DEL COME LA
TRAPPOLA E’
ORMAI PRONTA, I TOPI VI CADONO DENTRO E,
COME TUTTO E’ INIZIATO, COSI’ TUTTO INEVITABILMENTE
FINISCE…
Il
pomeriggio
dell’ultimo dell’anno, Jared stava facendo dei
magnifici sogni di gloria.
Rilassato,
con
un sorriso a fior di labbra, sdraiato sul lettino della sua estetista
di
fiducia con una maschera antirughe/idratante/nutriente/ecologica in
faccia e la
manicure che gli faceva le unghie e gli
metteva lo smalto nero, beatamente sognava
i premi che avrebbe vinto in un prossimo futuro agli
MTVMusicAwards,
agli EuropeanMA, ai LatinMA… sognava i premi del Kerrang,
quelli di RockTV,
quelli di TRL, il premio Oscar per la miglior colonna sonora e,
già che c’era,
pure un premio Nobel. C’era quello per la Musica? No?
Beh, lo avrebbero inventato appositamente per
lui, ne era certo…
Poi,
mentre
pensava a quale andare, delle innumerevoli feste dell’ultimo
dell’anno a cui
era stato invitato, il suo cellulare lo riscosse dai suoi profondi
pensieri.
Sobbalzando sul lettino, estrasse con fastidio, ad occhi chiusi, il
dannato blackberry
dal taschino della sua camicia a quadretti rossa. Chi diavolo osava
disturbarlo
alle tre del pomeriggio mentre era impegnato in tal guisa?
“Pronto?”,
grugnì.
“Ciao,
sono
Tomo.”
Meno
male che
non era il commercialista: “Ehi, ciao Tomo. Che
vuoi?”
Tomo
esitò un
attimo: “Ehm… Devi venire a casa di
Dana.”
“Da
Dana?
Quando e perché?”
“Alle
quattro.”
“E
perché?”
“Vuole
vederti.”
“Ma
non
dovevamo vederci stasera a una delle feste, tutti quanti?”
“Sì,
ma è
saltato tutto, stasera non possiamo… Puoi oggi
pomeriggio?”
“Ma
perché?”
“Devi
venire.”
“Sono
impegnato tutto il giorno, non posso.”
“E’
importante. Per favore.”
“Uhm…
non so.”
Forse poteva spostare il suo appuntamento con Brent a più
tardi.
La
voce di
Tomo diventò quasi supplichevole: “Per favore,
Jared. Per favore…”
L’uomo
si
arrese, se non altro per curiosità. “Va bene, ma
posso solo per cinque minuti.”
“OK,
bastano.
Grazie.”
“Dove
vi
trovo?”
“Ti
mando un
sms con l’indirizzo, OK?”
“Va
bene.”
Jared
chiuse
il telefonino e solo allora si rese conto dello strano tono della
telefonata.
Dana
voleva
vederlo a casa sua? Che assurdità.
E
per cosa
poi? Non si sapeva: Tomo non aveva risposto.
Era
strano
pure il tono di voce del loro chitarrista, così monotono e
triste.
Era
tutto
strano, fuori dalle righe.
C’era
qualcosa
che non andava.
Jared
non
riuscì più a rilassarsi e quando, poco dopo
l’estetista finì, balzò in auto e
si diresse quasi di corsa verso la casa di Dana.
£££££££
Solon
si rese
conto che, invece di comporre una canzone, quel pomeriggio stava
semplicemente
cincischiando sopra la sua tastiera, perdendo e prendendo tempo.
Continuava a
infilare una dietro l’altra note a caso, senza senso, prive
di una melodia e
assolutamente inutili. Una benemerita porcheria.
Strano.
Di
solito non appena appoggiava le dita sui tasti, dopo poche note
riusciva a
trovare il bandolo del guazzabuglio di canzoni che aveva in testa, ma
quel
pomeriggio non ci riusciva, la sua vena creativa era andata a farsi un
giro
chissà dove e chissà quando sarebbe tornata.
Solon
si spostò
la frangetta di capelli neri e lisci dalla fronte, si tolse gli
occhiali e si
accese una sigaretta, rimuginando fra sé e sé.
‘Tutto
per
colpa di quella telefonata’, pensò.
Quella
che
aveva ricevuto da sua nipote Dana in mattinata.
“Ciao,
zio.”
“Ciao,
carissima Dana! Sei tornata e…”
Dana
non
l’aveva nemmeno lasciato finire: “Sì.
Ascoltami. Puoi venire a casa mia per le
quattro, oggi pomeriggio?”
“Non
so…
dovrei andare in sala d’incisione con Rachel,
dobbiamo dare gli ultimi ritocchi al nuovo CD e anzi
pensavo che se
volevi passare, noi…”
“No.
