale ed esagerata, ma non
poteva farci niente. Forse Olivier aveva ragione, e forse era anche
vero che aveva assorbito quel concetto da Piton: Euriale credeva che il
controllo fosse tutto. E ora non sapeva come fare a ritrovarlo.
Quando il pesante portone d’ingresso del castello si era spalancato
all’improvviso e Alastor Moody si era affacciato nell’ammutolita Sala
Grande, Piton era sobbalzato come molti altri. Né aveva ripreso il
controllo di sé mentre il vecchio Auror avanzava fino al tavolo degli
insegnanti, il clung sgraziato del suo passo che riecheggiava sotto
l’alto soffitto in tempesta e gli sguardi affascinati e inquieti degli
studenti.
Aveva creduto di essere pronto a quell’incontro, i suoi nervi tesi gli
andavano ripetendo da giorni che prima fosse avvenuto, meglio sarebbe
stato. E improvvisamente Piton avrebbe dato qualunque cosa per evitare
che l’occhio magico di Moody si posasse su di lui. L’Auror non lo
aveva, ai tempi della Guerra: Piton non sapeva di preciso come se lo
fosse procurato, se a seguito di una ferita o come strumento di difesa,
per il quale sacrificare, letteralmente, un occhio della testa. Fatto
stava che Moody riemergeva dal passato come un incubo, e ancora più
spaventoso di quello che Piton ricordava.
Mentre il vecchio si sedeva, ancora avvolto nel suo mantello, e
afferrava un piatto, bevendo dalla propria fiaschetta, Piton si domandò
con una punta di vergogna e irritazione perché il pensiero di Moody lo
spaventasse tanto. Forse perché Moody era il nemico?
Piton aveva avuto molti nemici, nella sua vita, in ogni fase di essa.
Tobias Piton era stato il primo, senza dubbi, ma molti altri erano
venuti dopo di lui: Potter e la sua banda, dal primo anno di scuola a
quando avevano affiancato Silente nella lotta contro il Signore Oscuro
e i suoi Mangiamorte (e in cuor suo, Piton continuava a considerare
Sirius Black un nemico: poteva essersi convinto che non era
responsabile della morte di Lily, ma aveva pur sempre tentato di
ucciderlo per gioco, per uno scherzo);
aveva avuto nemici tra le fila del Signore Oscuro, altri Mangiamorte
gelosi della sua posizione, conquistata al prezzo della sua libertà,
dei suoi scrupoli, della sua compassione, e non li aveva mai
considerati altro che insetti molesti, assolutamente incapaci di
rivaleggiare con lui in quanto a intelligenza, e quindi di nuocergli in
alcun modo significativo; Bellatrix Lestrange era stata sua nemica, da
un certo momento, ma lui se l’era aspettato (e d’altronde: come avrebbe
potuto Bella metterlo in difficoltà senza ammettere qualcosa a cui non
riusciva nemmeno a pensare?); gli Auror erano stati suoi nemici, loro
nemici. Avevano combattuto per fermarli, per arrestarli, per ucciderli.
Piton aveva lottato per la propria vita in più di un’occasione. Ma non
aveva mai avuto paura di loro, timore di incontrali a Diagon Alley o in
una strada qualunque dopo la fine della Guerra. Non aveva avuto la
minima esitazione ad affrontare Edward Sanders, al torneo di duello dei
ragazzi.
Perché allora Moody era diverso? Di sicuro non intendeva perdere tempo
a convincere lo scettico Auror della sua lealtà a Silente (come avrebbe
potuto: lui stesso a volte ne dubitava), che il quel vecchio paranoico
continuasse pure a crederlo un ex-Mangiamorte da sorvegliare.
Forse il problema era Hogwarts, realizzò Piton all’improvviso, mentre
la Sala ricominciava a risuonare del consueto brusio che accompagnava
ogni banchetto. Già altre volte Piton si era ritrovato inaspettatamente
sollevato all’idea di non dover tollerare Auror sul terreno della
scuola, come quando Caramell era venuto ad arrestare Hagrid, al tempo
dell’apertura della Camera dei Segreti. Era questo, il problema?
Hogwarts era sempre stata una casa, per lui. Da tredici anni, era il
luogo in cui era stato più al sicuro, nascosto al mondo, padrone di sé
e della sua vita, anche se da quando Harry Potter era arrivato a scuola
le cose erano un po’ diverse.
