9- Come la marea
Come la marea
Hinata
stava tentando di farsene una ragione. Continuava mentalmente a
ripetersi “È meglio così”, “Sono troppo
giovane”, “Non saprei come fare in un rapporto simile, non
ho alcuna esperienza”.
Ricordava il sorrisetto di
Hanabi quando, anni prima, le aveva rivelato di aver baciato
Konohamaru, e la sua aria disinvolta ogni volta che tornava a casa la
sera. Non avrebbero potuto essere più diverse, e dire che
avevano gli stessi geni.
Era sdraiata sul letto, i
capelli sparsi sul cuscino perché non le facessero troppo caldo,
le braccia e le gambe nude. Guardava il soffitto e si sforzava di non
pensare a niente.
Il quadro era voltato verso
il muro, perché stesse in silenzio. Aveva come
l’impressione che si fosse offeso, mentre prima non se ne stava
mai zitto.
Hinata si coprì il
volto con le mani. Ma che andava a pensare, stava forse impazzendo del
tutto? Avrebbe dovuto alzarsi di lì e fare qualcosa, ma non ne
aveva la minima voglia. E forse nemmeno la forza, chi lo sa.
L’estate era ancora
lunga, se non avesse fatto qualcosa sarebbe sprofondata in una sorta di
depressione opprimente dalla quale sarebbe stata dura uscire. Magari
avrebbe potuto andare in America a trovare suo cugino, ma ciò
che la bloccava era che non aveva la benché minima voglia di
fargli sapere cos’era successo. Perché lui l’avrebbe
capito in un secondo, che c'era qualcosa che non andava.
Si girò a pancia in
giù, stringendo forte il cuscino. Era circondata da persone che
la ignoravano bellamente, come suo padre e sua madre, e altre che
riuscivano a leggerle dentro, come Ten Ten e Neji. Ma una via di mezzo
non era possibile?
Impegnata in tali,
disperate elucubrazioni, ci mise un po’ a sentire un pugno che
batteva freneticamente alla sua porta, e la voce di Hanabi che la
chiamava:
- Ehi, Hinata! Hinata, apri!
Si alzò a fatica e quando aprì la porta rimase sorpresa nel vedere lo stato di agitazione in cui era la sorella.
- Ma cosa succede? – chiese.
-
C’è la Bestia! – esclamò Hanabi, a
metà tra l’incredulo e il preoccupato –
C’è la Bestia fuori da casa nostra! E c’è
anche il suo cane enorme, cosa facciamo? Chiamiamo la polizia?
Il cuore di Hinata ebbe un sussulto. Ma fu qualcosa di enormemente lontano dalla paura.
Ignorò Hanabi,
precipitandosi giù dalle scale e ricordandosi a malapena di
infilarsi un paio di sandali per non uscire completamente scalza.
Aprì di scatto la
porta, e sentì un nodo salirle alla gola quando vide con i
propri occhi che Hanabi le aveva detto la verità: in strada,
fuori dalla cancellata del suo giardino, c’era Kiba con Akamaru
al guinzaglio, apparentemente in giro per una semplice passeggiata.
Le sembrò di volare
lungo il vialetto fino al cancello, tanto lo percorse in fretta, ma
quando fu fuori non riuscì a spiccicare parola.
- Ciao – disse Kiba, col suo solito ghigno rassicurante sul viso.
- Ciao
– rispose lei, un po’ ansimante per la breve corsa, un
po’ perché sentiva il cuore batterle come impazzito.
- Stavo
portando Akamaru a fare un giro – spiegò, mostrandole il
guinzaglio a mo’ di prova – Vieni anche tu?
L’unica cosa che
Hinata riuscì a fare fu annuire con un sorriso, dato che si
sentiva totalmente incapace di parlare.
Non si inoltrarono nelle
strade principali, non andarono fino alla piazza dove c’era la
gelateria delle pettegole. Si limitarono a rimanere sul ciglio dei
campi coltivati, dove c’erano terra e alberi e l’odore
della vegetazione era fortissimo.
Chiacchierarono
d’arte e posti da visitare, come non avevano mai fatto prima
d’ora, senza timore o ritrosia. Sembrava tutto diverso rispetto
al giorno prima.
Dato che il luogo era
pressoché deserto Kiba tolse il guinzaglio ad Akamaru, e mentre
accarezzava le orecchie vellutate del cane a Hinata tornò in
mente la strofa di un’altra canzone del film.
Qualcosa in lui
Si trasformò
Era sgarbato, un po’ volgare,
ora no.