Ti prego,
zio, ti prego. E’ importante. Passa da me.”
Solon
aveva
piegato le sopracciglia, perplesso. Non era mai capitato che Dana
avesse
rifiutato un invito ad andare in studio da loro a vedere i Great
Northern
registrare. Mai. Ci doveva essere qualcosa sotto.
“Io… va bene. Se insisti…”
“Grazie.
A
dopo, allora…”
“Ciao.
E…”
Dana
aveva
messo giù subito.
Certo
che era
strana, quella ragazza, e il suo tono di voce ancora di più.
Che
diavolo
stava succedendo?
Solon
spense
la sigaretta, chiuse il quaderno degli spartiti in cui stava scrivendo
e mise
via tutto. Poi spense la tastiera.
Erano
le tre
ed un quarto.
Era
ora di
andare da Dana.
Era
ora di
sapere.
£££££££
“…
settantadue, settantatre, settantaquattro…”
Shannon
contava mentalmente il numero di volte che alzava i pesi, mentre,
sdraiato
sulla panca in canottiera e pantaloncini corti, rivoli di sudore gli
scorrevano
dappertutto.
“…
settantacinque, settantasei…”
Certo
che era
comodo avere una mini palestra in casa, pensava Shannon, cosa che
evitava di
doversi vestire, uscire dalla porta e salire in auto, però
ci voleva anche una
discreta disciplina nell’adoperare gli attrezzi con
assiduità. E questa
benedetta disciplina lui non ce l’aveva. Anzi, non
l’aveva mai avuta.
“…settantasette,
settantotto, settantanove…”
Usava
i pesi
due volte all’anno e proprio quando non aveva
nient’altro da fare. Ma alle tre
e un quarto del pomeriggio dell’ultimo dell’anno,
mentre aspettava che Jared si
decidesse a quale festa andare ed era andato a farsi bello
dall’estetista, che
altro c’era da fare?
“…
ottanta,
ottantuno, ottantadue…”
No,
c’era
qualcos’altro da fare.
Shannon
decise
che sarebbe arrivato a cento, poi avrebbe abbandonato la sua palestra,
avrebbe
chiuso la porta della mansarda dove teneva i suoi attrezzi (almeno per
i
prossimi sei mesi) e si sarebbe sdraiato sul divano con un sacchetto da
un
chilo di popcorn, una bella lattina di birra gelata e la visione di un
DVD
appena acquistato sulle gare del MotoGP.
“…
ottantatre,
ottantaquattro, ottantacin…”
Ma
il suo
conteggio venne interrotto dalla suoneria del cellulare che lo avvisava
che
Tomo lo stava chiamando.
Shannon
lo
recuperò subito, quasi contento dell’interruzione.
“Ciao,
Tomo!
Allora a che festa si va stasera?”
“Ciao.
Ehm… A
nessuna, temo.”
“E
perché? Che
succede?”
“Ehm…
Senti,
Shannon…”
“Dimmi.”
“Potresti
venire subito a casa di Dana?”
Il
batterista
si passò una mano sulla fronte per togliere il sudore:
“Adesso?”
“Sì.
Subito.”
“Perché?”
“Vieni
e lo
saprai.”
Shannon
sospirò
sulla sua montagna di popcorn e sul suo DVD che scomparivano
dall’orizzonte
delle sue intenzioni, ma, dopotutto, la voce di Tomo gli sembrava
allarmata:
“Ehm… OK.”
“Grazie,
Shan.”
“Di
niente.”
Tomo riattaccò subito e Shannon guardò
l’ora sul blackberry. Tre e mezza.
Perché
diavolo
c’era bisogno di lui a quell’ora?
Con
un sospiro,
l’uomo abbandonò la panca: c’erano guai
in vista, lo sapeva, se lo sentiva
sottopelle, visto che, come altre volte, si sentì come
l’ormai noto Santo
Shannon da Bossier City.
Cioè
martire.
£££££££
Tim
era in
pieno delirio.
Finalmente,
e
per la prima volta, era riuscito ad arrivare al cinquantesimo livello
del
PacMan sulla sua PSP. Erano due ore che giocava, aveva iniziato dopo
pranzo,
aveva l’adrenalina che gli usciva dagli orecchi, gli occhi
fuori dalle orbite e
il ciuffo di capelli sparato in alto, indomito.
Seduto
sul
divano con le gambe raccolte e l’occhio fisso al televisore,
non gli sembrava
vero di essere arrivato lì, a quel livello, ed era certo
che, nel giro di poco,
vista la mano d’oro che aveva quel giorno, poteva riuscire a
battere il record
che sua sorella aveva fatto mentre lui era in tournee. Bastarda.