Era il pensiero che Moody fosse
a Hogwarts che lo spaventava?
Non poteva fare niente, a riguardo: neppure innalzare l’ostile difesa
che aveva riservato a Lupin l’anno prima: non poteva trattare il
vecchio Auror come il patetico, bisognoso Lupin. Il nemico era nella
sua casa, e l’unica strada praticabile era evitarlo e ignorarlo.
Nessuno degli annunci della serata sembrava congeniale a Liam e Will, e
neppure a Isabel.
“Annullare il campionato di quidditch è davvero una stronzata,” ringhiò
Liam fissando il Preside con odio.
Anche gli altri membri della squadra erano assolutamente sconvolti.
Malfoy sproloquiava sull’incapacità di Silente di gestire due cose alla
volta: “L’età ormai gli impedisce di prendere decisioni sensate! Non
avrebbero dovuto affidargli l’organizzazione di un evento del genere:
rischia di renderci ridicoli agli occhi di Durmstrang!”
“Non è giusto!” esclamò Isabel, indignata, buttando all’indietro i
capelli e fissando a sua volta Silente. “Avresti dovuto essere
capitano! E chi diavolo è, quello?”
aggiunse con tono stridulo e lamentoso, indicando il loro nuovo
professore di Difesa Contro le Arti Oscure. “È ridotto peggio di
Kettleburn. Poteva andare peggio? Perdere Lupin per ritrovarci con
quel…quel…”
“Non so se ti consolerà, Isabel, ma credo proprio che Piton si sia
pentito di aver fatto cacciare Lupin,” le ripose Euriale, a voce bassa,
“perché quello è Alastor Moody, ex Auror e cacciatore di Mangiamorte.”
Lei aveva letto il suo nome nelle cronache dei vecchi processi. Non
aveva idea di come lo conoscesse Will. Lo scrutò preoccupata, ma senza
sfiorarlo.
“McIver? È uno degli amici di Sanders?” gli chiese Liam, dimenticando
per un attimo la propria delusione.
“No,” ripose il ragazzo, l’avversione che provava che si attenuava
lentamente mentre distoglieva lo sguardo dal tavolo degli insegnanti.
“Lo conosco di fama…me ne ha parlato Cartright,” spiegò agli altri.
“Credete che sia qui in seguito a quello che è successo alla Coppa del
Mondo?” chiese Madeline.
“Forse è per via della fuga di Black…”
“Può darsi,” concesse Madeline, “ma in ogni caso, suggerisco che
impariamo da nostri errori. Difficile che Moody sia bendisposto nei
nostri confronti: evitiamo di lasciarci provocare, o di sembrare troppo
colpevoli o ostili. Un anno come quello della Camera dei Segreti mi
basta e avanza.”
Tutti annuirono, poi sbirciarono di sottecchi Will.
Lui si strinse nelle spalle: “Posso farlo. Non ho niente di personale,
con lui. E ho pensieri più piacevoli, per la testa, al momento,”
concluse, facendo l’occhiolino a Euriale.
Lei provò a sorridere, ma scoprì di non averne tanta voglia.
Isabel sbuffò: “Scendiamo. Non voglio più vedere quell’orribile faccia
e quell’occhio rivoltante finché non sarà necessario.”
Note:
Finalmente è tornato in scena Piton!
Ho scelto di immaginare che neppure Malfoy fosse completamente certo
dell'innocenza di Sirius, principalmente perchè se lo avesse saputo lui
lo avrebbe saputo anche Piton, e sarebbe stato un pensiero difficile da
nascondere a Silente, anche per il professore di Pozioni (anche se non
nego che ci avrebbe certamente provato...). Che i Mangiamorte non
sappiano cos'è successoa Regulus è invece l'unica spiegazione
possibile: altrimenti Voldemort avrebbe potuto sospettare qualcosa,
dietro la sua scomparsa...
Per finire, sono sicura che all'elfa Foxy non importi un bel niente se
Will abbia o meno fatto sesso: non è quella la ragione per cui il
sigillo elfico lo riconosce come un adulto, adesso. Ma mi divertiva
l'idea che Liam lo pensasse e lo prendesse in giro per questo.
Ho detto tutto? Spero di sì.
A presto!
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