È timido, piacevole,
non mi ero accorta che ora è incantevole.
- Ehi, cos’hai da ridere? – le chiese Kiba vedendola sorridere con tanto divertimento.
- Niente, stavo solamente immaginando come staresti con uno stormo di uccellini addosso.
- Eh?
Hinata rise di gusto alla sua espressione sbigottita, una risata cristallina che la fece sentire su di giri.
Pazzesco come poco prima si
sentisse in fondo al baratro, e ora una folata di vento caldo
l’avesse fatta risalire fino a toccare il cielo.
Mentre lei rideva, Kiba si fece serio.
- Ho trentun anni – le ricordò – Tu diciannove.
Hinata smise di ridere e ricambiò dolcemente il suo sguardo.
- A dicembre ne faccio venti – rispose.
Lui si avvicinò,
passandole un braccio attorno alla vita e attirandola a sé,
infilandole l’altra mano tra i capelli.
- Giusto – mormorò, respirando a fondo il loro odore – Il mio spirito dell’inverno...
Hinata sorrise piano. Avrebbe dovuto rivoltare il quadro, una volta tornata a casa.
- … che in realtà è piuttosto dispettoso, sai? Ha un caratterino…
- Come?
– chiese Hinata alzando la testa, ma smise di porsi domande
quando sentì una bocca posarsi sulle sue labbra.
Aveva iniziato a chiedersi
come fosse da quella sera delle confidenze di Hanabi. Aveva cercato di
immaginarselo, quando era sola da qualche parte, e non c’era
nessuno che potesse vederla arrossire.
Non aveva mai pensato che
potesse essere così caldo, anche se sentì la pelle
d’oca sulle braccia e perfino alla radice dei capelli. Gli
passò inconsciamente una mano tra i capelli ispidi, molto
più del pelo di Akamaru.
Era una fortuna che la
stesse tenendo per la vita, perché quando Kiba osò di
più sentì le ginocchia tremarle pericolosamente. La sua
guancia ruvida sul proprio viso la fece rimescolare dentro, in un modo
che non avrebbe mai creduto possibile.
Ad un certo punto una
montagna di pelo si insinuò a forza tra di loro, dividendoli.
Forse fu meglio così, perché Kiba si rese conto di stare
entusiasmandosi fin troppo. Doveva darsi una calmata e cercare di
controllarsi. Sarebbe stata una bella impresa la loro, difficile sotto
ogni punto di vista, dentro e fuori, tra loro e di fronte agli altri.
Ma quando Hinata gli
sorrise, scansando Akamaru e appoggiandosi fiduciosa al suo petto, si
rese conto che quell’impudente dello spirito dell’inverno
aveva ragione. Non era vero che non credeva più a nulla.
Akamaru guaì offeso,
incredulo che nessuno gli badasse. Si erano dimenticati che era tutto
merito suo? Ma non servì a nulla, perché entrambi
continuarono a ignorarlo bellamente.
Kiba appoggiò la
guancia ruvida sulla sua testa e Hinata si strinse a lui, incapace di
credere che tutto ciò fosse reale. Mentre respirava a fondo il
suo odore pungente, si rese conto che era proprio vero. Era come la
marea.
Ti riporta via
Come la marea
La felicità…
Direi
che, come storia nata sul modello di una fiaba, dovesse proprio avere
un lieto fine, no? E poi tiriamoci un po’ su, và.
Uhm…
stavo pensando di scrivere un capitolo speciale di questa storia,
magari sulla prima notte di Kiba e Hinata. Che ne dite? Potrebbe
interessarvi? Fatemi sapere!
Aurychan: grazie infinite! Spero che anche l’ultimo capitolo ti sia piaciuto!
kibachan:
se la mia storia ti ha fatto emozionare sono felicissima! Inoltre sono
contenta di non essere l’unica preda dei “raptus
creativi” (a proposito, ottima definizione), perché ogni
tanto ne ho uno... il che non mi fa sembrare molto normale, ma a casa
mia ci sono abituati.
evechan: cosa vuol dire che Kiba “si reffa”? O_O Me non capisce…
Niggle:
tranquilla, è filato tutto liscio… in fondo per il finale
mi sono attenuta al modello originale. ^^ Sono contenta che il capitolo
su Kiba ti sia piaciuto, ho pensato che il “mistero” non
potesse durare per sempre. Volevo far capire che, prima che una
“Bestia”, Kiba era soprattutto un essere umano.
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