Non
gli
piacque per niente, quindi, quando sua madre arrivò di corsa
in salotto
tendendogli il suo cellulare che squillava.
“Timothy,
hai
il cellulare che suona. Tieni.”
“Non
posso.”,
grugnì, facendo una smorfia di disappunto.
“Metti
giù la
PlayStation.”
“NO!
Sto
facendo il record. Non mi distrarre, mamma…”
La
madre
guardò il display del telefonino: “E’
Tomo. Magari è importante.”
“Qualsiasi
cosa sia, ora non posso.”
La
madre di
Tim sorrise: “Rispondo io, se vuoi.”
“No,
lascia
perdere. Lo chiamo dopo.”
“Dai,
mi
faccio dire.”
“Vabbé,
se
insisti…” Dopotutto la curiosità della
madre poteva fargli anche comodo, pensò
Tim, magari Tomo doveva dirgli una cavolata.
“Pronto.
Ciao
Tomo, sono la mamma di Tim. E’ un attimo impegnato.
Dì pure a me…” Tim, con la
coda dell’occhio, guardò sua madre mentre il suo
PacMan veniva rincorso da un
fantasmino nel labirinto e lei ascoltava la voce di Tomo, attenta.
“Sì, OK.
Glielo dico. OK. Ciao Tomo e… buon
anno…”
“Che
succede?”, le chiese subito Tim dopo aver visto la madre
farsi scura in volto e
ripiegare preoccupata le sopracciglia e, se lo faceva lei,
c’era senza dubbio
un motivo.
La
madre
scosse la testa. “Non so. Dice che devi andare subito a casa
di Dana, che è
urgente e che… Non so… Tomo era preoccupato,
aveva uno strano tono di voce,
come se avesse pianto… Mi ha fatto una bruttissima
impressione…”
Tim
abbassò il
joypad della Playstation per guardare sua madre e il fantasmino si
mangiò in un
boccone il suo Pacman, ma al bassista ormai non interessava
più.
Gli
interessava di più capire cosa stesse succedendo al suo
adorato amico Tomo.
Quasi
di
corsa, con preoccupazione, il bassista si alzò dal divano,
mollando tutto,
prese la giacca e le chiavi dell’auto ed uscì di
casa, senza dire una parola.
£££££££
Quando
Solon
arrivò a casa di sua nipote, non si stupì
più di tanto che la porta gli fosse
aperta da Jane, la migliore amica di Dana, nonché sua
co-inquilina.
Quello
che
invece aggiunse inquietudine maggiore alla sua agitazione, fu vedere
che al
piano di sotto non c’era nessuno e che Jane lo stava
accompagnando di sopra, su
per le scale, nella camera da letto di Dana.
E
per Solon,
entrare in quella camera, adesso in penombra, in cui tante volte aveva
insegnato a sua nipote a suonare, fu un colpo al cuore.
Perché
Dana
era a letto, stesa supina ad occhi chiusi.
Giaceva
sotto
un piumone rosa a fiorellini con il capo appoggiato sul cuscino, i
capelli sciolti,
il viso pallido e smunto, l’espressione seria.
Chiaramente
malata.
Solon
per un
attimo si bloccò, mentre Jane faceva il giro del letto e si
sedeva su una sedia
vicino alla finestra, lasciandone una per Solon, vicino al comodino.
“Ciao,
Dana.”, la salutò l’uomo, con
circospezione, chiedendosi se non stesse
dormendo.
Dana
girò
leggermente il capo a guardarlo e aprì piano gli occhi e
poi, a bassa voce,
rispose: “Ciao, zio.”
Solon
allora
si avvicinò: “Che… che
succede?”
La
ragazza
sembrò trattenere le lacrime e scosse leggermente la testa:
“Io… io non lo so…”
Poi
Jane,
interrogata da Solon con lo sguardo, parlò, con un piglio
che voleva essere
professionale, ma che invece nascondeva una grande amarezza:
“Dana sta male. Ha
una infezione che… che non riusciamo a curare…
E’ tornata dall’Inghilterra con
questa malattia addosso, ma non riusciamo a capire cosa sia, a cosa sia
dovuta…”
Solon
si
sedette sulla sedia, affranto, come se gli fosse crollato un muro
addosso, e
Dana gli allungò la mano perché la prendesse,
mentre Jane si alzò e si diresse
ad aprire la porta, visto che il campanello era suonato di nuovo.
“Oddio,
Dana,
mi dispiace io… non so davvero cosa dire, cosa…
cosa posso fare?”
“Niente,
zio.
Nemmeno i medici sanno cosa fare, né quanto mi
resta… da vivere…”, la ragazza
parlava con grande fatica e sembrava sempre sul punto di scoppiare in
lacrime.
“Ma…
hai fatto
tutti gli esami e…”
“Sì-sì,
tutti.
Un amico di Jane è il miglior medico infettologo degli Stati
Uniti e nemmeno
lui è riuscito a capire che virus mi ha colpito.
Sai…”, poi la ragazza fece un
piccolo sorriso, nel tentativo di alleggerire un’atmosfera
piuttosto pesante,
“… ho abitato nella casa dei discendenti dello
scopritore della mummia di
Tutankhamon… magari sono stata colpita dalla maledizione del
faraone…”
Solon
sorrise,
ma dentro di sé non scartò questa
possibilità: magari qualche reperto della
casa dei Carvarvon era davvero ancora infetto. Poi le baciò
la mano: “Ma no…
magari sei tanto stanca. Hai studiato troppo in questo ultimo periodo e
devi
solo riposare…”
In
quel
momento la porta si aprì con un cigolio e Solon si
girò, per chiedere ulteriori
lumi a Jane, ma non vide chi avrebbe voluto. Solon mollò la
mano di Dana,
sorpreso, non aspettandosi per nulla al mondo di trovarsi davanti il
chitarrista
che lo aveva sostituito: “TOMO MILICEVIC?”,
esclamò, spalancando gli occhi.
Il
ragazzo lo
salutò piuttosto serio, alzando una mano: “Ciao,
Solon.”
“Ma…
ma che ci
fai tu qui?”
Tomo
non fece
nemmeno in tempo ad aprire bocca per rispondere che la porta della
camera di
Dana si aprì nuovamente ed entrarono in fila indiana Jared,
Shannon e Tim, con
la faccia da funerale, visto che Tomo li aveva appena edotti sulla
malattia
sconosciuta di Dana.
“SOLON?”,
Jared si paralizzò dopo un passo.
“JARED?”,
Solon balzò dalla sedia.
Anche
Shannon
si accorse del loro ex-chitarrista e spalancò gli occhi:
“SOLON?”
Solon
era
diventato pallido: “SHANNON? E… E TIM? ECHECAZZO
SUCCEDE? Che ci fanno questi
qui, DANA? Che ci fanno i 30 Seconds to Mars al completo in casa
tua?”
Sua
nipote non
rispose, ma Tomo si avvicinò al letto e si sedette vicino a
Dana. La ragazza lo
prese per una mano e lui le passò un braccio attorno alle
spalle, mentre i
quattro musicisti li fissavano a bocca aperta, in attesa di una
spiegazione.
Dana
cominciò
a parlare lentamente, sottovoce, a fatica, cercando, senza riuscirci,
di
alzarsi un po’: “Shannon e Jared, Solon
è… è mio zio. E, zio Solon, Tomo
è il
mio ragazzo e a Maggio ci sposiamo, se ci arrivo…”
Il
mondo
sembrò fermarsi.
Nessuno
osava
fiatare.
La
notizia era
pesante per tutti.
Jared
e
Shannon avevano l’espressione di chi, nei cartoni animati,
è appena stato
investito da un camion. Tim stava pensando se era il caso di chiamare
un’ambulanza per la rissa che si sarebbe accesa da
lì a poco e Solon non
riusciva a staccare gli occhi da Tomo abbracciato alla sua Dana. Non
poteva
essere possibile una cosa del genere, doveva essere un incubo. La
malattia di
Dana e ora… il suo fidanzamento con Tomo… da non
credere.
“Nipote?”,
Jared ritrovò la voce per primo e si rivolse a Solon:
“Dana è tua nipote?”
L’uomo
annuì:
“Sì. E’ la figlia di mio fratello
maggiore. L’unica nipote che ho e…”
“Tua
nipote è
la ragazza di Tomo?” Shannon era assolutamente incredulo e
cercò di riprovare
con un’altra frase per trovare un po’ di senso
nella vicenda.
Solon
annuì:
“Sì. Ma… ma… Non
è possibile… io… Non vorrei che
lei… avesse a che fare con
voi!”
Dana
continuò,
con la voce supplicante: “Zio, per favore… ti
prego… fai pace con Jared e
Shannon. Fallo per me… Io… non voglio essere
d’intralcio per colpa tua, tra
Tomo e il suo gruppo… per favore…”
Solon
scosse
la testa: “Dana, tu sai che puoi chiedermi tutto, ma questo
no. Questo. No.”
“Per
favore…”
Dana improvvisamente cominciò a tossire e Tomo le porse
subito un po’ d’acqua,
con l’aria affranta. Nel frattempo era tornata anche Jane che
le passò un panno
umido sulla fronte. Nessuno osava parlare e tutti avevano gli occhi
puntati su
di lei. Dopo un po’ la ragazza si riprese. “Per
favore… non darmi questo
dolore, non farmi andare avanti il poco che mi resta da vivere con il
pensiero
che io non posso stare con Tomo perché tu hai litigato con i
Leto. Io amo
Tomo…”
Solon
si passò
una mano sulla fronte: “Non… non sono stato io a
litigare con i Leto, sono
stati loro a litigare con me. E non me ne frega niente se ami Tomo.
Avevi
giurato.”
La
ragazza
sospirò, cercando di trovare fiato sufficiente per parlare:
“Lo so, ma
avevo giurato che non avrei avuto niente a
che fare con i 30 Seconds To Mars molto prima di conoscere Tomo e ora
quel
giuramento non vale niente. E, a ben vedere, non valeva niente nemmeno
allora,
visto che Tomo al tempo non faceva parte del gruppo. Lui non
c’entra niente e
quindi il giuramento non vale…”
Solon
non era
affatto convinto: “Con quello che mi hanno fatto questi qui,
vale eccome.”,
disse, indicandoli con un dito.
“Io
non ti ho
fatto niente!”, disse subito Jared, ma la fretta con cui
intervenne, fece
capire a tutti che il colpevole del litigio Leto-Bixler era proprio
lui. Tutti
si girarono a guardarlo.
“Oh,
povero
verginello! Sai benissimo cosa hai fatto, invece!” Solon si
avvicinò
pericolosamente a Jared, abbandonando perfino il tono di voce
tranquillo e
dimesso che usava di solito. Sua nipote faticava a riconoscerlo, uno
zio Solon
così scatenato. “Non parlare con me come se non
sapessi cosa è successo e…”
“Ehi,
non
aggredire mio fratello così!”, intervenne
però Shannon, mettendosi di fianco a
Jared, prima che questo riuscisse a rispondere.
“Zitto,
Shannon, falli spiegare, altrimenti non ne usciamo
più!” Strano ma vero Tim, curioso
di sapere la ragione della lite, era intervenuto a favore di Solon.
“Stai
zitto,
Tim! Che cazzo c’entri, tu?”, lo
rimbeccò Shannon. Ed in breve tutti si misero
a gridare uno contro l’altro: da una parte la premiata ditta
Jared-Shannon e
dall’altra la strana coppia Solon-Tim. Ed in mezzo Jane, che
tentava di mettere
ordine nella discussione, di calmare gli animi, ma faceva
più confusione che
altro.
E
nessuno
badava a Tomo e ad una emaciata Dana, ai quali sembrava di stare
nell’ultima
scena del primo atto del Barbiere di Siviglia di Rossini, dove tutti
“cantano”
sovrapponendo le voci e nessuno capisce cosa viene detto.
Dana
si passò
una mano sulla fronte imperlata di sudore freddo e Tomo le strinse una
mano,
esasperato.
Doveva
fare
qualcosa.
Prese
una
sedia e vi salì sopra.
“ZITTI
TUTTI!
TUTTI!”, gridò, rivolto ai litiganti.
Il
gruppo
smise subito di urlare e tutti sgranarono un paio di occhi sorpresi sul
chitarrista arrampicato su un trespolo.
“TU!”
disse
Tomo puntando il dito contro Jared. “E TU!” Poi
spostò il medesimo dito contro
Solon: “Chiaritevi. Picchiatevi. Uccidetevi. Fate quello che
volete. Ma quando
uscite di qui non dovete essere di ostacolo tra me e Dana. Per nessun
motivo. Io e Dana
ci vogliamo bene, ci
sposiamo presto e io NON voglio avere litigi e giuramenti sulla testa
e, ogni
volta che ci vediamo in tutti, finiamo per litigare. NON VOGLIO! NON LO
ACCETTO, capito?”
Tomo,
dopo
averli squadrati in malo modo, scese dalla sedia e ritornò
da Dana, mentre
tutti si guardavano l’un l’altro perplessi. Jared
incrociò le braccia davanti
al petto come per volere tenere le distanze, Shannon e Tim si
guardarono un po’
in cagnesco. E Solon abbassò la testa a fissarsi i piedi.
Allora
Dana,
in pigiama di flanella azzurro, si alzò lentamente dal
letto, aiutata da Jane,
si avvicinò a Solon e lo prese per una mano, guardandolo
negli occhi: “Zio, è
ora di fare pace. Tu ora hai i Great Northern, hai trovato il tuo
equilibrio,
non hai più bisogno dei 30 Seconds To Mars e loro non hanno
più bisogno di te. Allora
basta. Basta. Chiaritevi e fate pace. Fallo per me, per favore. Se mi
vuoi
bene, fallo per me. Ora. Adesso. Prima che sia troppo
tardi…”
Solon
scosse
la testa: “Dana, io non posso. Non posso.”
La
ragazza non
capiva: “Ma perché? Cosa sarà mai di
così grave? Dopo sei anni, cosa può
essere?”
Solon
sospirò,
stringendole una mano: “E’ stato Jared. Jared ha
fatto una cosa gravissima.”
Tutti
si
girarono nuovamente a guardare il leader dei 30 Seconds, che
reagì
immediatamente: “Ma non è vero!”
Ma
Solon
rimaneva delle sue convinzioni: “Sì che
è vero! Una cosa che tra componenti
dello stesso gruppo non si fa!”
“Ma
cosa?”, la
voce di Dana era supplichevole.
Solon
si passò
una mano sulla fronte e sospirò: “Mi…
mi ha accusato di aver rubato una cosa.”
“Cosa?
Una canzone,
forse?”, l’ipotesi più probabile, tra
musicisti.
“No.
Peggio…”
“Ma
cosa?”
Jared
intervenne: “Tuo zio ha rubato una cosa fondamentale. E dopo
questo episodio,
di lui non mi sono più fidato. Non potevo più
fidarmi. Dopo quello, avrebbe
potuto rubare qualsiasi cosa…”
“Cosa
ha
rubato, Jared, cosa?”
Solon
scosse
la testa: “Dana, io non ho rubato niente e…
diglielo, Jared, cos’era questa
cosa tanto fondamentale, così vedi che figura
fai…”
Jared
lo
guardò con disprezzo: “Semmai la figura la fai tu,
ladro…”
“Zio,
per
favore, cos’era questa cosa?”
Solon
sospirò
per l’ennesima volta: “Lo dico solo per te, Dana.
Solo perché tu ti renda conto
con che gente hai a che fare. Era il suo… smalto nero per le
unghie.”
Tutti
rimasero
impietriti.
“COSA?”,
dissero tutti in coro, dopo un attimo di smarrimento.
“Solon
ha
rubato il mio smalto nero per le unghie e questo era un affronto che
non potevo
perdonare.”, declamò convinto Jared.
Dana
era senza
parole, Tim si sedette pesantemente sul letto, Jane soffocò
una risatina, e invece
Tomo si stava adirando di brutto, sconvolto che una banalità
del genere avesse
messo a repentaglio il suo rapporto con Dana: “COSA? Voi
avete litigato per
questa cazzata, vi siete quasi sciolti e siete arrabbiati da sei anni
per una
boccetta di smalto per le unghie del valore di due dollari? E non ci
sono altre
ragioni musicali o che so io?”
“Embeh?”,
disse Jared, facendo spallucce, per il quale era normale che nessuno
dovesse
toccare le sue cose, pena punizioni esemplari ed esagerate.
Tomo
si rivolse
allora a Shannon, stranamente silenzioso e in disparte, mentre Solon
scuoteva
la testa e Tim si diceva che lui aveva la sua boccetta di smalto al
sicuro, per
fortuna: “E tu lo sapevi, Shan? E hai accettato che questa
immensa cazzata
continuasse per anni?”
“No,
Shannon
non lo sapeva.”, disse subito Jared.
Il
batterista
aveva una strana voce: “Ehm… Infatti…
Io credevo avessero litigato per
questioni musicali, su come fare il secondo album, non… non
sapevo… ma…”,
Shannon si grattò la testa, come sempre faceva quando era in imbarazzo,
“Ehm… la faccenda della
boccetta è successa quella volta che abbiamo fatto il
concerto qui a Los
Angeles, vero? Nell’autunno del 2002?”
Solon
e Jared
cominciarono a guardarlo male e tutta l’attenzione dei
presenti si spostò su Shannon.
Se non ne sapeva niente, com’è che invece ne
sapeva? “Sì. Perché lo
chiedi?”,
gli disse il fratello, immediatamente insospettito.
Shannon
indietreggiò di un passo: “Ehm…
Jared… ehm… per caso quel giorno la boccetta
l’avevi lasciata nel furgone degli strumenti, dentro il vano
portaoggetti?”
Jared
annuì:
“Sì, perché?”
“Ehm…”,
Shannon si spostò verso la porta, “Ehm…
l’ho presa io… e l’ho usata
per…”, il
batterista era sulla soglia della stanza, “… per dipingere la marmitta
della mia vecchia moto.
Non avevo soldi per comperarla nuova, si era graffiata contro un
cassonetto e
così ho adoperato il tuo smalto senza dirtelo… E
Solon non c’entra niente…”,
disse, tutto d’un fiato, diventando piccolo-piccolo, come
quando da bambino era
costretto a confessare una marachella alla mamma.
Jared
invece
diventò paonazzo, spalancò gli occhi e si diresse
verso suo fratello: “COSA HAI
FATTO?”
Shannon
uscì
di corsa dalla stanza dicendo: “Ci ho dipinto la
marmittaaaaaa…”
Jared
uscì a
sua volta di corsa inseguendo il fratello e dicendo, nel bel mezzo
della sua
personale sceneggiata: “Come hai potuto??? Come hai potuto
farmi questo
affronto? Con tutto quello che ho fatto per te!!! TU, SANGUE DEL MIO
SANGUEEEEEE….”
Jane,
Dana,
Tomo, Solon e Tim rimasero a fissare la porta spalancata e i Leto che
scendevano le scale di legno come potrebbe fare una mandria di bisonti
imbufaliti, poi si guardarono un attimo uno con l’altro e
scoppiarono a ridere.
“Se
non se ne
fossero andati, quei Leto, avrei chiamato il manicomio...”,
disse per prima
Jane, sentendo la porta di casa chiudersi sbattendo dietro ai due
fratelli, “Perché
qui siamo all’assurdo. Al delirio.”
Dana,
ridendo,
con lo stesso panno con cui Jane le asciugava la fronte, si tolse lo
strato di
cipria chiara che si era messa per sembrare pallida, poi
abbracciò Tomo,
ricambiata. “E’ finita, amore mio!”, gli
disse, felicissima.
Tomo
quasi la
alzò di peso:
“Sììììììì!!
Hai visto che era meno peggio di quello che credevi,
eh?”
Solon
si mise
in mezzo, perplesso: “Scusate, ma… ma
tu… tu non avevi la maledizione del
faraone?”
Dana
fece un
sorriso furbetto: “No. Era per finta. Per farvi fare
pace.”
Solon
si passò
una mano sulla fronte e si sedette sul letto vicino a Tim, respirando
finalmente normalmente: “Pfiù, meno male, ho preso
uno spavento!”
Dana
gli si
avvicinò e gli accarezzò la testa:
“Scusa, zio, ma non sapevamo come fare…
Perdonami per la messinscena.”
Solon
scosse
la testa: “Vabbè, fa niente…
è anche vero che dopo sei anni era una cosa
ridicola che andasse avanti questa situazione… quasi mi
vergognavo a dirla… per
una sciocchezza del genere, poi…”
Tim
si alzò, si
avvicinò a Dana e le diede un bacio su una guancia,
rasserenato pure lui, prima
di stringere la mano a Tomo: “Sono contento che fosse tutto
finto! Meno male… E
ora… vado a vedere di recuperare i due Leto, prima che si
ammazzino!”
Tomo
scoppiò a
ridere: “Ma no… tra di loro si perdonano sempre
tutto. Sono fratelli.
Litigheranno un po’ e poi Shannon chiederà scusa a
Jared che lo perdonerà e
torneranno inseparabili. Succede continuamente.”
“Dici?”,
chiese Tim, “O mi devo trovare un altro posto di bassista da
qualche parte?” e
poi ridendo, uscì dalla porta anche lui.
“Sentite
che
ne dite se faccio un po’ di thè e ci mangiamo la
torta di mele che ha fatto
Tomo? Mi aiuti, Solon?”, chiese Jane escogitando su due piedi una manovra per lasciare
soli Tomo e Dana.
“Certo.”
‘Zio’
Solon capì al volo e la seguì facendo
l’occhietto a Dana e i due innamorati
rimasero soli.
“Allora?”,
chiese Tomo sorridendo e guardandola negli occhi, “Sei
contenta?”
“Sì,
tanto!”
gli rispose Dana, abbracciandolo. “E…”
“Cosa?”
“Ho
una
sorpresa per te.” Dana sciolse l’abbraccio e si
spostò verso la parete in cui
campeggiavano i poster ormai consunti di Omar Rodriguez-Lopez ed Albert
Einstein. Li staccò entrambi e li arrotolò,
mettendoli da parte. Poi, mentre
Tomo la guardava senza capire, tirò fuori da sotto il letto
un altro poster, ma
inserito dentro un quadro, e lo appese alla parete.
Tomo
sgranò
gli occhi, sorpreso: era una sua foto presa durante un concerto. Una
gigantografia
in cui compariva con la
Gibson
al collo (http://leto30stm.com/tomo.jpg),
le cuffiette agli orecchi, il ciuffo di capelli neri lisciato e un
residuo di
smalto nero. “Ora sei tu il mio chitarrista
preferito.”, disse Dana
contemplando la foto e poi girandosi verso Tomo. “Non esiste
niente e nessun
altro per me…”
Tomo
era al
settimo cielo, quasi aveva le lacrime agli occhi. “Nemmeno
per me…”, disse, in
un soffio. Poi si avvicinò a Dana, le si mise davanti, prese
un qualcosa dal
taschino della camicia, agguantò la mano sinistra di Dana e
le mise un anello
al dito. Il più classico e romantico degli anelli da
fidanzamento, d’oro e con
il diamante. “Ora che sei miracolosamente guarita dalla
maledizione del
faraone, va bene il week-end del primo maggio per il nostro
matrimonio?”
Dana
passò lo
sguardo dall’anello agli occhi scuri di Tomo, che brillavano
tanto quanto il
diamante e gli accarezzò una guancia, contentissima:
“Sì, va benissimo e…”
“Cosa?”
“Invitiamo
tutti?
Anche i Leto?”
“Certo!
E come
bomboniera possiamo fare i classici confetti con in più una
boccetta di smalto
nero, va bene? Così ognuno ha la sua e nessuno rompe,
OK?”
In
quel
momento, mentre Dana rideva a crepapelle, il cellulare di Tomo
segnalò l’arrivo
di un sms. Il chitarrista lo prese dalla tasca. Era un sms di Jared che
Tomo
lesse a voce alta.
Diceva:
“TOMO
HAI PRESO TU LA MIA MATITA
NERA PER
GLI OCCHI?????!!!”
FINE
P.S.
In nessun modo e su nessun sito sono riuscita a trovare una ragione
‘sfiziosa’
per cui Solon Bixler abbia lasciato i 30STM nel marzo del 2003.
Inizialmente
avevo pensato che il motivo fosse di ordine musicale: Solon, che ai
concerti e
nelle interviste mi pareva piuttosto punkettaro, poteva essere
contrario
all’idea dei 30STM di fare un secondo album meno rock del
primo. Cosa
assolutamente smentita dagli album dei Great Northern che di rockettaro
non
hanno praticamente niente e dal fatto che il secondo album dei 30STM
è uscito
parecchio tempo dopo l’abbandono di Solon, e gli album dei
Great Norhern ancora
più tardi. Inoltre, nonostante suonasse durante i concerti
dal vivo, Solon (e
anche Matt) ha partecipato soltanto marginalmente alla registrazione
del ST
che, come dice anche Jared al cap.22 di questa ff, è stato
davvero scritto e
suonato praticamente tutto dai due fratelli Leto con dei musicisti di
supporto (http://en.wikipedia.org/wiki/30_Seconds_to_Mars_(album)). Per
di
più, da tutti, Solon viene descritto come una persona
assolutamente tranquilla
e posata, che non ha mai avuto niente da ridire con nessuno, tantomeno
con i
Leto. In definitiva, secondo me il motivo per cui Solon se
n’è andato è davvero
quello scritto nella dichiarazione ufficiale rilasciata a suo tempo:
solo che
per la ff era troppo poco divertente, una ragione del
genere… per cui ho dovuto
ricorrere a buttarla sul ridicolo, altrimenti non ne uscivo
più! Spero che così
vi sia piaciuta comunque.
E
ora, parto con i ringraziamenti di rito.
Prima
di tutto le mie Beta-Readers, Tannaca e Folleria, che qualche volta
cercano di farmi
cambiare idea sui contenuti dei capitoli e non ci riescono mai, ma le
cui
‘critiche’ mi sono utili per rivedere dialoghi e/o
caratteri dei personaggi.
Alla mia Beta Cromia che ‘fisicamente’ mi ha
ispirato il personaggio di Dana. Inoltre,
un ringraziamento a parte a JCP: carissima, se anche per un momento
queste cose
che scrivo ti consentono di scordare il mondo esterno, per me
è un onore
scriverle: grazie per le
tue belle
parole e per il tuo incoraggiamento.
Un
grazie immenso a tutte le persone che ‘perdono’ il
loro tempo a leggere e a
quelle che hanno lasciato commenti e recensioni e che mi scrivono:
Folleria,
madiris, sally10989, BlueAndYellow, candidalametta, Revolve90,
Jaredina71,
Cromia, TaccaH, Martunza, princes_of_the_univers, Black Violet, Dying
Atheist,pixie, StephenKing, Artemide82, PrinzexKikka, jcp, Blue_moon,
LittleDarkVampire.
Per
terze, ma non per importanza, un grazie gigantesco a tutte le persone
che hanno
messo questa ff tra le preferite e seguite e che sono: alice_echelon,
alice_chan, araya, BlueandYellow, Blue_moon, candidalametta, caporalez,
Cromia,
Dying Atheist, fteli, giugina2004,
GothicGirl, LittleDarkVampire, Lostwhite, LunaBlu89,
madiris, Martunza,
pixie, princes_of_the_univers, PrinzexKikka, Revolve90, sally10989,
StephenKing, taccaH, The Fantasy, Titti_b, The Queen, _Sophy_xX.
Spero
di non avere scordato nessuno!
Un
abbraccio forte a tutti e
alla prossima!
Baci
e buona estate!
:-***
Shanna
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